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2.6.2. Le funzioni del p.m.: l’esercizio dell’azione penale.

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58 2.6.2. Le funzioni del p.m.: l’esercizio dell’azione penale.

Dopo aver definito il ruolo del p.m. come parte processuale, occorre analizzare le funzioni che egli è chiamato a svolgere.

Una volta che queste saranno descritte, sarà possibile trattare l’oggetto del presente studio, ossia il contrasto negativo tra pm, il quale postula l’inerzia o l’interruzione dell’esercizio delle funzioni da parte di uffici diversi di procura.

Tuttavia, la semplice lettura ed interpretazione delle disposizioni contenute nel c.p.p. e nella l. ord. giud. corre il rischio di scadere in una mera elencazione di attribuzioni, di doveri, di facoltà. Per evitarlo, e quindi per contribuire a descrivere in senso globale e completo la figura del p.m., è necessario individuare un principio comune a tali disposizioni; esso è il principio di obbligatorietà dell’azione penale contenuto nell’art.112 cost., che è anche l’unica fonte costituzionale che si riferisca direttamente alle funzioni del p.m.

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59 Iniziamo l’analisi della succinta disposizione individuando il concetto di azione penale, il quale viene spesso definito dalla dottrina ricorrendo alle elaborazioni della teoria generale del processo civile, ovviamente tenendo conto delle differenze. Ad esempio, un autore sostiene che “ se l’azione civile è ius persequendi in iudicio e quindi è predisposta in funzione di una domanda, di un diritto che viene fatto valere, sia pure per tenersene distaccata sotto il profilo ontologico, l’azione penale prescinde da una domanda a contenuto di merito e si esaurisce in una richiesta di decisione.” 1

Quindi, mentre con l’azione civile le parti intendono chiedere una certa pronuncia al giudice, per la tutela di un bene della vita, e che dovrà informarsi al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con l’azione penale il pm chiede al giudice di emettere una decisione su una ipotesi di reato. Peraltro questa concezione è da ritenersi superata, dal momento che l’esercizio dell’azione penale è autonomo rispetto alle situazioni soggettive di diritto sostanziale,

1 La definizione è di G.Leone, voce Azione penale, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, 1959, p.852, il quale riassume le più datate opinioni sul punto.

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60 trovando il suo presupposto costitutivo nella fondatezza storica e giuridica dell’accusa 2

.

Un aspetto problematico dell’azione penale riguarda l’individuazione del momento in cui essa si può considerare esercitata. Le incertezze si ebbero soprattutto nel periodo di vigenza del codice del 1930, il cui art.74 distingueva tra ‘inizio’ ed ‘esercizio’ dell’azione.

Una parte della dottrina, soprattutto in passato, considerava l’azione penale come attività, comprensiva anche delle i.p., le quali hanno inizio con l’acquisizione della notitia criminis, e dotata pertanto di una dimensione temporalmente estesa. Questa opinione è stata però superata già prima dell’adozione del nuovo cpp, sostenendosi che l’esercizio dell’azione comprenda il promovimento e la prosecuzione, ma non la fase della preistruzione.3

Quindi, l’azione penale si considera esercitata con la formulazione di un atto di imputazione, che consiste nell’attribuzione di un

2

O. Dominioni, voce Azione penale, in Digesto delle discipline penalistiche, vol.I, Utet, Torino, 1987, p.399, il quale fa riferimento all’assenza, nell’azione penale, dei concetti di legittimazione e interesse ad agire,e nega che l’azione sia domanda di decisione.

3

O. Dominioni, voce Azione penale, op. cit., pp.400 ss; più recentemente, I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell'esercizio dell' azione penale, in Riv.it. dir. e proc. pen., 2002, pp. 538 ss.

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61 determinato fatto di reato ad un determinato soggetto; in questo modo, ha inizio il processo.

2.6.2.1. Principio di obbligatorietà e discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale.

Spostando l’attenzione sull’ obbligatorietà, notiamo come la problematicità della sua definizione fosse già nota ai Costituenti, tanto che G. Leone ebbe a dire nella seduta dell’Assemblea del 27 novembre 1947:” I cultori del diritto penale sanno che il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale non è ben definito ancora.”; più recentemente, la C. Cost. ha sostenuto che “Azione penale obbligatoria non significa, però, consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, né dovere del p.m. di iniziare il processo per qualsiasi notitia criminis. Limite implicito alla stessa obbligatorietà, razionalmente intesa, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo: regola, questa, tanto più vera nel nuovo sistema, che pone le

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62 indagini preliminari fuori dell'ambito del processo, stabilendo che, al loro esito, l'obbligo di esercitare l'azione penale sorge solo se sia stata verificata la mancanza dei presupposti che rendono doverosa l'archiviazione, che è, appunto, non-esercizio dell'azione (art.50 cod. proc. pen.).” 4

Sono in realtà numerose le pronunce della Corte Cost. intervenute sul punto, evidenziando alcune caratteristiche ritenute indefettibili del principio di obbligatorietà: esclusione della discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale 5

; garanzia dell’indipendenza della magistratura inquirente e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge 6; sua compatibilità con la previsione di condizioni di procedibilità 7; tendenziale esclusività in capo al pm del potere di promuovere l’azione penale 8. Benché tali caratteristiche si mostrino tutte fondamentali per definire il principio in esame, è necessario limitare l’analisi alle prime due.

