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Academic year: 2022

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Appendicite acuta 28

M

OSHE

S

CHEIN

Tutti sappiamo che: “qualunque sia la presentazione clinica, qualunque siano i reperti addominali, tenete sempre presente l’appendicite acuta in un angolo della vostra mente.”

L’appendicite acuta (AA) viene discussa in tutti i testi di chirurgia, a partire da quelli dell’inizio del XIX secolo. Se guardiamo i lunghi capitoli dedicati a questo argomento, ci chiediamo spesso cosa ci sia tanto da discutere. Sapendo che vi han- no propinato l’AA fino alla nausea già dai primi giorni di università, non è nostra intenzione ripetervi tutta la “tiritera”. Invece vi promettiamo di essere brevi, di non annoiarvi e, forse, di insegnarvi alcune cosette che vi sono sfuggite fino ad oggi.

Diagnosi

L’AA è una infiammazione dell’appendice che evolve in una infezione. La lun- ghezza e la posizione di questa struttura rudimentale variano, complicando così le cose. Persino un dentista (ma non un ginecologo) è in grado di diagnosticare un caso di AA “classica” (

Fig. 28.1); un dolore addominale localizzato in mesogastrio, che si sposta successivamente in fossa iliaca destra e diviene un dolore somatico vero e proprio, parla da solo. Aggiungeteci poi la clinica e gli esami di laboratorio suggestivi per una infiammazione/infezione sistemica e, cosa ancora più importan- te, all’esame obiettivo il riscontrare i segni di una irritazione peritoneale localizza- ta, cosa si vuole di più… Sfortunatamente (o per fortuna, altrimenti sarebbero i dentisti a trattare l’AA), per ogni caso di AA classica si presentano due casi atipici.

Ormai dovreste sapere che l’AA può non essere diagnosticata ai due estremi di età, che nelle donne fertili è spesso scambiata per una patologia ginecologica (

Cap.

31), che le appendici retrocecali e pelviche sono più problematiche e che dovete sempre e comunque “tenerla a mente” – almeno al secondo posto nella lista delle diagnosi differenziali. Dunque cosa possiamo aggiungere a quello che già sapete?

Forse nulla – ma permetteteci di sottolineare alcuni punti:

Mai confermare o escludere una diagnosi di AA in base alla presenza o meno di un qualche sintomo, segno o reperto che “dovrebbe esserci” poiché non esiste una tale variabile obbligatoria. Invece, dovete sospettare una AA basandovi sull’in- tero quadro clinico e sui vari test di laboratorio.

Ogni chirurgo alle prime armi si sente obbligato a pianificare il proprio iter

di screening diagnostico per la AA. Il “test della tosse”, il “segno del salto”, il “test del

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per favore, porti la pancia verso il mio dito” e molti altri ancora. Sono tutti molto divertenti ma nessuno di questi raggiunge una sensibilità o una specificità del 90%

(ops, scusate, avevamo promesso di non usare percentuali!). La verità è che è impossibile stabilire una diagnosi clinica di AA certa in tutti i casi. Se la vostra poli- tica è quella di operare solo in base alla valutazione clinica e ai valori di laborato- rio, allora uno o due appendicectomie su dieci risulteranno essere appendici sane,

“bianche” (in donne fertili la percentuale è molto più elevata…). Un numero mag- giore implicherebbe che siete dei “cowboy”, un numero minore che siete pericolo- samente… prudenti.

Dunque, sospettate seriamente una AA dopo aver escluso, o almeno così pen- sate, un problema ginecologico, una patologia urologica, una gastro-enterite, una nebulosa “linfadenite mesenterica” o quella pattumiera che è il “dolore addomina- le aspecifico”. A questo punto procedete direttamente in sala operatoria o fate ese- guire un bell’esame radiologico?

Caveat

Il trattamento dei pazienti con sospetta appendicite si è tradizionalmente concentrato sulla prevenzione della perforazione con un intervento chirurgico pre- coce, ma a scapito di un’alta percentuale di interventi inutili. Malgrado l’esecuzio- ne di un numero maggiore di esami diagnostici moderni, la percentuale di perfora- zione non è diminuita. Inoltre, studi sulla popolazione hanno documentato, con l’aumento delle percentuali di appendicectomia, una diminuzione dell’accuratezza diagnostica, ma nessuna modifica delle percentuali di perforazione. Questo ci inse- gna che la perforazione è una patologia diversa: i pazienti vengono ricoverati in

Fig. 28.1. Anche un dentista può diagnosticare una classica appendicite.

