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CAPITOLO II RECEPIMENTO DELLE NUOVE DIRETTIVE EUROPEE ED EFFETTI NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO NAZIONALE 1.

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CAPITOLO II

RECEPIMENTO DELLE NUOVE DIRETTIVE EUROPEE ED EFFETTI NELL’ORDINAMENTO

GIURIDICO NAZIONALE

1. Le nuove direttive europee:

caratteristiche, tratti distintivi e finalità

A distanza quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo la UE, tenendo conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia e degli esiti delle consultazioni che hanno coinvolto gli

Stati membri e i soggetti interessati1, ha emanato un nuovo pacchetto

di direttive che innova profondamente la disciplina europea in materia di contratti pubblici.

Il riferimento va alle tre direttive che riformano il settore degli appalti e delle concessioni: la direttiva 2014/25/UE sugli appalti nei cosiddetti settori speciali (acqua, energia, trasporti, e servizi postali), la direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici nei settori ordinari, la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione.

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Il 28 marzo del 2014 tali direttive sono state pubblicate nella Gazzetta ufficiale dell’ Unione Europea.

Il sopravvenire delle nuove direttive europee è stato visto con estremo favore, perché costituisce l’occasione per una completa rivisitazione della disciplina della materia dei contratti pubblici, con l’obiettivo di conferirle quella efficacia che essa non è riuscita mai ad ottenere con la disciplina previgente.

Le direttive, infatti, pongono una serie di principi del tutto aderenti ad auspici che la dottrina e gli operatori del settore hanno da tempo espresso, prevedendo, rispetto al quadro normativo precedente, una maggiore apertura alla concorrenza nel settore dei contratti pubblici ed una maggiore flessibilità per le amministrazioni aggiudicatrici, nell’utilizzo dei modelli più adeguati a soddisfare le proprie esigenze specifiche.

Il punto in comune alle nuove direttive va, sicuramente, individuato nel fatto che queste contengono una serie di innovazioni

che mirano a semplificare la materia in questione2 e costituiscono

un’importante leva, almeno nelle intenzioni delle Istituzioni eurounitarie, per stimolare la crescita nel Mercato unico europeo attraverso la revisione e l’ammodernamento del quadro normativo in

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materia di appalti e l’introduzione di un principio di armonizzazione in tema di concessioni.

La valorizzazione dell’aspetto della semplificazione delle procedure avviene grazie all’introduzione di una serie di strumenti, che vanno dalla previsione del documento di gara unico europeo, allo sviluppo delle banche dati, all’utilizzo sempre più ampio di strumenti informatici. In questo quadro di riforma grande rilievo assume poi, la direttiva 2014/23/UE nella quale trova per la prima volta

regolamentazione la concessione di servizi3.

Si tratta di fini la cui realizzazione postula l’attribuzione alle stazioni appaltanti di ampi spazi di discrezionalità, di apprezzamento e di valutazione.

Dedicheremo, dunque, un approfondimento specifico a quelli che sono gli obiettivi e le caratteristiche principali delle nuove direttive con particolare riferimento, almeno in questa sede, alle direttive 2014/24/UE concernente i settori ordinari e la direttiva 2014/25/UE riguardante i settori speciali. Un breve cenno verrà fatto, infine, alla direttiva 2014/23/UE che disciplina la materia delle concessioni, materia che sarà oggetto di approfondimento nel capitolo IV.

3 Giovannini, La disciplina degli appalti tra vecchio e nuovo, , in La nuova disciplina dei contratti

pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, 61°

Convegno di Studi amministrativi (Varenna 17, 18 e 19 settembre 2015), Milano, Giuffrè, 2015, p. 3.

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Le direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE modificano e sostituiscono le direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE, allo scopo di realizzare una semplificazione e una maggiore flessibilità delle procedure, nonché avvicinare la disciplina dei settori speciali a quella

dei settori classici4.

Seppur l’impatto delle nuove direttive è stato attenuato dal fatto che le numerose modifiche al codice dei contratti pubblici del 2006 avevano già anticipato molte novità, come ad esempio la suddivisione in lotti, per cui si prevede a tutela delle piccole e medie imprese la tendenziale obbligatorietà della suddivisione, si presenta comunque innovativo sotto diversi punti di vista.

In particolare, con riferimento alle direttive in materia di appalti e allo scopo di comprenderne meglio le novità è necessario a mio parere domandarsi perché, a distanza quasi di dieci anni dall’ultimo intervento normativo, la UE ha emanato un nuovo pacchetto di direttive che innova profondamente la disciplina europea sulle procedure relative all’aggiudicazione delle commesse pubbliche.

Nel 2004 l’Unione aveva compiuto un grosso sforzo di sistemazione ed organizzazione della materia, unificando le discipline relative agli appalti di lavori di forniture e di servizi in un unico testo

4 Valletti, La flessibilità negli appalti pubblici. Accordi quadro, convenzioni e contratti aperti,

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normativo e inquadrando i vari settori delle commesse pubbliche in una cornice di regole e principi unitari.

Si trattava, quindi, di un corpus normativo costruito per durare, invece, dopo un lasso di tempo relativamente breve, è stato interamente abrogato e sostituito da un intervento altrettanto importante che si propone di apportare innovazioni profonde nel comparto delle procedure di affidamento.

I motivi per cui la UE ha deciso di superare in toto il precedente assetto sono vari.

Sicuramente c’è stata la volontà di dare veste normativa a temi di importantissimo rilievo dei quali, in precedenza, si era occupata la giurisprudenza della Corte di giustizia o la Commissione nei suoi documenti interpretativi. Si tratta di questioni spesso fondamentali al fine di stabilire il campo di applicazione delle procedure di affidamento, come: la precisazione della nozione di appalto, la rilevanza delle forme di cooperazione fra enti pubblici, gli affidamenti in house etc.

Tuttavia, questa, pur importante, opera di aggiornamento normativo non spiega di per sé i più profondi elementi di novità delle nuove direttive il cui fondamento sta nell’esigenza di adeguare il

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settore degli appalti pubblici alle nuove strategie che la UE si è prefissata di perseguire.

Sappiamo che lo scopo che ha caratterizzato la Comunità europea sin dalla sua nascita è stato quello della creazione di un mercato comune. Nel sistema degli appalti pubblici ciò ha comportato la elaborazione di regole volte ad assicurare a tutte le imprese appartenenti agli stati della UE la possibilità di concorrere su un piano di parità rispetto agli operatori nazionali nel conseguimento delle commesse pubbliche.

