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DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELL’INDUSTRIAL DESIGN; IL RAPPORTO TRA FORMA E FUNZIONE DELL’OGGETTO

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CAPITOLO PRIMO

DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELL’INDUSTRIAL DESIGN; IL RAPPORTO TRA FORMA E FUNZIONE DELL’OGGETTO

1. Origini e storia dell’industrial design. – 2. Industrial design: fondamentale risorsa dell’economia italiana e strumento di competitività per il sistema produttivo. – 3. L’immagine del prodotto, tra marketing e tutela giuridica. Un excursus sull’evoluzione normativa.

• Premessa

Il termine design, diffuso in Italia dalla metà del secolo scorso, è un’abbreviazione dell’espressione inglese industrial design («disegno industriale») che si riferisce alla progettazione di oggetti producibili industrialmente, in serie (oggetti d’uso, mobili e complementi d’arredo, come lampade, elettrodomestici, utensili, mezzi di trasporto etc.) e destinati a un uso quotidiano e diffuso.

Tale progettazione appare incentrata sulla ricerca di una perfetta simbiosi tra forma e funzione, ossia di un’integrazione il più possibile efficace e armonica tra aspetti tecnologico-funzionali e qualità estetico-formali.

Per questo motivo non appartengono all’ambito del design prodotti industriali nella cui progettazione vengono studiati unicamente caratteri funzionali e tecnici (ingranaggi di macchine, componenti di un motore o circuiti di un computer), ignorando quelli estetici. Allo stesso modo, non sono oggetti di design tutti quei prodotti in cui viene privilegiato l’aspetto estetico, di ricerca formale e volumetrica, senza tenere conto della funzionalità o di nuove soluzioni tecniche.

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1 TORNAGHI, La forza dell’immagine e il linguaggio dell’arte, II edizione, © Loescher, 2010.

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Parte della dottrina

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ritiene tuttavia che questa concezione sia riduttiva poiché esclude dall’ambito del disegno industriale sia gli oggetti che presentano una forma esteriore non qualificabile come gradevole o esteticamente apprezzabile, sia quelli che vengono realizzati senza avvalersi di macchinari per la produzione in serie standardizzata e giudica più corretta ed esaustiva la nozione adottata dall’ICSID nel 1961.

La prima definizione ufficiale di Industrial Design è quella proposta da Tomas Maldonado, pittore, designer e saggista argentino, in occasione del Congresso ICSID (International Council of Societies of Industrial Design) del 1961 tenutosi a Venezia.

Maldonado definisce l’industrial design “un'attività progettuale che consiste nel determinare le proprietà formali degli oggetti prodotti industrialmente. Per proprietà formali non si devono intendere solo le caratteristiche, ma soprattutto le relazioni funzionali e strutturali che fanno di un oggetto un'unità coerente sia dal punto di vista del produttore che dell'utente. Poiché, mentre la preoccupazione esclusiva per le caratteristiche esteriori di un oggetto spesso nasconde il desiderio di farlo apparire più attraente o anche di mascherarne le debolezze costitutive, le proprietà formali di un oggetto -per lo meno come lo intendo io qui - sono sempre il risultato dell'integrazione di diversi fattori, siano essi di tipo funzionale, culturale, tecnologico o economico. Detto altrimenti, mentre le caratteristiche esteriori riguardano qualcosa come una realtà estranea, cioè non legata all'oggetto e che non si è sviluppata con esso, al contrario le sue proprietà formali costituiscono una realtà che corrisponde alla sua organizzazione interna, ad esso vincolata e che con esso si è sviluppata".

Di più recente formulazione, la definizione sintetica d’Industrial Design IDSA (Industrial Designers Society of America) del 2010.

“L’industrial design è l’attività professionale che ricerca e sviluppa idee specifiche tese ad ottimizzare la funzione, il valore e l’immagine di prodotti e sistemi con reciproco beneficio sia dell’utente che del produttore. Gli industrial                                                                                                                

2 GUIZZARDI, La tutela d’autore del disegno industriale: incentivi all’innovazione e regime circolatorio, Giuffrè, Milano, 2005, 2.

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designers sviluppano queste idee e dettami attraverso la raccolta, l’analisi, e la sintesi di dati in conformità a specifiche richieste da parte della committenza. Essi sono in grado di redigere chiare e precise istruzioni usando elaborati grafici, scritti, o modelli.

Le attività specificamente connesse con l’industrial design sono spesso fornite all’interno di più ampie e complesse azioni progettuali sviluppate in team. Un tale gruppo spesso include anche specialisti nel campo del management, marketing, engineering e manufacturing. L’industrial designer esprime idee che rappresentano tutti i criteri di progetto ritenuti rilevanti dal gruppo.

Il contributo specifico dell’industrial designer enfatizza quegli aspetti del prodotto o del sistema che si pongono direttamente in relazione con le caratteristiche, i bisogni e gli interessi dell’uomo. Tale contributo richiede una specifica capacità di capire criteri attinenti la visione, la tattilità, la sicurezza e l’utilità dell’utilizzatore. Le conoscenze sia teoriche sia pratiche che possono contribuire a prevedere in anticipo fattori influenti e percepiti come benefici dagli utenti in campo psicologico, fisiologico e sociologico sono elementi fondamentali della strumentazione del progettista.

