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3. LE CHIESE SCOMPARSE DI CHINZICA

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3.

LE CHIESE SCOMPARSE DI CHINZICA

3.1. Il sistema istituzionale della chiesa locale.

Gli edifici religiosi non sono soltanto costruzioni dotate di un particolare significato architettonico ed urbanistico. Essi sono prima di tutto un dato materiale frutto dell'incontro tra una committenza, una realizzazione tangibile e un insieme di persone destinate alla loro fruizione, ragion per cui si legano fortemente agli aspetti propri della società che li produce, inclusi quelli economici.

Nelle fasi storiche qui trattate, il sistema istituzionale della chiesa locale ruota attorno al cosiddetto “beneficio”, un istituto giuridico legato ad una serie di ufficiature sacre e volto a produrre una rendita. Il beneficio viene eretto con il consenso dell'Ordinario, ossia dell'Arcivescovo, oppure con il consenso di un'entità dotata di potere quasi episcopale, ad esempio il Gran Maestro di un Ordine cavalleresco.1 La sua fondazione però può essere proposta anche da persone, fisiche o giuridiche, sia laiche, sia ecclesiastiche, le quali sono poi legate a loro volta da diritti e doveri al beneficio fondato. Una chiesa stessa – parrocchia, oratorio o monastero che sia – una volta eretta, va a costituire quindi un beneficio, così come possono esserlo le sue cappelle e i suoi altari. Da una parte il possesso di un beneficio si configura come tappa essenziale nella carriera ecclesiastica, poiché alla stregua di un patrimonio personale assicurante il sostentamento del proprio detentore. Dall'altra parte, proprio perché così legato al dato economico, va a minare l'integrità della stessa vita religiosa, diventando spesso una casella da riempire con l'interesse personale.2

La rendita è uno degli elementi costitutivi del beneficio e proviene da una dote comprendente una serie di diritti o beni patrimoniali, come edifici religiosi, cappelle e altari. I proventi spettano al cosiddetto “rettore” del beneficio, cioè la persona designata all'adempimento degli oneri sacri ad esso connessi. Ad esempio, nel caso in cui il beneficio sia costituito dall'altare di una chiesa, gli oneri sacri possono consistere in un numero preciso di ufficiature, ossia di messe, da celebrarsi presso di esso in determinati giorni dell'anno. Questo sistema, radicato fin dal Medioevo, per diversi secoli prevede però una scissione tra rendita e oneri sacri, cosicché lo stesso rettore poteva godere della rendita di più benefici contemporaneamente, stipendiando un altro ecclesiastico affinché svolgesse gli oneri sacri al suo posto.3

Il Concilio di Trento, fra i suoi vari interventi, cerca di arginare questa tendenza, sancendo la residenzialità e la non cumulabilità di tutti i benefici curati e di gran parte di quelli non curati.

1 GRECO, 1984, p.27. 2 Ibid., pp.23-27. 3 Ibid., p.25.

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I benefici curati sono costituiti dalle chiese parrocchiali, mentre i benefici non curati sono costituiti da quegli edifici religiosi svincolati dall'onere della cura d'anime, come ad esempio gli oratori. Con le modifiche apportate dal Concilio, ciascun rettore in possesso di questo tipo di benefici ha l'obbligo di residenza presso di essi e non può cumulare nella sua persona la gestione di più benefici residenziali. L'unico tipo di beneficio a rimanere cumulabile e non residenziale è il cosiddetto “beneficio semplice”, costituito infatti per lo più da altari o cappelle e dalle loro ufficiature.4

Tornando alle modalità di fondazione del beneficio, a diverso tipo di fondazione corrispondono diverse modalità nella scelta del rettore, il quale gode poi del suo status vita natural durante, salvo particolari eccezioni. Se la fondazione è legata a una persona o a un ente di potestà episcopale, o quasi, si parla di “libera collazione”:5 questo significa che i fondatori e i loro successori pro tempore scelgono liberamente il rettore e lo istituiscono canonicamente in virtù della suddetta potestà.6 Queste entità sono quindi detentrici sia di ius

eligendi et praesentandi, sia di ius confermandi et instituedi.

Se la fondazione è proposta da laici o chierici privi di questa potestà si parla di “giuspatronato”. Questo prevede innanzitutto una serie di doveri e diritti trasmissibili dal fondatore ai propri eredi ex sanguine o testamentari.7 Tra i doveri vi è per esempio la dotazione del proprio beneficio di beni immobili o monetari per concorrere alla sua buona manutenzione: il sistema prevede dunque una sorta di ripartizione delle responsabilità tra rettore e patrono. Tra i diritti vi è quello di percepire una pensione alimentare sulle rendite provenienti dal beneficio, nonché quello di partecipare alla scelta del rettore. Il patrono però è investito solo dello ius eligendi et praesentandi. Ciò significa che deve limitarsi a proporre un rettore e presentarlo alla persona giuridica con potestà episcopale (o quasi) che aveva ufficialmente sancito la fondazione del beneficio in questione. Questa, in virtù dello ius

confermandi et instituendi, procede, nel caso, alla nomina ufficiale.8

Considerando questo come modello base, esistono diverse tipologie di giuspatronato (o, più semplicemente, patronato). Vi sono casi di “patronato ecclesiastico” che vedono chiese dipendenti da monasteri,9 e casi di “patronato regio” che vedono chiese dipendenti direttamente dal sovrano.10 Inoltre in Toscana i Granduchi Medici, in virtù dello ius

4 Ibid., p.26.

5 Si veda chiesa di S.Cristofano, cap.6, pp.84-100 6 GRECO, 1984, p.27.

7 Ibid., p.34. 8 Ibid., p.27. 9 Ibid.,p.51.

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devolutionis, erano legittimati ad incamerare i diritti di patronato legati a sudditi morti senza

eredi o legittimi testamentari.11 Già questo dato mostra una forte presenza laica nel meccanismo dei patronati, poiché la mancanza di eredi prevede questa soluzione a vantaggio del sovrano e non, per esempio, la confluenza del beneficio all'ente che ufficialmente l'aveva istituito.

Oltre a questo esistono una serie di “patronati laicali”, legati ad una o più famiglie. Il giuspatronato laicale diventa una componente del patrimonio famigliare dei patroni, è trasmissibile nei modi di cui sopra, non vendibile, ma cedibile e permutabile, nonché confiscabile (sempre a favore del sovrano territoriale) a fronte di gravi crimini.12 Dato questo, i diritti di patronato, nel corso del tempo, possono passare anche da una famiglia all'altra.13 Il patronato laicale può vedere inoltre la presenza di compatroni sullo stesso beneficio, come ad esempio diverse famiglie. Si parla di “patronati misti” nel caso in cui, a una o più famiglie, si uniscano enti pubblici laicali o religiosi nella fruizione dei diritti del patronato.14 È il caso di benefici sotto il patronato, ad esempio, di due famiglie e un monastero, oppure di una famiglia ed enti come l'Opera della Spina (nel caso pisano) o il Capitolo dei Canonici. In alcuni casi di patronato misto esistono quote di patronato rivestite anche dalla potestà regia o dai parrocchiani. Questi ultimi però sono intesi come i possidenti presenti in un dato territorio parrocchiale e non come le anime effettive di una cura.15 Tutti questi casi prevedono una ripartizione pesata delle voci al momento della presentazione del rettore e, non a caso, un patronato particolarmente affollato può dare origine ad annosi litigi e scontri tra i compatroni.16