Oggi, tuttavia, benché la creazione di un mercato unico costituisca ancora un obiettivo fondamentale della UE, non si può più affermare che esso esaurisca i compiti della Comunità europea in quanto la promozione della concorrenza deve coniugarsi con le esigenze che perseguono la realizzazione di altri precisi valori. Tra i fini delle direttive, in particolare, possiamo prendere in considerazione: la tutela ambientale, quella del lavoro e l’inclusione sociale, il perseguimento dell’innovazione scientifica e tecnologica, la promozione delle piccole e medie imprese e altro ancora.

Le finalità di crescita economica ed occupazionale, in particolare, hanno assunto un ruolo strategico con la crisi economica che ha

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colpito molti degli Stati europei e si è riverberata anche sulla tenuta complessiva della UE minandone la stabilità monetaria.

In quest’ottica la Commissione ha messo a punto nel 2010 un programma decennale per la crescita e l’occupazione, la cosiddetta “Strategia Europa 2020”, che mira a promuovere una crescita intelligente, sostenibile dal punto di vista ambientale e solidale in

quanto volta anche al raggiungimento di obiettivi di carattere sociale5.

Da qui si giustifica il fatto che gran parte dei contenuti che caratterizzano le direttive risultano ispirati ad una visione che concepisce le procedure di selezione dei contraenti non più solo come strumenti di trasparenza volti alla creazione di un mercato unico, ma anche, come leva per la crescita economica e un uso più efficiente delle risorse pubbliche.

In particolare, si è voluto semplificare e dare una maggiore flessibilità alle procedure di appalto, puntando soprattutto a ridurre gli oneri amministrativi connessi allo svolgimento della procedura sia per gli enti aggiudicatori, sia per gli operatori economici. Si capisce allora la scelta di rendere più flessibili procedure e criteri di selezione del contraente, attribuendo alle amministrazioni aggiudicatrici maggiori poteri di negoziazione e di modulazione dei criteri di aggiudicazione.

5 Il riferimento va alla Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, intitolata Europa

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Uno dei maggiori problemi è, infatti, legato alle inefficienze provocate dalle eccessive rigidità delle procedure di gara che non consentirebbero alle amministrazioni di modulare il processo di scelta del contraente in modo da ottenere il prodotto più confacente alle proprie esigenze e migliore sotto il rapporto qualità prezzo.

Accanto alle tradizionali procedure: aperta e ristretta, il ventaglio degli strumenti di individuazione del contraente si amplia, con l’introduzione obbligatoria per gli stati della procedura competitiva con negoziazione, attivabile solo per gli appalti relativi a settori ordinari che va a sostituire la procedura negoziata con pubblicazione del bando e del partenariato per l’innovazione, una nuova forma di procedura per gli appalti innovativi, per commesse il cui oggetto non è disponibile sul mercato. Rimane, subordinata a determinate condizioni, la procedura negoziata senza previa pubblicazione.

Per quanto riguarda la semplificazione le direttive danno un forte impulso all’uso delle comunicazioni elettroniche e degli appalti elettronici nonché all’aggregazione della domanda.

Le direttive prevedono la trasmissione delle offerte mediante mezzi di comunicazione elettronici, e le comunicazioni e lo scambio d’informazioni deve avvenire utilizzando mezzi elettronici informatici

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salvo le ipotesi (che dovrebbero risultare piuttosto residuali) di espressa deroga.

Tutte le procedure di aggiudicazione attuate da una centrale di committenza devono avvenire con l’utilizzo di comunicazioni telematiche.

Lo sviluppo degli appalti elettronici vede, accanto agli accordi quadro, ai sistemi dinamici di acquisizione e alle aste elettroniche, l’introduzione della disciplina concernente i cataloghi elettronici. I cataloghi elettronici sono un formato per la presentazione delle offerte e organizzazione delle informazioni in un modo comune per tutti gli offerenti e che si presta al trattamento elettronico. Devono comunque essere redatti in vista della partecipazione a una determinata procedura di appalto, in conformità alle specifiche tecniche e al formato richiesto dall’amministrazione aggiudicatrice, pertanto, per garantire la parità di trattamento e l’uniformità delle offerte, non è consentito che gli operatori economici si limitino alla trasmissione del loro catalogo generale.

Riguardo all’aggregazione della domanda, sempre in tema di semplificazione, accanto alla tradizionale figura della centrale di committenza, peraltro arricchita nella definizione e nelle attribuzioni, s’introduce la possibilità per due o più amministrazioni aggiudicatrici

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di eseguire congiuntamente alcuni appalti specifici nonché nuove e specifiche norme in materia di appalti transfrontalieri congiunti.

La direttiva 2014/24/UE reca una nozione di centrale di committenza più articolata della precedente, in quanto la definisce come amministrazione aggiudicatrice che fornisce attività di centralizzazione delle committenze e anche attività di committenza ausiliarie.

Le centrali di committenza possono operare secondo due modalità: o direttamente come centri di acquisto per le amministrazioni aggiudicatrici o come intermediari, aggiudicando contratti (accordi quadro) o realizzando sistemi dinamici di acquisizione ai quali le amministrazioni aggiudicatrici aderiranno.

Sempre con riguardo ai criteri di aggiudicazione si tende a sostituire il criterio del prezzo più basso con quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, basata sul miglior rapporto qualità/prezzo, inserendo dei criteri che consentono di valorizzare non solo l’interesse specifico dell’amministrazione ma anche i costi ed i benefici sociali che possono derivare dalla preferenza accordata ad un certo prodotto, tenuto conto non solo delle sue caratteristiche oggettive ma anche del suo processo produttivo (possono, ad esempio,

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essere privilegiati certi processi produttivi per il fatto che comportino l’impiego di soggetti appartenenti a categorie disagiate).

Il sistema della nuova disciplina è volto ad assicurare un adeguato contemperamento tra l’interesse particolare dei concorrenti a partecipare al confronto selettivo in condizioni di parità con gli altri operatori, nel rispetto dei principi di trasparenza, concorrenza e non discriminazione sanciti a livello comunitario e l’interesse generale a far emergere le imprese migliori anche sul piano qualitativo, assicurando altresì il necessario contenimento della spesa pubblica.

Viene modificato il sistema di qualificazione degli operatori economici in base a criteri di omogeneità e trasparenza anche introducendo misure di premialità connesse a criteri reputazionali basati su parametri oggettivi e su accertamenti definitivi concernenti il rispetto dei tempi e dei costi nell’esecuzione di contratti eseguiti.