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ospedale per perforazione – questa non si verifica mentre sono sotto esame o tenu- ti sotto osservazione. Certo, a volte può succedere di non riconoscere una perfora- zione “mascherata”, ma questa è un’altra storia.

La diagnostica per immagini dell’addome nell’appendicite acuta

Anche se è chiaro che non possiamo modificare la percentuale di appendici- ti perforate (1 su 4 è perforata), possiamo diminuire il numero di appendicectomie inutili e negative. È stato detto che “uno sciocco con uno strumento resta pur sem- pre uno sciocco”. L’uso indiscriminato e non selettivo della tecnologia diagnostica moderna non cambierà di certo questa osservazione. Ciò che serve è il buon senso e un impiego razionale degli esami disponibili. Francamente, trattando negli adul- ti (>13 anni) almeno 1 caso di appendicite acuta alla settimana, non ricordo quan- do è stata l’ultima volta in cui ho rimosso una appendice sana (durante una lapa- rotomia non terapeutica) o in cui non ho riconosciuto una non sana (ma dopo tut- to, i miei pazienti non stanno forse tutti bene?).

Ecco come faccio:

1. Pazienti maschi con esordio “tipico”. Operare immediatamente o la mattina dopo.

2. Pazienti maschi con esordio “atipico”. Si ripetono gli esami di laboratorio e l’esame clinico – se non va “meglio” o il caso è ancora “atipico”, faccio una TC (vedi

Cap. 5).

3. Donne in età fertile con esordio “tipico”. Inizio sempre con una ecografia (US) trans-vaginale che spesso rileva una patologia ovarica e la presenza di liquido nel Douglas, il che spiega il quadro clinico. Se l’US non è di aiuto le pazienti vengono inviate alla TC.

4. Donne con esordio “atipico”. Vedi punto 2 e 3.

5. Poiché l’approccio suddetto serve a differenziare coloro che necessitano di un intervento chirurgico da quelli che non lo richiedono, non vedo il moti- vo di eseguire una laparoscopia soltanto per il gusto di fare una diagnosi. La laparoscopia diagnostica di per sé è una procedura costosa ed invasiva (alcu- ni la definiscono un “trauma addominale penetrante controllato”) e mal- grado le affermazioni secondo cui una appendice sana repertata laparosco- picamente deve essere lasciata stare, molti chirurghi non si sentono tran- quilli utilizzando questo approccio. Perciò generalmente una “laparoscopia negativa” implica una “appendicectomia negativa”. D’altro canto, studi sul- l’appendicectomia laparoscopica riportano percentuali molto più elevate di appendicectomie negative.

L’ecografia, se in “buone mani”, si è dimostrata accurata nella diagnosi di

AA ed è utile per escludere altre diagnosi che possono richiedere una terapia

diversa (ad es. l’idronefrosi), un altro tipo di incisione (ad es. la colecistite acu-

ta) o nessuna terapia (ad es. una semplice cisti ovarica). La maggior parte di noi

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non lavora in istituti dove ci si possa fidare del tutto della diagnosi fatta dal radiologo mediante ecografia.

Rivalutazione periodica

Molti di voi – ad esempio in Russia o nelle “foreste” – non dispongono di una TC, perciò non possono seguire il consiglio che abbiamo dato sopra. Questo non significa che avranno un’alta percentuale di appendicectomie negative. Nei casi dubbi, la rivalutazione periodica è un metodo diagnostico venerando e com- provato. Sfortunatamente, l’arte del riesame periodico e la virtù della pazienza stanno scomparendo dalla pratica moderna, in cui prevale l’attività frenetica e in cui si deve sempre “fare qualcosa” per dare prova di sé. In assenza di peritonite e tossicità evidenti è molto raro che gli attacchi di AA costituiscano una vera e pro- pria emergenza da operare immediatamente. Se siete indecisi, ricoverate il pazien- te e riesaminatelo periodicamente nel corso del giorno o della notte. Nella mag- gior parte dei casi la AA si rende evidente, mentre, se non si tratta di AA, l’“attac- co” si risolve. I pazienti sotto osservazione chirurgica non si perforano – sono quelli ricoverati in pronto soccorso o nelle corsie pediatriche che hanno perfora- zioni trascurate.