Nel caso pisano bisogna considerare anche il peso di un'istituzione come l'Ordine dei Cavalieri di S.Stefano, la cui potestà è annoverata tra quelle definite “quasi episcopali”. Su alcune chiese filiali dell'Ordine vigono diritti di patronato goduti da cavalieri laici detentori di commende in cui erano incamerate queste chiese.17 A Pisa le chiese rientranti nel patrimonio di S.Paolo a Ripa d'Arno, dal 1565 commenda della religione di S.Stefano di patronato della famiglia Grifoni, risultano essere benefici dello stesso patronato.18

Sebbene il Concilio di Trento intervenga per arginare la scarsa integrità degli ecclesiastici, la

11 GRECO, 1984, p.30. 12 Ibid., p.36.

13 Ibid., p.52. 14 Ibid.,p.28. 15 Ibid., p.60.

16 Per casi di patronato misto si vedano le chiese di S.Verano (cap.4, pp.63-71), Lorenzo in Chinzica (cap.8, pp.117-128) e SS.Cosimo e Damiano (cap.11, pp.159-180).

17 GRECO, 1984, p.50.

18 Le tre chiese parrocchiali in questione sono S.Egidio (cap.5, pp.72-83), SS.Ippolito e Cassiano (cap.9, pp.129-140) e S.Sebastiano (cap.10, pp.141-158).

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scelta del rettore continua però ad essere spesso collegata a dinamiche di interesse e potere connesse con le famiglie patrone. Inoltre il gran numero di ufficiature e obblighi sacri viene denunciato assieme alla loro remunerazione dai riformisti più o meno estremi (ai quali Pietro Leopoldo si trova idealmente vicino) come una mercificazione della cosa più santa.19

3.2. Il rapporto tra chiese maggiori e minori in Chinzica.

Gli edifici religiosi soppressi che vengono considerati qui di seguito sono tutte le chiese di Chinzica che hanno svolto, per periodi più o meno lunghi, un ruolo parrocchiale. Come già ricordato nella premessa, si tratta delle chiese di S.Verano, S.Egidio, S.Cristofano, S.Andrea, S.Lorenzo, SS.Ippolito e Cassiano, S.Sebastiano e SS.Cosimo e Damiano. La prima fondazione di tutte e otto queste chiese ha le sue radici nel periodo medievale, tra l'XI e il XII secolo, importante fase storica in cui si delinea la fisionomia di Chinzica e prende avvio il suo popolamento unito all'inclusione del sobborgo nella cerchia muraria della città. Questo è anche il motivo per cui tutte queste chiese, con l'unica eccezione di S.Andrea, sono fin da subito fondate come parrocchie: l'insediamento in Chinzica è in crescita e c'è bisogno di assistenza pastorale per la popolazione. Oltre a questo, la Pisa medievale è ricca e forte in materia di interessi privati che si esplicitano anche attraverso le costruzioni religiose.

Normalmente l'aspetto degli edifici religiosi è connesso all'entità del loro raggio d'azione, ragion per cui a dimensioni ed esteriorità contenute, il più delle volte corrispondono valori che non rendono l'edificio in questione un “organismo paradigmatico”.20 Tutte e otto le chiese, infatti, non si configurano nei secoli come emergenze monumentali cariche di valori aggiunti a quello che è il loro ruolo base di assistenza pastorale alla popolazione.

Da un lato è vero che ciascuna di esse ha le proprie particolarità e alcune, nel corso del tempo, sono talvolta indicate come dotate di elementi che suscitano uno specifico interesse. È il caso, per esempio, di S.Andrea quando viene creduta il luogo di battesimo di Galilei o di SS.Cosimo e Damiano quando diventa oggetto di una certa curiosità per le iscrizioni che reca in facciata. Quest'ultima, poi, sembra essere tra tutte quella che riveste, nel suo piccolo, maggiore importanza e che trova un riscontro maggiore nelle fonti, probabilmente dovuto in parte alla sua longevità come chiesa parrocchiale. D'altro canto, il confronto con le altre chiese monumentali di Chinzica, coeve o successive, dimostra lo schiacciante divario tra il gruppo delle soppresse e quello delle sopravvissute dal punto di vista sia delle fattezze architettoniche, sia della quantità di fonti documentarie ed iconografiche a riguardo, sia delle

19 GRECO, 1984, pp. 173-174 e pp.209-210. 20 CACIAGLI, 1994, p.89.

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scelte di ricostruzione post-bellica.

Senza dubbio le otto chiese qui considerate vanno a costituire un massiccio reticolo di presenza ecclesiastica sul territorio, ma in Chinzica vi sono al contempo alcune fondazioni destinate ad essere, appunto, “organismi paradigmatici” e a ricoprire un notevole ruolo sociale, incarnato anche dalla loro stessa architettura. S.Paolo a Ripa d'Arno, costruita tra X e XI secolo, viene ampliata e riconsacrata nel 1148 ed è proprio a questa fase che risale la sua facciata bicroma percorsa da loggette praticabili a imitazione del Duomo,21 aspetto che le vale infatti l'appellativo di “Cattedrale di Mezzogiorno”. Inoltre, la stessa chiesa si trova ad annoverare nel suo patrimonio tre delle otto parrocchiali scomparse, ossia S.Egidio, S.Sebastiano e SS.Ippolito e Cassiano, portandole con sé sotto l'egida della famiglia Grifoni una volta divenuta commenda della Religione di S.Stefano. Anche S.Martino va inclusa tra le presenze spiccatamente monumentali d'Oltrarno. Seppur fondata nel 1067, nel XIV secolo viene profondamente rinnovata per poi essere riconsacrata nel 1477.22 Inoltre, il secondo grande restauro che vive all'inizio del '600 la arricchisce della presenza in facciata di una serliana, elemento architettonico largamente utilizzato in chiave simbolica per indicare uno stato di sovranità, sia essa effettiva, rivendicata o auspicata.23

Sia S.Paolo a Ripa d'Arno, sia S.Martino sono monasteri e, a partire dal XIV secolo, a questi si aggiungono nuove strutture monastiche e conventuali che concorrono a punteggiare le aree più periferiche di Chinzica di nuovi luoghi di riferimento per la sfera religiosa. Queste emergenze sopravvivono nei secoli, infatti anche durante le ondate di soppressioni non vengono distrutte trovandosi talvolta ad ospitare la cura d'anime di altre parrocchiali ritenute, a confronto, piccole e poco decorose per assolvere questo ruolo. È il caso di S.Maria del Carmine, S.Antonio e la stessa S.Paolo a Ripa d'Arno, le quali rispettivamente, assumono per un certo periodo la cura d'anime di S.Sebastiano, SS.Cosimo e Damiano e SS.Ippolito e Cassiano. In più, le chiese conventuali che vengono danneggiate durante i bombardamenti, come S.Domenico o S.Antonio, vengono ricostruite in loco.