L’articolo 58 della Direttiva 2014/24/UE, in particolare, fornisce dei criteri di selezione ai quali le amministrazioni aggiudicatrici possono fare riferimento per richiedere ai concorrenti il possesso dei cosiddetti requisiti di ordine speciale, al fine di assicurare che gli stessi siano in possesso delle capacità e delle competenze necessarie per eseguire l’appalto da aggiudicare. I criteri rilevanti concernono: l’abilitazione all’esercizio dell’attività

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professionale, la capacità economica e finanziaria, capacità tecniche e professionali.

Le nuove direttive contengono novità di rilievo anche in relazione ai requisiti di ordine generale concernenti l’onorabilità e la moralità professionale che gli operatori economici devono necessariamente possedere ai fini della partecipazione alle gare.

La materia in questione risulta di particolare interesse, soprattutto in ambito nazionale, il riferimento va, in particolare, a quei fenomeni anticoncorrenziali che non sono correlati alle irregolarità formali o procedurali, ma a comportamenti scorretti che operano, di regola, sotto traccia: conflitti di interesse, cartelli fra le imprese offerenti, fino ad arrivare a veri e propri comportamenti di carattere corruttivo.

Si tratta di patologie che non sono correlate con il carattere formale che, muovendo da un approccio amministrativistico, siamo abituati ad attribuire al procedimento di evidenza pubblica, ma non per questo meno idonei a falsare il gioco della concorrenza.

L’Unione si è data carico di affrontare, anche se non sempre in modo efficace, questa tipologia di problematiche introducendo nuove cause di esclusione e prevedendo, in determinate ipotesi, anche la possibilità dell’amministrazione aggiudicatrice di risolvere contratti che si siano formati sotto l’influenza di questo genere di fenomeni.

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La direttiva 2014/24/UE prevede, infatti, un ampliamento delle ipotesi che costituiscono cause di esclusione sia facoltative che obbligatorie dalle procedure.

In particolare fra le cause di esclusione obbligatoria vengono ora introdotte anche le condanne definitive per reati di terrorismo e lavoro minorile.

Molto più rilevanti sono, però, le novità che riguardano le esclusioni facoltative.

In coerenza con l’impronta ambientale e sociale delle direttive fra queste viene inclusa l’ipotesi in cui l’impresa offerente non abbia osservato le normative ambientali e sociali inerenti all’esecuzione dell’appalto. Fra le cause di esclusione facoltative, poi, le direttive includono situazioni obiettive di incompatibilità o ipotesi di comportamenti fraudolenti che potrebbero falsare il risultato delle procedure come, ad esempio, il conflitto di interessi in cui si trova un’amministrazione o un funzionario pubblico rispetto all’impresa partecipante, l’aver prestato una consulenza relativa all’oggetto dell’appalto, il tentativo di influenzare indebitamente il procedimento decisionale dell’amministrazione aggiudicatrice o di ottenere informazioni confidenziali, gli accordi fra operatori tesi a falsare la concorrenza.

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Per agevolare la partecipazione delle PMI e rafforzare la concorrenza entrambe le direttive prevedono che le amministrazioni aggiudicatrici siano incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità

alle diverse fasi successive del progetto6.

È previsto l’obbligo per le amministrazioni aggiudicatrici di fornire una motivazione della decisione di non suddividere l’appalto in lotti.

Anche la disciplina dei requisiti di fatturato, innegabilmente connessa alla possibilità di accedere alle gare di appalto per le PMI, risente del favor espresso nei confronti di queste ultime. È previsto, infatti, che le amministrazioni aggiudicatrici possano esigere che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo purché proporzionato rispetto all’oggetto dell’appalto; il requisito non dovrebbe, di norma, superare al massimo il doppio del valore stimato dell’appalto e in ogni caso risultare da motivazione espressa nei

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documenti di gara. Si prevede, inoltre, il divieto di fissare valori di fatturato superiori al doppio del valore dell’appalto.

Nell’ottica di assicurare la massima partecipazione alle procedure di appalto indette nell’ambito dell’UE e di promuovere la presenza delle piccole e medie imprese va visto il crescente ricorso all’autocertificazione, con l’introduzione del documento di gara unico

europeo (DGUE)7 finalizzato a ridurre gli oneri amministrativi a

carico dei concorrenti8, determinando una semplificazione di cui sono

destinate a beneficiare anche le amministrazioni aggiudicatrici9.

Il Documento di gara unico europeo consiste, in particolare, in un’autodichiarazione aggiornata che gli operatori economici partecipanti a procedure di appalto in Paesi UE diversi da quello di appartenenza, dovranno esibire al momento della presentazione delle domande di partecipazione o delle offerte e che costituirà la prova preliminare dei requisiti posseduti dalle imprese concorrenti, in sostituzione di certificati rilasciati da autorità pubbliche o da terzi.

Nello sforzo richiesto agli Stati membri di facilitare la partecipazione delle PMI al mercato degli appalti, è previsto che gli

7 Gallo, Le nuove direttive europee in materia di appalti e concessioni, Santarcangelo di Romagna,

Maggioli, 2014, p. 165.

8 In particolare la Commissione UE stima che dal nuovo sistema potrà conseguire una riduzione di

circa l’80% degli attuali oneri burocratici gravanti sugli operatori economici ai fini della partecipazione ad un appalto pubblico.

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Stati membri abbiano la facoltà di creare meccanismi per il pagamento diretto ai subappaltatori, come noto elemento debole della filiera dell’appalto, nella quale si inseriscono proprio le PMI, che, con tale misura, sarebbero efficacemente protette dal rischio di mancato pagamento.

Si attribuisce alle autorità nazionali l’obbligo di assumere tutte le appropriate iniziative che assicurino il rispetto delle obbligazioni derivanti dal diritto ambientale, sociale e del lavoro stabilite dall’Unione, dalla legislazione nazionale, dai contratti collettivi, ovvero da accordi e provvedimenti internazionali in materia ambientale, sociale e del diritto del lavoro elencate nell’Elenco delle convenzioni internazionali in materia sociale e ambientale.

