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Academic year: 2021

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MATERIALI E METODI

Per l’indagine statistica sulle patologie trattate, si è fatto riferimento al database del UO di Chirurgia Generale e D’Urgenza dell’Azienda Ospedaliera Universitaria S.Chiara di Pisa.

Il periodo di tempo considerato per la ricerca va dal 01/01/2007 al 30/06/2009.

I parametri che sono stati utilizzati per l’indagine sulla fattibilità, sull’efficacia e i limiti della tecnica laparoscopica nelle diverse patologie, sono: numero di pazienti trattati;

tasso di conversione; durata media dell’intervento; durata media della degenza

post-operatoria; morbilità e mortalità.

Per la ricerca, nell’ambito dell’appendicite acuta e della colecistite acuta litiasica, si è ricorso all’utilizzo della Deviazione Standard (DS) e del T-test di Student per valutare la significatività delle differenze rilevate nel caso della durata media della degenza post-operatoria e della durata media dell’intervento; per quelle rilevate nella morbilità e nella mortalità, si è fatto riferimento al Test corretto di Fisher.

Sono stati considerati 771 casi sottoposti ad intervento chirurgico in urgenza (tabella 6): di questi, 629 (81,6%) sono i pazienti sottoposti a laparoscopia e 142 (18,4%) quelli sottoposti a laparotomia, molto spesso a causa di controindicazioni alla laparoscopia.

Tab. 6. Distribuzione dei pazienti considerati nello studio in relazione ai quadri patologici ed agli approcci terapeutici adottati

Patologia Numero pazienti

LAPAROSCOPIA OPEN Non Operative Management Appendiciti acute 310 305 (98,4%) 5 (1,6%) - Colecistiti acute litiasiche 225 212 (94,2%) 13 (5,8%) - Emergenze ginecologiche 56 51 (91,1%) 5 (8,9%) - Sindromi occlusive 65 29 (44,6%) 36 (55,4%) - Traumi viscerali 83 18 (21,7%) 65 (78,3%) 54 Sindromi perforative 32 14 (43,8%) 18 (56,2%) - TOTALE PAZIENTI OPERATI 771 629 (81,6%) 142 (18,4%) -

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Considerando i pazienti operati in laparoscopia le patologie più frequenti sono risultate l’appendicite acuta (305/629; 48,5%) e la colecistite acuta litiasica (212/629; 33,7%) seguite dalle patologie pelviche ginecologiche (51/629; 8,1%), dalle sindromi occlusive (29/629; 4,6%), dai traumi viscerali (18/629; 2,9%) e dalle perforazioni di ulcera peptica (14/629; 2,2%).

APPENDICITE ACUTA

I pazienti ricoverati in urgenza con sintomi e segni suggestivi di appendicite acuta, dopo aver eseguito gli opportuni esami di laboratorio e un esame ecografico dell’addome, vengono sottoposti ad intervento chirurgico con tecnica laparoscopica.

L’intervento in open è riservato ai casi in cui si riscontrano controindicazioni all’intervento in laparoscopia.

In funzione del reperto intraoperatorio, i pazienti sono stati suddivisi in due gruppi: • appendicite acuta semplice: si tratta di casi di appendicite focale, senza evidenza

di peritonite o di ascessi periviscerali;

• appendicite acuta complicata: si considerano i casi di appendicite acuta gangrenosa oppure quei casi associati ad ascesso pericecale e/o a peritonite da perforazione appendicolare.

Tecnica dell’appendicectomia laparoscopica

Paziente supino con arti inferiori addotti. Arto superiore destro abdotto a 90°. L’operatore a sinistra del paziente e l’aiuto alla destra dell’operatore. Si inizia inducendo lo pneumoperitoneo per mezzo di ago di Veress (in caso di precedenti interventi chirurgici viene preferita la tecnica open secondo Hasson) fino a 12-14 mmHg; quindi, vengono inseriti tre trocars: il primo da 5 o 12 mm a livello dell’ombelico, che consente l’introduzione del laparoscopio (da 5 o 12 mm con ottica di 30°), il secondo da 5 o 12 mm in fossa iliaca sinistra, il terzo da 5mm in corrispondenza della linea alba o in sede iliaca destra sotto guida visiva.