Infine, non bisogna tralasciare la presenza in Chinzica di due strutture particolari che entrano infatti nel novero delle chiese da preservare ad ogni costo: S.Sepolcro e S.Maria della Spina, entrambe oggetto nel corso dell'800 di massicce operazioni di restauro attuate nel nome del “ritorno alla forma originaria”.24 Questi interventi giungono dopo un lungo periodo di degrado vissuto dalle due chiese e si intrecciano ai lavori pubblici riguardanti il rialzamento del piano

21 PALIAGA, RENZONI, 1991, p.29. 22 Ibid., p.160.

23 Per un approfondimento sull'uso della serliana con significato simbolico di sovranità si veda WORSLEY, 2007, pp.135-155.

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stradale e la rettificazione del Lungarno. Nella pratica, entrambi gli interventi sui due edifici si rivelano controversi per quanto riguarda la loro integrità, ma ciò che va notato è che, a fronte di una situazione di degrado e di una necessità imposta da un certo tipo di lavori, per le due chiese non viene decisa la demolizione, ma una soluzione che, per quanto discutibile, sia finalizzata a preservarle. Sebbene anche per la chiesa di S.Sebastiano nel corso dell'800 si assista ad una reiterata volontà di conservazione e la chiesa di SS.Cosimo e Damiano viva diversi restauri di una certa portata, per le restanti sei non si può dire che ci sia lo stesso interesse nel preservarle a tutti i costi.

3.3. Architettura e fasi di intervento.

Restando in connessione col tema puramente architettonico, le tavole del Tronci costituiscono una delle pochissime fonti iconografiche relative a queste chiese. Per la maggior parte di esse si tratta addirittura dell'unica fonte iconografica rimasta. Il fatto che nessuna di esse sia presente nelle raccolte di incisioni e vedute di città e di monumenti, molto numerose per il caso di Pisa, è un altro sintomo della scarsa rilevanza che hanno se rapportate ad altre chiese presenti nel tessuto cittadino. Nemmeno con l'introduzione della fotografia si rilevano cambiamenti sostanziali e anche per le chiese giunte integre al XIX e XX secolo è molto difficile trovare testimonianze fotografiche.

Da quanto si può evincere dalle tavole del Tronci inserite nella Descrizione, l'aspetto globale di queste sette chiese rispecchia generalmente il linguaggio di un Romanico senza troppe pretese. La stessa S.Andrea in Chinzica, raffigurata nelle sue fattezze quattrocentesche in seguito alla sua seconda fondazione, ricalca un lessico che non aggiunge, né toglie niente al quadro di generica sobrietà e compostezza riscontrabili nelle restanti sei di fondazione medievale.

Restando sull'idea di un “Romanico senza pretese” come linguaggio dominante e tenendo come punto di riferimento iconografico le tavole della Descrizione, le otto chiese risultano dotate di alcuni elementi architettonici che, a gruppi, le accomunano anche se non si può sapere con certezza quale sia l'entità dei restauri e dei lavori che esse quasi sicuramente vivono dalla loro fondazione alla metà del '600. Non si può dunque avere un raffronto tra le fattezze originarie delle chiese e quanto raffigurato nella Descrizione. L'unico elemento certo rispetto a questa tematica è che, sicuramente, la S.Andrea in Chinzica raffigurata è, come già ricordato, la chiesa fondata nel 1475 e non quella di prima fondazione risalente al 1095.

Laddove vi sono immagini o descrizioni dettagliate si possono però operare dei confronti tra le fattezze riportate dal Tronci e quelle assunte consecutivamente. La raffigurazione di

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SS.Cosimo e Damiano, per esempio, riporta l'immagine di una chiesa plausibilmente a due navate, mentre da metà '700 in poi le fonti in cui compaiono descrizioni attendibili dei suoi spazi interni la indicano come una chiesa a tre navate. Infine, anche per S.Sebastiano è possibile operare un confronto tra quanto raffigurato dal Tronci e le fattezze dell'esterno della chiesa pochi anni prima della sua distruzione, grazie ad un disegno di progetto datato 1942. I disegni del Tronci riportano soltanto l'aspetto esterno delle chiese, delle quali viene sempre rappresentata la facciata e, in tutti i casi tranne uno, il fianco destro o sinistro. La scelta della raffigurazione è strettamente legata alla reale posizione delle varie chiese che si rivela sempre coerente con quanto rappresentato. Le chiese cosiddette “d'angolo”, ossia affacciate sulla strada almeno su due lati, possono essere rese da un punto di vista che ne fa percepire la volumetria anche dall'esterno.25 S.Sebastiano, invece, costituisce l'unico esempio tra queste di edificio chiuso sui due prospetti laterali, capace quindi di mostrare, dall'esterno, la sola consistenza del prospetto principale. Il punto di vista che fornisce il Tronci è dunque quello che potrebbe avere un qualsiasi passante e risulta attinente alla realtà.

Per quanto riguarda l'interno, si possono quindi fare soltanto alcune deduzioni partendo dalle fattezze esterne. Sei delle otto chiese si presentano con una conformazione ad aula unica: costituiscono un'eccezione S.Lorenzo e SS.Cosimo e Damiano le quali riportano una spazialità rispettivamente a tre e a due navate. Tolte sempre queste due, tutte le altre sono inoltre dotate di una facciata a capanna e di un solo portale maggiore.

Vi sono poi altri elementi architettonici e decorativi che ritornano in ciascuna di esse. La presenza di una tettoia posta al di sopra del portale d'ingresso, ad esempio, si può riscontrare nelle chiese di S.Verano, S.Egidio, S.Cristofano e SS.Ippolito e Cassiano.26 Anche le aperture a forma di oculo poste in facciata trovano un vasto utilizzo: se ne possono riscontrare tre in S.Egidio e S.Sebastiano (dove due fungono anche da elemento decorativo soprastante due bifore), due in S.Cristofano e una in S.Verano, S.Andrea e S.Lorenzo.27

L'oculo singolo aperto sull'interno assolve la stessa funzione di un piccolo rosone, benché, in questi casi, privo di ulteriori motivi decorativi. L'oculo cieco, invece, assieme alle forme romboidali incassate, è uno degli elementi decorativi del Romanico pisano che, come linguaggio architettonico, consta di altri motivi che stentano però ad essere ritrovati in queste sette chiese. Questi edifici, almeno da quanto riportano le tavole del Tronci, non presentano infatti gli archi ciechi che tuttora si possono riscontrare sulla maggior parte delle chiese

25 CACIAGLI, 1994, p.89.

26 Esempi simili di tettoia sono tuttora riscontrabili su alcune chiese pisane esistenti, come S.Domenico (in facciata) o S.Martino (sul lato destro dell'edificio).

27 Esempi di aperture ad oculo si possono tuttora trovare sulle facciate di S.Zeno e S.Nicola, poste a Tramontana.

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medievali pisane, né tanto meno il motivo delle loggette praticabili. Maggiore incertezza resta rispetto ad un ipotetico paramento murario bicromo, dal momento che nessuna tavola presente nella Descrizione mette in luce questo aspetto nemmeno nelle chiese dove è attualmente riscontrabile.

