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Capitolo II Allegoria della Virtù e del Vizio

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Academic year: 2021

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2.1 - L’Allegoria della Virtù e del Vizio

Come Binotto1 ha ribadito, è fatto ormai inconfutabile che il dipinto (fig.1) qui in esame - un olio su tavola di 56,5 x 42,5 cm, conservato alla National Gallery of Art di Washington – fu concepito da Lorenzo Lotto in qualità di coperto per il Ritratto di Bernardo De’ Rossi, vescovo di Treviso e primo committente noto del pittore. Dagli inventari compilati dal notaio della curia Giovanni Novello la tavola, definita per l’appunto “coverta del quadro del retratto”, risultava far parte delle “robe imballate” - di proprietà del De’ Rossi - nella città veneta il 17 marzo 1510.2

Il “retratto” a cui si riferiva il Novello era uno degli esemplari da lui menzionati nei medesimi inventari studiati da Liberali3, che spiegava: «la loro compilazione fu una delle tante misure di precauzione prese dal prelato in previsione e attuazione del suo trasferimento alla Curia romana» […] «una cura tutta personale e meticolosissima del suo fattore, not. Giovanni Novello. Un primo “Inventario” risulta di tre elenchi, compilati in tempi diversi: il 1° elenco» […] «comprende le “robe imballate”: in uno di questi imballi si trovano» […] «una “coverta del quadro del retratto”» […] «Tutti e tre gli elenchi riguardano cose esistenti ancora nell’episcopio di Treviso» […] «Un secondo» […] «Consta di due scelte dei medesimi capi elencati nel precedente inventario» […] «dei riservati alla casa del monsignore» […] «“uno quadro dove è retratato suso la figura de monsignore rev.mo di Rossi”» […] «il 1° elenco, “Inventario de li robi lasciati a Venezia”» […] «è oltremodo interessante per» […] «“uno quadro cum uno rettrato del rev.mo vechio”».

Se da un lato non vi erano dubbi circa il fatto che il coperto, citato nel I° inventario delle suppellettili del prelato, dovesse essere individuato nell’ Allegoria della Virtù e del Vizio, dall’altro l’identificazione del ritratto a cui la sovraccoperta era destinata non poteva essere effettuata con la stessa sicurezza. In ogni caso il critico ipotizzava che la scelta dovesse ricadere o sul “quadro cum uno rettrato del rev.mo vechio”, che Novello ricordava nell’inventario degli oggetti “lasciati in casa a Venezia”, datato 25 aprile 1511, o sul “quadro dove è retratato suso la figura de monsignor rev.mo di

1

M. Binotto, Lotto “al bivio”: la dialettica di virtus e voluptas nella pittura profana, in Lorenzo

Lotto, a cura di G. C. F. Villa, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 2 marzo - 12

giugno 2011), Milano, 2011, pp. 260-265.

2

Il vescovo era stato confinato a Treviso in seguito alle vicende di Cambrai.

3

G. Liberali, Lotto, Pordenone e Tiziano a Treviso. Cronologie, interpretazioni ed ambienti inediti, in “Memorie dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”, XXXIII, 3, 1963, pp. 23-26.

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Fig. 1 Allegoria della Virtù e del Vizio, 1505, olio su tavola, 56,5 x 42,5 cm, Washington, National Gallery of Art, Samuel H. Kress Collection, 1939

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Fig. 2 Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi, 1505, olio su tavola, 52 x 40 cm, Napoli, Museo di Capodimonte

Rossi”, incluso nell’inventario relativo ai beni “depositati a S. Spirito in Venezia” del 4 luglio 1511. Quindi, lo studioso informava che alla morte di Bernardo De’ Rossi4 tutti i suoi beni erano passati ad Eliseo Filomeno, canonico di Torcello e suo ultimo cancelliere. Nel novembre del 1528 i dipinti sarebbero giunti così a Venezia, presso la casa di Graziano de Grassis, dove il protonotario risiedeva; proprio a lui sarebbe spettato il compito di portare avanti le pratiche relative all’eredità. Purtroppo non siamo a conoscenza della data esatta in cui l’effigie del De’ Rossi e il suo coperto giunsero a Parma e tantomeno il perché furono separati5; ciò su cui non si può

4

F. Cortesi Bosco, in “Venezia Cinquecento”, 19, X, 2000, p. 95. La studiosa ricorda che la sua dipartita era avvenuta il 23 giugno 1527 a Parma durante il viaggio che da Roma lo avrebbe condotto a Venezia e che ancora oggi è avvolta in un alone di mistero.

5

D. A. Brown ( in Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento, 1997, ed. 1998) avanzava l’ipotesi che Lotto, dipingendo l’Allegoria, avesse optato per una composizione più elaborata rispetto a quelle che caratterizzano altri famosi coperti, come ad esempio quello che accompagna il dűreriano

Ritratto di Hieronymus Holzschuher su cui è raffigurato un motivo araldico. Nel coperto di

Washington Lotto elabora una rappresentazione complessa, in cui le figure sono situate in un paesaggio, dando vita ad un’opera che può essere ammirata anche separatamente dal ritratto. Egli affermava: «Dev’essere stata grande la tentazione di trattare la sovraccoperta come opera d’arte

indipendente, ovvero, in altri termini, di staccarla dal ritratto. E ciò potrebbe essere successo non molto tempo dopo il suo completamento, dal momento che è elencata separatamente negli inventari

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dubitare è la presenza, sul finire del secolo successivo, del ritratto (ora a Capodimonte) nel Palazzo del Giardino di Parma, come testimonia il relativo inventario del 1680. Nel 1734 l’opera avrebbe raggiunto la sua collocazione definitiva, Napoli.

Binotto6 si è chiesta se potesse essere stata questa l’occasione della separazione delle due tavole: a fine ‘700, infatti, l’Allegoria era ancora documentata da Affò (Memorie degli scrittori e letterati, 7 voll., Parma, 1789-1833) a Parma, presso la dimora dell’avvocato della Camera Ducale Antonio Bertioli. Nel visionare il quadro, lo studioso si era accorto della presenza di un’iscrizione dipinta sul verso della tavola che, non solo ne rivelava la data di esecuzione e la paternità lottesca, ma riportava anche il nome e l’età del De’ Rossi. Essa recitava: « BERNARD. RUBEUS / BERCETI COM. PONT / TARVIS. NAT. / ANN. XXXVI. MENS. X. D. V./ LAURENT. LOTUS P. CAL. / IVL. M. D. V. ». Nel 1803 Federici7 (Memorie trevigiane sulle opere di disegno, 2 voll., Venezia, 1803) riprendeva il commento al dipinto espresso dal collega riportando, però, l’epigrafe in una versione leggermente diversa; anni dopo Crowe e Cavalcaselle8 avrebbero citato l’iscrizione in questa seconda versione e così avrebbe fatto la critica successiva fino al 1934, quando finalmente l’opera tornò sul mercato antiquario.

Grazie a Morelli9 sappiamo che negli anni ’80 del XIX secolo la tavola era di proprietà del pittore e collezionista bergamasco Giacomo Gritti e che a quell’epoca essa non versava in buone condizioni conservative. Dopo essere stata sottoposta ad un intervento di restauro - definito “infausto” da Frizzoni10 - essa lasciò l’Italia per approdare in Inghilterra. Nel 1934 l’Allegoria apparve in una vendita Sotheby’s di

del Rossi del 1510-11». Lo stesso concetto è ribadito da S. Ferino-Pagden ( in Bellini, Giorgione, Titian, and the Renaissance of Venetian painting, 2006, pp. 248-249).

6

M. Binotto, op. cit., pp. 260-265.

7

La sua trascrizione dell’epigrafe era la seguente: “BERNARDUS RUBEUS / BERCETI COMES PONTIF. TARVIS. / AETAT. ANN. XXXVI. MENS. X. D. V./ LAURENTIUS. LOTTUS P. CAL. / IVL. M. D. V.”.

8

J. A. Crowe, G. B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy, 3 voll., Londra, 1871.

9

G. Morelli, Die Werke italienischer Meister in den Galerien von Műnchen, Dresden und Berlin (“Opere dei maestri italiani nelle Gallerie di Monaco, Dresda e Berlino”), Lipsia, 1880.