4

C. Cost., sent. 28 gennaio-15 febbaraio 1991, n°88.

5

C. Cost., sent. 5 maggio 1959, n°22; id., sent. 28 dicembre 1971, n°209; id., sent. 29 maggio 1974 n°155.

6

C. Cost., sent. 26 luglio 1979, n° 84; id., sent. n°88/1991; id., sent. 24-26 marzo1993, n°111.

7

C. Cost., sent. 12 luglio 1967, n°105.

8

C. Cost., sent. 13 dicembre 1963, n°154; id., sent. 24 maggio 1967, n°61; id., sent. 9 luglio 1970,n°123.

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63 Iniziamo dalla prima, ossia il rapporto tra obbligatorietà e discrezionalità.

Si tratta di un argomento che ha destato contrasti tanto in dottrina che a livello politico, e tuttavia non si può evitare di constatare che l’obbligatorietà dell’azione penale non abbia trovato e non trovi integrale applicazione pratica, tanto che l’esercizio dell’azione in alcuni casi potrebbe apparire non conforme al principio di obbligatorietà, ma risulti piuttosto guidato dalla discrezionalità.

Tralasciando la prima categoria di motivi, andiamo ad analizzare il problema della discrezionalità.

Secondo la Corte Cost.”Con tale norma ( l’art. 112 ) la Costituzione ha dichiarato in modo espresso il principio della obbligatorietà, escludendo quello opposto di una discrezionale valutazione del pubblico ministero circa la opportunità o meno del promovimento dell'azione penale”.9

Come rileva un autore10, l’azione penale non è dominata dall’obbligatorietà, anzi presenta ampi spazi di discrezionalità; ciò

9

C. Cost., sent. 5 maggio 1959, n°22.

10

I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità nell'esercizio dell' azione penale, op. cit., p. 538 ss.

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64 sarebbe dimostrato sia dal dato normativo che dalla pratica della magistratura inquirente.

Per il principio di obbligatorietà qualsiasi notizia di reato dovrebbe condurre il p.m. a svolgere delle indagini al fine di decidere se esercitare o meno l’azione penale. Nella pratica questo non succede, poiché l’enorme mole di lavoro finirebbe per intasare le procure e le aule dei tribunali. E’ quindi necessario predisporre uno strumento che filtri le varie notitiae criminis prima di dare inizio al processo. In questo modo, si fa operare a fianco dell’obbligatorietà, la discrezionalità.

La dottrina distingue almeno tre tipologie di discrezionalità.

La prima, che viene definita ‘psicologica’o ‘in senso stretto’, è riferita all’insieme ineliminabile delle motivazioni interne, delle idee e delle ideologie, del background culturale che spingono il pm ad effettuare le valutazioni in ordine alle più svariate questioni. Essa non è apprezzabile sul piano giuridico e quindi non può essere presa in considerazione né per giustificare la discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale, né per eliminarla.

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65 La seconda è detta ‘libera’ o di fatto, cioè priva di vincoli ed ispirata a meri criteri di opportunità e necessità; la terza è ‘vincolata’ o ‘tecnica’, nel senso che il p.m., una volta acquisiti gli elementi necessari nelle i.p., potrà scegliere se agire o archiviare, nel rispetto dei parametri normativi, ma senza introdurre elementi di convenienza nella sua valutazione.

Per stabilire quali atti e attività del p.m. siano retti dal principio di obbligatorietà e verificare se esistano spazi di discrezionalità, e soprattutto capire in cosa consistano, occorre ricordare quanto detto sopra in ordine al momento in cui si può ritenere esercitata l’azione penale.

Sostenendo che l’azione inizi con la ricezione della notitia criminis, il principio di obbligatorietà dovrebbe operare sin dalla fase delle i.p. In questo modo, la discrezionalità non avrebbe spazio, tranne quella psicologica, perché comunque il p.m. deve effettuare delle valutazioni sul materiale indiziario acquisito durante le i.p. per decidere in ordine all’esercizio dell’azione penale (art. 326); tali valutazioni non possono che essere discrezionali. Per quanto riguarda le determinazioni sull’an e sulle modalità di svolgimento

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66 delle i.p., di nuovo si presenta la discrezionalità, ma difficilmente sarà possibile verificarne la natura, psicologica o libera: la prima sarebbe tollerabile, mentre la seconda, introducendo valutazioni di opportunità, contrasterebbe con l’art. 112 cost.11