L’Industrial designer è anche attento agli aspetti pratici dei processi tecnici ed alle specifiche produttive: opportunità di mercato ,vincoli economici, vendita, logistica e manutenzione.

L’industrial designer lavora per assicurare che le ipotesi progettuali utilizzino materiali e tecnologie in modo efficace e siano rispettose di tutti i requisiti legali e normativi.

Oltre alla progettazione di prodotti e sistemi, l’industrial designer è anche coinvolto in attività di consulenza su una varietà di problemi che concernono la figura del cliente. Il suo lavoro include sistemi di immagine coordinata del prodotto e dell’azienda, sviluppando sistemi di comunicazione, progettando spazi interni, pubblicità, packaging e i servizi correlati.

La loro esperienza è richiesta in una grande varietà di amministrazioni per aiutare

nello sviluppo di standard industriali, linee guida e procedure di controllo qualità

per migliorare le operazioni di produzione e prodotti.

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Il designer industriale, come professionista, è guidato all’obbligo di rispettare totalmente il contratto con il cliente, proteggere la sicurezza pubblica e il benessere, rispettare l’ambiente e osservare le basi etiche dell’attività”.

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Il rapporto tra forma e funzione nell’oggetto di design

L’autentico industrial design dovrebbe tendere a una sempre maggiore efficacia del rapporto forma-funzione, non limitandosi a privilegiare uno solo dei due aspetti ma valutandoli e sviluppandoli parallelamente nell’iter progettuale, in modo che risultino totalmente integrati nel prodotto finale. Ogni progetto di design dovrebbe apportare un’innovazione o una modifica significativa, capace di elevare la qualità complessiva dell’oggetto – a livello funzionale, estetico, materico, tecnologico – rispetto a prodotti precedenti della stessa tipologia.

Il rapporto tra forma e funzione può nondimeno essere concepito in molti modi diversi: alcuni designer cercano di nascondere la struttura o le soluzioni tecniche (meccanismi, ingranaggi o impianti elettrici) che determinano la funzionalità dell’oggetto, altri tendono invece a evidenziarle e a valorizzarle.

Alcuni progetti si basano principalmente sulla ricerca di funzioni e processi produttivi avanzati, altri sullo studio di nuovi volumi e forme visivamente accattivanti o sull’utilizzo di materiali esaltati nelle loro peculiarità estetiche e strutturali (texture, colore, proprietà fisiche e così via).

Nel corso degli anni si è inoltre sviluppata una crescente attenzione all’ergonomia, scienza applicata tesa a ottenere la massima funzionalità di oggetti, strumenti e macchine in rapporto alle modalità di utilizzo, quindi alle proporzioni e alle caratteristiche anatomiche del corpo umano.

Un rapporto ideale tra forma e funzione, però, vista anche la ricchezza delle possibilità oggi offerte al progettista dal progresso tecnologico, si ha quando esiste un perfetto equilibrio tra i due aspetti, ossia quando le scelte estetiche

                                                                                                               

3 INDUSTRIAL DESIGNERS SOCIETY OF AMERICA, Definizione sintetica di industrial design, disponibile all’indirizzo http://idsa.org/whatis/definition.htm.

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compiute sembrano conseguenti alla funzione e viceversa, senza prevaricazioni o forzature.

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1. Origini e storia dell’industrial design

L’applicazione di ricerche estetico-formali proprie delle arti a oggetti funzionali, di utilizzo quotidiano, ha origini antiche: anche nel passato, infatti, molti artisti si sono occupati dell’ideazione di oggetti comuni (arredi e suppellettili) che venivano prodotti artigianalmente.

L’origine del disegno industriale, però, si ricollega al fenomeno della Rivoluzione Industriale. Essa nacque storicamente in Inghilterra, intorno alla metà dell’ottocento

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e fu determinata dapprima dall’introduzione della macchina a vapore e dalla meccanizzazione dell’industria tessile e successivamente dallo sviluppo di quella siderurgica e meccanica. Successivamente, divenne un fenomeno che coinvolse tutti i Paesi dell’Europa continentale. I forti costi di impianto e l’alto numero di merci prodotte imposero la ricerca di un mercato sempre più vasto attraverso la pubblicizzazione delle merci. Nel 1851 fu allestita nel Crystal Palace di Londra la famosa esposizione dei prodotti industriali di tutte le nazioni. L’esposizione, con il suo vasto repertorio di novità industriali, si rivelò un grande successo dal punto di vista commerciale e tecnico. Nel Crystal Palace erano esposte le più disparate categorie di prodotti: macchinari, macchine a vapore, locomotive, suppellettili di uso comune. Tutti i prodotti industriali venivano presentati nei diversi stili nazionali ed in essi mancava qualunque congruenza fra decorazione e funzione. Se, da un lato, la necessità storica rendeva inevitabile il prevalere degli oggetti seriali, dall’altro si cercava di nobilitare la

                                                                                                               

4 TORNAGHI, La forza dell’immagine e il linguaggio dell’arte, II edizione, Loescher, 2010.

5 Intorno alla metà del XIX secolo l’Inghilterra si presentava come la nazione più potente e più prospera del mondo occidentale. Nel 1829, T. Carlyle affermò: ‹‹La nostra età è quella della macchina, in tutta la compiutezza del termine›› e propose di chiamare industrialismo la speciale civiltà che si stava formando.