10

G. Frizzoni, Kőnigliche Museen zu Berlin. Beschreibendes Verzeichnis der Gemälde im Kaiser

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cui Borenius11 ci ha lasciato un commento dal quale sappiamo che l’epigrafe sul verso era scomparsa, sostituita da un “foglietto di carta” applicato al telaio che riportava fedelmente l’iscrizione nella versione di Affò; Shapley12 successivamente rese noto il fatto che l’anno successivo, quando il dipinto aveva ormai raggiunto gli Stati Uniti, anche del suddetto “foglietto” non vi era più traccia.

Ma è necessario fare un passo indietro e tornare a prima del ritrovamento dell’opera a Londra nel ’34: intorno agli anni ’10, infatti, Glűck13 - consapevole dell’esistenza dell’epigrafe e del fatto che entrambe le tavole inizialmente dovessero trovarsi nella città natale del vescovo - per primo intuiva l’esistenza di un legame fra l’Allegoria e il Ritratto De’ Rossi, avanzando l’ipotesi che la prima fosse stata realizzata dall’artista proprio in funzione di coperto protettivo del secondo14. Egli suggeriva inoltre che le due opere fossero state unite non tramite una cerniera bensì, come nel caso del Ritratto di Hieronymus Holzschuher di Dűrer (fig. 3-4), secondo la modalità dello scorrimento dell’una su binari applicati sul supporto dell’altra.

A proposito della consuetudine di dotare i ritratti di una sovraccoperta, Lina Bolzoni15 ha recentemente affermato: «Sappiamo che effettivamente i ritratti più privati potevano essere conservati (e nascosti) entro custodie di legno o di altro materiale, alcune delle quali, in genere di area nordica, sono giunte fino a noi e ci permettono di farci un’idea precisa dei modi in cui i ritratti venivano riposti e utilizzati». Secondo il parere della studiosa, dunque, le due tavole lottesche rientrerebbero nell’ambito della tipologia del doppio ritratto - genere minore molto diffuso nella “stagione” del ritratto rinascimentale - in cui alla rappresentazione del volto viene accostata un’immagine (uno stemma nobiliare, un emblema o un’impresa con motto) collocata su di un altro supporto. Lo spettatore, davanti ad un ritratto

11

T. Borenius, in “The Burlington Magazine”, LXV, 380, novembre, 1934, pp. 228-231. Come sottolineava Brown (op. cit., 1997 ed. 1998, p. 79) allo studioso andrebbe riconosciuto non solo il merito di aver riscoperto l’opera ma anche quello di aver sollevato per primo un interrogativo essenziale: che tipo di rapporto lega il coperto allegorico con Giorgione e nello specifico con la celebre Tempesta?

12

R. Shapley, Paintings from the Samuel H. Kress Collection, Londra, 1968, pp. 157-158.

13

G. Gluck, Ein neugefundenes Jugendwerke Lorenzo Lottos, in “Kunstgeschichtliches Jahrbuch”, 4, 1910, pp. 212-227.

14

Che vi fosse un legame fra l’opera e il vescovo era assodato sin dal momento in cui l’iscrizione sul retro della tavola era stata scoperta, ma nessuno prima di G. Glűck aveva ipotizzato che si trattasse di una tavola con funzione protettiva di un’altra opera e che quest’opera fosse proprio l’effigie del De’ Rossi conservata a Capodimonte.

15

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dotato di coperto, diventerebbe a suo dire «un utente complice, pronto a partecipare attivamente alla riscoperta e, per certi aspetti, alla creazione del senso» 16. Secondo Bolzoni la presenza del coperto allegorico avrebbe influenzato la fruizione del ritratto di Bernardo: «Il coperchio, dipinto su un pannello leggermente più grande del ritratto, “scorreva lungo una scanalatura nella cornice”. Il volto e il busto monumentale del vescovo erano dunque destinati a essere scoperti poco a poco, attraverso un procedimento in cui le due immagini restavano compresenti e insieme assumevano via via una diversa importanza, in una specie di teatrale dialogo capace di continuare e di crescere su se stesso» 17.

Anche Brown18 e Humfrey19 si erano espressi a proposito del genere del doppio ritratto. Il primo - sottolineando il fatto che le dimensioni della tavola raffigurante il De’ Rossi non coincidono con quelle della sovraccoperta, di poco più grande sia orizzontalmente che verticalmente - aveva già descritto il meccanismo utilizzato per tenere insieme le due opere ed evidenziato, per di più, la scarsità di doppi ritratti conservatisi così bene nel tempo: «Sebbene l’uso di custodie dipinte a protezione dei ritratti possa essere stato un tempo piuttosto comune, sono poche quelle giunte sino a noi. L’ “Allegoria” di Lotto era evidentemente un coperto del tipo scorrevole piuttosto che a cerniera: il pannello leggermente più grande scorreva lungo una scanalatura nella cornice, come si evince dai bordi superiore e inferiore, che sono relativamente larghi e non dipinti. In origine l’insieme si presentava probabilmente come il “Ritratto di Hieronymus Holzschuher” di Dűrer (1526) oggi a Berlino» […] «conservato completo di custodia». Humfrey20, d’altro canto, aveva affermato: «A volte» […] «si attaccavano due ritratti con un sistema a cerniera al fine di ottenere un dittico pieghevole, che veniva successivamente dipinto sui due versi. Al contrario, nel caso del “Ritratto De’ Rossi”» […] «il coperto era di tipo scorrevole e costituito da un pannello separato leggermente più ampio che originariamente era attaccato al ritratto mediante un sistema di scorrimento simile a quello tuttora conservato nel ritratto di Dűrer di “Hieronymus Holzschuher” del 1526».

16

Ibid., p. 234.

17

L. Bolzoni, op. cit., p. 275.

18

D. A. Brown, op. cit., p. 78.

19

P. Humfrey, Lorenzo Lotto, New Haven, 1997.

20

(7)

Fig. 3 Albrecht Dűrer, Ritratto di Hieronymus Holzschuher, 1526, olio su tavola

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Secondo il critico, l’uso di dotare il ritratto di un coperto e di esporli insieme come un tutt’uno doveva molto probabilmente ispirarsi all’esempio analogo delle medaglie con ritratto, sul cui verso venivano in genere rappresentate le imprese personali relative al soggetto effigiato. Nel caso di Lotto lo scopo sarebbe stato quello di «fornire un brevissimo compendio della personalità interiore oppure della filosofia di vita dell’effigiato utilizzando i linguaggio allegorico».

2.2 - Un significato morale per l’Allegoria

Ciò che ancora oggi presenta delle difficoltà è l’individuazione dell’episodio della vita del De’ Rossi al quale farebbe riferimento la data (1505) indicata dall’epigrafe che per secoli aveva accompagnato il dipinto. Glűck21 si domandava perché il nome del prelato fosse al caso nominativo piuttosto che al dativo, come è consuetudine nelle dedicazioni. Egli metteva dunque in dubbio l’ipotesi - sostenuta da Federici, Crowe-Cavalcaselle e Biscaro22 - secondo cui Lotto avrebbe realizzato il dipinto in esame come segno di gratitudine nei confronti del suo protettore.

Secondo Liberali23, che coglieva ogni elemento della composizione come simbolico, il pittore avrebbe piuttosto voluto alludere nel coperto alle sventure della Famiglia De’ Rossi: «Si tratta evidentemente di un’allusione, più che a concetti astratti, ai disgraziati casi familiari dei Rossi: sull’antico ceppo gentilizio vigoreggiante (fino alla guerra di Ferrara) dei numerosi rami discesi da Pier Maria (lo scudo alla base), al quale rendono omaggio le lettere e le arti (il genietto fra gli strumenti rispettivi) e il fasto rinascimentale della Casa (il satiro fra anfore traboccanti di vini e di latte), non smentito dal superstite prelato, anche gli ultimi della famiglia sono stati troncati, sia dalla tempesta bellica e dalle confische di Ludovico il Moro (scudo con la Gorgone) sia dalle ragioni di Stato della Repubblica veneta (la nave pericolante) che nella pace di Bagnolo (agosto 1484) ne aveva sacrificato la promessa restaurazione: e, invece, lussureggia il getto giovanile del giovanissimo Bernardo, di anni XXXVI, mesi X, giorni 5 (è l’iscrizione!). A meno che, quel ramo, laterale e tardo non voglia rappresentare il cugino Troilo che il Moro ha

21

G. Glűck, op. cit., pp. 212-227.

22

G. Biscaro, Lorenzo Lotto a Treviso nella prima decade del secolo XVI, “L’Arte”, 1901, I, fasc. III-V, 1898.

23

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riconosciuto unico legittimo erede delle possessioni di Pier Maria, e al quale Bernardo contesterà accanitamente e inutilmente per tutta la vita la successione, piatendo e intrigando fino alla nausea, e fregiandosi, per protesta, nei sigilli, nelle insegne e nelle firme, del titolo di “Comes Berceti”» […] «Il Cupido alato, che pare scendere dagli aviti gioghi appenninici, può significare l’intervento benigno del Cielo contro i suoi attentatori, allora finalmente dabellati in giudizio».