Questa opinione è confermata dalla Corte Cost., la quale, dal combinato disposto degli artt. 335, 326 e 358, ha dedotto l’estensione dell’obbligatorietà alla fase delle i.p., sostenendo che ”il principio di ‘completezza’….delle indagini preliminari, che nella struttura del nuovo processo assolve una duplice, fondamentale funzione. La completa individuazione dei mezzi di prova è, invero, necessaria, da un lato, per consentire al pubblico ministero di esercitare le varie opzioni possibili (tra cui la richiesta di giudizio immediato, ‘saltando’ l'udienza preliminare) e per indurre l'imputato ad accettare i riti alternativi: ciò che è essenziale ai fini della complessiva funzionalità del sistema, ma presuppone, appunto, una qualche solidità del quadro probatorio. Dall'altro lato, il dovere di

11

O. Dominioni, Azione penale, op. cit., p. 409 il quale, muovendo dall’idea che l’obbligatorietà operi dal momento in cui è formulata l’imputazione ritiene “ ben difficile distinguere nei singoli atti il carattere

dell’opportunità da quello di discrezionalità.”

E’ da precisare che l’A. parla di opportunità riferendosi alla discrezionalità. psicologica, e utilizza il termine ‘discrezionale.’ come attributo del potere doveroso ( discrezionalità in senso tecnico).

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67 completezza funge da argine contro eventuali prassi di esercizio ‘apparente’ dell'azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale. “ 12

Esistono anche posizioni contrarie 13, le quali muovono da una considerazione sul dato normativo: l’attuale codice non consente di sostenere che l’obbligatorietà sia riferibile alla fase delle i.p., poiché l’ art. 50 c.p.p. parla di ‘esercizio’, mentre l’art. 405 nulla dice in ordine all’inizio dell’azione, ma individua le varie situazioni tipizzate attraverso le quali si può considerare esercitata l’azione penale, vale a dire l’emanazione di un atto che contenga la formulazione dell’imputazione, sia nel rito ordinario che nei riti speciali: richiesta di rinvio a giudizio; di applicazione della pena su accordo delle parti; di giudizio immediato; di decreto penale di

12

C. Cost., sent. 28 gennaio- 15 febbraio 1991, n°88; in dottrina, A.A. Sammarco, La richiesta di archiviazione, Milano, Giuffrè, 1995, pp. 13-14 il quale sostiene che: “ l’obbligo costituzionale dell’esercizio dell’a. penale si risolve nell’obbligo di svolgere le indagini, e quindi di iniziare il procedimento. Pertanto, ove questo obbligo non fosse previsto, o non ne fosse garantito sufficientemente il rispetto, si profilerebbe una violazione dell’art. 112 cost.”

13

I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità, op. cit., pp.543 ss; O. Dominioni, voce Azione penale, in Digesto delle discipline penalistiche, vol.I, Utet, Torino, 1987, pp.409 ss.

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68 condanna; presentazione dell’imputato o citazione per il giudizio direttissimo.

Tali atti si basano su una verifica della fondatezza dell’accusa compiuta nel corso delle i.p., le quali servono a stabilire se sussistano o meno elementi “ idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, come prescritto dall’ art. 125 disp. att.

Quindi la questione è quanto mai aperta.

La prima, confortata da una pronuncia della Corte Cost. che propone un’interpretazione estrema del principio di obbligatorietà, è osteggiata dalla dottrina maggioritaria poiché impone il principio di completezza alle i.p. senza un’esplicita previsione normativa ( al contrario, l’art. 125 disp. att. fa riferimento all’idoneità degli elementi raccolti).

Sembra più corretta l’idea dell’azione come atto che si identifica con il suo esercizio (dimensione puntuale), che elimina l’artificio della discrezionalità libera dettata da ragioni di necessità, comunque contrastante con l’art. 112: la fase procedimentale delle i.p. non è assoggettata all’obbligatorietà, e quindi sarà guidata dalla discrezionalità psicologica del p.m. Nella fase successiva, quando il

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69 p.m. deve decidere se agire o richiedere l’archiviazione, il principio di obbligatorietà impone che la valutazione degli elementi acquisiti nelle i.p., pur basata sulla discrezionalità psicologica, sia accompagnata dal rispetto dei criteri normativi di cui all’art. 125 disp. att., prospettando quindi una discrezionalità tecnica vincolata. La tenuta del sistema è poi garantita da una serie di strumenti imperniati sul controllo giurisdizionale, ex officio o su sollecitazione di parte, svolto sulla decisione del p.m. di archiviare. Esemplari sono le parole della Corte Cost.: “Per assicurare da parte del pubblico ministero il rispetto dell'obbligatorietà dell'azione penale, il legislatore delegante ha delineato (direttive nn. 42, da 49 a 52), e quello delegato realizzato, un'articolata gamma di strumenti di controllo.