Un altro elemento ricorrente è la presenza di lunette sopra i portali, presenti in S.Verano, S.Andrea, S.Cristofano, S.Egidio e S.Sebastiano. Non è però chiaro se si tratti di lunette decorate con elementi scultorei oppure semplicemente dipinte con immagini o a tinta unita. Anche in questo caso, per formulare deduzioni, si possono operare dei confronti con altre tavole della Descrizione dove, talvolta, si possono riscontrare nelle lunette di altre chiese alcune tratteggiature, come nel caso di S.Antonio in Spazzavento e S.Paolo a Ripa d'Arno. I disegni del Tronci, pur essendo schematici, riportano comunque la globalità dei dettagli percepibili tramite una visione d'insieme, dunque l'assenza o la presenza di tratteggiature non deve essere considerata come casuale. La loro presenza potrebbe indicare infatti o una tridimensionalità legata all'opera scultorea o la semplice presenza di immagini, anche bidimensionali. Per conseguenza, l'assenza di tratteggiature nelle lunette di queste quattro chiese potrebbe indicare o una decorazione pittorica o l'assenza di decorazione.

Uno dei più diffusi elementi decorativi romanici è comunque presente in S.Verano, S.Egidio, S.Lorenzo e S.Sebastiano, pur non essendo strettamente legato al Romanico pisano, bensì al Romanico lombardo ed emiliano. Si tratta del motivo ad archetti ciechi che percorre i salienti delle facciate e il profilo laterale, laddove visibile, di queste chiese. La sua presenza non ha però nulla di strano, dal momento che questo motivo decorativo nel corso del basso Medioevo viene esportato e acquisito con grande facilità e si ritrova anche in aree piuttosto lontane da quelle lombardo-emiliane.

Un'altra caratteristica architettonica, sviluppatasi però nel corso dell'alto Medioevo e poi spesso integrata nel linguaggio Romanico, sembra essere presente in una delle chiese, ossia S.Cristofano. Si tratta dello sdoppiamento spaziale verticale che si traduce nella presenza di una cripta e di un presbiterio rialzato sopra di essa. Solitamente questa soluzione viene adottata nei casi di edifici dove si conservano reliquie, le quali vengono appunto posizionate nelle cripte permettendo ai visitatori e ai pellegrini di omaggiarle senza interferire troppo con le attività liturgiche, assicurando così anche una contemporaneità di eventi all'interno dello stesso edificio. L'ipotetica presenza in S.Cristofano di questo tipo di struttura è però solo deducibile dal disegno della Decrizione e, in realtà, non trova riscontro in altre fonti.

Inoltre, la facciata di S.Cristofano si trova arricchita di diversi elementi, a differenza della maggior parte delle altre, come la presenza di due grate ai lati del portale, una delle quali è in

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parte visibile tutt'oggi seppur tamponata.28 Anche la facciata di S.Sebastiano presenta degli elementi aggiuntivi: nel suo caso si tratta di due aperture a bifora sormontate da un oculo, poste simmetricamente e finalizzate sia all'illuminazione, sia alla decorazione.29

Infine, tutte le chiese sono raffigurate dotate di un campanile tranne SS.Cosimo e Damiano e S.Cristofano. Nel primo caso la sua presenza è comunque documentata, sicuramente successivamente al restauro radicale che nel '700 dona alla chiesa un'articolazione interna a tre navate. Nel secondo caso il campanile è in realtà già presente, benché non si trovi in posizione contigua alla chiesa. Questo risulta infatti separato dal resto dell'edificio da una piccola strada che collega Via S.Martino alla chiesa di S.Sepolcro, oggi nota come Via Flaminio dal Borgo. Non è chiaro il motivo di questa posizione distaccata, eppure questa è tuttora visibile, essendosi nel tempo preservati sia il perimetro della chiesa, sia quello del campanile, che si ritrova dunque unito ad un isolato diverso da quello occupato dall'edificio sacro a cui fa riferimento.

C'è un'ulteriore considerazione da compiere rispetto alle tavole della Descrizione e al rapporto che queste possono intrattenere con le fattezze originarie delle chiese. Come già spiegato,30 quando il Tronci scrive la Descrizione una serie di chiese pisane hanno appena vissuto una fase di restauri e rinnovamento a cavallo tra '500 e '600, dettata dalla volontà riformatrice post-tridentina. Alcune chiese vengono rinnovate esternamente secondo un linguaggio che si sposa sempre con la sobrietà, l'austerità e l'assenza di ornamenti superflui. Alcune facciate si ritrovano, per esempio, dotate di frontoni e ordine gigante,31 ma queste modifiche esterne non sembrano essere registrate nelle otto chiese in questione. Se questi mutamenti si possono vedere su importanti chiese di Tramontana come S.Matteo e S.Francesco, in Chinzica gli interventi sugli esterni si concentrano nelle chiese di S.Benedetto, S.Maria del Carmine, S.Cristina, S.Giovanni dei Fieri e S.Bernardo,32 le quali sono dunque raffigurate nella

Descrizione nella loro nuova veste.

I restanti interventi avvenuti tra '500 e '600, però, riguardano soprattutto l'interno delle strutture ecclesiastiche. Spesso si traducono nella copertura di affreschi, nella vendita di vecchie tavole e dipinti (tranne quelli di particolare devozione) sostituiti da nuove produzioni

28 Le stesse grate sono presenti nella raffigurazione di S.Leonardo in Pratuscello presente nella Descrizione. Anche questo edificio, posta a Tramontana sull'attuale Via Roma, viene nei secoli soppresso e demolito, ma tuttora è in piedi il paramento murario della facciata che mostra chiaramente le due grate tamponate.

29 Bifore simili sono riscontrabili su vari altri edifici religiosi del periodo medievale, come S.Frediano, S.Pietro in Vinculis, S.Zeno, tutte poste a Tramontana.

30Si veda p.18 nota 59.

31 Per un discorso organico sui restauri alle chiese pisane tra '500 e '600 si veda BURRESI, CATALDI, RATTI, 1980, pp.291-295.

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più in linea con il tipo di devozione promulgata dal Concilio e nella disposizione simmetrica degli altari, per rispondere ad un'esigenza di ordine ed essenzialità. Se si fa riferimento a questo tipo di cambiamenti, si vede allora come anche le chiese in questione non siano del tutto esenti da interventi.

Innanzitutto nella Descrizione è frequente l'enumerazione degli altari con le rispettive dedicazioni. Laddove presente, essi risultano essere sempre in numero dispari: considerando la presenza di un altare maggiore, i restanti, in numero pari, sono presumibilmente disposti in modo da risultare simmetrici rispetto all'asse longitudinale degli edifici. Rispetto alle otto chiese, l'unica eccezione è costituita da SS.Cosimo e Damiano nella quale sono citati due soli altari, ulteriore elemento che va a sostenere l'idea di una prima conformazione a due navate. Oltre a questo il Tronci indica all'interno di tre chiese su otto la presenza di quadri dipinti da pittori a lui contemporanei e dunque posti di recente all'interno degli edifici, forse proprio in sostituzione di altre opere (pur sopravvivendo al contempo diverse tavole e crocefissi definiti da fonti successive “alla greca” e dunque figurativamente “lontane dal gusto moderno”33). All'interno di S.Egidio è presente un quadro raffigurante un santo in catene realizzato da Domenico Cresti, detto Passignano, vissuto tra il 1559 e il 1638. In S.Cristofano l'icona dell'altare maggiore risulta essere di Orazio Riminaldi, pittore pisano nato nel 1593 e morto nel 1630. In SS.Cosimo e Damiano, infine, si trova una raffigurazione del martirio di S.Bartolomeo indicata dal Tronci come realizzata da un “giovane senese”, ma attribuita un secolo più tardi al pittore calabrese Francesco Cozza, vissuto tra il 1605 e il 1682.