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produzione con eccessi decorativi fino alla creazione di pezzi eccezionali e molto elaborati.

La prima reazione all’invasione del prodotto di serie avvenne in Inghilterra e portò il nome dell’ideologo socialista William Morris.

Nel 1861 Morris promosse un movimento che attraverso i prodotti della ditta

“Morris, Marshall, Faulkner and Co.” incentivava il ritorno al lavoro manuale e identificava nella figura dell’artigiano medievale il modello da seguire.

Nel XIX secolo, con l’avvento dell’industrializzazione, dopo una prima e lunga fase in cui i prodotti seriali abbinavano funzionalità e tecnologia a una scarsa qualità estetica, molti architetti e artisti cominciarono a dedicarsi alla progettazione industriale, in alcuni casi sollecitati dagli imprenditori.

L’industrial design nacque quindi dall’esigenza di elevare, soprattutto dal punto di vista estetico, gli oggetti fabbricati in serie dall’industria al livello di quelli, più pregevoli e costosi, prodotti dall’artigianato artistico.

Dagli ultimi decenni dell’Ottocento, e per tutto il corso del Novecento, diversi movimenti e scuole di arti applicate e design hanno dimostrato che è possibile conferire all’oggetto industriale un alto valore formale.

Particolarmente significative appaiono, sul piano storico-artistico e tecnologico, le esperienze delle Arts & Crafts in Gran Bretagna e del Bauhaus in Germania.

Il movimento delle Arts & Crafts sorse in Inghilterra intorno al 1880 per iniziativa di un gruppo di artisti e intellettuali, tra i quali il sopra citato William Morris;

l’artista riconosceva la scadente qualità estetica dei prodotti industriali e suggeriva un nuovo rapporto tra arte e società

6

.

Dopo un primo periodo in cui rifiutarono la produzione industriale in serie, vista come distruzione della tradizione artigianale, essi affermarono la necessità di                                                                                                                

6 “Tutti coloro che dichiarano di ritenere che il problema dell’arte e delle sculture abbia la precedenza sul problema del coltello e della forchetta non capiscono cosa significhi arte.

Dobbiamo ricordare che la civiltà ha ridotto il lavorare ad un esistenza così miserabile e pietosa che difficilmente egli riesce a concepire il desiderio di una vita molto diversa da quella che ora sopporta per necessità. È compito dell’arte esporgli il vero ideale di una vita piena e razionale, una vita nella quale il sentimento e la creazione della bellezza, il godimento del vero piacere cioè, saranno sentite come necessarie all’uomo quanto il piacere quotidiano”.

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porre rimedio alla mediocre qualità tecnica ed estetica degli oggetti prodotti industrialmente e si impegnarono a tale scopo.

Molto importante fu poi l’esperienza della scuola del Bauhaus. Essa fu fondata in Germania da Walter Gropius nel 1919 e venne chiusa dal regime nazista nel 1933 per reprimere gli ideali democratici che l’animavano. Questa scuola, in cui insegnarono molti tra i più grandi artisti del tempo, si pose l’obiettivo di superare la distinzione tra arte, artigianato e produzione industriale attraverso l’elaborazione di linguaggi nuovi e l’interazione tra esperienza artistica, tecnologia industriale e studio della psicologia e della fisiologia umana. Uno degli scopi principali del Bauhaus fu quello di ideare oggetti di qualità prodotti in serie, in cui avessero grande rilevanza gli aspetti di carattere estetico-artistico, la funzionalità e gli aspetti tecnologici relativi alla scelta dei materiali e ai costi dei processi produttivi. Il design industriale assunse quindi un importante ruolo sociale, in quanto mirava alla diffusione di oggetti esteticamente e funzionalmente validi ma il più possibile economici, al fine di elevare per tutti la qualità della vita.

Gli ideali etico-sociali e le ricerche formali, strutturali, materiche e tecnologiche elaborate dal Bauhaus ebbero fondamentali e profonde conseguenze sulla storia del design: si proponeva infatti una nuova concezione dell’oggetto, la cui bellezza non coincideva più con la ricchezza decorativa del costoso pezzo artigianale, ma con una purezza geometrico-lineare strettamente legata all’efficacia funzionale e all’economicità produttiva.