A garanzia della completezza delle indagini sta, innanzitutto, la previsione per cui, ove il giudice delle indagini preliminari non ritenga accoglibile la richiesta di archiviazione, possa, all'esito di un'udienza camerale all'uopo fissata, indicare al pubblico ministero le ulteriori indagini che ritiene necessarie, fissando il termine indispensabile per il loro compimento (art. 409, quarto comma): e

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70 questa Corte ha chiarito sia che tali ‘ulteriori indagini’ possono essere disposte anche in caso di archiviazione richiesta per essere rimasti ignoti gli autori del reato (art. 415; sentenza n. 409 del 1990), sia che la stessa facoltà - non contemplata dall'art. 554, secondo comma - spetta anche al giudice delle indagini preliminari presso la pretura (sentenza n. 445 del 1990).

Al medesimo scopo di evitare archiviazioni derivanti da carenze nelle indagini è preordinata la facoltà attribuita alla persona offesa dal reato di opporsi alla richiesta di archiviazione, indicando nel contempo l'oggetto dell'investigazione suppletiva ed i relativi elementi di prova: ciò che è di per sé sufficiente a dar luogo alla predetta udienza camerale (art. 410)…. Un ultimo, incisivo strumento di garanzia del rispetto dell'obbligatorietà dell'azione penale è costituito dalla potestà - attribuita al giudice per le indagini preliminari, ove dissenta dalla valutazione di infondatezza della notizia di reato espressa dal pubblico ministero con la richiesta di archiviazione - di ordinare a quest'ultimo di formulare l'imputazione (artt. 409, quinto comma e 554, secondo comma).14”

14

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71 La sentenza fa poi riferimento allo strumento dell’avocazione delle indagini, tema che verrà approfondito nel Capitolo 3.

Peraltro, i controlli giurisdizionali presentano dei difetti. Il p.m. infatti non sarebbe tenuto né ad eseguire l’ordine di effettuare indagini ulteriori disposte dal g.i.p. né a formulare l’imputazione coatta, secondo un’opinione isolata della Cassazione.15

Comunque chi sostiene che l’obbligatorietà operi a partire dal termine delle i.p., riconosce che il principio condizioni il p.m. nello svolgimento delle medesime, arrivando anche a ritenere che esse debbano essere complete16.

Quale che sia l’opinione di partenza circa il momento in cui si possa considerare vincolante il principio di obbligatorietà, se all’inizio o al termine delle i.p., resta il problema della discrasia tra il numero delle notitiae criminis che pervengono alle procure, e il numero dei procedimenti trattati.

15

Contra M.L.Di Bitonto, L’avocazione facoltativa, Torino ,Giappichelli, 2006, p.97 che critica la sent. Cass. sez. I, 24 ottobre 1995, n°5291, Laureti, poiché l’opinione della Cass. sarebbe priva di fondamento normativo, deducendo che il pm ha l’obbligo di adeguarsi all’ordine del giudice.

16

I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità, op. cit., p. 555; O. Dominioni, Azione penale, op.cit., p. 409.

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72 2.6.2.2. Un possibile argine alla discrezionalità nell’esercizio dell’azione penale: i criteri di priorità.

Tra i vari strumenti che sono stati proposti per selezionare le notizie di reato da perseguire, garantendo così il rispetto dell’art.112, una menzione particolare va dedicata ai criteri di priorità.

Il dibattito sulla loro legittimità è quanto mai aperto. Citiamo alcune posizioni emerse in dottrina17.

Un autore nota:”L’individuazione di criteri di priorità di certe fattispecie non contrasta con l’obbligo di cui all’a.112 cost., dal momento che il possibile mancato esercizio dell’azione penale tempestiva ed adeguatamente preparata per tutte le notizie di reato non infondate, non deriva da considerazioni di opportunità relativa alla singola notizia di reato, ma trova una ragione nel limite oggettivo alla capacità di smaltimento del lavoro.”

17

V. Pacileo, Pubblico Ministero, op. cit., pp.207 ss. che cita le opinioni di V.Zagrebelsky, M.Chiavario, N. Zanon.

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73 Analogamente, un altro autore riconosce che mentre è inammissibile la discrezionalità che si traduce in valutazione di opportunità in ordine alla singola notizia di reato, “ quell’altro tipo di discrezionalità, che, invece, implica appunto scelte di priorità di carattere generale per la trattazione delle notizie di reato…deve essere fatta francamente emergere e regolamentata, secondo la sua natura più genuina.”

Dello stesso tenore è la seguente considerazione: ” Una cosa è…la discrezionalità che deriva dall’impossibiltà di trattare tutti gli affari.. e che implica … l’elaborazione di criteri di priorità; altra cosa è … decidere di non trattare un determinato affare … perché si ritiene ‘opportuno’ non procedere.”

Quindi, se i criteri di priorità mostrano un carattere generale, nel senso che la decisione del p.m. di non procedere per un singolo caso non sia basata su valutazioni di opportunità, ma si riferisca invece a parametri preventivamente determinati, come diremo più avanti, saranno da ritenersi costituzionalmente legittimi.