[Nota: se decidete di tenere sotto osservazione il paziente, non somministra- te antibiotici poiché questi possono mascherare i reperti, “trattare parzialmente”

o persino curare l’AA.]

Dunque, cerchiamo di prescivere gli esami di imaging in maniera selettiva.

Purtroppo, nella nostra parte di Atlantico, l’algoritmo diagnostico aumenta sempre più per il dogmatismo del personale di Pronto Soccorso, che preferisce eseguire una TC piuttosto che una valutazione clinica. Un uso così indiscriminato della TC determina un nuovo tipo di sindrome che noi chiamiamo “appendicite da TC”. Voi ponete sotto osservazione un paziente con dolore al quadrante inferiore destro e reperti clinici vaghi; nel frattempo i medici del Pronto Soccorso gli/la sottopongo- no ad esame TC i cui risultati vengono riferiti dal radiologo il mattino seguente. A questo punto, il paziente si sente molto meglio, ha un addome trattabile e vuole tor- narsene a casa, ma il radiologo asserisce che l’appendice è notevolmente infiam- mata. Dobbiamo trattare l’immagine digitale della TC o il paziente?

Classificazione

Riportiamo qui una semplice classificazione dell’AA per facilitare la discus- sione sul suo trattamento. In poche parole, l’AA è “semplice” o “complicata”. L’AA

“semplice” implica una infiammazione dell’appendice di qualsiasi grado senza gangrena appendicolare, perforazione o formazione peri-appendicolare di pus.

Una AA è definita “complicata” quando è presente una di queste su menzionate

alterazioni. Un’altra entità con cui dovrete familiarizzare è la massa appendicola-

re, che si sviluppa tardivamente nella storia naturale dell’AA. La “massa” è un flem-

mone infiammatorio costituito dall’omento o/e dai visceri contigui che va a tam-

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ponare una appendicite “complicata”. Una “massa” contenente una quantità varia- bile di pus costituisce un ascesso appendicolare.

Trattamento

Antibiotici

La somministrazione oculata di antibiotici per coprire i Gram-negativi e i bat- teri anaerobi, è in grado di minimizzare l’incidenza delle complicanze della feri- ta chirurgica (frequenti) e quelle dovute a sepsi intra-addominale (rare). Nella AA “semplice” la somministrazione di antibiotici è considerata profilattica, mentre in quella complicata è terapeutica. Vi consigliamo di somministrare la prima dose di antibiotici poco prima dell’intervento. Se all’intervento l’AA si dimostra “semplice”, non è necessario somministrare altre dosi nel post-opera- torio. Se invece l’AA è “complicata”, è indicata la somministrazione di altri anti- biotici dopo l’intervento. Vi suggeriamo di basare la durata della somministra- zione sui reperti operatori. Una AA gangrenosa senza pus rappresenta una “infe- zione resecabile” che non richiede più di 24 ore di antibioticoterapia post-ope- ratoria. Una AA perforata con o senza pus intraperitoneale, deve essere trattata più a lungo – ma non oltre i 5 giorni (

Capp. 7, 12 e 42). Forse non sapete che la maggior parte degli attacchi di AA semplice risponde positivamente al tratta- mento conservativo con antibiotici. Anche l’AA complicata può rispondere positivamente agli antibiotici, o almeno evolvere in un ascesso. Perciò perché non trattare la maggior parte dei casi di AA inizialmente con terapia conserva- tiva così come avviene per la diverticolite acuta (

Cap. 6) del colon sigmoideo?

Perché il trattamento chirurgico della AA è più semplice ed associato a minore morbilità di quello per diverticolite. Tuttavia, se doveste avere a che fare con una AA lontani dalle strutture chirurgiche (ad es. in mezzo all’oceano), trattate il paziente con antibiotici (che dovrebbero essere presenti su ogni nave). Come diremo in seguito anche in presenza di una massa appendicolare è preferibile il trattamento conservativo.