L’apparato di simboli elaborato da Lotto avrebbe avuto, dunque, la funzione di un vero e proprio monumento dinastico, di un memoriale psicologico. Dello stesso parere era Gentili24, secondo il quale il ritratto del religioso avrebbe avuto lo scopo di riaffermare la sua persona, di riabilitarla agli occhi della società, non solo in quanto mero individuo ma soprattutto in quanto rappresentante del potere ecclesiastico. L’ipotesi dello studioso è stata accolta anche da Pochat25, Humfrey26 e Ferino-Pagden27, la quale pochi anni fa affermava: «gli studiosi sono d’accordo che esso presenti una scelta morale tra la virtù e il vizio» […] «La morale è che Rossi, che era di recente sopravvissuto ad un tentativo di assassinio quando Lotto dipingeva il suo ritratto, avrebbe prevalso sui suoi nemici e che, attraverso studio e ferma virtù, avrebbe conseguito un’illuminazione intellettuale e spirituale. Il coperto allegorico di ritratto di Lotto offre evidenza precoce sia della durevole fascinazione per i simboli e gli emblemi sia le sue eccezionali doti di pittore di paesaggio».

Come giustamente ricorda anche Binotto, il coperto realizzato da Lotto è stato oggetto di interpretazioni di varia natura nel corso dei decenni, talvolta anche molto distanti tra loro a causa della presenza di una svariata serie di dati emblematici; tutta la critica è stata d’accordo, però, nell’individuare una bipartizione della

24

A. Gentili, I giardini di contemplazione, Roma, 1985, pp. 78-79.

25

G. Pochat, in “World and Image”, I, 1, gennaio-marzo, 1985, p. 5.

26

P. Humfrey, op. cit., p. 11: «il significato generale sembra essere abbastanza chiaro» […] «la virtù

e la ragione presentano un cammino inizialmente faticoso e irto di difficoltà, ma alla fine premiante perché conduce verso la felicità e la pienezza; l’appagamento degli appetiti puramente sensuali procura piacere a breve, ma alla fine conduce inevitabilmente alla rovina. Il desiderio del De’ Rossi di corredare il proprio ritratto con un’immagine rappresentativa della filosofia stoica della sua esistenza fu certamente suscitato dalla crisi del 1503» […] «È inoltre probabile che De’ Rossi si sia riconosciuto nel ruolo dell’uomo giusto, afflitto dalle sofferenze e circondato dai nemici, ma comunque in grado di sopravvivere e di operare senza mai abbandonare la via della virtù».

27

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composizione sia a livello spaziale che simbolico. Ai lati dell’albero posto al centro sono rappresentati due paesaggi antitetici: questi stanno a significare la scelta tra la virtus / vita contemplativa e la voluptas / vita voluttuosa. È proprio a partire dall’albero - definito talora una pianta di olivo28 , un alloro29 e in alcuni casi anche una quercia o leccio30 - che deve procedere l’analisi degli elementi simbolici che caratterizzano l’ Allegoria. Alla sua base è appeso uno scudo sul quale è impresso lo stemma nobiliare della famiglia De’ Rossi, raffigurante un leone bianco rampante in campo azzurro, visibile peraltro anche sull’anello che il vescovo parmense porta all’indice della mano destra nel ritratto di Napoli.

Secondo il parere di Gabriele31 Lotto, nel rappresentarlo, si sarebbe ispirato al motivo iconico dei blasoni disposti sugli alberi genealogici nobiliari, la cui ampia diffusione durante il Rinascimento sarebbe stata in seguito confermata anche da Andrea Alciato32 in alcuni suoi emblemi (fig.5). Sull’identificazione dell’impresa araldica della famiglia De’ Rossi non vi sono dubbi dal momento che essa (fig. 6) compare anche nell’opera che ne racconta le vicende: Dell’Historia De’ Rossi Parmigiani di Vincenzo Carrari33. Accanto allo stemma con leone rampante possiamo notare la presenza di un altro scudo “di cristallo” che, sorretto da “un nastro rosa svolazzante” “Avviluppato al moncone spezzato” mostra la testa di

28

A sostenere questa ipotesi sono ad esempio Galis Wronski (1977, p. 193), Mariani Canova (1975, p. 88), Pochat (1985, p. 5) e D. A. Brown (1997 ed. 1998, p. 78-80). La pianta era tradizionalmente considerata sacra a Minerva. Mariani Canova affermava: «La scelta tra le due vie è indicata dalla

sapienza (albero con ramo d’ulivo e stemma di Gorgone, simboli di Minerva)». Brown sarebbe stato

d’accordo con la studiosa : «L’albero spezzato da cui si diparte un ramo ancora vivo» […] «non è

l’alloro di Minerva come si potrebbe dedurre dallo stemma con testa di Gorgone appeso al tronco con un nastro rosa svolazzante» […] «Né l’albero in questione è una quercia come è stato sostenuto da alcuni autori» […] «è diverso dalla quercia raffigurata dall’artista con le sue caratteristiche foglie a ghiande nella “Pala di Asolo” del 1506. Una terza ipotesi, quella a favore dell’ulivo - avanzata da Galis, Mariani Canova e Pochat – non è da escludere, essendo anche quest’albero sacro a Minerva, ma il fogliame dell’albero è forse troppo generico per consentire un’identificazione sicura».

29

Ne erano convinti A. Pigler (1953-54, p. 166) e P. Humfrey (1997, p. 46); l’alloro è da sempre interpretato come simbolo di saggezza.

30

A. Gentili (1985, pp. 86, 91-92; 1980 ed. 1988, p. 98, n. 5), F. Cortesi Bosco (1987, p. 348) e A. Dűlberg (1990, p. 144, n. 917). L’ipotesi è stata recentemente accolta anche da Binotto (op. cit., pp. 260-65): «La scelta dell'immagine pitagorica del “bivio” è emblemata nel tronco spezzato della

quercia, fulcro compositivo e simbolico della scena».

31

M. Gabriele, 2009, p. 21-25.

32

A. Alciati, Emblemata, ed. 1567.

33

V. Carrari, Historia De’ Rossi Parmigiani, 1538, pp. 195-196. Nell’opera è riportato dall’autore l’episodio dell’attentato alla vita di Bernardo De’ Rossi.

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Medusa”. Gandolfo34, che rimandava a Pausania e Nonno, era convinto che tale scudo dovesse essere interpretato come richiamo al potere pietrificante della Gorgone: «Alla cima della spezzatura è appeso lo scudo mitico con la testa della Medusa: simbolo alterno di un impossibile e non voluto regresso all’età primordiale, al mondo saturnino della voluptas e di una dispersione degli strumenti di quel mondo individuati ai piedi dell’albero e distinti rispetto agli strumenti geometrici scelti dal putto» […] «si connette» […] «in termini antitetici al tema dionisiaco. Secondo una versione mitica riportata da Pausania e dalle “Dionisiache” di Nonno, Perseo, uccisore della Gorgone e possessore dello scudo, avrebbe combattuto ad Argo contro Dioniso ed Arianna che vi erano giunti da Creta per mare: egli avrebbe disperso e pietrificato il corteo dionisiaco proprio mostrando lo scudo magico, il quale assume dunque nel dipinto del Lotto un preciso valore di antitesi e di esorcizzazione dell’attitudine dionisiaca descritta nel settore destro ».

Completamente diversa risulta, invece, la lettura di Lara Sabbadin35 che ha riconosciuto nello scudo il blasone del notaio, poeta e antiquario Girolamo Bologni: questi, attivo a Treviso negli stessi anni in cui Lotto era al servizio del De’ Rossi, era uno dei massimi esponenti dell’Umanesimo trevigiano e membro della cerchia di intellettuali che ruotava attorno alla figura del vescovo. Consapevole che la bipartizione della scena, realizzata come già accennato grazie al posizionamento di un tronco d’albero al centro della composizione, si rifà al classico schema del “paysage moralisé”, Humfrey36 rilevava “una generale somiglianza dell’Allegoria di Washington con l’incisione dell’Ercole al bivio (fig.7) di Dűrer del 149837 e descriveva la scena in questi termini:

34

F. Gandolfo, Il dolce tempo, Roma, 1978, p. 32.

35

L. Sabbadin, in Lorenzo Lotto, a cura di G. C. F. Villa, scheda 50, 2011, pp. 264-265.

36

P. Humfrey, op. cit., p. 11;

37

il mito racconta che Ercole, come il vescovo, sarebbe stato costretto a scegliere fra “il rigore della virtù e la seduzione del vizio”.