Vi è anche chi nega la loro legittimità, muovendo dall’assunto che la loro adozione sia resa necessaria dal fatto di considerare

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74 l’obbligatorietà operativa sin dalle i.p., e allo stesso tempo la discrezionalità ‘di fatto’ come ineliminabile da tale fase. Sostenere la necessità dei criteri di selezione, equivarrebbe a riconoscere che la prassi posta in essere finora dalle procure sarebbe permanentemente incostituzionale, perché ogni inerzia nelle i.p. violerebbe il principio di obbligatorietà18.

Il dibattito si è poi ulteriormente sviluppato spostandosi sull’individuazione del soggetto legittimato a fissare le priorità, se la magistratura o il legislatore.

Particolarmente attenta al problema si è mostrata la magistratura, la quale sopporta quotidianamente il carico dei procedimenti pendenti. La prima iniziativa che introdusse un criterio di lavoro basato sull’indicazione di criteri di priorità risale al 16 novembre 1990 ed è nota come “circolare Zagrebelsky”. Il documento, volto a disciplinare le procedure organizzative della procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Torino, indicava in maniera precisa vari criteri di priorità. Anzitutto, per reati della stessa tipologia, si doveva tenere conto della gravità, da considerare sia dal

18

I. Frioni, Le diverse forme di manifestazione della discrezionalità, op. cit., pp. 553-554.

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75 punto di vista oggettivo della lesione cagionata all’interesse protetto, sia da quello soggettivo della pericolosità dell’agente19

; per reati di tipologie diverse si proponeva di considerare la pena edittale, ma anche quella concretamente inflitta. Ad essi si affiancava poi come ulteriore criteri la rilevanza degli interessi tutelati, prevedendo una precedenza di quelli costituzionalmente rilevanti e di quelli riguardanti categorie di soggetti deboli (donne, bambini, anziani, extracomunitari). Sulla scia di tale presa di posizione, diversi dirigenti di uffici giudiziari diedero vita ad una intensa attività lato sensu normativa che fu sostanzialmente avallata dal C.S.M.

Secondo una decisione del C.S.M.20, rimasta poi isolata, dovrebbe essere il procuratore della Repubblica, e in difetto il sostituto procuratore a stabilire criteri di priorità, che non facciano riferimento al singolo caso o alla successione cronologica, ma alla gravità e/o all’offensività del reato.

Più recentemente la ‘circolare Maddalena’, adottata nel 2007 dal procuratore della Repubblica di Torino, conteneva istruzioni, interne

19

Circ. proc. rep. pret. circ. Torino 16 novembre 1990, in Cass. pen. 1991, pp. 366-367.

20

C.S.M., sez. disc., 20 giugno 1997, Vannucci, in Cass. pen., 1998, pp.1489ss.

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76 all’ufficio, finalizzate all’accantonamento dei procedimenti per reati marginali, per i quali era previsto l’indulto. Il plenum del C.S.M, chiamato a intervenire sulla citata circolare chiarì l’importanza del potere-dovere del buon dirigente di individuare criteri di priorità nella trattazione degli affari: essi, infatti, dovevano intendersi non già come criteri di selezione implicanti inammissibili aprioristiche rinunce ad agire, ma come principi di buona organizzazione del lavoro. Il suo reale significato non è quello di un invito all'abdicazione all'esercizio dell'azione penale, ma di una esortazione al suo oculato esercizio nell'ambito di un ordinamento attento a coniugare il principio di obbligatorietà con le istanze di un suo efficace e realistico esercizio21.

Indicando i criteri prescelti per pervenire ad un efficace ed uniforme esercizio dell’azione penale alla luce delle risorse tecnologiche disponibili e delle risorse finanziarie di cui l’ufficio può avvalersi. In questa prospettiva, qualora i flussi dei procedimenti e la tipologia dei reati lo richiedano, è auspicabile la costituzione di gruppi di lavoro specializzati quale strumento che assicura il

21

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77 perfezionamento delle tecniche di indagine in determinate materie. Nell’obiettivo di perseguire un esercizio realistico della azione penale obbligatoria ed improntare l’attività dell’ufficio ad un’efficienza concreta e non astratta o presunta, va comunque evitato un irrigidimento dell’azione investigativa e della connessa attività organizzativa, trattandosi di elementi che richiedono una flessibilità del momento organizzativo per far sì che il principio costituzionale della obbligatorietà sia aderente alle diverse realtà criminali ed alle diversità territoriali22.

La posizione del C.S.M non è condivisa da tutti.

Questa opinione mostra elementi sia favorevoli che contrari alla sua sostenibilità.

A favore si può annoverare il fatto che nessun soggetto meglio del responsabile dell’ufficio di procura, possa individuare i criteri guida cui collegare l’esercizio dell’azione penale, tenendo conto delle reali condizioni in cui versa il carico penale locale. Inoltre, l’intervento di altri organi potrebbe costituire un’indebita ingerenza, lesiva dell’indipendenza della magistratura.