Il particolare focus rivolto al subappalto si evidenzia con l’importanza attribuita all’esigenza di evitare qualunque possibile elusione all’obbligo di rispettare la disciplina a tutela dell’ambiente, delle esigenze sociali e del lavoro, soprattutto in quelle circostanze in cui il subappalto sia effettuato da società, anche di altri Stati terzi, che avvalendosi dei minori costi del lavoro e delle minori tutele lavorative, nonché di standard ambientali e sociali inferiori a quelli richiesti in ambito europeo, possano, di fatto, costituire un’elusione

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alla disciplina europea posta a tutela di quelle esigenze che invece l’impianto normativo europeo vuole appunto perseguire.

Entrambe le due direttive, settori classici e utilities, come abbiamo avuto modo di constatare, considerano, dunque, particolarmente importante che gli Stati membri e le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure pertinenti per garantire il rispetto degli

obblighi in materia di diritto ambientale sociale e del lavoro10.

Ne consegue che la disciplina dei contratti pubblici, ancor più che in passato, non può essere vista solo sotto la lente dell’economicità in senso stretto o della sola concorrenza, ma anche attraverso quella della tutela ambientale, sociale e del lavoro, di modo che le scelte degli Stati membri, prima, e delle amministrazioni aggiudicatrici, poi, rappresentano sempre più il frutto di un continuo bilanciamento d’interessi diversi.

Del tutto nuova è, invece, la direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, la quale, facendo tesoro delle pronunce Giurisprudenziali, disciplina organicamente un settore che finora era solo parzialmente regolato a livello comunitario.

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Infatti, mancando una normativa ad hoc, l’aggiudicazione delle concessioni dei lavori pubblici era soggetta alle norme di base della direttiva 2004/18/CE, mentre per l’aggiudicazione delle concessioni di servizi con interesse trasfrontaliero vi era un vero e proprio vuoto giuridico al quale si cercava di porre rimedio mediante l’applicazione dei principi contenuti nei Trattati (libera circolazione delle merci, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi) e dei principi che ne derivano come la parità di trattamento, la non discriminazione, il mutuo riconoscimento, la proporzionalità e la

trasparenza11.

La materia era disciplinata solo dai legislatori nazionali in maniera talmente eterogenea da arrecare pregiudizio alla concorrenza del mercato interno, questo ha portato a interpretazioni discordanti dei principi e ad enormi disparità tra le legislazioni degli Stati membri, come possiamo riscontrare dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Per fare chiarezza il legislatore comunitario è giustamente partito dalla definizione di concessione, che non riscontriamo in nessuna precedente direttiva, dove ci si limitava a definire la concessione con dei semplici rimandi all’appalto e ne ha sottolineato

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la sua specificità rispetto a quest’ultimo. Per concessione, quindi, dovrà intendersi un contratto a titolo oneroso, concluso per iscritto per mezzo del quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la fornitura e la gestione di servizi a uno o più operatori economici il cui corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i lavori o i servizi che sono oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo, con assunzione in capo al concessionario del rischio

operativo legato alla gestione dei lavori12. Viene, dunque, introdotta

una definizione più precisa dei contratti di concessione e lo si fa in particolare con riferimento al concetto di rischio operativo sostanziale, che rappresenta una vera e propria rivoluzione in materia e che da sempre è l’elemento proprio ed esclusivo dell’istituto della

concessione13. Per la prima volta, l’affidamento in concessione di

servizi da parte di amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è oggetto di un’articolata disciplina normativa, in linea con quella per gli affidamenti nei settori ordinari.

12 Garella Marinai, Il codice dei contratti pubblici. Commento al decreto legislativo 18 aprile

2016, n. 50, Torino, Giappichelli, 2016, p. 377.

13 La Giurisprudenza della Corte di giustizia, ha generalmente riconosciuto il discrimen rispetto

alla nozione di appalto nel “fattore rischio” connesso all’incertezza del ritorno economico dell’attività di gestione, che nella concessione grava sul soggetto concessionario a fronte della richiesta di un prezzo all’utenza.

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Rimangono esclusi dall’applicazione della direttiva i cosiddetti servizi alla persona, quali ad esempio taluni servizi sociali, sanitari e nel settore dell’istruzione, ciò è dovuto ad una loro limitata dimensione trasfrontaliera e dal fatto che tali servizi vengono garantiti in un contesto talmente particolare da mutare da Stato membro all’altro a causa delle differenti tradizioni culturali, ma sempre nel rispetto dei principi generali di trasparenza e non

discriminazione14.

Viene introdotto un limite all’applicazione della direttiva, ovvero questa trova applicazione alle concessione di lavori e servizi il cui valore sia pari o superiore ad una determinata soglia di

interesse trasfrontaliero, tale soglia è di 5.186.000 euro15.

Si precisano i casi in cui i contratti di concessione stipulati tra amministrazioni pubbliche non sono soggetti all’applicazione delle norme sull’aggiudicazione delle concessioni. Quest’ultimo aspetto rientra nel cosiddetto in house providing e codifica i principi fissati dalla Corte di giustizia.

Importanti sono poi le novità, che sempre prendendo spunto dai principi previsti dal trattato, nell’interpretazione offerta dalla Corte di giustizia, prevedono dei requisiti concreti e più dettagliati

14 Si vedano i Considerando 53 e 54 e art. 19 della Direttiva 2014/23/UE. 15 Titolo I, Capo I, Sezione I: articoli 1 e 8, par. 1.

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applicabili alle diverse fasi del processo di aggiudicazione delle concessioni.

2. Le caratteristiche del nuovo codice: semplificazione e razionalizzazione

Il Legislatore italiano, a seguito del recepimento delle direttive 2014/25/UE, 24/2014/UE e 2014/23/UE, ha pubblicato in Gazzetta ufficiale, il 19 aprile 2016, il decreto legislativo n. 50, recante il nuovo codice dei contratti pubblici.

A più di dieci anni dalla sua originaria approvazione viene, dunque, definitivamente abrogato il primo Codice unico dei contratti

pubblici16.

In una chiave di lettura generale, possiamo sicuramente affermare che un intervento legislativo deciso era necessario.

L’iter che ha portato alla riforma, tuttavia, è stato complesso ed ha richiesto un’approfondita attività di redazione, al pari di tutti i Testi Unici che mirano non solo a semplificare e accorpare fonti eterogenee stratificatesi nel tempo, ma anche ad incidere su prerogative normative di istituzioni e organi diversi, vista la

16 D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.

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trasversalità dei contenuti. Il nuovo codice dei contratti pubblici è stato, infatti, approvato in extremis rispetto al termine fissato dalla

Legge delega approvata il 28 gennaio 201617.