La seconda ondata di ristrutturazioni avviene invece nel corso del '700, ma rimane legata ad iniziative di matrice privata. Gli interventi settecenteschi, di diverso stampo a seconda delle chiese, non si possono riunire sotto un unico linguaggio, né sotto un proposito unificatore alla stregua dei dettami tridentini.34 Gli aspetti formali, il più delle volte, hanno le loro radici nel gusto e nella cultura del committente: si rivelano però coerenti con il linguaggio sobrio che caratterizza la maggior parte degli edifici religiosi della città, aprendosi a misurate forme tardo-barocche o neoclassiche.35 Una delle chiese di Chinzica ancora esistenti che subisce maggiori cambiamenti in questa fase è S.Maria Maddalena, che viene totalmente rifatta su progetto di Andrea Vaccà, mentre nel gruppo delle soppresse spicca SS.Cosimo e Damiano che nel 1731 vive un grande restauro voluto dal proprio parroco che le conferisce un assetto a tre navate.

Per il resto non sono segnalati particolari interventi nelle altre chiese in questione e, anzi, nel

33 CACIAGLI, 1994, p. 93.

34 Per un elenco delle chiese rifatte o rimaneggiate in questa fase e ancora esistenti in Pisa vedi pag.20 nota 63. 35 CACIAGLI, 1994, pp.85-90.

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corso del '700, per alcune di esse, ha piuttosto inizio la parabola discendente. Sono infatti solo tre le strutture che arrivano integre al XX secolo: S.Andrea, S.Sebastiano e SS.Cosimo e Damiano. Di queste, solo le ultime due vivono alcuni restauri nel corso dell'800, i quali si configurano però come opere di manutenzione ordinaria o straordinaria.

3.4. Soppressione, riuso e scomparsa. 3.4.1. Le soppressioni singole.

Le chiese che vengono soppresse in circostanze particolari svincolate dalle storiche ondate di soppressione leopoldine e napoleoniche sono S.Verano, S.Egidio, S.Cristofano e S.Andrea. S.Verano all'interno del gruppo costituisce un caso a sé, dal momento che la sua funzione parrocchiale viene assolta prima di comparire nella Descrizione del Tronci, dove viene già citata come beneficio semplice sotto la chiesa di S.Lorenzo. A partire dalla fine del '600 viene poi indicata come sede per la confraternita di S.Guglielmo fino alla soppressione di questa avvenuta nel 1782. La compagnia è in seguito ripristinata, ma la chiesa di S.Verano viene distrutta di lì a poco restando per almeno un altro secolo una zona ortiva nuovamente edificata a partire dal '900.

Le altre tre soppressioni singole, invece, hanno luogo nella seconda metà del '700 e sono collegate alla volontà dei primi due Granduchi Lorena, Francesco Stefano (1737-1765) e Pietro Leopoldo (1765-1790). Sebbene il vero giro di vite nell'ambito religioso avvenga con Pietro Leopoldo, già sotto Francesco Stefano si pensa ad un processo di razionalizzazione delle cure cittadine, alcune delle quali troppo piccole o mal gestite o indecenti, e dunque superflue. Il Segretario di Stato Antonio Tornaquinci l'1 agosto 1748 stila infatti un documento in cui viene esposto un programma di razionalizzazione volto a fissare nelle città il numero necessario di cure, provvedere affinché abbiano sedi comode e ben tenute e procedere infine alla soppressione di quelle inutili, partendo proprio da Firenze e Pisa, le città dove la frammentazione è maggiore.36

La chiesa di S.Egidio, situata in corrispondenza dell'odierno incrocio tra Via Cottolengo e

36 ACDP, Atti Straordinari, f.61, n.60 “Il consiglio ha creduto proprio per ben eseguire gli ordini di S.M.I. di cominciare dalle due diocesi di Firenze e Pisa, sì perché a differenza dell'altre, queste convengono nell'avere le chiese sufficientemente provviste in campagna, ed un numero di cure miserabili in città, mal situate, e rese in oggi per la variazione de' tempi, indecenti e affatto superflue; sì perché digerite che sieno le difficoltà, che possono incontrarsi nell'esecuzione del progetto, sarà più facile l'adattare l'istesso piano all'altre; onde mi ha comandato di partecipare a Vs Ill.ma le piissime intenzioni di S.M.I. e di pregarla a voler dar la pena necessaria perché possa ottenersene il fine immaginato. Si crederebbe dunque da proporsi, cominciando dalla città, di fissare il numero necessario delle cure, e di assegnare a ciascuna la sede comoda, ed una quantità di popolo adattato per torre l'inconveniente, che vi è nel presente sistema, in cui ve ne sono alcune composte di dodicimila anime e altre che non arrivano a cinquanta. Di sopprimere tutte le inutili, che non anno entrate sufficienti per mantenere il Paroco, per unirle a quelle che non sono tali o per ridurle a benefici semplici. E di trasferire alcune di queste nelle chiese più decenti, e meglio situate, per prestare al popolo più facilmente il dovuto servizio.”

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Corso Italia, non sopravvive a questa fase. La sua soppressione viene decretata il 5 gennaio 1758 poiché la chiesa si trova in grave e perdurante stato di rovina, oltre ad essere una cura piccola e periferica. È proprio la lontananza dal nucleo centrale di Chinzica a fare in modo che, tra le prime due chiese a rischio di soppressione, venga scelta S.Egidio invece della centralissima S.Sebastiano, alla quale viene accorpata. L'edificio di S.Egidio sopravvive almeno una dozzina di anni come cimitero per la stessa S.Sebastiano, dopodiché l'isolato occupato dalla fabbrica viene in qualche modo ricostruito e destinato ad uso abitativo. Non si sa quanto delle vecchie strutture afferenti alla chiesa venga mantenuto in questa fase, ma la destinazione abitativa dei locali ricavati o ricostruiti è testimoniata anche quando ormai l'odierno Corso Italia diventa la direttrice principale d'Oltrarno, una volta costruita la nuova stazione dei treni nel 1862. Se alla metà del '700 S.Egidio si trova ad essere sacrificata poiché periferica, un secolo dopo la stessa zona assume un notevole valore aggiunto, arricchito dalla presenza di esercizi commerciali, negozi, ristoranti e osterie. L'impronta commerciale dell'attuale Corso Italia è invariata anche ad oggi, essendo rimasta la principale via d'accesso alla città per chi arriva dalla stazione. L'isolato un tempo occupato da S.Egidio ospita ancora oggi costruzioni che si dividono tra negozi di accessori e abbigliamento al pianterreno e abitazioni private ai piani superiori.

Le soppressioni di S.Cristofano e S.Andrea in Chinzica si collocano invece nel primo periodo di governo di Pietro Leopoldo e si presentano come decisioni svincolate dal più massivo intervento in materia ecclesiastica attuato tra il 1782 e il 1786. Entrambe le chiese vedono sopravvivere ancora alcune emergenze nel loro contesto originario.