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78 Tuttavia, la predisposizione di criteri di priorità da parte dei singoli uffici di procura produrrebbe il rischio di una disparità di trattamento tra sedi giudiziarie diverse, e ciò porterebbe ad una violazione del principio di uguaglianza, inaccettabile anche in un ordinamento in cui il potere giudiziario sia diffuso.

Ciò avrebbe imposto quanto meno che gli interventi volti a razionalizzare l’azione penale venissero concordati tra gli uffici della pubblica accusa che intervengono nelle varie fasi e gradi di giudizio. Anzi, qualcuno ha intravisto nei criteri di priorità il presupposto per l’introduzione, o meglio per un ritorno all’organizzazione gerarchica della magistratura inquirente sotto la direzione del ministro della giustizia, adducendo come giustificazione la mancanza di responsabilità politica dei magistrati.23.

L’altro soggetto che sembrerebbe maggiormente legittimato a definire i criteri di priorità è il legislatore. E’ indubbio che con questo termine si ricomprenda anche il potere esecutivo sostenuto da una maggioranza parlamentare.

23

(22)

79 Il legislatore, attraverso le norme penali, sostanziali e processuali, quelle di ord. giud. e quelle di spesa, influisce già sull’esercizio della funzione giurisdizionale. Per comprendere quanto siano incisivi i suoi poteri, basta citare quei provvedimenti con i quali vengono definite le linee di politica criminale: depenalizzazione, previsioni di cause punibilità o di procedibilità, amnistia e indulto.

Il primo intervento normativo che abbia introdotto alcuni criteri guida è stato l’art. 227 d.lgs. n°51/1998, istitutivo del giudice unico di primo grado. Esso ha previsto come disciplina transitoria alcuni indici per la trattazione dei processi pendenti alla data di entrata in vigore del decreto. Tali sono la gravità e la concreta offensività del reato, il pregiudizio che può derivare dal ritardo per la formazione della prova e per l’accertamento dei fatti, nonché l’interesse della persona offesa.

I procuratori avrebbero dovuto inviare al C.S.M. i modelli organizzativi predisposti.

La discussione sulla portata della norma, estesa sia ai magistrati inquirenti che giudicanti, sembra attestarsi sull’applicabilità alla fase processuale, mentre sarebbe esclusa la fase delle i.p., non solo perché

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80 gli uffici di procura non hanno mai inviato al C.S.M. le liste contenenti i criteri di priorità adottati, come richiesto dal 2° comma, ma anche perché la finalità precipua della norma è quella di ‘assicurare la rapida definizione dei processi pendenti’, e non dei procedimenti.

Simile contenuto è rinvenibile nell’art. 34 d.lgs. n°274/2000, il quale esclude l’esercizio dell’azione dinanzi al giudice di pace nei casi di particolare tenuità del fatto, la quale consiste nell’esiguità del danno o del pericolo derivato, nonché nella sua occasionalità e nel grado di colpevolezza. L’art. 15 D.M 6 Aprile 2001, n° 204 di esecuzione del predetto d.lgs., fa riferimento, per la formazione dei ruoli di udienza, anche alla possibilità di conciliazione tra le parti.

L’art. 132 bis disp.att. c.p.p., introdotto con d.l.341/2000, conv. con l.4/2001, prevedeva che nella formazione dei ruoli di udienza , avessero priorità assoluta i processi con termini delle misure cautelari in scadenza. La norma è stata successivamente ampliata con l’art.2 bis, inserito con l. di conversione 125/2008 del d.l. 92/2008. I criteri sono eterogenei, poiché vengono tenuti in conto:le tipologie di reato di maggior allarme sociale; l’entità della pena; la recidiva reiterata;

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81 lo stato detentivo dell’imputato o la sua sottoposizione a misure cautelari personali, ad arresto o fermo; i giudizi direttissimi e immediati. Ciò rende difficile stabilire l’ordine in cui essi dovrebbero operare, rendendo inevitabile una scelta in capo al magistrato.

Attenendosi al piano letterale, la norma è rivolta ai dirigenti degli uffici giudicanti, quindi non vincolante per i procuratori.

Tuttavia si potrebbe anche ritenere che i criteri in essa contenuti siano applicabili alle i.p., rendendo quindi necessario che i dirigenti degli uffici giudicanti concordino i provvedimenti organizzativi con i dirigenti dell’ufficio di procura. Questa opinione, che risponde, oltre al principio di unitarietà della giurisdizione, anche a quelli di obbligatorietà dell’azione penale e di ragionevolezza, è confortata da una risoluzione del C.S.M.24

Si possono poi citare altri due proposte legislative sul tema dei criteri di priorità, i quali però non si sono concretizzati in atti normativi. Questi ci consentono di sollevare altre questioni in

24

C.S.M., VII commissione, delibera 13 novembre 2008 :” per

l’imprescindibile implicazione che la selezione di priorità comporta sul principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale e sul suo corretto, puntuale ed uniforme esercizio, si sottolinea la necessità che il dirigente dell’ufficio giudicante intervenga al riguardo mediante un opportuno concerto con l’Ufficio della Procura della Repubblica, ai sensi degli artt. 132, secondo comma, e 160 disp. att. c.p.p. “

(25)

82 relazione ai criteri di priorità e, più in generale, al principio di obbligatorietà; in particolare, l’indipendenza della magistratura inquirente.