L’intervento

“L’appendice è generalmente attaccata al ceco.” (Mark M. Ravitch, 1910-1989)

“Il punto di massima dolorabilità è, nell’adulto medio, quasi esattamente a 2 pollici dalla spina iliaca anteriore su una linea che va da questa all’ombellico”(Charles McBurney,1845-1913)

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Quando operare?

Non dovete correre in sala operatoria per ogni paziente con diagnosi di AA!

È ovvio che se il paziente è sistemicamente “compromesso” ed i reperti addomi- nali sono significativi (denotano una perforazione), dovete operare subito.

Qualche ora di ritardo mentre il paziente è sotto antibiotici è accettabile. Non correte in sala operatoria per un caso di diverticolite acuta (

Cap. 26), dunque qual è la differenza?

Approccio open versus laparoscopico?

Come abbiamo puntualizzato prima, l’uso indiscriminato della laparosco- pia diagnostica per sospetta AA determina una elevata incidenza di rimozioni inutili di appendici sane – interventi che non sono esenti da complicanze. Ma cosa dire della appendicectomia laparoscopica (AL) una volta stabilita la dia- gnosi? L’evidenza suggerisce che, rispetto alla procedura open, l’AL determina minor dolore post-operatorio, una dimissione più rapida (1 giorno) e una mino- re incidenza di infezione della ferita. Tuttavia, quando è eseguita per una AA complicata, si associa ad un rischio maggiore di complicanze settiche intra- addominali. Per quanto riguarda i costi, il denaro risparmiato grazie ad una dimissione più veloce dopo AL, viene speso per un intervento più lungo e costo- so. Perciò sembra che i chirurghi che come noi preferiscono l’appendicectomia open, abbiano il sostegno della letteratura, ma questo non significa che debbano evitare sempre una AL; sicuramente questa gioca un ruolo importante nei pazienti molto obesi (in quanto evita una incisione ampia) e in quelli con appendicite non perforata che chiedono espressamente di essere sottoposti a laparoscopia.

Note tecniche

In questa sede discuteremo esclusivamente dell’intervento open. Tuttavia se vi piace giocare con il gas, i “bastoncini” e le suturatrici, fate pure!

Riteniamo che, come interni, abbiate già eseguito la vostra parte di appendi- cectomie. Tuttavia, avendo visto molti chirurghi trasformare una normale appen- dicectomia in un intervento complicato simile ad una Whipple, vi ricordiamo il principio dell’FSS (falla semplice, stupido!):

Incisione: non avete bisogno di praticare una lunga e brutta incisione obli- qua. Usate quella trasversa. Un errore frequente è quello di farla troppo mediale sul- la guaina del muscolo retto; restate laterali. Iniziate con una mini-incisione; potete sempre allargarla.

Appendicectomia: potete rimuovere l’appendice in senso anterogrado o

retrogrado ma non c’è bisogno di affondare con borsa di tabacco il moncone, a

meno che non siate legati a degli inutili rituali. Perciò limitatevi a legare o a sutu-

rare-transfiggere l’appendice alla base e a sezionare il resto. I soliti rituali che pre-

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vedono di spennellare il moncone con Betadine o di bruciarlo con il bisturi elettri- co sono semplicemente ridicoli.

Toilette peritoneale: aspirate il liquido e ripulite ciò che rimane del pus con un tamponcino montato asciutto (non dimenticate la pelvi). Il lavaggio peritonea- le attraverso questa piccolissima incisione è inutile. Non fatelo.

Drenaggi: non sono quasi mai necessari ma potrebbero essere indicati dopo il drenaggio di un voluminoso ascesso appendicolare.

Chiusura: non è necessario suturare separatamente il peritoneo. L’in- stillazione di un antibiotico (oltre alla somministrazione sistemica di antibiotici) nel sottocutaneo protegge dalle infezioni della ferita. Non eseguite suture sottocu- tanee (corpi estranei). Siamo propensi per la chiusura immediata della cute in tut- ti i casi. In alcuni pazienti potrà insorgere una infezione della ferita, che verrà trat- tata rimuovendo (alcuni) punti. Non pensate che sia meglio di una chiusura in due tempi che condanna i pazienti ad ulteriori manovre e ad una orribile cicatrice?

(

Capp. 38 e 49).