Tra le due opzioni che la legge delega aveva lasciato al Governo, ossia di attuare la delega con due testi normativi, ovvero attraverso un unico decreto di recepimento e di riordino è stata scelta la seconda opzione. Ciò ha comportato il rispetto dei termini stabiliti dalla disciplina europea, dell’entrata in vigore entro il 18 aprile 2016, per cui si è resa necessaria un’accelerazione dell’ iter normativo specie nella sua fase finale.

Come in precedenza messo in evidenza, il codice costituisce attuazione delle tre direttive comunitarie del 2014 e al contempo rappresenta raccolta unitaria delle complessive norme in tema di contratti pubblici.

Le novità introdotte costituiscono, quindi, in parte attuazione doverosa delle tre direttive e in parte costituiscono attuazione di novità introdotte dalla normativa nazionale attraverso la legge delega.

Ripercorrendo quelli che sono i principi e i criteri direttivi, nonché le linee di tendenza del nuovo codice è innegabile che uno

17 Legge delega n. 11/2016.

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dei maggiori obiettivi sia quello della semplificazione e razionalizzazione nell’ottica dello snellimento dei procedimenti, della lotta alla corruzione e soprattutto dell’incremento dell’efficienza amministrativa e della competitività del Paese.

Il nuovo Codice dei contratti pubblici è articolato in sei parti e si presenta decisamente più breve e più snello del precedente testo normativo. Vi è una riduzione del numero complessivo di articoli che passa da complessivi 630 articoli e 37 allegati a soli 220 articoli e 25

allegati18, presentandosi, inoltre, meglio strutturato del vecchio codice.

L’articolo 1 ne definisce l’oggetto e l’ambito di applicazione stabilendo che questo disciplina i contratti di appalto e di concessione delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, forniture, lavori e opere, nonché i concorsi pubblici di progettazione.

Il codice si applica anche ai contratti pubblici aggiudicati nei settori della difesa e della sicurezza, con eccezione per quelli rientranti nell’alveo della disciplina recata dal decreto legislativo 15 novembre 2011, n. 208.

È, inoltre, previsto che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale adotti, d’intesa con l’ANAC, direttive

18 Consiglio di stato, sez. affari normativi - comm. Spec. - 1 aprile 2016, parere n. 855, in

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generali per disciplinare le procedure di scelta del contraente e l’esecuzione del contratto da svolgersi all’estero, tenuto conto dei principi fondamentali del nuovo codice e delle procedure applicate dall’Unione Europea e dalle organizzazioni internazionali di cui

l’Italia è parte19. Resta ferma l’applicazione del codice per tutte le

procedure di affidamento svolte in Italia.

L’articolo 2 delinea il riparto delle competenze legislative di Stato, regioni e province autonome.

L’articolo 3 contiene le definizioni contenute nel codice, che comprendono quelle contenute nelle direttive europee, con i necessari adeguamenti in relazione all’assetto dell’ordinamento interno. Rispetto al precedente codice, viene tenuta in considerazione anche la legislazione nazionale intervenuta medio tempore, e vengono introdotte per la prima volta le definizioni di: partenariato pubblico privato, lavori complessi e opere incompiute, rischio operativo, rischio di costruzione, rischio di disponibilità, rischio di domanda e ne vengono inserite anche di nuove come quella joint

venture.

Uno degli obiettivi fondamentali del nuovo codice è, sicuramente, la riduzione del numero delle stazioni appaltanti in

19Caringella, Il nuovo diritto dei contratti pubblici. Commento organico al D.lgs. 18 aprile 2016,

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Italia, che è la premessa per la riqualificazione dell’intero sistema

pubblico degli appalti20 e il raggiungimento di un fondamentale

obiettivo quale l’efficienza e la trasparenza del sistema pubblico21.

Sempre con riferimento alle stazioni appaltanti si tende ad una razionalizzazione delle procedure di spesa attraverso criteri di qualità, efficienza, professionalizzazione delle stesse, contenimento dei tempi e piena verificabilità dei flussi finanziari anche attraverso

adeguate forme di centralizzazione delle committenze22.

La centralizzazione della committenza è considerata la via principale per l’ottimizzazione degli approvvigionamenti e per contrastare le inefficienze derivanti dalla diffusa inadeguatezza di alcune stazioni appaltanti, come gli enti locali di piccole dimensioni. I modelli accentrati, infatti, permettono sia la creazione di economie di scala, in relazione ai rilevanti volumi di spesa in grado di incidere fortemente sull’offerta del mercato, sia un innalzamento del livello di

qualità delle procedure, dipendente dalla maggiore

professionalizzazione dei buyer23

.

20 Come già invocato da Massimo Severo Giannini nel noto ”Rapporto sui principali problemi

dello Stato” del 1978.

21 Caringella, Il nuovo diritto dei contratti pubblici. Commento organico al D.lgs. 18 aprile 2016,

n. 50, cit. p. 7.

22 Contessa Crocco, Appalti e concessioni. Le nuove direttive europee, op. cit. p. 207.

23 Lacava, Le nuove procedure, la partecipazione e l’aggiudicazione, in Giornale di dir. amm., pp.

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L’esigenza di semplificazione ed efficienza delle procedure di appalto va risolta in primo luogo puntando su una maggiore autorevolezza e qualificazione tecnica delle stazioni appaltanti.

Nel nuovo codice si afferma che le stazioni appaltanti, fermi restando gli obblighi di utilizzo di strumenti di acquisto e di negoziazione, anche telematici, previsti dalle previgenti disposizioni in materia di contenimento della spesa, possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo inferiore a 40.000 euro e di lavori di importo inferiore a 150.000 euro, nonché attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione delle centrali di committenza. Il Legislatore ha voluto stabilire una soglia, di modesta entità, entro la quale tutte le stazioni appaltanti, anche i comuni più piccoli, sono legittimati a gestire in autonomia le procedure per gli affidamenti di lavori servizi e forniture.

Le cose cambiano, però, ove si superi la soglia dei 40.000 euro per servizi e forniture e dei 135.000 euro per lavori. In questi casi, le stazioni appaltanti in possesso della necessaria qualificazione procedono mediante l’utilizzo autonomo degli strumenti telematici di negoziazione messe a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente.

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In caso di indisponibilità di tali strumenti, anche in relazione alle singole categorie merceologiche, le stazioni appaltanti ricorrono ad altra centrale di committenza o procedono mediante aggregazione con stazione appaltante qualificata operano o procedono mediante lo svolgimento di procedura ordinaria.