Il paziente viene messo in posizione di Trendelemburg di circa 20° e rotazione laterale sinistra di 10-15°.

L’intervento inizia con la esplorazione della cavità peritoneale e il campionamento del versamento per esame colturale.

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con l’ausilio di un endoloop (Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA) o con la suturatrice lineare meccanica tipo Endo-GIATM (Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA) (figura 1).

L’appendice viene estratta dopo averla introdotta in un bag plastico (ENDOCATCH) (Ethicon Endosurgery, Cincinnati, OH, USA) per evitare il contatto con la parete addominale.

Si completa l’intervento con un accurato lavaggio-aspirazione della cavità addominale con soluzione salina e il posizionamento di un drenaggio in silastic nella regione pelvica.

COLECISTITE ACUTA LITIASICA

Tutti i pazienti ricoverati in urgenza con sintomi e segni suggestivi di colecistite acuta, vengono sottoposti ad un’accurata valutazione clinica, agli esami di laboratorio, ad un esame ecografico dell’addome e ad una valutazione anestesiologica.

In questo studio, i pazienti con colecistite acuta litiasica sono stati classificati in tre gradi, secondo le recenti Tokyo Guidelines (155), che consistono in:

• GRADO I (lieve): colecistite acuta in pazienti sani con lievi processi infiammatori a carico della colecisti, senza alcuna disfunzione d’organo;

• GRADO II (moderata): colecistite acuta accompagnata da almeno una delle seguenti condizioni:

- leucocitosi > 18000/mm3;

- massa palpabile nel quadrante superiore di destra; - durata dei sintomi superiore a 72 ore;

- infiammazione locale avanzata (peritonite biliare, ascesso pericolecistico, ascesso epatico, colecistite gangrenosa, colecistite

empiematosa);

• GRADO III (severa): colecistite acuta accompagnata da almeno una delle seguenti disfunzioni d’organo: disfunzione cardio-vascolare (grave ipotensione); disfunzione neurologica (perdita di coscienza); disfunzione respiratoria (PaO2/FiO2 ratio <300); disfunzione renale (oliguria, creatininemia >2.0 mg/dl); disfunzione epatica (INR >1.5); disfunzione ematologica (piastrinopenia).

In assenza di controindicazioni, i pazienti vengono sottoposti ad intervento chirurgico con tecnica laparoscopica entro le 24-48 ore successive al ricovero (figura 2).

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In presenza di controindicazioni allo pneumoperitoneo e/o in caso di pazienti ad elevato rischio anestesiologico, è stata eseguita una colecistectomia con tecnica open o una colecistostomia percutanea eco-guidata.

Tecnica della colecistectomia videolaparoscopica

Paziente supino con arti inferiori addotti. Arto superiore destro abdotto a 90°.

L’operatore si pone alla sinistra del paziente, l’aiuto di fronte e l’assistente alla sinistra dell’operatore.

L’induzione dello pneumoperitoneo viene eseguita con ago di Veress posto a livello ombelicale o con tecnica open in presenza di precedenti interventi laparotomici.

Vengono introdotti quattro trocar: il primo, da 12 mm, a livello periombelicale, è adibito al passaggio del laparoscopio (da 10 mm con ottica di 30°); il secondo, il terzo e il quarto trocar, da 5 mm, vengono posizionati, sotto visione, rispettivamente in sede sottoxifoidea, in sede epigastrica e nel punto d’incontro tra la linea ascellare anteriore e l’ombelicale traversa destra.

Il paziente viene posizionato in anti-Trendelemburg (20-30°) e ruotato a sinistra (10-15°).

Si esplora la cavità peritoneale per identificare la colecisti; se si dovessero riconoscere delle aderenze colecisti-omentali e/o colecisto-viscerali, sarà necessario procedere con una lisi.

In presenza di una notevole distensione della colecisti viene eseguita la detensione con ago e si invia il materiale aspirato per bilicoltura. Si procede quindi all’identificazione per dissezione smussa dell’infundibulo della colecisti e si retrae la tasca di Hartmann lateralmente.