(12)

Fig. 5 Emblema XXXII, Emblemata, Andrea Alciati, ed. 1567

Fig. 6 Stemma nobiliare della famiglia De’ Rossi, Historia de’ Rossi Parmigiani, Vincenzo Carrari, 1583

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Fig. 7 Albrecht Dűrer, Ercole al bivio, 1498, incisione

«Un tronco d’albero spezzato posto al centro della composizione divide il dipinto in due sezioni verticali, ciascuna delle quali mostra un paesaggio dalle caratteristiche nettamente contrastanti» […] «Sulla sinistra, il lato verso il quale si rivolge lo scudo con lo stemma del leone rampante della famiglia De’ Rossi, il terreno è brullo e la siepe è irta di spine, e il putto inginocchiato tra i suoi strumenti matematici e musicali è impegnato e attento. Sopra di lui l’albero morto mostra un ramo ricco di foglie; dietro di lui il mare è calmo e la terra soleggiata. A metà del sentiero in salita, sullo sfondo, si nota la figura di un altro putto, o forse si tratta dello stesso putto ora provvisto di un paio d’ali, mentre si alza in volo verso una luminosità abbagliante. Sulla destra, al contrario, la vegetazione è rigogliosa e invitante e il satiro che vi è seduto si è abbandonato ai piaceri del vino, all’ignavia e alla lussuria. Al suo fianco un’anfora rovesciata lascia colare esternamente il suo contenuto; sullo sfondo nubi temporalesche buie e minacciose si addensano intorno al relitto di una nave. Su questo lato l’albero è spoglio e lo stemma di cristallo con la testa di Gorgone è segno di pietrificazione e morte».38

38

(14)

Il critico - pur ricordandoci che in quegli anni a Treviso, come del resto in tutto il Veneto, era molto facile reperire le stampe dell’artista norimberghese - faceva tuttavia notare che Lotto non avrebbe ripreso il modello dűreriano alla lettera, risentendo della sua lezione più che altro da un punto di vista stilistico. L’esempio del maestro nordico si sarebbe riflesso, a suo dire, soprattutto nel vigore e nel dinamismo del paesaggio in cui la composizione lottesca è ambientata39.

Brown40, sulla scorta di De Tervarent41 ed Humfrey, ribadiva il concetto: «l’ “Allegoria” attinge alla tradizione iconografica di Ercole al bivio» […] «pone l’osservatore cui era destinato, cioè il vescovo de’ Rossi, di fronte a una scelta morale tra virtù e vizio. Tale scelta è espressa nei termini di una serie di contrasti fra le figure, le loro azioni e i loro attributi, che si estende al loro dintorno».

Secondo lo studioso il paesaggio dipinto da Lotto si distinguerebbe, invece, nettamente da quello che domina nella Tempesta di Giorgione: «A differenza della “Tempesta”, quello di Lotto è un “paysage moralisé” diviso in due zone dal troncone d’albero posto al centro: sulla destra, una rigogliosa vegetazione verdeggiante e un cupo temporale; sulla sinistra, un terreno brullo sotto un cielo che si rischiara. In tal modo la sovraccoperta commenta sul carattere dell’effigiato e al tempo stesso dà prova delle straordinarie doti di Lotto come pittore di paesaggio». Ferino-Pagden avrebbe ribadito il carattere bipartito della scena: «Nello schema bipartito di Lotto un albero morto, da cui è spuntato un ramo vivo, divide la composizione a metà. Sulla destra, un satiro ubriaco sbircia in un’anfora di vino mentre altri vasi li vicino riversano il loro contenuto. L’ambientazione è lussureggiante e verde, ma nello sfondo si è formata una tempesta, e una nave affonda fra le onde. Sulla sinistra, dove appare lo stemma del Rossi, un putto è occupato con una serie di strumenti matematici e musicali. Qui, al contrario, il terreno è roccioso. In lontananza, lo stesso fanciullo, dotato di ali, si arrampica su un sentiero verso una luce splendente che emerge dalle nuvole».

39

S. Ferino-Pagden (op. cit.) individuava l’impronta del Dűrer soprattutto nella resa delle rocce e degli alberi: «Un altro impulso dietro il paesaggio di Lotto, particolarmente il trattamento delle rocce

e degli alberi, sono le stampe di Dűrer».

40

D. A. Brown, op. cit., p. 79.

41

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2.3 - Letture iconografiche

Veniamo ora all’analisi più approfondita di quegli elementi che hanno contribuito a rendere unica l’iconografia elaborata da Lorenzo Lotto nel coperto di Washington. Shapley42, che interpretava il soggetto come rappresentazione allegorica della scelta, da parte del vescovo, della virtù quale suo principio guida, affermava: «Espressa in termini di allegoria, si presume che questa coperta per il ritratto De’ Rossi esprima il principio guida della sua vita, la sua scelta della virtù in opposizione al vizio. Sul lato del vizio un satiro tracannante vino è stravaccato fra le sue brocche in un prato fiorito; ma le nuvole si addensano sopra di lui, e una nave affonda nelle vicinanze del lido. Sul lato della virtù un bambino nudo sta prendendo degli strumenti. Compasso, squadra e flauto si riferiscono ad attività culturali, che per l’uomo del Rinascimento rappresentano la virtù. E su questo lato sta l’insegna del Rossi, un leone rampante su sfondo blu. Il terreno è sassoso, la rada vegetazione è spinosa e il sentiero è erto; ma un minuscolo genio alato, su questo lato dell’immagine, si arrampica velocemente verso il cielo chiaro con il suo splendore dalla parte della virtù che allontana le cupe nuvole del lato del vizio». Qualche tempo dopo, Mariani Canova43 - convinta anche lei della natura allegorica del dipinto, in cui distingueva un “evidente monito morale sui beni e sui mali derivanti dalle virtù e dai vizi” - rimandava alla descrizione della scena della studiosa americana. Al contrario di quest’ultima, tuttavia, sbagliava nello scambiare una delle anfore rovesciate con un teschio: «Il vizio (satiro con anfore) è foriero di morte (teschio con serpe) (?) e causa dell’inquietudine (cielo in tempesta) e della rovina della vita (nave naufragante), laddove la virtù significata dall’arte (fanciullo con gli strumenti) porta celermente (fanciullo che sale il monte) alla tranquillità della vita (colle in cielo sereno con paesaggio ubertoso)».

Sul finire degli anni ’90 Brown44 faceva notare l’errore commesso dalla studiosa: «I grappoli mettono in rapporto la coppa di vino con una delle due anfore rovesciate (scambiata talvolta per un teschio) che lascia colare vino sul terreno». Egli informava che due anni prima (1995) la tavola lottesca era stata sottoposta ad un

42

R. Shapley, 1968, pp. 157-158.

43

G. Mariani Canova, L’opera completa del Lotto, Rizzoli, Milano, 1975, pp. 87-88.

44

D. A. Brown, in Lorenzo Lotto. Il genio inquieto del Rinascimento, New Haven, 1997, ed. it. Milano, 1998.

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intervento di rimozione della vernice ingiallita nonché della ridipintura eseguita da Gritti a fine ‘800, intervento grazie al quale erano riemersi alcuni dettagli dell’opera prima difficilmente distinguibili: «nel prato, dove sta disteso il satiro ubriaco si possono ora notare dei fiorellini rossi, bianchi e azzurri, oltre al motivo in precedenza non visibile dei grappoli d’uva purpurea con foglie di un verde brillante». Un interessante elemento della composizione su cui egli si soffermava era quello dell’anfora rovesciata da cui fuoriesce del latte, per la cui spiegazione rimandava all’Alciati45: «Davanti ai grappoli c’è un mestolo di legno contenente latte, che serve a identificare il liquido bianco che fuoriesce dalla seconda anfora. Mentre i vasi rovesciati indicano l’intemperanza, il motivo del “latte versato” simboleggia specificamente il fallimento dei buoni inizi». Prendendo in esame gli Emblemata ci si imbatte, effettivamente, in un curioso emblema (fig.8) che sintetizza in modo esauriente il significato che Lotto, avrebbe inteso trasmettere nella parte destra del coperto di Washington (fig.9).