Nel programma di questa scuola si sosteneva che “in precedenza si era data alla

funzione dell’arte un’importanza formale che la scindeva dalla nostra esistenza di

tutti i giorni, mentre l’arte è sempre presente quando un popolo sincero e sano

vive. Il compito che ci spetta è perciò di inventare un nuovo sistema di educazione

che possa condurre ad una completa conoscenza dei bisogni umani e ad una

universale percezione di essi. Così il nostro compito è di formare un nuovo artista

creatore e capace di intendere qualunque genere di bisogno; non perché sia un

prodigio, ma perché sappia accostarsi alle umane necessità secondo un ben

preciso metodo”.

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In Italia, a causa del tardivo decollo industriale, i primi oggetti, frutto di una consapevole progettazione, comparvero sul finire degli anni 1920, insieme col formarsi delle correnti d’architettura razionale, con la pubblicazione delle riviste Domus e Casabella, con l’istituzione delle Esposizioni d’arte decorativa e industriale di Monza e poi di Milano. Ma è soprattutto nel secondo dopoguerra che il design italiano ha acquistato rinomanza internazionale con il successo di alcuni modelli di motoscooter, divenuti paradigmatici, come la ‘Vespa’ della Piaggio e la ‘Lambretta’ della Innocenti, con le carrozzerie di Pininfarina, i modelli di macchine per scrivere e per cucire che Nizzoli ha disegnato per la Olivetti e per la Necchi, i lumi dei fratelli Castiglioni e, ancora, con la molteplice attività di studi di progettazione. Successivamente si sono registrate varie tendenze, che vanno dal rifiuto del design (anti-design o contro-design) a uno sperimentalismo ironico e trasgressivo (radical design), alla proposta di oggetti banali, in pericolosa concorrenza con il kitsch, e infine, più in generale, a una progettazione che, ponendo termine al regime di proibizioni formali inaugurato dall’utopia razionalista, tende alla riscoperta dell’effimero e dei valori caldi e decorativi dell’oggetto, fino alla ricerca, propositiva e sperimentale, orientata alla individualizzazione e alla differenziazione dell’oggetto di design.

2. Industrial design: fondamentale risorsa dell’economia italiana e strumento di competitività per il sistema produttivo

Le aziende italiane sanno bene che il design è una delle chiavi dell'innovazione e dunque uno strumento formidabile per uscire dalla crisi. A maggior ragione ne sono consapevoli quegli imprenditori che sul design hanno costruito il tratto caratterizzante del loro brand, ottenendone in cambio il successo sui mercati internazionali. Conclusione: guai a mollare il colpo, a disinvestire.

Basta fare un viaggio lungo la Penisola.

Cominciando da Marzano (Udine), cuore di un distretto della sedia in fortissima

difficoltà. Maurizio Mosca, direttore marketing, racconta l'evoluzione della

Calligaris (165 milioni di fatturato), partita anch'essa dalla realizzazione di sedie e

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di tavoli in legno e negli ultimi cinque anni al centro di una vera metamorfosi:

nuovi prodotti per allargare la gamma, nuovi materiali e soprattutto nuovo stile, grazie a una potente iniezione di creatività, alle collaborazioni con professionisti esterni e all'allestimento di un centro ricerche interno (dove lavora il 10% dei 300 addetti). Certo, la crisi si fa sentire anche per la Calligaris. “Ma sull'impegno nell'innovazione e nel design non arretreremo di un centimetro. Anzi, daremo un'accelerata al catalogo delle novità”.

Stesso atteggiamento se ci si spinge nel Bolognese, per la precisione a Riola di Vergato. Qui ha sede la Piquadro (50 milioni di fatturato), specializzata in borse da viaggio e articoli per il business. “Piuttosto giro per gli uffici a spegnere le luci – ironizza il presidente, Marco Palmieri – ma non ho alcuna intenzione di ridurre gli investimenti riguardanti il design. Se tocchi la ricerca sei rovinato. Al contrario, negli ultimi due mesi abbiamo assunto due giovani creativi. D'altronde – continua Palmieri – per noi il design è strettamente collegato con la qualità e la funzionalità. Studiando i letti degli ospedali, abbiamo persino creato i manici delle borse in gel, in modo che non facciano male alla mano”.

Davanti all'emergenza economica non fa una piega nemmeno Adolfo Guzzini. La sua Guzzini illuminazione di Recanati, provincia di Macerata (200 milioni di ricavi), collabora con architetti e designer dalla fondazione, negli anni ‘60, in una simbiosi costante, culminata nell'elaborazione del concetto di regia luminosa. È sufficiente pensare al proiettore Le Perroquet, creato da Renzo Piano appositamente per la ristrutturazione del Beaubourg di Parigi e in seguito adottato in numerosi ambienti, compreso il Museo egizio di Torino. «Noi lavoriamo gomito a gomito con i professionisti e creiamo prodotti su misura. Chiaro – allarga le braccia Guzzini – che se a causa della crisi si bloccano le grandi realizzazioni, per noi è un duro colpo. Però proviamo a rialzare la posta in gioco.

Mai come adesso siamo continuamente con la valigia in mano, per moltiplicare la rete di rapporti e di relazioni”. Già, sembra un paradosso, ma l'occasione è di quelle da non lasciarsi scappare.