Una tempo operatorio molto importante è rappresentato dall’identificazione del triangolo di Calot. Per una adeguata identificazione degli elementi dell’ilo della colecisti si procede ad ampia apertura del peritoneo a livello della riflessione colecisto-epatica. In questo modo è possibile isolare più facilmente sia il dotto cistico, che l’a. cistica. Si chiude l'arteria cistica con due clips di titanio.

Una volta identificato il dotto cistico viene effettuata, come metodica di routine, la colangiografia.

La colangiografia intraoperatoria consente la diagnosi di una associata calcolosi della VBP e inoltre permette di avere una adeguata definizione morfologica dell’anatomia

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In presenza di una associata litiasi della VBP viene eseguito intraoperatoriamente il trattamento.

In funzione del numero, dimensioni, calibro della VBP, entità della flogosi del ligamento epato-duodenale esistono diverse possibilità di bonifica della VBP:

• in presenza di calcoli di piccole dimensioni, la preferenza va alla via trans-cistica da cui viene introdotto un cestello di Dormia (figura 3); l’avvenuta bonifica viene valutata con colangiografia o coledocoscopia;

• in caso di calcoli di dimensioni maggiori rispetto al calibro del cistico, in presenza di una VBP dilatata, viene eseguita una coledocotomia longitudinale (figura 4). Dopo la bonifica verificata con colangiografia o coledocoscopia si esegue la sutura diretta o protetta con tubo di Kehr con una sutura in continua di VICRYL 4-0 e l'ausilio di LAPRA-TII.

Nel caso di impossibilità di bonifica per via transcistica e transcoledocotomica, o nei casi in cui per la flogosi del ligamento epato-duodenale e per il ridotto calibro della VBP non è possibile eseguire una coledocotomia, si ricorre ad una ERCP intraoperatoria con la tecnica del rendez-vous.

Il dotto cistico è chiuso con due clips e sezionato.

A questo punto si esegue la colecistectomia retrograda: si procede con la dissezione della colecisti dal fegato e si procede alla sua accurata emostasi con coagulatore bipolare.

La colecisti viene estratta dal trocar in sede ombelicale dopo averla posizionata all’interno di bag plastico (endopouch).

Si lascia in sede sottoepatica un tubo di drenaggio in silastic.

EMERGENZE GINECOLOGICHE

Le donne in età fertile ricoverate in urgenza con sintomatologia dolorosa nei quadranti addominali inferiori di sospetta natura ginecologica, dopo aver eseguito gli esami di laboratorio (compreso il dosaggio della β-HCG) e l’esame ecografico dell’addome, vengono sottoposte a valutazione specialistica ginecologica: in tale occasione viene valutata la necessità o meno ad eseguire una ecografia trans-vaginale.

In presenza di una sicura diagnosi di patologia ginecologica la paziente viene presa in carico dallo specialista; nei casi diagnostici dubbi, la paziente viene ricoverata in Chirurgia Generale e d’Urgenza.

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Dopo valutazione chirurgica ed un’iniziale terapia medica, in assenza di risoluzione della sintomatologia dolorosa o in presenza di segni clinici, laboratoristici o strumentali alterati, viene proposto l’intervento chirurgico con metodica laparoscopica.

Tecnica per patologie ginecologiche

La tecnica non differisce da quella già descritta per l’appendicectomia laparoscopica: l’intervento inizia con la esplorazione della cavità peritoneale.

In presenza di versamento in pelvi si procede al campionamento per l’esame citologico e colturale.

Identificata la patologia ginecologica si procede al suo trattamento specifico, talvolta con l’ausilio dello specialista Ginecologo (figura 5).

Frequentemente viene anche eseguita un’appendicectomia a scopo profilattico.

SINDROMI OCCLUSIVE

I pazienti ricoverati in urgenza con sintomi e segni suggestivi di occlusione intestinale, dopo aver eseguito gli esami di laboratorio, l’esame ecografico dell’addome, un Rx diretta addome ed un’eventuale TC addome (nei casi in cui l’esame radiologico convenzionale non sia diagnostico), in assenza di segni di peritonite e di evidente scompenso delle anse intestinali, vengono inizialmente sottoposti ad un trattamento medico conservativo, che consiste oltre che in una terapia farmacologia ed infusionale idro-elettrolitica, anche nell’introduzione di un SNG e nel monitoraggio clinico.