Fig.8 In desciscentes, Emblemata, Andrea Alciati, ed. 1591

45

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Lo studioso quindi continuava analizzando la parte sinistra del dipinto (fig.9): «Anche gli oggetti raggruppati attorno allo scudo del Rossi sono emersi più chiaramente» […] «un paio di libri rilegati in rosso e una varietà di strumenti geometrici e musicali. Il putto senza ali ha in mano un compasso con il quale si appresta a tracciare una figura geometrica sul terreno sassoso. Davanti a lui sono disposti una squadra, un goniometro e un altro compasso, insieme a» […] «quello che parrebbe un filo di piombo e un disco, che forse indica i gradi di un cerchio». Quello che egli definiva “disco” coinciderebbe con il “piattino bianco e circolare” in cui Binotto ha riconosciuto un astrolabio planisferico, all’epoca utilizzato - insieme al “quadrante”, che per Brown era un goniometro – per eseguire calcoli astronomici. La studiosa ha scritto: «il satiro pigro e lussurioso, inebetito dal vino, abbraccia un grande vaso, scrutandone il fondo vuoto; sul prato rigoglioso, punteggiato di fiori, sono sparsi in disordine una ciotola con il vino, un'anfora di terracotta rovesciata da cui fuoriesce del latte, un mestolo, un ramo di vite con grappoli d'uva e, infine, un'altra anfora a tre fori, che conteneva anch'essa del vino» […] «Gli effetti devastanti delle passioni smodate si vedono, oltre la quinta arborea, nel naufragio del veliero che si inabissa nel mare in tempesta» […] «Viceversa, alla sinistra del tronco d'albero un putto è intento a prendere misure con l'aiuto di un compasso di divisione, considerato in epoca rinascimentale simbolo delle arti dedicate al disegno» […] «Accanto a un altro compasso adagiato sul terreno sassoso sono sparsi, in studiato disordine, alcuni strumenti allusivi agli interessi culturali del circolo umanistico di Bernardo: l'archipendolo, che serve a misurare i piani inclinati, ha la forma di un triangolo isoscele, con le gambe unite da un traverso diviso in gradi; il quadrante, a forma di triangolo di colore dorato, come pure l'astrolabio planisferico - piattino bianco circolare - sono strumenti utilizzati nel calcolo astronomico. Le arti musicali sono rappresentate da un flauto, una siringa, un cornetto e da un cartiglio musicale».

Il monito espresso dall’artista nell’estremità destra della tavola sarebbe da ascrivere a Plinio il Vecchio46, il quale “portava ad esempio la saggezza dei Romani che libavano con il latte e non con il vino”, secondo quanto Romolo e Numa avevano

46

(18)

Fig.9 Il satiro ebbro, particolare dell’estremità destra del dipinto

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tramandato. Rimandando a Gabriele47, Binotto ha ricordato che nell’immagine del satiro ebbro Lotto avrebbe, dunque, voluto celare un “invito alla sobrietà”, successivamente riassunto da Alciato nel motto “prudentes vino abstinent” (fig.11). Per quanto concerne invece il motivo del “mare in tempesta” la studiosa ricorda che nel catalogo dell’asta londinese del 1934 (Catalogue of Old Master Drawings Valuable Oil Paintings and a Fine Rembrandt Etching, Londra, Sotheby’s, 9 maggio 1934) il “veliero” era stato scambiato per un mostro marino (“sea monster”)48. Così come - alla destra dell’albero - Lotto accostava al “modello di comportamento intemperante” incarnato dal satiro “gli effetti conseguenti” presentati nello sfondo, allo stesso modo - alla sua sinistra - legava l’immagine del putto “assorto nelle sue attività di misurazione”, raffigurato nel paesaggio brullo del primo piano, con “l’erta scoscesa del pendio che si erge oltre la barriera di rocce”. Sullo sfondo, infatti, un putto49 - forse lo stesso, anche se ora alato - si inerpica lungo un sentiero tortuoso dirigendosi verso la vetta “nascosta da una nuvolaglia infuocata”. Relativamente al “terreno sassoso” dell’estremità sinistra della tavola, la critica ha inoltre accolto l’ipotesi formulata da Gandolfo50, secondo il quale Lotto avrebbe desunto il motivo iconografico del “cespuglio spinoso” da quello presente in una delle illustrazioni della Stultifera Navis raffigurante l’Ercole al bivio (fig.12), dove la “Virtù” è immortalata mentre si sporge da un arbusto rinsecchito. Dalle indagini radiografiche condotte sul dipinto in occasione del restauro del ’95 risulta che il dettaglio paesistico del monte su cui si inerpica il putto alato sarebbe stato aggiunto dal pittore solo in un secondo momento. A ricordarcelo è Brown: « L’esame tecnico effettuato in occasione della recente pulitura rivela che la sommità nascosta tra le nubi

47

M. Gabriele 2009, pp. 285-87.

48

Alcuni decenni dopo anche M. A. Jacobsen (1982, p. 624.) avrebbe commesso lo stesso errore di cui si sarebbe invece accorto D. A. Brown (1997 ed. 1998, p. 79): «Lo sfondo a sua volta illustra le

conseguenze delle scelte presentate in primo piano. Una nave - e non un mostro marino, come ritenuto un tempo dagli studiosi - sta naufragando colpita dalla tempesta: che si tratti proprio di una nave è confermato dalla vela messa in luce durante il recente intervento di restauro». Sembra che il

critico intendesse quasi giustificare un simile sbaglio ricordando che la ridipintura rimossa durante il restauro del ’95 doveva aver in qualche modo alterato l’aspetto del veliero confondendo i suoi colleghi.

49

P. Humfrey (op. cit.) era convinto che questo fosse “provvisto di un paio d’ali”, Brown (op. cit.) giustamente notava: «un secondo putto, cui sono spuntate molteplici paia di ali, sale il ripido sentiero

che conduce all’illuminazione spirituale».

50

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Fig. 11 Prudentes vino abstinent, Emblemata, Andrea Alciati, ed. 1567

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è stata dipinta sopra la catena montagnosa visibile in lontananza, che in origine continuava fin sul bordo sinistro dell’immagine. Il secondo putto e la sommità immersa nella luce non erano quindi inclusi nella concezione originale dell’artista». Se, come ha suggerito Binotto, si confrontano le foto del dipinto scattate prima dell’intervento di pulitura con quelle successive ci si accorge di un dettaglio ora scomparso: la presenza di un altro veliero “ormeggiato a sinistra della composizione, nelle vicinanze della costa azzurrina”: «Alla divisione in verticale della scena ne corrispondeva pertanto anche una in orizzontale, individuata da una linea alle cui estremità i due vascelli simboleggiavano i concetti antitetici di “fortuna favens” e “fortuna naufraga”, secondo una iconografia diffusa nella letteratura medievale e presente anche in Petrarca».

Del resto, tempo prima Pressouyre51 - accortasi del “gioco di richiami per immagini contrapposte” per mezzo del quale l’artista aveva messo in scena il conflitto tra la “virtù” e la “fortuna”, intesa come personificazione del male - si era soffermata sui concetti contrapposti di “fortuna favens” (fig.13) e “fortuna naufraga” (fig.14) ricordando il concetto, presente già in Platone, per cui se si intende intraprendere la via della virtù è necessario farsi alleata la fortuna: «dalla parte delle arti e della saggezza dove si distende il germoglio del ceppo centrale, il mare è sereno nella baia dove è attraccata un’imbarcazione; dietro il Pan bestiale che si trastulla fra i vasi rovesciati, la tempesta inghiotte una nave» […] «Bisogna farsi alleata la Fortuna armandosi della virtù: il precetto si trova in Platone ; Marsilio Ficino l’ha commentato». Le figure 15 e 16 documentano per l’appunto la scomparsa del dettaglio del secondo veliero, che Lotto aveva collocato nell’estremità sinistra della tavola. Ai tempi in cui la studiosa francese prendeva in esame l’opera lottesca era ancora possibile distinguere l’imbarcazione, che era raffigurata lungo la costa (fig. 15).

51

S. Pressouyre, in Actes du colloque international sur l’art de Fontainebleau, a cura di Chastel, Parigi, 1975, pp. 127-139.