S.Cristofano, situata in un isolato tra Via S.Martino e l'odierna Piazza Clari, viene soppressa tra il 26 dicembre 1766 e il 16 febbraio 1767 e ne viene decretata l'unione alla chiesa di S.Lorenzo come beneficio semplice. Rispetto al caso di S.Egidio, questa decisione è legata più ad una volontà di sfoltimento parrocchiale nella zona che ad un'ipotetica situazione di prolungato degrado: nelle immediate vicinanze di S.Cristofano si trovano infatti la ben più celebre chiesa di S.Sepolcro e le parrocchiali di S.Lorenzo e S.Sebastiano. Tuttavia S.Cristofano mantiene la sua destinazione religiosa anche dopo la soppressione, fungendo da oratorio almeno per un'altra ventina d'anni. Nel 1787 l'intero isolato occupato dalla chiesa - denominato “Isolotto” per la sua conformazione - e il campanile passano a proprietà privata: l'interno della chiesa viene radicalmente modificato, soprattutto al fine di ospitare botteghe. Le modifiche continuano anche dopo il 1844, anno in cui i due immobili vengono venduti alla facoltosa famiglia Franceschi che porta avanti le operazioni di riadattamento di locali, innalzando negli anni la fabbrica di almeno due piani. La destinazione d'uso continua ad

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essere quella commerciale e residenziale anche durante l'800, nonostante nella seconda metà del secolo si assista ad un progressivo tracollo del valore dei due immobili, dovuto probabilmente alla svalutazione di Via S.Martino conseguente allo sviluppo dell'odierno Corso Italia. L'intera area prospiciente S.Sepolcro viene inoltre coinvolta nella sistemazione della rete fognaria predisposta dall'ingegner Bellini nel 1852 e, successivamente, l'Isolotto viene risparmiato dalla demolizione dopo che la stessa viene sancita nel 1863 nel corso di un'adunanza comunale, tra le proposte di diradamento urbano con finalità igieniche ed estetiche. Non particolarmente danneggiati durante la seconda guerra mondiale, l'Isolotto e il campanile giungono a noi con il loro originario perimetro, benché visibilmente modificati dalle successive superfetazioni. Inoltre, per S.Cristofano non si può parlare di una vera e propria demolizione, dal momento che è ancora ravvisabile l'originario paramento murario, benché a tratti occultato da cassonetti dell'immondizia in Via S.Martino e dalle automobili nel piccolo parcheggio di Piazza Clari. Ad oggi lo spazio un tempo occupato dai locali della chiesa ospita un'agenzia immobiliare e un fondo in disuso, mentre i piani ricavati successivamente sono suddivisi in appartamenti privati. Il campanile, dal canto suo, è costituito anch'esso da un fondo in disuso al pianterreno e da appartamenti ai piani superiori. L'attuale destinazione d'uso continua dunque ad essere mista, sia abitativa, sia commerciale, benché sia al contempo un esempio di degrado in pieno centro storico per quanto riguarda l'abbandono di parte dei locali e la gestione dello spazio nelle immediate vicinanze.

S.Andrea in Chinzica, situata all'interno del giardino Scotto all'altezza del torrione S.Barbara, viene soppressa e demolita in due fasi storiche ben distinte, per motivi precisi e ben documentati. Essendo la chiesa nuovamente costruita e rifondata nel 1475 come parrocchiale per i soldati di stanza nella Fortezza Nuova lì costruita, viene soppressa nel 1780 quando Pietro Leopoldo decide di smilitarizzare i bastioni pisani. La chiesa perde la sua funzione di cura d'anime, viene venduta a privati, diviene sede di compagnia laicale dal 1791 al 1811 e sopravvive poi come oratorio privato fino al 1937, vivendo però una parabola discendente che la porta al XX secolo in grave stato di degrado. Al contempo l'area urbana attorno ad essa subisce grandi cambiamenti finalizzati a precisi scopi d'uso. Già con la costruzione dello stesso bastione, un'area prima isolata, decentrata e paludosa viene destinata a uso militare. Con la sua smilitarizzazione e la vendita a privati, l'area compresa entro il perimetro del bastione assume le fattezze di “giardino di delizie” che, una volta acquistato dal Comune nel 1935, viene convertito a parco pubblico, funzione che tuttora ricopre. S.Andrea, dal canto suo, si trova ogni volta compresa nelle nuove destinazioni d'uso dello spazio attorno ad essa, tranne che nell'ultima decisione. La chiesa viene demolita tra il 23 ottobre 1937 e il 20 giugno

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1938 poiché ormai da tempo chiusa, in stato d'abbandono e poco coerente con lo scopo della predisposizione di un parco pubblico. Ad oggi non vi sono tracce visibili dell'edificio quattrocentesco e, oltre all'emergenza del campanile della S.Andrea di prima fondazione, l'unico elemento a ricordarne la presenza è una lapide commemorativa facente però sempre riferimento alla chiesa omonima della fase medievale.

3.4.2. Le politiche di soppressione: Pietro Leopoldo e Napoleone.

La prima ondata di soppressioni ecclesiastiche è voluta da Pietro Leopoldo, coerentemente col varo di diverse riforme in materia religiosa legate a doppio filo con il pressante problema del risanamento delle finanze toscane e con la necessità di abolire una serie di privilegi da tempo radicati.37 Il suo atteggiamento verso la sfera religiosa è stato visto nel tempo sia come espressione di un sentimento anticlericale legato alla vicinanza del Granduca col pensiero illuminista, sia come volontà riformista legata al giansenismo, promotore di maggiore rigorismo morale, sobrietà e disciplina.38

Nel 1775 l'Arcivescovo di Pisa Francesco Guidi viene incaricato di svolgere un'inchiesta di stampo governativo sugli edifici sacri sia secolari, sia regolari per verificare nel dettaglio l'entità delle istituzioni ecclesiastiche operanti sul territorio e i loro benefici.39 Il primo progetto leopoldino volto a razionalizzare il numero delle chiese curate pisane risale all'ottobre 1782: entro il 1790, l'anno in cui Pietro Leopoldo lascia il governo della Toscana, queste vengono ridotte da 43 a 27.40 Nel frattempo, nel 1782, viene attuata anche a Pisa la decisione di espellere i cimiteri dai centri urbani, per motivazioni sia igienico-sanitarie, sia culturali e religiose.41 Il luogo scelto per costruire il nuovo cimitero suburbano è la tenuta di Campalto, sull'attuale Via Pietrasantina, mentre Giovanni Andreini e Giovanni Domenico Riccetti vengono designati come direttori dei lavori. Il pessimo stato delle casse comunali spinge Pietro Leopoldo a sopprimere alcune compagnie e confraternite laicali per stornare al nuovo cantiere le loro entrate e fondi.42 In questa occasione vengono soppresse solo alcune

37 Nel 1769 viene abolito il diritto d'asilo per i rei e vengono limitate le manimorte, ossia quei beni inalienabili e inconvertibili poiché di proprietà soggetta a un vincolo privilegiato (come erano quelli della chiesa sia secolare, sia regolare). Nel 1771 viene abolita l'immunità fiscale goduta dagli enti ecclesiastici e nel 1778 viene abolita anche l'immunità del foro, rendendo quindi i crimini commessi dai religiosi giudicabili da un tribunale laico. Nel frattempo giunge anche una stoccata alle superstizioni e agli abusi della religiosità popolare, con la proibizione delle processioni penitenziali nel 1773, seguita dall'ordine di scoprire le immagini sacre solitamente velate per devozione. Inoltre nel 1778 viene vietato agli ordini mendicanti di fare la cerca poiché già proprietari di beni patrimoniali: il problema dell'autofinanziamento dei religiosi viene affrontato anche nel decennio successivo con un'ulteriore regolamentazione delle questue e l'abolizione della decima parrocchiale.