Roberto Verganti, professore di Gestione dell'innovazione al Politecnico di

Milano, autore del libro «Design - driven innovation» (che uscirà a primavera per

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la Harvard Business Press e in Italia per la Etas), ne è convinto: «È il momento migliore per investire nel design, perché attraverso di esso le imprese hanno l'opportunità di cambiare completamente i prodotti, ridefinendone il senso. Non è più questione di sfornare oggetti esteticamente belli. Occorre riscoprire il significato autentico del design: etimologicamente designare, cioè connotare, differenziare».

È la linea seguita da sempre dalla Alessi (cento milioni di fatturato). L'azienda di Crusinallo (Verbania) ha reinventato i piccoli casalinghi di uso quotidiano. Grazie al contributo dei maggiori professionisti del mondo, ha battuto il filone dei cosiddetti oggetti transizionali, in grado di suscitare emozioni e persino affetto, senza perdere la praticità d'impiego. “Si parte sempre da un'idea creativa e poetica – spiega il presidente Alberto Alessi –. Poi si studiano i materiali più adatti e si mettono a punto i processi produttivi. In fondo è ciò che succedeva nelle botteghe rinascimentali. Il mio compito è mettere insieme i talenti e farli lavorare al meglio. È così che cambia il mondo dell'industria”.

Mai accontentarsi. Nemmeno se si può contare su marchi forti.

Il Gruppo Frau (286 milioni di fatturato) ha costituito il Polo del design, istituendo addirittura una scuola interna. Un design applicato orizzontalmente: alla tradizione della Frau poltrone, alla modernità di Cassina, alla libertà inventiva di Cappellini, al rigore asburgico della Gebrüder Thonet Vienna. In questo modo il gruppo è andato oltre l'arredo della casa ed è partito alla conquista di nuovi mercati, come quello degli allestimenti di auto, treni e aerei. “Perché investire sul design – assicura l'amministratore delegato Giuliano Mosconi – significa fare sistema, avere un'ottica fortemente internazionale, imparare a cogliere gli orientamenti dei consumatori”.

Non finisce qui. Proprio nel pieno della crisi, il design ha esteso il suo ruolo e la

sua importanza fino a sbarcare in terreni inesplorati, balzando al centro

dell'attenzione anche di aziende non operanti nel tipico Made in Italy. In questa

direzione, per esempio, si sta muovendo Autogrill. Il gigante della ristorazione,

cinque miliardi di fatturato, una presenza in 43 Paesi, ha lanciato il progetto A-

Future. L'obiettivo è ridisegnare gli spazi sia in chiave funzionale (banconi

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accessibili a portatori di handicap, servizi per bambini, videosorveglianza dei parcheggi) sia a livello strutturale, con enorme attenzione riservata al rispetto dell'ambiente (costruzioni inserite nel verde) e al risparmio energetico (più 30% di energia rinnovabile, meno 30% di emissioni di CO2). Il modello-laboratorio è il punto di ristoro appena inaugurato a Mensa di Ravenna. Ancora più particolare l'autogrill Casilina, a Roma, dove vetrate, spazi, vialetti esterni sono concepiti per valorizzare un luogo di grande rilevanza archeologica.

“Una svolta in chiave sociale e culturale – riassume Gianluca Metti, che di A- Future è il responsabile – nello stesso tempo, una straordinaria leva di marketing.

Siamo convinti che la clientela ci premierà».

Di seguito alcuni “numeri del design”

225

Ritorno. Fatto 100 l'investimento in design, ogni azienda guadagna 225, secondo le stime del britannico Design Council.

6,3%

L'incremento. La quota di mercato sale grazie al design, secondo un'indagine tra le aziende in Gran Bretagna.

55%

Risposte affermative. La domanda «Il design è un fattore competitivo?» è stata posta da Unioncamere a 941 aziende italiane.

1/5

Investimenti delle aziende. Unioncamere rileva che in media le imprese intervistate hanno investito il 20% del fatturato in design negli ultimi tre anni.

7

E’ stato registrato in Italia un aumento del 46% delle richieste di deposito di design internazionale; il nostro Paese è passato nel 2012, con 926 depositi (pari al 7,4% del totale), dal 6° al 4° posto tra i Paesi d'origine delle domande, preceduta solo dalla Germania (31,7% dei depositi), dalla Svizzera (19,6%) e dalla Francia (11,4%). Posizioni di tutto rispetto che si confermano anche esaminando i dati dei depositi di design comunitario, ambito nel quale l'Italia si conferma, ormai da                                                                                                                

7 MANGIATERRA, Tutto il valore del design, http://www.ilsole24ore.com, 27 febbraio 2009.

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anni, stabilmente al secondo posto nella classifica dei Paesi richiedenti, preceduta solo dalla Germania.

Questa è l’ennesima dimostrazione che il design costituisce ormai un fattore fondamentale nella progettazione di molti prodotti commerciali, la cui scelta da parte dei consumatori è spesso dettata, oltre che dagli aspetti funzionali, dall'aspetto esteriore dei prodotti stessi.