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Fig.13 Fortuna favens

(23)

Fig. 15 particolare dello sfondo della tavola con il veliero ormeggiato

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2.4 - Lotto e il paesaggio

La critica è unanime nel ritenere che, durante il primo lustro del XVI secolo, Lotto, insieme a Giorgione, sia stato uno degli innovatori nella trasposizione figurativa del concetto di paesaggio; la tavola di Washington è un esempio di questo rinnovamento. Berenson fu tra i primi a esaltarne il fascino, mettendo in evidenza il ruolo preponderante affidato alla natura, che non è un più un mero fondale ma accompagna lo sviluppo della scena assumendo così un ruolo da protagonista. Come già accennato fu Borenius ad accorgersi per primo della vicinanza stilistica dell’Allegoria della Virtù e del Vizio alla Tempesta di Giorgione. Questa affinità egli la coglieva in modo particolare nella rappresentazione del cielo: nell’estremità destra del coperto allegorico esso è infatti attraversato da “nuvole burrascose” (fig.17) che ricordano il cielo temporalesco che caratterizza l’opera del maestro di Castelfranco (fig.18). Molti altri sarebbero stati, in seguito, gli studiosi che avrebbero tentato di trovare una soluzione alla questione del rapporto di dare e avere esistente fra i due artisti: Brown, cercando di fare la summa dei risultati raggiunti dalla critica prima di lui sarebbe arrivato alla seguente conclusione: «Molti studiosi concordano nell’affermare che Lotto fu influenzato dal capolavoro di Giorgione. Tuttavia, l’esatta contemporaneità dei due dipinti» […] « non esclude che l’ “Allegoria” possa in realtà precedere la “Tempesta”» […] «rimane incontestabile che fu Giorgione l’inventore, alla svolta del secolo, del nuovo genere del paesaggio pastorale che rivoluzionò la pittura rinascimentale veneziana».52

52

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Fig. 17 particolare del cielo dell’Allegoria della Virtù e del Vizio

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Pur condividendo dunque l’idea che Lotto avesse contribuito al rinnovamento della pittura di paesaggio e del concetto di natura egli riconosceva comunque il primato incontrastato a Giorgione: l’Allegoria della Virtù e del Vizio costituiva una sorta di risposta al nuovo genere, che in quanto tale presentava differenze notevoli. Lo studioso accostava l’opera di Lotto anche al grande Dűrer, nonché a Bellini: «Il trattamento lottesco degli elementi paesaggistici specialmente del fogliame, rivela una conoscenza delle stampe di Dűrer» […] «e per il suo esplicito intento moraleggiante» […] «rinvia ad analoghe opere di Giovanni Bellini».

Analogamente si era già espresso Humfrey il quale aveva affermato: «Sicuramente ispirato alle stampe di Dűrer è il vivace dinamismo del paesaggio, con i suoi ritmi energici e curvilinei e la sua vegetazione vigorosa. Forse Lotto fu incoraggiato verso questa direzione anche grazie all’arte rivoluzionaria di Giorgione» […] «e in particolare alla sua “Tempesta”, la quale a sua volta deve parecchio alla conoscenza delle stampe di Dűrer. Ma» […] «la chiarezza grafica con la quale Lotto descrive le forme, così diversa dallo sfumato di Giorgione, implica che le lezioni di Dűrer giunsero direttamente dall’osservazione delle sue stampe senza passare tramite l’arte di Giorgione».

Riguardo alla Tempesta Binotto informa che la critica è ormai propensa a datare l’opera al periodo compreso fra il 1502-03 e il 1505, prima cioè dell’Allegoria della Virtù e del Vizio di Lotto. Seppure in entrambe le tavole il paesaggio domini sulle figure, i risultati raggiunti dai due artisti veneti sono completamente differenti; la studiosa, rifacendosi a Mariani Canova, spiega: «Giorgione immerge gli oggetti in un’atmosfera fluida e vibrante, in cui la fusione tonale dei colori concorre a sgranare il contorno delle forme» [...] «Lotto conserva alla vegetazione e alle figure una “forma cristallina che accentua il distacco tra le cose”» […] «sostituendo tinte fredde al caldo cromatismo del pittore di Castelfranco».

Per quanto concerne l’influenza di Dűrer nei paesaggi lotteschi la studiosa prende atto del fatto che la critica è sempre stata unanime nel ricondurla alla diffusione delle stampe dell’artista tedesco a Venezia addirittura anni prima del suo arrivo nella città lagunare nel 1506. Un conferma della vicinanza percepita fra la pittura di paesaggio di Lotto e quella di Dűrer veniva ravvisata da Aikema (Venezia e la Germania: il primo Cinquecento, in Il Rinascimento a Venezia e la pittura del nord ai tempi di

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Bellini, Dűrer e Tiziano, a cura di B. Aikema, B. L. Brown, G. Nepi Sciré, catalogo della mostra, Milano, 1999, pp. 332-339) nell’acquerello intitolato Laghetto in un bosco al tramonto (fig.19), conservato al British Museum di Londra: lo studioso era colpito di quanto questo “tramonto infuocato” si avvicinasse all’ “inverosimile luce sulfurea” che nel coperto di Washington rischiara la vetta della montagna collocata a sinistra (fig.20).

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Fig.20 particolare dell’Allegoria della Virtù e del Vizio con il putto alato

2.5 - La scelta fra virtus e voluptas

Assodato ormai che lo studio del dipinto qui in esame debba essere condotto considerando lo stretto legame che lo legava in passato al Ritratto del vescovo Bernardo De’ Rossi, resta ancora da accertare il significato da attribuire all’Allegoria di Lotto. Se alcuni critici, come già accennato ad esempio Liberali53, hanno colto nell’opera una esplicita allusione agli eventi della “turbolenta carriera del giovane vescovo” e altri l’hanno ricondotta a concetti ben più astratti, tutti hanno però, constatato in essa la centralità del tema basato sul contrasto fra virtus e voluptas. Alcuni studiosi, però, hanno preferito soffermarsi su determinati aspetti e dettagli, come dimostra il caso di De Tervarent54, consegnandoci così delle letture ben più originali. Innanzitutto egli interpretava “l’amorino inginocchiato” come celebrazione della virtù nell’accezione espressa da Leon Battista Alberti in un brano dell’Intercoenalium. Come riferisce Binotto, essa coincide con la disciplina morale a cui gli uomini si attengono nell’esercizio delle arti, a cui alludono chiaramente gli strumenti sparsi sul terreno ai piedi dell’albero. Le arti, secondo l’Alberti, avevano la capacità di sviluppare negli individui la forza necessaria al superamento di ogni avversità, simboleggiato secondo il parere di De Tervarent dal ramo che rigermoglia

53

Lo studioso parlava per l’appunto di “disgraziati casi familiari dei Rossi” (Vedi p. 27)

54

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sulla pianta secca. Un’altra interessante lettura - connessa al Neoplatonismo - è quella proposta invece da Gandolfo55: lo studioso interpreta il putto, impegnato a tracciare a terra “i segni regolari del vivere ordinato”, come metafora della virtus che il vescovo Bernardo avrebbe perseguito in vita. Nella scena illustrata a destra invece si materializzerebbe la voluptas che, secondo il parere di Binotto, l’artista avrebbe ambientato in un “paesaggio verdeggiante”, un’ “arcadia” narrata però in “termini caricaturali”.

De Tervarent spiegava che le conseguenze della scelta “dionisiaca” si concretizzavano nel naufragio del veliero raffigurato nello sfondo, a suo parere molto somigliante ad un’analoga scena raffigurata da Bosch nell’anta destra del Trittico di Santa Giulia (fig.21) che può essere ammirato a Venezia, a Palazzo Ducale.

Fig.21 particolare del Trittico di Santa Giulia di Bosch

55

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Ad accogliere ed ampliare l’ipotesi di De Tervarent era Gentili56 che, come accennato in precedenza, vedeva nel Ritratto del prelato un tentativo di riabilitare la sua immagine di religioso e soprattutto di individuo agli occhi della società. E difatti lo studioso affermava: «L'allegorico coperto dice tutto quello che il vescovo aveva lasciato fuori dal ritratto: pronuncia l'elogio, e la difesa, dell'uomo giusto, forte e paziente, costretto a sopportare il disordine, l'ingiustizia, la metaforica ebbrezza dei suoi avversari; esorcizza la paura della morte» [...] «e affida al fanciullino nudo - limpido intelletto e animo innocente- l'affermazione delle buone qualità di quel ministro, e delle buone aspirazioni di quel politico: il rifiuto dell'ebbrezza, il salto della barriera, l'ascesa al monte, all'azzurro oltre le nubi».