L’appendice “bianca”

Cosa dovete fare quando l’appendice risulta essere sana-bianca? Beh, pote- te strofinarla in modo da far diagnosticare al patologo una lieve infiammazione acuta (scherzo!). Il detto tradizionale è che quando c’è una incisione addomina- le per appendicectomia è meglio rimuovere l’appendice per non confondere le cose in futuro. Che dire di una appendice normale visualizzata in corso di lapa- roscopia? Deve essere anch’essa tolta? In base al consenso emergente è meglio lasciarla stare ed informare il paziente ed i suoi familiari che l’appendice è rima- sta in sede. Tuttavia la maggior parte dei laparoscopisti non è molto d’accordo su questa raccomandazione, in quanto si preoccupa che ciò che appare normale attraverso la videocamera possa poi risultare patologico all’istologia. Perciò per la maggior parte dei chirurghi una laparoscopia diagnostica per sospetta appendi- cite porta ad eseguire l’appendicectomia, indipendentemente dal fatto che l’ap- pendice sia sana o malata. È ovvio che quando l’appendice è sana dovete cercare diagnosi alternative, come una diverticolite di Meckel, una patologia annessiale, una diverticolite cecale perforata (

Cap. 26), o una linfadenite mesenterica (qua- lunque cosa essa sia). Tuttavia nella maggior parte dei casi non troverete nulla.

Cosa fare se doveste repertare del liquido peritoneale maleodorante, denso o con tracce di bile, suggestivo di una grave patologia alternativa in qualche altra sede?

La presenza di bile vi dovrebbe indirizzare verso l’addome superiore. Chiudete

l’incisione e praticatene un’altra, dove è il vero “campo di battaglia”. Presenza o

odore di feci vi indirizzeranno verso il sigma; estendete l’incisione lungo la linea

mediana ed eccovi arrivati.

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L’appendice di “Valentino”

Una flogosi intra-peritoneale di qualsiasi origine, può infiammare, iniettan- do l’appendice da fuori, e simulare una AA. Questo accadde al famoso attore del cinema e donnaiolo Rodolfo Valentino che, nel 1926 a New York, fu operato di appendicectomia per una sospetta appendicite acuta; dopo l’intervento ebbe un grave peggioramento e morì. L’autopsia rivelò la presenza di un’ulcera peptica perforata. Il rilevamento di liquido peritoneale e pus e di una appendice non gan- grenosa e non perforata, dovrebbe farvi sospettare che la patologia sia altrove – cercatela!

Flemmone del moncone appendicolare post-appendicectomia Il vostro paziente è stato sottoposto ad una regolare appendicectomia per appendicite acuta dopo di che è tornato felicemente a casa. Dopo 7 giorni si ripresenta con dolore in fossa iliaca destra, febbre e aumento dei globuli bian- chi. La ferita sembra OK. Questa è la tipica manifestazione di un flemmone del moncone appendicolare. Attualmente è semplice stabilire la diagnosi: la TC è in grado di mostrare il flemmone coinvolgente il ceco – invece di un ascesso da drenare. Qualche giorno di antibioticoterapia è in grado di curare questa complicanza relativamente rara che, per qualche motivo, non è citata nei testi standard.

Appendicite del moncone: attenzione perché, in qualsiasi momento dopo una appendicectomia, può svilupparsi una classica appendicite acuta. Nell’era dell’AL, questo avviene sempre più di frequente poiché, durante l’intervento, i chirurghi possono sbagliare ad identificare la base dell’appendice e lasciare così un lungo moncone appendicolare – che è soggetto ad appendicite e che necessita perciò di una ri-appendicectomia.

Massa appendicolare

Tipicamente i pazienti con una massa appendicolare si presentano in uno sta-

dio avanzato della malattia, con sintomi addominali che durano da una settimana

o oltre. A volte, riferiscono un miglioramento spontaneo dei sintomi il che indica

una localizzazione del processo infiammatorio. All’esame clinico si reperta una

massa in fossa iliaca destra. Una eccessiva dolorabilità o l’obesità possono celare la

presenza della massa. Perciò, nei pazienti che si presentano “tardivamente” o in

quelli con un quadro atipico “che cova sotto la cenere”, sospettate una massa appen-

dicolare. Se non palperete niente, fate eseguire una TC, che è il modo migliore per

identificare una massa appendicolare. Un’altra indicazione alla TC è l’evidenza cli-

nica di pus non drenato, con picchi di febbre e tossicità sistemica, che indicano la

presenza di un ascesso appendicolare.