In questo periodo, se possibile ed indicato, viene eseguito uno studio radiologico dell’intestino con MDC idrosolubile.

Nei casi in cui non si verifica la risoluzione dell’occlusione durante il trattamento conservativo (24-48 ore) o in presenza di segni suggestivi di una sofferenza vascolare dell’intestino, il paziente viene candidato all’intervento chirurgico.

In funzione del rischio anestesiologico, dei precedenti interventi chirurgici e dell’entità della distensione addominale, viene scelta la tecnica laparoscopica o laparotomia.

Trattamento laparoscopico delle occlusioni dell'intestino tenue

Il paziente viene posizionato con gli arti inferiori divaricati. L’operatore, l’aiuto e l’assistente si posizionano in funzione della sede dell’occlusione intestinale.

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L’induzione dello pneumoperitoneo viene eseguita sempre con tecnica open in sede ombelicale, da cui si introduce un laparoscopio di 10 mm con ottica di 30°, che permette la visualizzazione della cavità addominale.

Di solito vengono posizionati altri 2 o 3 trocar da 5 mm la cui sede è variabile: si preferisce manipolare l’intestino deteso a “valle” del punto di occlusione, per il minore rischio di lesioni iatrogene.

Una volta identificata la sede e la causa dell’ostruzione (aderenza, briglia), si esegue una cauta viscerolisi o la sezione della briglia (figura 6,7).

A questo punto si procede esplorando l’intestino tenue dilatato fino al Treitz. La risoluzione dell’occlusione viene confermata dalla immediata distensione del tenue e valle dell’ostruzione (figura 8).

In presenza di segni di sofferenza vascolare a carico di una ansa intestinale, dopo la sezione della briglia, si valuta la vitalità (ripresa della normale vascolarizzazione e peristalsi ) del segmento intestinale interessato.

In presenza di segni di ischemia o nel caso in cui, per la distensione massiva del tenue, non è possibile procedere in sicurezza ad una adeguata esplorazione della matassa intestinale (figura 9), l’intervento viene convertito in laparotomia.

TRAUMI ADDOMINALI

I pazienti traumatizzati vengono valutati presso il pronto soccorso del Dipartimento Emergenze-Urgenze in collaborazione con i medici della Medicina d’Urgenza ospedaliera (Dir. Dr. Melandri) e gli anestesisti della U.O. Anestesia e Rianimazione P.S. ( Dir. Dr.P. Malacarne) secondo il protocollo standardizzato dell’ATLS (Advanced Trauma Life Support).

I pazienti con trauma addominale ed emodinamica instabile, dopo reinfusione volemica, vengono operati in urgenza presso le sale operatorie del DEU con tecnica open.

In presenza di un trauma chiuso dell’addome con documentata lesione traumatica di un organo parenchimatoso (fegato, rene, milza) ed emodinamica stabile viene messo in atto un trattamento conservativo non operatorio (Non Operative Management-NOM). La laparoscopia nel trauma chiuso addominale viene riservata sia ai pazienti che nel periodo di trattamento non operatorio, pur presentando una certa stabilità emodinamica, presentano dubbi segni clinici o strumentali a carico dell’addome, come ad esempio la dimostrazione radiologica di versamento libero in cavità addominale, sia ai pazienti che

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durante il NOM vanno incontro ad una iniziale compromissione della stabilità emodinamica (riduzione emoglobina ed ematocrito).

Nei traumi penetranti addominali da arma bianca, se l’esplorazione locale del tramite conferma la penetrazione del piano fasciale, nell’impossibilità di escludere il superamento del peritoneo, viene eseguito l’intervento esplorativo con tecnica laparoscopica.

Anche nei traumi penetranti della regione toraco-addominale, nel sospetto di una lesione diaframmatica, i pazienti vengono sottoposti a laparoscopia esplorativa.

Per la ricerca, sono stati presi in considerazione i pazienti con trauma chiuso o penetrante della regione toraco-addominale.