Egli - che leggeva nella bipartizione della scena descritta nel coperto allegorico la scelta virtuosa compiuta in vita dal vescovo di Treviso - faceva notare che l’immagine del tronco spezzato dell’albero, che riteneva essere quello di una quercia, derivava dal Libro di Giobbe57. Qui si legge: «Perché l'albero ha una speranza: / se viene reciso può ancora rinnovarsi, / il suo germoglio non verrà meno; / e se la sua radice s'invecchia nella terra, / e il suo tronco muore ne suolo, / all'odore dell'acqua rifiorisce, / e rimette le fronde come una giovane pianta».

Gentili giustificava il richiamo lottesco al testo biblico con il fatto che Bernardo De’ Rossi aveva in suo possesso ben tre copie dei Moralia di Gregorio Magno, opera che includeva un commento al Libro di Giobbe. Ovviamente Lotto avrebbe tradotto l’immagine biblica dell’albero reciso che rigermoglia in chiave umanistica ergendolo a simbolo della conoscenza intellettuale che si contrappone alla “sterilità dei piaceri mondani”. Nel 1977 Galis Wronski58 riteneva che Lotto avesse desunto il soggetto dell’Allegoria di Washington in parte dal Mito della Caverna e in parte dal Fedro, entrambe opere di Platone59. Altre fonti fondamentali sarebbero state il Secretum e il De Remediis Utriusque Fortunae di Petrarca. La studiosa, inoltre, riconosceva uno stretto legame tra il dittico De’ Rossi” e l’altra Allegoria della National Gallery, nota come Sogno di Fanciulla 60, ipotizzando che quest’ultima dovesse essere considerata

56

A. Gentili, I giardini di contemplazione, 1985, p. 87.

57 Libro di Giobbe, 14, 7-10; 58 D. Galis Wronski 1977 59 Platone, in De Republica 60

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come coperto allegorico del Ritratto di donna 61 conservato a Digione, in cui parte della critica ha individuato l’effigie di Giovanna De’ Rossi, sorella del vescovo. La Galis – partendo dal presupposto che i busti dei due fratelli sono tagliati nella stessa maniera e che la luce in entrambi i casi proviene da sinistra - giungeva alla conclusione che Bernardo avesse commissionato a Lorenzo prima il ritratto della sorella, come opera a sé, quindi l’Allegoria della Virtù e del Vizio qui in esame, seguito dal proprio ritratto e infine dal secondo coperto allegorico, che avrebbe dovuto proteggere il ritratto di Giovanna in una sorta di pendant con il proprio dittico. Pochat62 - convinto che tutta la pittura veneta del primo Cinquecento, soprattutto quella a soggetto mitologico e paesaggistico, fosse carica di echi letterari (poesia petrarchesca, bembismo, pastorale) nel 1985 individuava in alcune immagini presenti nell’opera di Lotto, ad esempio quelle della nave che si inabissa e delle anfore rovesciate, un forte richiamo a quelle descritte in alcuni versi della canzone CCCXXIII del Canzoniere di Petrarca.

Una delle proposte interpretative più articolate è poi quella formulata da Cortesi Bosco63 a partire dal 1987: la studiosa ha spiegato la maggior parte dei motivi iconografici presenti nel dipinto grazie agli scritti del teologo francese Jean Charlier de Gerson. Nel De Mystica Theologia - testo posseduto fra l’altro anche dal vescovo Bernardo De’ Rossi e da Lotto, che lo ricorda nel suo Libro di Spese Diverse – egli esponeva la teoria del Monte Contemplationis per il raggiungimento dell’estasi dell’anima. L’opera dunque era riconosciuta dalla studiosa come la fonte principale dell’allegoria lottesca: si fondava sull’idea che la vita degli uomini potesse essere paragonata a un mare in tempesta. I più, vittima delle passioni terrene, sarebbero stati destinati a morire ma alcuni avrebbero raggiunto la riva tranquilla e il “mons contemplationis”, metafora dell’ascesi che – per mezzo dell’amore -permette all’ “anima rationalis” di unirsi stabilmente a Dio. In quest’ottica, dunque, il satiro e i due putti protagonisti dell’allegoria di Washington avrebbero incarnato rispettivamente le tre forze “cognitive e appetitive” dell’anima razionale. Nel satiro andava individuato “l’appetitus animalis, vel sensualis”; nel putto con il compasso “l’appetitus rationalis” e infine nel putto alato “amor”, la “forza appetitiva dell’anima

61

Vedi capitolo III, fig.5.

62

G. Pochat, in “Word and Image”, I, 1, 1985, pp. 3-15.

63

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al bene”. Binotto ha accolto la teoria formulata dalla studiosa64: «In questa ascesa si esplicita la scelta di vita del vescovo De' Rossi, la cui forza è rappresentata dal leccio che svetta verso l'alto. E' troncato perché Bernardo ha troncato i legami con il mondo secolare per dedicarsi alla vita contemplativa». Ultimamente anche Calvesi65 si è espresso sull’Allegoria della Virtù e del Vizio definendola “l’altra Tempesta” in virtù delle forti affinità ravvisate nel paesaggio che fa da sfondo alla scena rappresentata. Lo studioso ha sottolineato anche quegli aspetti per cui la tela di Lotto si allontanerebbe dal capolavoro di Giorgione: «Qui all’addensarsi del temporale viene meno l’attimalità della folgore (pur evocata dall’albero troncato), ed anche l’irradiante centralità del bagliore» […] «La composizione del Lotto si svolge invece secondo un crescendo dal buio alla luce, che procede» […] «dal lato destro a quello sinistro» […] «mentre il raccordo tra l’orizzonte e l’imbocco della veduta si basa sulla forte emergenza al centro» […] «dell’albero spezzato dal fulmine».

Non avendo alcun dubbio circa la natura del soggetto - un’allegoria della Virtù e del Vizio - egli ha ipotizzato che questo fosse stato scelto da uno dei frequentatori del circolo nato intorno al vescovo De’ Rossi, su ispirazione del Corpus Hermeticum di Ermete Trismegisto, trattato che all’epoca godeva di grande fortuna. A suo dire il motivo del satiro ubriaco ricorderebbe il passo iniziale del settimo trattato, un invito a svegliarsi dallo stato di torpore dovuto all’ubriachezza - simbolo di ignoranza - e dunque al tornare sobri per poter “approdare al porto della salvezza”. Se il satiro allude all’uomo posseduto dall’ignoranza, il putto sarebbe il simbolo dell’anima che si eleva a Dio per raggiungere l’illuminazione spirituale e la conoscenza. Gli oggetti sparsi intorno a lui sono letti come allusione alle attività dello spirito e dell’intelletto che rendono possibile l’ascesi.

Sostenendo che l’albero che divide in due la composizione sia l’olivo, sacro a Minerva, Calvesi – come Brown - ha interpretato il motivo del tronco spezzato da cui parte un nuovo germoglio nell’accezione biblica, ovvero come simbolo di morte “per castigo di Dio” e di rinascita. Convinto che fosse stato il De’ Rossi a proporre a Lotto

64

F. Cortesi Bosco affermava: «Quale insegna della sua virtus e del suo amor sapientiae che, in

ultima analisi il dipinto intende celebrare con l'allegoria dell'anima razionale, il Rossi ha scelto lo scudo di Pallade guerriera, ma anche dea della Sapienza e della Prudenza».

65

M. Calvesi, Lorenzo Lotto: l’altra Tempesta (e il “Coperto” di Eva a Bergamo), in “Storia dell’Arte”, 122/123, 2010, pp. 33-36.

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il soggetto del dipinto sulla base del Corpus Hermeticum - l’ipotesi che questo testo fosse la fonte letteraria principale dell’opera è stata recentemente confutata da Farinella66 - lo studioso ha riconosciuto, però, all’artista l’invenzione iconografica.