Il d.d.l. S2027, presentato da Pera e altri in data 24 Gennaio 1997, prevedeva che il Parlamento determinasse annualmente i criteri di priorità cui vincolare l’attività di indagine delle procure.

Tale proposta, se fosse stata accolta, avrebbe inserito nel nostro ordinamento un sistema di direzione, o se vogliamo, di indirizzo dell’azione penale da parte della maggioranza parlamentare, e quindi anche del Governo, finendo inevitabilmente per compromettere l’indipendenza esterna della magistratura inquirente.

Recentemente, è stato presentato il d.d.l. costituzionale presentato alla Camera dei Deputati il 7 aprile 2011 – AC n.4275,

Berlusconi-Alfano, intitolato Riforma del Titolo IV della Parte II della Costituzione.

Il provvedimento prendeva le mosse da una serie di obiettivi, i più importanti dei quali erano la necessità di garantire un uso efficace e responsabile dei mezzi di indagine e dell’azione penale, e la responsabilizzazione del p.m.

(26)

83 Analizziamo alcuni punti rilevanti della riforma.

Anzitutto, la sostituzione dell’attuale art. 112 Cost. :« L’ufficio del

pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale secondo i criteri stabiliti dalla legge.» Si tratta evidentemente dei criteri di priorità.

Per i proponenti, l’elevato numero di notitiae criminis comporta inevitabilmente una selezione di quelle che vanno trattate con precedenza sulle altre, ma tale decisione non può essere lasciata alla discrezionalità del singolo pm, perché verrebbe alterato il principio di obbligatorietà da parte di un soggetto privo di responsabilità politica. Il legislatore, dal canto suo, quale interprete delle esigenze storiche, sociali ed economiche appare l’unico soggetto legittimato a comprimere l’obbligatorietà per perseguire obiettivi di politica criminale. Un autore ha ritenuto che questa modifica ridurrebbe il principio di obbligatorietà “da garanzia della legalità e dell’uguaglianza a dovere di obbedienza alla volontà politica della maggioranza parlamentare”. 25

25

M. Ceresa Gastaldo, Dall’obbligatorietà dell’azione penale alla selezione politica dei processi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2011, p.1415.

(27)

84 Inoltre, il d.d.l. prevedeva una riscrittura dell’art. 104 Cost., il cui 3° c. avrebbe stabilito che l’autonomia e l’indipendenza sono ritenute “prerogative dell’ufficio requirente e non del singolo magistrato”26

; in questo modo, si intendeva superare la frammentazione della funzione requirente, consentendo al capo dell’ufficio di controllare e dosare i mezzi di indagine e l’esercizio dell’azione penale.

Infine al legislatore ordinario spettava il compito di determinare le modalità secondo cui giudice e pm avrebbero potuto disporre della polizia giudiziaria.

In sostanza, continua l’autore, si sarebbe introdotta la dipendenza del p.m. dalla maggioranza parlamentare, e quindi dal governo, ed anche la gerarchizzazione degli uffici di procura.

La critica alla proposta di riforma si sviluppa in più direzioni27. La selezione dei reati da punire con precedenza, sulla base della loro offensività o gravità sociale, potrebbe essere avvertita come una sorta di rinuncia dell’ordinamento a punire gli altri reati. A questo si può controbattere che i criteri di priorità non escludono la

26

Relazione illustrativa d.d.l. n. 4275, § 5.

27

M. Ceresa Gastaldo, Dall’obbligatorietà dell’azione penale alla selezione politica dei processi, op. cit., pp. 1422 ss.

(28)

85 persecuzione dei reati che non vi rientrano, ma prevedono che la loro trattazione avverrà in un momento successivo.

La fissazione di regole di priorità, validi su tutto il territorio nazionale, dovrebbero mostrare le caratteristiche dei criteri legali, cioè obiettività e determinatezza; d’altra parte, le esperienze avutesi in materia, come l’art. 132 disp. att. cpp e l’art. 227 d.lgs. 51/98 hanno dimostrato che il legislatore non può prevedere in anticipo dei criteri riferibili a singole fattispecie di reato nominate, dovendo ricorrere a formulazioni generali, e in alcuni casi generiche, o introducendo delle priorità tra loro eterogenee.

Quindi vi è il rischio che le regole generali siano interpretate ed applicate in maniera disomogenea nei vari uffici.

La via alternativa ai criteri determinati dal legislatore potrebbe consistere in una serie di interventi sul processo, come il potenziamento degli strumenti già esistenti ( il controllo del g.i.p., l’imputazione coatta, il sollecito delle indagini) e l’introduzione di nuovi ( maggiore circolazione delle informazioni sulle indagini, maggior ricorso alla magistratura onoraria nelle i.p., provvedimenti archiviativi cumulativi nei procedimenti contro ignoti),

(29)

86 eventualmente accompagnati dalla depenalizzazione e dalla deprocessualizzazione ( cause di procedibilità).