Se la stazione appaltante è un comune non capoluogo di provincia procede secondo una delle seguenti modalità: ricorrendo a una centrale di committenza o a soggetti aggregatori qualificati; mediante unioni di comuni costituite e qualificate come centrali di committenza, ovvero associandosi o consorziandosi in centrali di committenza nelle forme previste dall’ordinamento; ricorrendo alla

stazione unica appaltante costituita presso gli enti di un’area vasta24

ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.

Importante è sottolineare il ruolo che va ad assumere l’ANAC nel nuovo sistema introdotto dal recente codice dei contratti pubblici. Nell’ANAC sono già confluiti dal 2014 i compiti di due diverse Autorità, quella anticorruzione e quella per la vigilanza sui contratti pubblici.

24 Ai sensi dell’art. 1 della Legge 56/2014, gli enti di area vasta sono le città metropolitane e le

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Si tratta di una via italiana di lotta alla corruzione, ormai rilevata come sistemica in Italia e particolarmente diffusa nel settore

dei contratti pubblici25.

Oggi l’ANAC è senz’altro l’autorità che regola e vigila, con pregnanti poteri ispettivi, istruttori e sanzionatori, rappresentando l’istituzione di riferimento dell’intero sistema degli appalti e dei contratti pubblici.

Della stessa ANAC il legislatore fa, peraltro, il luogo qualificato di esercizio di poteri e funzioni assai estesi, che superano i compiti di prevenzione della corruzione, che fanno di essa un vero e proprio strumento amministrativo di regolazione del sistema. Si tratta di poteri e funzioni di promozione dell’efficienza, di sostegno allo sviluppo di

best practices, di facilitazione dello scambio di informazioni tra

stazioni appaltanti, di vigilanza, di controllo, di raccomandazione, di adozione di atti di indirizzo e linee guida; bandi e contratti tipo, di strumenti di segnalazione flessibile, di atti di intervento cautelare, di deterrenza e sanzionatorio, di invio di relazioni alla Camera. All’ANAC viene affidato il sistema di qualificazione delle stazioni appaltanti, la tenuta di un nuovo albo nazionale obbligatorio dei

25 Racca, Dall’Autorità sui contratti pubblici all’Autorità nazionale anticorruzione: il

cambiamento del sistema, in La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell’economia e contrasto alla corruzione, 61° Convegno di Studi

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componenti delle commissioni giudicatrici di appalti pubblici e

concessioni26 con potere di adottare essa stessa la disciplina generale

dell’albo; all’ANAC viene attribuito il compito di predisporre una disciplina generale delle misure di premialità riguardanti il sistema di qualificazione degli operatori economici, quello di prescrivere alla stazione appaltante le condizioni per procedere in autotutela prima di procedere all’applicazione delle previsioni dell’art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, nonché la tenuta di un elenco, di nuova istituzione, di enti aggiudicatari di affidamento in house.

Un altro importante aspetto innovativo del nuovo codice è sicuramente il forte incentivo allo sviluppo delle procedure telematiche che costituiscono d’ora in poi la regola.

Per quanto riguarda l’informatizzazione, in particolare, vengono in rilievo: l’art. 44, relativo alla digitalizzazione delle procedure che ipotizza che entro un anno, con apposito decreto ministeriale, verranno definite le modalità per la digitalizzazione di tutte le procedure dei pubblici appalti, assicurando interconnessione e interoperabilità dei dati delle pubbliche amministrazioni; l’art. 52, sulle regole applicabili alle comunicazioni, in base al quale la regola è

26 Le commissioni dovranno essere formate mediante sorteggio pubblico da una lista formata

mediante l’indicazione da parte delle stazioni appaltanti di un numero almeno doppio di candidati rispetto ai componenti da nominare.

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il mezzo di comunicazione elettronica, l’eccezione sono gli altri mezzi di comunicazione, con una maggiore possibilità di mezzi diversi per le concessioni; gli artt. 55, 56, 57, 58, rispettivamente dedicati a procedure di gara che si svolgono per via telematica (sistemi dinamici di acquisizione, aste elettroniche, cataloghi elettronici, procedure svolte mediante piattaforme telematiche di negoziazione).

Il recente codice dei contratti pubblici prevede, inoltre, numerose innovazioni sia al fine della riduzione del contenzioso (vero, grande problema del sistema italiano degli appalti), sia per favorire dei rimedi alternativi al ricorso giurisdizionale.

In primo luogo, si riafferma il principio secondo cui gli atti delle procedure di affidamento di commesse pubbliche, nonché i connessi provvedimenti dell’ANAC, sono impugnabili unicamente mediante ricorso giurisdizionale.

In particolare, al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, sono apportate modifiche al codice del processo

amministrativo27.

Si prevede che i vizi relativi alla composizione della commissione di gara, all’ammissione e all’esclusione dalla gara per carenza di requisiti, economico-finanziaria e tecnico-professionali, che

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spesso venivano rilevati ad anni di distanza, sono considerati immediatamente lesivi e sono ricorribili dinanzi al giudice amministrativo, precludendosi la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti della procedura di gara, anche con ricorso incidentale.

Si dispone, inoltre, che il giudizio, ferma la sua possibilità della sua definizione immediata nell’udienza cautelare ove ne ricorrano i presupposti, venga comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d’ufficio.

Al fine di razionalizzare il processo in materia di gare pubbliche, il giudizio è definito da una camera di consiglio da tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Su richiesta delle parti il ricorso è definito, negli stessi termini, in udienza pubblica. Le parti possono produrre documenti fino a dieci giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a sei giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista della camera di consiglio, fino a tre giorni liberi.

Si dispone, inoltre, che il tribunale amministrativo regionale depositi la sentenza con la quale definisce il giudizio entro trenta giorni dall’udienza di discussione, ferma restando la possibilità di chiedere la pubblicazione del dispositivo entro due giorni.

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Infine, si stabilisce che nel giudizio di appello la sentenza di rigetto possa essere motivata richiamando le argomentazioni della sentenza del Tribunale amministrativo regionale. Sono, da ultimo, previste forme di proposizione di ricorso cumulativo.

L’idea di anticipare la tutela del contenzioso sui requisiti soggettivi, che costituisce circa il 70 per cento dei ricorsi sugli appalti, è stata a lungo discussa nell’ambito della giustizia amministrativa e

della dottrina28.

Tali modifiche sono tutte espressamente mirate alla riduzione del contenzioso e alla maggiore celerità del giudizio.