38 WANDRUSZKA, 1968, pp.424-425. 39 GRECO, 1984, p.143.

40 Ibid., p.107.

41 GRECO, 2008, p.110.

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delle molte compagnie presenti al tempo in Pisa e il nuovo cimitero suburbano viene inaugurato l'1 novembre 1783. Tuttavia, tutte le restanti compagnie e confraternite vengono soppresse tramite motuproprio granducale il 21 marzo 1785: i loro beni e patrimoni vengono trasferiti al nuovo ufficio governativo sul Patrimonio Ecclesiastico e alcuni dei loro edifici vengono venduti o demoliti.43 Lo stesso motuproprio si occupa anche di definire le norme di vita comune per conventi e monasteri o, in alternativa, la loro trasformazione in conservatori. Infine, il suddetto Patrimonio Ecclesiastico, già istituito con motuproprio del 30 ottobre 1784, viene predisposto come organo dipendente dal governo, presente in ogni diocesi del Granducato, e destinato ad occuparsi proprio della vendita o profanazione delle fabbriche ecclesiastiche dismesse.44

S.Lorenzo in Chinzica è l'unica chiesa parrocchiale d'Oltrarno effettivamente soppressa in questo periodo. Il decreto è infatti datato 5 luglio 1784. Probabilmente la decisione prosegue quanto iniziato con la soppressione di S.Cristofano, ossia lo sfoltimento parrocchiale della zona. In questa fase sono colpite le chiese parrocchiali più dimesse e più piccole a favore di quelle più monumentali e storicamente più importanti: S.Lorenzo viene infatti trasferita come beneficio semplice alla vicina S.Sepolcro. Situata nella parte settentrionale dell'odierna piazza Chiara Gambacorti, inoltre, viene immediatamente profanata e riadattata per ospitare abitazioni, sottolineando così l'entità definitiva del provvedimento. Infatti, questa velocità nel predisporre un riuso di stampo laico dei locali può rispondere ad una chiara necessità in questa direzione, come a precisi interessi di privati. Nel corso del riadattamento della struttura vengono preservati alcuni suoi elementi (ed esempio le colonne) e ne viene sfruttata l'articolazione interna. L'edificio quindi non vive una vera e propria demolizione fino al 1930 quando le case della piazza vengono abbattute per predisporre un mercato ortofrutticolo, sostituito negli anni '70 da un mercato ittico. L'area occupata da S.Lorenzo, da spazio religioso, diventa dunque prima spazio abitativo e poi spazio pubblico. Quest'ultima connotazione è quella che tuttora prevale: infatti, dopo lo smantellamento del mercato ittico, l'invaso della piazza ricavata con l'abbattimento delle case resta spoglio per alcuni anni fino a che non viene varato un progetto di valorizzazione che la porta ad avere le fattezze che ha

di soppressioni, scrive in proposito il 2 dicembre 1782: “Le confraternite e congregazioni furono già istituite da società di persone devote che insieme contraevano una specie di fratellanza spirituale et in certi determinati luoghi si univano per l'esercizio delle virtù cristiane e sociali; le rendite loro erano erogate in opere di carità, come in tali opere continuamente si impiegavano a vantaggio pubblico l'individui delle medesime. Ma allontanandosi con l'andare del tempo e col variare delle circostanze dallo spirito della primitiva loro istituzione, i servigi considerabili che la società ne ritraeva sono per la maggior parte svaniti... oltre di che la molteplicità di tali compagnie eccedente il pubblico bisogno ha reso una gran parte delle medesime quasi inutili affatto, onde la soppressione di molte di esse non solo non può arrecare verun pubblico pregiudizio, ma pare anzi conveniente”. 43 GRECO, 2008, p.108.

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tuttora, uno spazio vivo donato nuovamente alla città.

Anche la chiesa di SS.Ippolito e Cassiano è, nelle intenzioni, destinata ad essere soppressa durante gli anni d'oro della razionalizzazione leopoldina per essere poi accorpata alla più celebre e monumentale S.Paolo a Ripa d'Arno. Il suo primo decreto di soppressione è varato nel 1786, ma a causa di buchi nel bilancio e problemi di gestione, l'effettiva soppressione si realizza il 24 agosto 1799. Le motivazioni e le intenzioni rimangono però le stesse stipulate tredici anni prima e sono le medesime indicate anche per S.Lorenzo. A differenza di questa, però, vengono date precise disposizioni affinché la struttura, situata nell'odierna Piazza Saffi che tutt'oggi raccorda Via Crispi al ponte Solferino, venga preservata come oratorio, funzione che svolge almeno fino al 1815, fungendo anche da sede di compagnia laicale. Tra il 1815 e il 1870 circa l'isolato occupato dalla chiesa viene poi convertito a “casamento”, benché non si sappia quanto delle strutture della chiesa venga preservato in questa fase. Dopo il 1870 l'intera area è interessata da notevoli cambiamenti conseguenti alla costruzione della stazione e alla volontà di posizionare un nuovo ponte in asse con l'odierna Via Roma. La strada di congiunzione tra le due nuove opere, l'attuale Via Crispi, viene dunque tracciata a scapito di una serie di edifici che vengono espropriati e demoliti, tra cui anche il casamento ricavato dalla chiesa dei SS.Ippolito e Cassiano. Ad oggi lo spazio svolge funzioni di strada e parcheggio.

Nonostante la politica rigorosa in materia ecclesiastica portata avanti da Pietro Leopoldo, con il subentro di Ferdinando III nel 1790 molte compagnie e confraternite vengono ripristinate assieme ad un serie di concessioni al clero che portano nuovamente al dissesto finanziario.45 Con l'annessione della Toscana all'Impero francese si assiste però alla seconda ondata di soppressioni, voluta da Napoleone. Il governo centrale nel febbraio 1808 ordina un censimento dei conventi e del loro stato patrimoniale, mentre il 21 aprile dello stesso anno viene varato un decreto imperiale dall'amministratore Dauchy volto a sancire la vera e propria soppressione dei conventi, dei monasteri e anche delle corporazioni religiose dedite ad altre occupazioni come l'assistenza pubblica o l'istruzione.46 Dopo i ripristini attuati da Ferdinando III, le soppressioni napoleoniche sono volte in gran parte a risanare nuovamente il debito pubblico, benché portate all'estremo rispetto al precedente intervento leopoldino.

Le chiese di S.Sebastiano e SS.Cosimo e Damiano vengono entrambe soppresse nel febbraio 1811. L'esistenza delle rispettive cure viene però in parte preservata e le due chiese vengono rispettivamente accorpate ai monasteri soppressi di S.Maria del Carmine e S.Antonio in

45 CATALDI, 2008, p.265.

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Spazzavento. Questi, infatti, vengono a loro volta soppressi come conventi, ma preservati come strutture, risultando dotati di ambienti più spaziosi e decorosi per assolvere funzioni parrocchiali.