2.6 - Il rapporto del soggetto con il Canzoniere di Petrarca

Pochat67 ravvisava il richiamo ad alcuni versi della canzone CCCXXIII del Canzoniere nell’immagine del veliero che si inabissa, nel tronco spezzato da cui si diparte un nuovo germoglio e nel dettaglio delle anfore rovesciate. La seconda stanza del componimento recita: «Indi per alto mar vidi una nave, / con le sarte di seta, et d’òr la vela, / tutta d’avorio et d’ebeno contesta; / e ’l mar tranquillo, et l’aura era soave, / e ’l ciel qual è se nulla nube il vela, / ella carca di ricca merce honesta: / poi repente tempesta / orïental turbò sí l’aere et l’onde, / che la nave percosse ad uno scoglio. / O che grave cordoglio! / Breve hora oppresse, et poco spatio asconde, / l’alte ricchezze a nul’altre seconde».68

Evidentemente l’immagine evocata da questi versi è molto simile a quella che fa da sfondo alla scena che si svolge nell’estremità destra della tavola lottesca. Qui un’imbarcazione a vela - in balia di un mare tempestoso e scossa dai venti – sta per affondare. La terza stanza (vv. 25-36) sembrerebbe, invece, richiamare l’immagine dell’albero che divide verticalmente la composizione in due parti: «In un boschetto novo, i rami santi / fiorian d’un lauro giovenetto et schietto, / ch’un delli arbor’ parea di paradiso; / et di sua ombra uscian sí dolci canti / di vari augelli, et tant’altro diletto, / che dal mondo m’avean tutto diviso; / et mirandol io fiso, / cangiossi ’l cielo intorno, et tinto in vista, / folgorando ’l percosse, et da radice / quella pianta felice / súbito svelse: onde mia vita è trista, / ché simile ombra mai non si racquista».

Come spiegava lo studioso, protagonista di queste rime è un “verde lauro” situato in un paesaggio paradisiaco che, tutto ad un tratto, si trasforma: il cielo si fa scuro e dei

66

V. Farinella, in “Nuovi Studi Livornesi”, pp. 171-185.

67

G. Pochat, op. cit., pp. 3-15.

68

Ecco come lo Pochat commentava questi versi: «La seconda stanza descrive una bella nave carica

su un mare placido. All’improvviso una tempesta irrompe nella scena pacifica, la nave è catturata dagli elementi, sbattuta contro una roccia, e affonda».

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fulmini si scagliano sulla pianta scuotendola fino alle radici. Per finire, nella quarta stanza (vv. 37-48) viene descritta una “sorgente incantata” - situata nel bel mezzo di un bosco - che all’improvviso viene inghiottita lasciando il poeta in preda allo sconforto: «Chiara fontana in quel medesmo bosco / sorgea d’un sasso, et acque fresche et dolci / spargea, soavemente mormorando; / al bel seggio, riposto, ombroso et fosco, / né pastori appressavan né bifolci, / ma ninphe et muse a quel tenor cantando: / ivi m’assisi; et quando / piú dolcezza prendea di tal concento / et di tal vista, aprir vidi uno speco, / et portarsene seco / la fonte e ’l loco: ond’anchor doglia sento, / et sol de la memoria mi sgomento».

Il critico sottolineava il fatto che ci si potesse limitare a delle mere ipotesi circa l’effettiva influenza delle metafore petrarchesche sul coperto allegorico. Mentre le immagini della nave che naufraga e del tronco di alloro spezzato si avvicinano molto alle “visioni” descritte nella canzone, per la quarta stanza non si può parlare di vera e propria corrispondenza rispetto all’immagine del satiro ubriaco e delle anfore rovesciate; secondo lo studioso era comunque evidente che sia Lotto che Petrarca avessero inteso sottolineare il concetto della vanità e che esistesse un’affinità tra dipinto e componimento nella struttura dialettica che oppone al giorno la notte, alla luce l’oscurità, alla quiete la tempesta.

Nel dipinto questa opposizione si sarebbe a suo dire espressa anche stilisticamente, ad esempio nel contrasto tra la luce che domina nell’estremità sinistra rispetto a quella destra - caratterizzata da toni cupi – e dunque nel contrasto cromatico dei gialli e dei blu. Pochat era convinto di ravvisare un ulteriore riferimento alla tavola di Washington - in particolare all’albero, elemento fondamentale della composizione - anche nella canzone CCXXX, che lo avrebbe peraltro indotto a riconoscervi una pianta di olivo. Si tratta in particolare dell’ultima stanza (vv. 12-14): «Non lauro o palma, ma tranquilla oliva / Pietà mi manda, e ’l tempo rasserena, / e ’l pianto asciuga, et vuol anchor ch’i’ viva».

(35)

2.7 - L’Allegoria di Pietro degli Ingannati

Alla National Gallery of Art di Washington si trova una tavola (fig.22), attribuita all’artista Pietro degli Ingannati, la cui iconografia ricorda palesemente l’Allegoria di Lotto. Margaret Binotto, sulla scorta di Caccialupi69 e Brown ha riconosciuto l’effettivo legame tra le due opere ma ha anche messo in evidenza la superiorità di quella lottesca; quindi ha accolto l’ipotesi avanzata da Shapley70 e Dűlberg71 secondo cui la tavola ottagonale avrebbe avuto un’analoga funzione di sovraccoperta di un dipinto, identificato col Ritratto di Dama (fig.23) appartenente alla collezione Kress e conservato oggi presso il Portland Art Museum: «L'assoluta genialità con cui Lotto rielabora le diverse fonti testuali e tematiche si rivela nel confronto con l'allegoria ottagonale della National Gallery di Washington, probabile coperto del ritratto di "Giovane donna in figura di martire" (Portland, Art Museum), in cui Pietro degli Ingannati recupera gli elementi essenziali del prototipo lottesco, traducendoli in un linguaggio prosaico, immemore della ricchezza contenutistica del modello».

Brown ha accolto invece il suggerimento di Caccialupi72 che aveva indicato come probabile “compagno” del coperto allegorico di Pietro degli Ingannati il Ritratto di dama degli Staatliche Museen di Berlino (fig.24), le cui dimensioni sarebbero più compatibili. Lo studioso era d’accordo nel ritenere questa seconda Allegoria una versione semplificata del motivo ideato da Lorenzo Lotto: «semplifica di molto gli elementi essenziali del prototipo di Lotto: il putto con il compasso e gli altri strumenti il satiro con l’anfora, vicino a un tronco d’albero al centro con un ramo ancora verde e uno stemma, il tutto disposto in un paesaggio simbolico. A questi si aggiunge il motivo della ninfa dormiente, sorpresa da un satiro, modellata su un’incisione famosa che illustra l’ “Hypnerotomachia Poliphili” pubblicata a Venezia nel 1499. L’inclusione della lussuria e dell’ubriachezza per rappresentare il vizio collega l’Allegoria dell’Ingannati con il secondo coperto di ritratto di Lotto anch’esso conservato a Washington».

69

P. Caccialupi, Pietro degli Ingannati, in “Saggi e Memorie di Storia dell’Arte”, XI, 1978, pp. 32-33, 36.

70

R. Shapley, Catalogue of the Italian…, cit., pp. 246-247.

71

A. Dűlberg, 1990, pp. 293-294, n. 332.

72

(36)

Sul dettaglio della “ninfa dormiente svegliata dal satiro” - che contraddistingue il dipinto di Pietro da quello di Lorenzo, mettendolo però in rapporto al Sogno di fanciulla dello stesso artista – si è recentemente espresso anche Dal Pozzolo73 che ha approfondito il discorso, a cui Brown aveva solo accennato, relativo alla xilografia della “ninfa dormiente alla fonte” contenuta nel Sogno di Polifilo di Francesco Colonna.

Fig.22 Pietro degli Ingannati, Allegoria, olio su tavola ottagonale

73

E. M. Dal Pozzolo, Colori d’amore. Parole, gesti, carezze nella pittura veneziana del Cinquecento, Treviso, 2008, p. 69.

(37)

Fig.23 Pietro degli Ingannati, Giovane donna in figura di martire, Portland, Portland Art Museum, Collezione Kress Foundation

Figura

Fig. 1  Allegoria della Virtù e del Vizio, 1505, olio su tavola, 56,5 x 42,5 cm, Washington, National  Gallery of Art, Samuel H
Fig. 2  Ritratto del vescovo Bernardo de’ Rossi, 1505, olio su tavola, 52 x 40 cm, Napoli, Museo di  Capodimonte
Fig. 3  Albrecht Dűrer, Ritratto di Hieronymus Holzschuher, 1526, olio su tavola
Fig. 6  Stemma nobiliare della famiglia De’ Rossi, Historia de’ Rossi Parmigiani, Vincenzo  Carrari, 1583
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