3. Luci e ombre della nuova disciplina

Sono tante le novità interessanti e di rilievo previste dal nuovo codice appalti, servizi e forniture, ma non mancano contraddizioni e ombre su cui vigilare affinché i buoni principi si trasformino in regole stringenti contro la corruzione, per la qualità dei progetti, per imprese sane ed un mercato aperto e trasparente.

Un primo problema ha riguardato l’iter di approvazione della legge delega e l’influenza di questa sulle scelte successive.

28 Pajno, i contratti pubblici e il processo, in Pajno Torchia, La nuova disciplina dei contratti

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Le nuove direttive europee sono state pubblicate nella Gazzetta UE il 28 marzo 2014 e sono entrate in vigore il successivo 28 aprile.

Da allora i Parlamenti nazionali avevano a disposizione ventiquattro mesi per esercitare la delega nell’ambito degli ordinamenti interni. Un tempo non troppo lungo, ma tutto sommato adeguato per impostare in modo corretto le linee di fondo di una grande riforma di settore.

In casi analoghi la scelta del Legislatore italiano è solitamente stata nel senso di inserire la delega per il recepimento nell’ambito della legge di delegazione europea, che assicura tempi di approvazione certi e corsie parlamentari che possiamo definire privilegiate.

Nel caso delle nuove direttive europee si è invece optato per un diverso percorso parlamentare, forse nella convinzione che questo diverso iter avrebbe assicurato tempi ancora più rapidi di approvazione del disegno di legge e che avrebbe consentito di tenere più adeguatamente conto della grande rilevanza di sistema del nuovo testo.

Questa scommessa, però, non si è rivelata vincente.

In particolare, a fronte di ventiquattro mesi complessivamente disponibili per recepire le nuove direttive, ne sono stati impiegati circa

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ventuno per completare il solo conferimento della delega (atto di grande importanza, ma pur sempre preliminare e meramente preparatorio) e ne sono residuati appena tre per l’esercizio concreto della delega (il quale implica una serie di scelte normative talvolta estremamente complesse).

L’iter di approvazione della legge delega è stato, dunque, troppo lungo perché il Governo potesse elaborare in modo adeguatamente ponderato le numerosissime grandi scelte di politica normativa ed economica che il recepimento delle Direttive UE 2014 imponeva.

Il punto è che l’innaturale dilatazione dei tempi di approvazione parlamentare e l’altrettanto innaturale compressione dei tempi di lavorazione del testo hanno inevitabilmente comportato alcune antinomie e disarmonie nel testo finale, che dovranno essere necessariamente corretti con successivi interventi normativi.

L’affanno governativo nella corsa contro il tempo per far si che venisse rispettata la data di recepimento delle nuove direttive, si può percepire anche nella frenetica successione negli ultimi giorni, di versioni affatto diverse del codice in particolare riferimento alla disciplina del sotto soglia e del regime transitorio.

Il Governo procedendo a tappe forzate nella redazione di questo nuovo codice, ha ascoltato poco le varie associazioni di categoria

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come l’ANCE, l’ ANCI e i protagonisti di tutta la filiera e alcuni di quelli che erano considerati dei principi fondamentali sono andati perduti nella stesura definitiva e l’assenza ne sta determinando i maggiori problemi in questo primo periodo di vigenza.

Il nuovo codice è così entrato in vigore il 19 aprile 2016, il giorno stesso della sua pubblicazione senza alcun periodo di vacatio

legis29, a differenza del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 per il quale fu

previsto un periodo di sessanta giorni. Ciò per evitare una sanzione da parte dell’UE dovuta al rischio che non venisse rispettato il termine obbligatorio previsto per il recepimento delle nuove direttive europee.

L’assenza di un adeguato periodo di metabolizzazione del nuovo testo è stato sottolineato anche dal Consiglio di stato e costituisce una sicura critica per l’applicazione delle riforme, almeno nel breve periodo.

A causa della mancata introduzione di un adeguato periodo transitorio, inoltre, le stazioni appaltanti hanno avuto molte difficoltà operative. Il rischio riguardava, in particolare, il possibile ritiro di una lunga serie di bandi di gara pubblicati successivamente al 19 aprile e i cui contenuti non fossero conformi alle nuove previsioni del codice. L’ ANAC, allora, sentita l’ Avvocatura generale dello

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Stato, e in base al principio generale di cui all’art. 11 delle preleggi al codice civile e all’esigenza di tutela della buona fede delle stazioni appaltanti, ha previsto una diversa soluzione equitativa con riferimento a quei bandi e avvisi licenziati nell’incudine tra vecchia e nuova disciplina, statuendo che per i soli bandi o avvisi pubblicati nella giornata del 19 aprile continuasse a operare il pregresso regime giuridico, mentre le disposizioni del D.lgs. 50/2016 avrebbero riguardato i bandi e gli avvisi pubblicati a decorrere dal 20 aprile 2016.

Forse sarebbe stato necessario, nonostante il parere contrario di alcuni, un periodo transitorio di almeno due o tre mesi, ma ciò non è avvenuto. Infatti, occorrerà molto tempo, un anno o forse più, per metabolizzare le novità contenute nel codice e pervenire, in tal modo, ad una corretta applicazione degli istituti innovativi del d.lgs. n. 50, 2016.

L’effetto sarà molto probabilmente, oltre che di generale disorientamento per gli operatori, quello di alimentare inevitabilmente proroghe tecniche nelle more della revisione degli atti di gara per allinearli alle nuove norme.

Il nuovo codice, come detto, risulta estremamente snello e composto di pochi articoli. È innegabile che la brevità e la sinteticità

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dei testi normativi costituisca in linea di massima un valore nella tecnica legislativa e un importante indice della razionalizzazione e semplificazione degli stessi. Tuttavia non si tratta di un valore assoluto, occorre rifuggire dalla tentazione di ritenere che la brevità di un testo normativo costituisca di per se indice univoco della sua qualità e razionalità intrinseca. È, infatti, possibile che un testo estremamente breve sia allo stesso tempo mal fatto e incomprensibile e che un testo lungo e articolato sia organico e razionale e quindi più adeguato alle esigenze di chi è chiamato ad applicarlo.