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Perché dovreste fare una distinzione tra AA e una massa (o ascesso) appendi- colare se il trattamento è lo stesso (ad es. intervento e antibiotici)? Perché la massa (o ascesso) appendicolare può essere trattata non chirurgicamente. Potete operare entrambi come nel caso di una AA, ma la rimozione dell’appendice compresa in una massa flogistica, può essere più complicata del solito e a volte può essere neces- sario eseguire una emicolectomia.

D’altra parte, il trattamento conservativo con antibiotici porta alla risoluzio- ne della massa nella maggioranza dei casi. Dato che soltanto 1 paziente su 5 ha una recidiva di AA (generalmente entro 1 anno e non si tratta di un attacco grave), il dogma che prevede di eseguire routinariamente una “appendicectomia di interval- lo” entro 6 settimane è diventato obsoleto. È interessante notare che, in molti di questi pazienti, l’appendice risulta rudimentale e con cicatrici. Nei pazienti con età maggiore di 40 anni suggeriamo una colonscopia in elezione e una TC (dopo 3 mesi) per escludere la possibilità – rara – in cui la causa della massa si riveli essere un carcinoma del cieco.

Se la massa non risponde positivamente agli antibiotici significa che c’è un ascesso. Il drenaggio percutaneo TC o ecoguidato è l’approccio più razionale (

Cap. 44).

Se entro 48 ore non vi è miglioramento clinico, è necessario operare.

All’intervento, drenate il pus e, se non è troppo difficoltoso, rimuovete l’appen- dice. Prestando molta attenzione, potete evitare l’intervento nella maggior parte dei pazienti con massa appendicolare. E ricordate – la presenza di una massa appendicolare rappresenta una situazione sfavorevole per le vostre capacità laparo- scopiche.

Appendicite epiploica

Facciamo cenno a questa condizione per il suo nome, perché probabil-

mente non ne sapete molto, perché non è così rara e perché spesso simula una

AA. L’appendicite epiploica segue la torsione spontanea di un’appendice epi-

ploica – lobulo di tessuto adiposo rivestito da peritoneo attaccato lungo una

tenia colica. È più frequente negli obesi, nel cieco e nel sigma. Poiché il colon sig-

moideo spesso attraversa la linea mediana, la manifestazione frequentemente

comprende dolorabilità e segni peritoneali localizzati in fossa iliaca destra. È

tipico che, malgrado questi reperti, i pazienti non stiano poi così male. Perciò, la

presenza di una “AA all’esame clinico”, in pazienti apiretici e di aspetto sano,

dovrebbe farvi venire qualche dubbio. La storia naturale è una remissione spon-

tanea, poiché l’appendice epiploica si disfa trasformandosi in quella massa peri-

toneale calcifica e pendula che a volte viene repertata in corso di procedure

addominali non correlate. La TC può identificare l’area localizzata di flogosi

peri-colica. Se siete tratti in inganno, tanto da eseguire un intervento, limitatevi

a rimuovere il lobulo adiposo necrotico.

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Conclusioni

L’appendicite acuta, come ogni altra condizione chirurgica, ha il proprio

“spettro”. Per ottenere la diagnosi, considerate insieme le variabili anamnestiche, fisiche e di laboratorio. Nessuna variabile singola è in grado di confermare o esclu- dere una AA, mentre, più variabili tipiche sono presenti, più è probabile che abbia- te a che fare con una AA. Il fatto se dobbiate operare immediatamente o il giorno successivo, se dobbiate osservare o prescrivere ulteriori test, è determinato seletti- vamente in base al singolo paziente. Non siate superficiali; l’AA può uccidere anco- ra oggi ed umiliare anche il chirurgo più esperto.

Ci sono due cose nella vita che non capirò mai: le donne e l’appendicite acuta.

“Il chirurgo in grado di descrivere l’entità di una peritonite appendicolare si è auto-condannato ad eseguire un intervento improprio.” (Mark M. Ravitch, 1910-1989)

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