S.Sebastiano, situata dietro le Logge dei Banchi, deve però parte della sua fortuna alla posizione centrale che ricopre sia per essere posta sulla prosecuzione di Via S.Martino, sia per avere nelle immediate vicinanze un edificio importante come le Logge dei Banchi e il tracciato dell'attuale Corso Italia. La sua posizione resta dunque centrale nel corso dei secoli, salvandola inizialmente dalle volontà di soppressione leopoldine che si dirigono poi, come già visto, su S.Egidio. Pur subendo l'iniziativa napoleonica, è nuovamente la sua posizione a giocare a suo favore nel corso dell'800. Tra il 1811 e il 1816 S.Sebastiano viene utilizzata come magazzino per carrozze, ma tra 1816 e 1820 viene riaperta al culto come sede di compagnia laicale proprio in virtù della sua centralità. Per lo stesso motivo viene anche ripristinata come parrocchiale, ruolo che ricopre nuovamente tra 1820 e 1839 quando viene soppressa per la seconda volta essendo, a conti fatti, una cura piccola e povera, seppur centrale. Dal 1839 alla sua distruzione rimane sede di compagnia laicale, pur continuando a non versare in ottime condizioni economiche. Un primo progetto di demolizione avviene in seno ai “diradamenti igienici” promulgati dal regime: essendo però il progetto in questione datato 1942, la guerra ormai divampata ne impedisce la realizzazione.

La chiesa di SS.Cosimo e Damiano, invece, posta all'incrocio tra l'odierna Via la Maddalena e Via S.Antonio, resta soppressa soltanto dal 1811 al 1817. Dopodiché viene ripristinata come parrocchia e tale resta fino alla sua distruzione.

3.4.3. I bombardamenti

Sia S.Sebastiano, sia SS.Cosimo e Damiano vengono distrutte dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. La loro scomparsa, quindi non dipende da una volontà precisa di organizzazione spaziale, ma dall'opera di distruzione perpetrata dagli alleati tra il 31 agosto 1943 e il 2 settembre 1944 che va a colpire indistintamente edifici civili e religiosi, monumenti storici e abitazioni. Infatti, S.Sebastiano e SS.Cosimo e Damiano, pur essendo le uniche due chiese qui trattate a subire gli effetti dei bombardamenti, non sono le sole distrutte o profondamente danneggiate in questo frangente.47

S.Sebastiano viene probabilmente distrutta nell'estate del 1944, a ridosso della liberazione di Pisa, trovandosi sulla linea del fronte nelle ultime fasi belliche che vive la città. Una volta

47 Un'altra chiesa di Chinzica distrutta dai bombardamenti e non più ricostruita è l'oratorio di S.Giovanni in Spazzavento (posta nella cura di SS.Cosimo e Damiano e nelle immediate vicinanze di S.Antonio) qui non trattato poiché mai destinato a funzione parrocchiale.

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distrutta, a differenza di molte altre danneggiate nel conflitto, non viene ricostruita, né in loco, né altrove. Questo fatto sottolinea come non ci sia abbastanza interesse a ricostruire un edificio ecclesiastico ormai povero, nonostante la posizione centrale e la lunga storia alle spalle. L'isolato viene però ricostruito e attualmente ospita una banca.

Rispetto a SS. Cosimo e Damiano, non si conosce il momento esatto in cui viene distrutta, ma il quartiere di S.Antonio in cui si trova viene colpito a più riprese e tra il 1943 e il 1944 risultando a conti fatti uno dei più danneggiati. La stessa chiesa, a fine conflitto, è totalmente rasa al suolo. Tuttavia sembra essere l'unica di queste ritenuta storicamente importante, sebbene non abbastanza per riprendere il suo esatto posto nel tessuto urbano durante la ricostruzione del dopoguerra. L'area un tempo occupata dalla chiesa resta per decenni uno degli esempi di luogo colpito dagli eventi bellici che non viene ripristinato, né destinato a nuovo uso, bensì lasciato a se stesso in una situazione di degrado. Solo in tempi recenti l'intero spazio occupato un tempo dalla chiesa viene riconvertito a piccolo parco per bambini chiamato appunto “SS.Cosimo e Damiano”, assumendo quindi la connotazione di ritrovato spazio pubblico. Inoltre, un'omonima chiesa viene in realtà costruita e consacrata nel 1962 nella zona di S.Marco, in Via Montanelli. Sebbene le fattezze della nuova chiesa siano diverse, la costruzione di una struttura omonima conferma la maggiore importanza storica di SS.Cosimo e Damiano rispetto alle altre sette chiese soppresse, cosa che già si evince dalla maggiore quantità di fonti documentarie ad essa relative. La scelta di un diverso luogo di ri-fondazione può invece rispondere all'esigenza di avere una chiesa parrocchiale in una zona della città in espansione piuttosto che nel panorama già saturato del centro storico, cogliendo l'occasione per ricordare nel nome la SS.Cosimo e Damiano distrutta.

Si possono notare percorsi e destinazioni comuni nella maggior parte di queste otto chiese. Nessuna di esse viene immediatamente distrutta dopo la soppressione. Sei chiese su otto (S.Verano, S.Egidio, S.Cristofano, S.Andrea, SS.Ippolito e Cassiano e S.Sebastiano) continuano ad espletare per periodi più o meno lunghi una funzione connessa al rituale religioso diventando oratori, sedi di compagnie laicali e cimitero. Nel successivo riuso laico quattro chiese su otto (S.Cristofano, S.Lorenzo, S.Egidio e SS.Ippolito e Cassiano) svolgono funzione abitativa oppure ospitano botteghe: di queste solo le prime due riadattano i preesistenti locali, mentre per le restanti due non si hanno elementi sufficienti per capire quanto venga riusato e quanto venga costruito ex novo. Tra tutte, soltanto una, S.Sebastiano, si trova ad espletare una funzione totalmente diversa da quelle sopracitate, divenendo deposito e magazzino.

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(S.Cristofano e S.Sebastiano) sono oggetto di iniziative comunali che non vengono realizzate, mentre in generale la maggior parte delle aree occupate dalle otto chiese sono interessate da lavori pubblici di una certa portata. S.Cristofano e SS.Ippolito e Cassiano sono coinvolte nei cambiamenti urbanistici della seconda metà dell'800. S.Andrea e S.Lorenzo vivono in presa diretta alcune iniziative del regime fascista che sanciscono la loro scomparsa, e, inoltre, sono entrambe oggetto di scavi archeologici tra il 2003 e il 2005. Le aree un tempo occupate dalle stesse due chiese e da SS.Cosimo e Damiano vivono poi, sempre in tempi recenti, un'ulteriore fase di sistemazione per superare una condizione di prolungato degrado. Arrivando dunque fino ai giorni nostri, solo tre chiese su otto (S.Cristofano, S.Andrea e SS.Cosimo e Damiano) lasciano in loco alcuni elementi riconducibili alla loro passata presenza.

Si può osservare infine che le zone e gli isolati un tempo occupati dagli otto edifici ricoprono oggi fondamentalmente due funzioni equamente ripartite. Quattro di essi sono divenuti spazi pubblici: due parchi dove c'erano S.Andrea e SS.Cosimo e Damiano, e due piazze dove c'erano SS.Ippolito e Cassiano e S.Lorenzo. I restanti quattro spazi, ossia quelli dove erano presenti S.Verano, S.Egidio, S.Cristofano e S.Sebastiano sono invece occupati da edifici che ospitano servizi per i cittadini e abitazioni.

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