Ed è grazie al design che molti prodotti di punta del Made in Italy hanno ottenuto il proprio successo.

3. L’immagine del prodotto, tra marketing e tutela giuridica. Un excursus sull’evoluzione normativa.

Da sempre i beni in commercio sono apprezzati anzitutto per l'aspetto esteriore.

Quanto più la “prima impressione” che il prodotto suscita è positiva, tanto più ne restano influenzate, spesso inconsciamente, le ulteriori valutazioni sulla convenienza all'acquisto basate su altri elementi di meno immediata suggestione, ad esempio sulla qualità dei materiali, la funzionalità, il prezzo.

Questa considerazione - valida anche nei sistemi di scambi economici più semplici, basati su rari acquisti di pochi prodotti singoli - è tanto più vera nelle economie moderne, dove la distribuzione avviene spesso in grandi locali (ipermercati, outlet), appositamente creati per ridurre, concentrandoli, i “tempi degli acquisti”.

Nella produzione industriale di massa ogni impresa indirizza buona parte delle risorse a studi di tecnica grafica, ricerche di marketing e campagne pubblicitarie allo scopo di sviluppare prodotti esteticamente attraenti, ben consapevole che da ciò dipenderà in gran parte il suo successo sul mercato.

L'ordinamento italiano, integrato dalle disposizioni comunitarie, tutela i diritti di

chi ha creato forme estetiche (e quindi gli investimenti sull'estetica del prodotto)

attraverso diversi istituti il cui ambito d'applicazione e di reciproca compatibilità

suscitano però non pochi dubbi.

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L' industrial design trova la sua prima tutela nella disciplina dei disegni e modelli (artt. 31 ss. c.p.i., e Regolamento CE n. 6 del Consiglio, del 12 dicembre 2001, su disegni e modelli comunitari), che consente di acquistare un titolo di proprietà industriale con la registrazione.

8

L’ordinamento nazionale, oltre a prevedere il brevetto per invenzione

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, contempla, infatti, anche il brevetto per modello industriale.

Con l’espressione “modello industriale” ci riferiamo sia al “modello di utilità”

(artt.82-86 c.p.i.), che al “modello e disegno” (artt. 31-44 c.p.i.), entrambi già disciplinati dal r.d. n. 1411/1940 (“legge modelli”) e dal codice civile (artt. 2592- 2595).

E’ importante notare che l’espressione industrial design si identifica nel diritto industriale proprio nell’endiadi “disegni e modelli”

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; la registrazione del disegno o modello è infatti da considerarsi come la protezione per antonomasia del disegno industriale.

La registrazione del disegno o modello dura cinque anni ed il titolare può ottenere la proroga della durata per uno o più periodi di cinque anni, fino ad un massimo di venticinque anni dalla data di presentazione della domanda (art. 37 c.p.i.).

A tale tutela “principale” si affiancano, generando i dubbi di compatibilità delle diverse discipline (che analizzeremo più avanti), un'ulteriore specifica tutela in base al diritto d'autore, quando le opere del disegno industriale “presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”, la registrazione come marchio di forma e le norme sulla concorrenza sleale per imitazione servile.

Il testo del codice della proprietà industriale mantiene l’impostazione offerta dal legislatore nel d.lgs. n. 95/2001, distinguendo nettamente la disciplina del modello di utilità da quella dei disegni e modelli.

                                                                                                               

8 MONTANARI, L’industrial design tra modelli, marchi di forma e diritto d’autore, in Riv. Dir. Ind. 2010, I, 7

9 L’invenzione industriale viene comunemente definita come l’idea di soluzione di un problema tecnico suscettibile di applicazione industriale. FLORIDIA in Diritto industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, AA. VV., 2009, p. 198

10 FITTANTE

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Occorre premettere che la differenza tra modello di utilità e invenzione è stata affidata ora ad un criterio quantitativo ( che vede il modello come una “piccola invenzione”), ora ad un criterio qualitativo; la giurisprudenza recente si orienta per lo più nel secondo senso. Afferma spesso che nel modello di utilità manca la soluzione nuova a un problema tecnico e l’innovazione agisce solo su aspetti marginali ed esecutivi di ciò che è già noto, attribuendo “maggiore utilità” a qualcosa che in sostanza già esisteva.

La difficoltà di tracciare una netta linea di confine tra invenzione e modello di utilità genera per l’inventore un problema di qualificazione del trovato, al momento di presentazione della domanda. Al riguardo la legge permette, a chi depositi una domanda di brevetto per invenzione, di depositare anche una domanda di brevetto per modello di utilità, “da valere solo nel caso che la prima non sia accolta o sia accolta solo in parte” (art. 84, c.p.i.); si parla in tale ipotesi di deposito di domande alternative. Può peraltro accadere che l’Ufficio ravvisi nel trovato un’invenzione e rilasci il relativo brevetto; ma il giudice ordinario potrebbe, in seguito, dichiarare nullo il brevetto per invenzione, ravvisando nel trovato un modello. In questo caso si applica l’istituto della conversione, regolato dall’art. 76, commi 3-4,c.p.i..