Basta muovere dall’analisi dell’oggetto contenuto nella delega per comprendere la portata del problema. La delega, infatti, oltre al recepimento di tutte e tre le direttive, includeva: il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici, con conseguente riscrittura del Codice dei contratti pubblici del 2006 e del suo regolamento attuativo del 2010. Nell’opera di riordino occorreva, peraltro, necessariamente tenere conto di altri plessi normativi, esterni al codice, ma che pure incidono sulla materia dei contratti pubblici come ad esempio la disciplina in materia di rating di legalità, la disciplina della c.d. white list nella legislazione antimafia, le misure a favore delle piccole e medie imprese, le norme speciali di settore come quelle in materia di bonifiche le quali dovevano essere

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contenute nel nuovo Testo Unico, il quale a sua volta avrebbe dovuto

contenere le misure di raccordo e di rinvio30.

Sul piano della semplificazione emerge, sicuramente, una contraddizione. Il recepimento delle direttive è stato più volte indicato, sia in sede governativa che in sede parlamentare, come l’occasione per una semplificazione della disciplina, l’emanazione di un Codice snello, facilmente comprensibile, fruibile e applicabile. Si trattava però di un obiettivo ictu oculi difficilmente raggiungibile considerando il fatto che si intendeva includere in un medesimo testo anche il recepimento della nuova direttiva concessioni e che la contestualità tra recepimento e riordino non era definita in termini di funzionalità, stabilendo ad esempio che il riordino fosse funzionale al miglior recepimento e la disciplina fosse, quindi, depurata di tutte le disposizioni non necessarie ai fini del recepimento.

Un altro problema di non minor importanza potrebbe riguardare i compiti e le responsabilità assegnati all’ANAC. Il rischio potrebbe essere quello che tali compiti assegnati all’Autorità risultino eccessivi rispetto alle effettive potenzialità, con riferimento sia al personale che

30 Torchia, La nuova direttiva europea in materia di appalti servizi e forniture nei settori ordinari,

in La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio

dell’economia e contrasto alla corruzione, 61° Convegno di Studi amministrativi (Varenna 17, 18

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alle competenze della stessa. Ma su questo solo il tempo potrà essere giudice.

4. D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50: un codice al passo coi tempi? Come detto in precedenza una revisione della disciplina su appalti e concessioni era necessaria. La genesi del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione è stata seguita con grande interesse dagli addetti ai lavori e la sua emanazione è stata accompagnata da una campagna anche mediatica la cui intensità raramente può essere riscontrata per le novità che riguardano il mondo del diritto. Tuttavia non sempre l’approvazione di nuove norme che, in questo caso, arrivano fino all’integrale variazione della disciplina di riferimento, è sufficiente a garantire il miglioramento. Oltre alle novità introdotte, delle quali moltissime sono sicuramente significative e di rilievo, occorrono coerenti mutamenti culturali e organizzativi. Del resto è proprio dall’esperienza applicativa del codice del 2006 che possiamo trarre queste conclusioni. Anche il precedente codice fu accolto come una novità positiva ma con il tempo si dimostrò inadeguato su più fronti a causa di una instabilità della disciplina dovuta alle continue modifiche e per un’eccessiva

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regolamentazione che ha imbrigliato negativamente il sistema degli appalti al contrario dagli standard previsti dalla comunità europea.

Troppo spesso oggi gli appalti pubblici sono associati agli sprechi, agli scandali e alla corruzione, occorre allora cambiare verso.

In particolare molte norme e poca legalità, troppe stazioni appaltanti, modesta attenzione per la qualità dei progetti, massimi ribassi e massimi aumenti dei costi in corso d’opera, gare opache, scarsa efficienza dei controlli pubblici, partenariato pubblico-privato da migliorare, contenzioso giurisdizionale da contenere.

Si può davvero credere che il nuovo codice riuscirà a recare in settori cruciali per l’economia del Paese i decisivi elementi di semplificazione auspicati dal Parlamento e dal Governo, così da non tradire le numerose aspettative che lo accompagnano?

Il nuovo Codice dei contratti pubblici cerca di porre rimedio a tutte le problematiche sopra citate attraverso una regolamentazione più adeguata alle esigenze di una materia come quella dei contratti pubblici e delle concessioni avente una rilevanza primaria per una futura crescita del nostro paese in conformità a quelle che sono le esigenze sottolineate dall’ UE e non raggiunte con la regolamentazione normativa previgente. Sicuramente vengono

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introdotte moltissime innovazioni che tendono al raggiungimento di tali obiettivi che vanno dalla struttura stessa del codice, all’introduzione di istituti quale il partenariato per l’innovazione, all’introduzione del documento di gara unico europeo, alla valorizzazione di criteri ambientali e sociali nell’aggiudicazione degli appalti, alla prevenzione della corruzione fino ad arrivare al generale principio di trasparenza.

Il recepimento delle nuove direttive europee sui contratti pubblici può, dunque, rappresentare un’occasione per riformare in modo profondo il settore degli appalti e delle concessioni nel nostro Paese. Nella “Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente,

sostenibile e inclusiva”31 il contributo degli appalti pubblici è

ritenuto essenziale.

Importante da questo punto di vista è, sicuramente, il c.d. divieto di gold plating, in base al quale il legislatore delegato non può introdurre o mantenere livelli di regolazione superiori a quelli minimi

richiesti dalle tre direttive UE32 e quindi deve restare entro i limiti già

definiti, sempre in via generale, con l’art. 14, comma 24 ter della l. 246/2005. Secondo questa disposizione costituiscono livelli di

31 Il riferimento va alla Comunicazione della Commissione, del 3 marzo 2010, intitolata Europa

2020: Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

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regolazione sovrabbondanti rispetto a quelli minimi: l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive, l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole, l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive.

Il divieto di gold plating dovrebbe scoraggiare, rispetto al passato, scelte nazionali di irrigidimento e inasprimento dei vincoli sovranazionali riducendo lo stesso numero delle norme e riconoscendo discrezionalità alle autorità aggiudicatrici ma in modo da conciliarsi con altre discipline settoriali interne e in merito più severe, come

quella anticorruzione33.

In un contesto in cui la disciplina degli appalti non ha dato fino ad oggi esiti soddisfacenti, diventa importantissimo sfruttare l’occasione per una modernizzazione generale del sistema.

Far correre i treni, realizzare grandi opere utili, mettere in sicurezza gli edifici e il territorio, deve essere l’obiettivo principale, una grande sfida, in un tempo di riforma per il nostro Paese.

33

Di Cristina, Prevenzione dell’illegalità e governante, in Gior. di dir. amm., 2014, 12, pp. 1160 ss.

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Saprà l’Italia approfittarne per rendere la materia dei contratti pubblici al passo coi tempi e con gli standard dell’ Unione?

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