Tecnica della videolaparoscopia nei traumatizzati

L’induzione dello pneumoperitoneo viene effettuata con ago di Veress o con tecnica aperta a pressioni di CO2 più basse; l’esplorazione della cavità peritoneale viene effettuata con laparoscopio da 10 mm con ottica di 30° .

Solitamente vengono introdotti altri due trocars da 5 mm in fossa iliaca destra e sinistra, sotto guida visiva.

Nei traumi penetranti viene valutata l’integrità del piano peritoneale sul tramite della ferita: se il peritoneo risulta integro e non è presente sangue o materiale enterico in cavità peritoneale, l’esplorazione laparoscopica è conclusa; se si dimostra una soluzione di continuo del piano peritoneale, è necessaria un’accurata ed adeguata esplorazione dei visceri cavi e parenchimatosi addominali per valutare la presenza di lesioni e il loro eventuale trattamento (figura 10).

Nei traumi addominali chiusi, se presente emoperitoneo, è necessario evacuarlo e ricercare la fonte del sanguinamento. In base all’entità del sanguinamento e alla sua sede andrà valutata la possibilità di poter eseguire una emostasi laparoscopica o l’opportunità di una conversione laparotomia (figura 11).

In caso di lesione viscerale l’opzione è generalmente la conversione laparotomica.

PERFORAZIONE DI ULCERA PEPTICA

I pazienti ricoverati in urgenza con sintomi e segni suggestivi di perforazione , dopo aver eseguito esami di laboratorio, esame ecografico dell’addome, Rx diretta addome ed eventuale TC addome (nei casi in cui l’esame radiologico convenzionale non sia

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In assenza di controindicazioni allo pneumoperitoneo e in caso di pazienti a basso rischio anestesiologico, nel sospetto diagnostico di una perforazione peptica (valutato anche in relazione dell’assunzione di FANS, corticosteroidi etc.), si procede con la procedura chirurgica con tecnica laparoscopica.

Tecnica del trattamento laparoscopico dell’ulcera peptica perforata

Dopo aver posizionato un sondino naso-gastrico (SNG), viene somministrata la terapia antibiotica ad ampio spettro e un inibitore della pompa protonica.

Il paziente viene posizionato con gli arti inferiori divaricati. L’operatore si posiziona tra le gambe; l’aiuto e l’assistente stanno alla destra e alla sinistra del paziente.

L’induzione dello pneumoperitoneo viene eseguita con ago di Veress posto a livello ombelicale o con tecnica open in presenza di precedenti interventi laparotomici.

Si posiziona quindi il primo trocar da 12 mm in sede ombelicale da cui si introduce un laparoscopio di 10 mm con ottica di 30°, che permette la visualizzazione della cavità addominale.

Di solito vengono posizionati altri 2 o 3 trocar da 5 mm: sulla linea ombelicale trasversa a destra e a sinistra e in ipocondrio destro.

Valutato il grado di contaminazione e prelevato il materiale per eseguire l’esame colturale, si identifica la sede della perforazione.

Se l’ulcera perforata è a livello gastrico e la sede e le dimensioni lo permettono (figura 12), si esegue una escissione dei margini della lesione, per poter escludere un cancro gastrico di tipo ulcerativo: qualora si dovesse dimostrare un’eteroplasia, si converte l’intervento in laparotomia e si procede con una gastroresezione parziale o totale; se, invece, l’ulcera è di natura benigna, si ricorre ad raffia con punto di vicryl 3/0 ed omentopessi sec. Graham.

Se l’ulcera perforata è a livello duodenale (figura 13,14,15), non si esegue la biopsia, ma si procede direttamente con la raffia dell’ulcera e l’omentopessi sec. Graham.

Per eseguire la raffia, si utilizzano un portaaghi ed una pinza laparoscopica: la lesione viene chiusa con dei punti larghi per assicurare la sutura e prevenire il taglio dei tessuti infiammati.

Dopo che i fili sono stati annodati, si copre la lesione con un “patch” di omento.

La cavità viene irrigata con diversi litri soluzione salina riscaldata e si inseriscono due o tre tubi di drenaggio di cui uno sempre in prossimità della raffia.

Figura

Tab. 6. Distribuzione dei pazienti considerati nello studio in relazione ai quadri patologici ed  agli approcci terapeutici adottati

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