Per quanto riguarda la differenza tra modelli ornamentali (così si chiamavano i disegni e modelli prima della novella del 2001) e modelli di utilità, i Giudici di legittimità hanno stabilito che essa si basa sulla distinzione tra forma funzionale e forma estetica.

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Il modello di utilità protegge, attraverso il brevetto, la forma nuova del prodotto che dia al prodotto stesso una specifica comodità o efficacia funzionale; il modello o disegno protegge, invece, l’aspetto esterno del prodotto che sia privo di valori funzionali e abbia quindi un rilievo puramente estetico, senza però che sia richiesta la presenza di una sua particolare gradevolezza: il titolo di protezione di quest’ultimo è detto ora “registrazione” e non più “brevetto”.

Dal punto di vista sostanziale, quindi, i due tipi di modelli sono accomunati dal fatto che entrambi hanno a oggetto una forma, ed esattamente la forma nuova di                                                                                                                

11 Cass. Civ. sez I, 24 luglio 1996, n. 6644, in Riv. Dir. Ind., 1997, II, pag.3.

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un prodotto industriale che in un caso rileva per il suo valore funzionale mentre nell’altro per quello estetico. Alla protezione di forme aventi caratteri differenti sono sottesi interessi molto diversi, infatti, mentre i modelli di utilità proteggono un’innovazione tecnologica (ciò giustifica il loro frequente accostamento ai brevetti per invenzione, ricavato dall’art.82 c.p.i.), i modelli e i disegni proteggono un’innovazione esclusivamente formale (non hanno quindi nulla in comune con le invenzioni, avvicinandosi, semmai, come vedremo più avanti, al diritto d’autore e ai marchi tridimensionali).

In via di prima approssimazione il concetto di disegno e modello rimanda all’aspetto, rispettivamente bidimensionale e tridimensionale, di un prodotto o di una sua parte.

In definitiva per disegno e modello si intende l’aspetto esternamente visibile di un prodotto, ovvero di una sua parte, non dettato esclusivamente da una funzione tecnica, quale risulta dalle caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale ovvero dei materiali del prodotto stesso ovvero del suo ornamento e comprende sia i disegni bidimensionali che i modelli tridimensionali. Rimangono invece esclusi dalla nozione di disegni e modelli quegli elementi interni al prodotto che non rivestono alcuna funzione esterna e le forme determinate unicamente da motivi tecnico-funzionali.

Ai fini della registrazione come disegno o modello non si rende necessario che la forma presenti una specifica gradevolezza estetica dal momento che, in coerenza con il contenuto dell’art 31 del Codice di proprietà industriale, il gradiente estetico non assume più alcun rilievo giuridico.

La precedente disciplina, invece, all’art. 5 della Legge modelli, disponeva che la tutela poteva essere accordata solo a vere e proprie manifestazioni artistiche applicate all’industria, tipologicamente individuabili in funzione della capacità di conferire al prodotto uno “speciale ornamento”.

La nozione di prodotto comprende qualsiasi oggetto industriale o artigianale,

compresi tra l’altro i componenti che devono essere assemblati per formare un

prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri

tipografici.

(16)

Tradizionalmente, i disegni o modelli registrabili attengono ai manufatti come il disegno di un gioiello, la forma di una borsa o la decorazione di una piastrella.

Oggi, tuttavia, in piena era digitale, la protezione si è andata estendendo a una serie di altri prodotti, come

gli apparecchi audiovisivi e gli elaboratori elettronici.

12

Per quanto riguarda il modello di utilità, la normativa nazionale richiede (come per l’invenzione) il requisito dell’industrialità, ovvero l’attitudine del bene che risulta dalla realizzazione della idea all’applicazione industriale. Inoltre, la normativa in tema di modelli industriali, dopo aver chiarito che possono essere oggetto di brevetto per modello di utilità i “nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia, o comodità di applicazione, o di impiego, a macchine o parti di esse, strumenti, utensili ed oggetti di uso in genere…” stabilisce che “ il brevetto per le macchine nel loro complesso non comprende la protezione delle singole parti”. La Corte di Cassazione ha rilevato che tale disposizione “chiarisce che l’utilità protetta è industrialmente ulteriore a quella della macchina su cui il modello è applicato: perciò la singola parte che compone la macchina stessa può astrattamente essere brevettata se ne ricorrono i presupposti ovvero se è portatrice di un’utilità industriale sua propria”.

13

La Suprema Corte ha rilevato come la normativa sui disegni e modelli è strutturata in modo significativamente diverso. Infatti, la disciplina letteralmente richiama l’esistenza di un prodotto industriale esistente prima dell’apporto

“estetico”: “tale apporto, al confine con la creazione dell’autore, non si basa sull’individuazione di una invenzione applicabile in sé all’industria, ma sul miglioramento formale della già esistente applicazione industriale”.