2.7. Obbligatorietà dell’azione penale e indipendenza del pm.

Quanto appena detto nell’ultima parte del precedente paragrafo, costituisce il trait d’union con il problema del rapporto tra principio di obbligatorietà e indipendenza del pm. La Corte ha sostenuto:”L’obbl. dell’esercizio dell’azione penale ad opera del pm… è stata costituzionalmente affermata come elemento che concorre a garantire, da un lato, l’indipendenza del pm nell’esercizio della propria funzione e, dall’altro, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale…….senza consentirgli alcun margine di discrezionalità nell'adempimento di tale doveroso ufficio”. 28

In altra occasione29, la Corte ha sostenuto che il principio di obbligatorietà. “ è, dunque, punto di convergenza di un

28

C. Cost., sent. 26 luglio 1979, n°84.

29

C. Cost., sent. 28 gennaio-15 febbraio 1991, n°88; dello stesso tenore id., sent. 8 settembre 1995, n°420.

(30)

87 complesso di principi basilari del sistema costituzionale, talché il suo venir meno ne altererebbe l'assetto complessivo. Di conseguenza, l'introduzione del nuovo modello processuale non lo ha scalfito, né avrebbe potuto scalfirlo. Qui, anzi, l'esigenza di garantire l'indipendenza del p.m. è accentuata dalla concentrazione in capo a lui della potestà investigativa, radicalmente sottratta al giudice.”

La regola sancita dall’art. 112 Cost., indissolubilmente connessa al principio che vuole il p.m. pienamente affrancato dal potere esecutivo e da ogni altro potere costituzionale, costituisce un vero e proprio argine contro ogni forma di arbitrio (e quindi di abuso) nell’esercizio dell’azione penale, preservando in primis l’eguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge, principio cardine della Carta fondamentale.

Eppure non sempre l’obbligatorietà ha postulato l’indipendenza del p.m. dal potere esecutivo. Rinviando a quanto detto nel paragrafo relativo alla permanenza in vigore del codice Rocco nel nuovo sistema costituzionale, possiamo qui ricordare che nei sistemi penali di epoca liberale e poi fascista, l’obbligatorietà dell’azione penale

(31)

88 coesisteva con l’ assoggettamento del p.m. al ministro della giustizia, al fine di consentire la realizzazione della pretesa punitiva dello Stato coerentemente con le politiche criminali del Governo. In sede costituente l’obbligatorietà venne intesa come “principio che si adegua ad un ordine democratico nell’ambito di uno stato di diritto30”: solo in questo modo si sarebbe potuta tutelare l’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e l’indipendenza della magistratura inquirente dagli altri poteri dello Stato. Peraltro, il problema limitrofo della posizione del p.m. nel quadro istituzionale, venne soltanto lambito dalla discussione e demandato alla successiva riforma dell’ordinamento giudiziario.

Esistono tuttavia degli ordinamenti considerati ‘democratici’, come quelli di common-law, i quali tradizionalmente si ispirano al principio di discrezionalità dell’azione penale, evidentemente ritenuto “ lo strumento più idoneo per promuovere la giustizia penale in conformità alle esigenze reali della società”.31

30

Sono le parole di G. Bettiol nella seduta dell’Assemblea Costituente del 27 novembre 1947, riportate da S. Panizza, Pm e obbligo di esercitare l’azione penale, in Problemi attuali della giustizia in Italia, Atti del seminario di studio tenuto a Roma l’8 giugno 2009, a cura di A. Pace, S. Bartole, R. Romboli, Jovene editore, Napoli, 2010, p.149 in nota.

(32)

89 Il dibattito sull’indipendenza esterna della magistratura nell’ottica del principio di obbligatorietà, permane ancora oggi.

In dottrina sono sostenuti pareri non sempre concordanti32.

Più volte è stato messo in rilievo come sia contraddittorio il principio di obbligatorietà con quello di dipendenza del p.m. dall’esecutivo o ad altro organo, e che l’indipendenza del p.m., che fa parte del potere giudiziario al pari dei giudici, trova la sua ragione di esistere sull’obbligatorietà dell’azione penale.

Tuttavia, è stata avanzata l’idea che l’obbligatorietà, riferita agli uffici di procura e non ai singoli magistrati che ne fanno parte, possa legittimare un qualche intervento dell’esecutivo. Si ipotizza dunque che il ministro della giustizia possa dare un impulso alle indagini, indicando se un’indagine debba essere iniziata e in che direzione debba proseguire, oppure provocando il coordinamento tra più indagini. In questo modo, si sostiene, verrebbero ad essere eliminati gli spazi di discrezionalità che caratterizzano l’esercizio delle funzioni del p.m.

32

V. Pacileo, Pubblico ministero, op. cit.,pp.6 ss. offre una rassegna delle diverse opinioni.

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