14

La legislazione del design ha avuto un’evoluzione abbastanza complessa e poco lineare e, se è innegabile che il ruolo della legge sia quello di regolare il comportamento futuro di una società e delle persone che ne fanno parte,                                                                                                                

12 FITTANTE, La tutela dei disegni e modelli registrati e non registrati, in Il commercialista veneto, n.202 luglio-agosto 2011

13 Cass. Civ., sez. I, 3 gennaio 2001, n.60.

14 Ibidem

(17)

orientandone la condotta e minacciando sanzioni, quali conseguenze della violazione dei precetti imposti, nella materia di cui ci occupiamo, questa funzione di “orientamento delle condotte” è avvenuta in un modo difficilmente comprensibile, tanto per i professionisti che per le imprese del settore che hanno da sempre dovuto fare i conti con la disciplina (a oggi) dei disegni e modelli.

Più in generale, la sola esistenza di diverse discipline di riferimento atte a tutelare una stessa forma di prodotto non può che aver reso difficile il loro stesso coordinamento: dai modelli di utilità ai disegni e modelli, al diritto d’autore, alla concorrenza sleale. Ciò a danno di una semplificazione e una armonizzazione sempre più necessarie in materia e sempre più costantemente ricercate, in primis, dal legislatore europeo. Il suo intervento, infatti, risulta un punto di riferimento per la soluzione di importanti questioni pregiudiziali e dunque per una corretta interpretazione ed applicazione della normativa dell’Unione.

Recepimento nazionale che però, in alcuni casi è avvenuto tutt’altro che in accordo con il legislatore europeo. La causa di ciò è diventata oramai un leitmotiv nostrano: un continuo susseguirsi di modifiche legislative (quand’anche confermate dalla giurisprudenza nazionale), spesso prive del coordinamento necessario con la disciplina comunitaria.

Facciamo un excursus sull’evoluzione legislativa.

Dopo l’ampia revisione della disciplina delle invenzioni industriali operata con il d.p.r. n. 338/1979 per armonizzarla con quella della Convenzione sul Brevetto Europeo, la distinzione fra invenzioni e modelli era ormai da considerare un dato irreversibile.

Il 14 febbraio 1987, con la Legge n.60 di armonizzazione della normativa in materia di brevetti per modelli e disegni industriali con le disposizioni dell'accordo dell'Aja del 6 novembre 1925 (e successive revisioni), si è posta la prima importante diversificazione tra il modello di utilità (che non poteva essere più assimilato alle invenzioni industriali) ed il disegno o modello ornamentale.

La ratio alla base di tale scelta è stata condizionata dal diverso campo di

applicazione di quest’ultimo rispetto al modello di utilità ed all’invenzione: il

campo dell’estetica.

(18)

E’ stato considerato meritevole l’apporto creativo in grado di rendere più gradevole la produzione industriale. Con il provvedimento in questione il legislatore ha preso atto che “i brevetti per invenzione e per modello di utilità si distinguono dai disegni e modelli ornamentali come la tecnologia si distingue dal design industriale”.

In attuazione del programma diretto a differenziare la disciplina dei disegni e modelli ornamentali da quella delle invenzioni e dei modelli di utilità, già nel 1987 il titolare del disegno o modello è stato affrancato dall’onere di attuazione e dalle conseguenze dell’inosservanza di questo onere. Conseguentemente è stata soppressa la decadenza per mancata attuazione senza sostituzione con l’applicazione delle norme sulla licenza obbligatoria.

Questa scelta è stata operata sulla base del rilievo che il disegno o modello ornamentale si discosta radicalmente dal modello di utilità e dall’invenzione proprio in quanto il campo della sua applicazione è quello dell’estetica nel quale la creatività è bensì meritevole di compenso per l’apporto che dà al patrimonio delle forme idonee a rendere più gradevole la produzione industriale ma nel quale, al contempo, questo compenso ottenuto con la concessione della privativa non implica necessariamente il contrappeso dell’attuazione come onere da imporre a tutela di interessi generali.

Tra le altre novità, dal 1987, con il nuovo testo dell’art. 10, r.d. n.1411 del 25

agosto del 1940, è stata introdotta la regola della pubblicazione immediata (nella

forma della messa a disposizione del pubblico) per il disegno o modello

ornamentale, a differenza di come accadeva precedentemente, ove per la

pubblicazione nella medesima forma, era necessario che trascorressero 18 mesi

dalla data di deposito o di priorità (o comunque almeno 90 giorni dopo il deposito

per chi avesse richiesto l’immediata messa a disposizione). L’insussistenza di un

onere di attuazione e la pubblicazione immediata hanno certamente posto la

protezione del disegno o modello ornamentale in una posizione analoga alla

protezione del diritto d’autore (e dall’altra parte, contribuito ad assimilare il

modello di utilità all’invenzione) e questa analogia rafforza la convinzione che

(19)

opere dell’industrial design e modelli ornamentali devono formare oggetto di una tutela omogenea distinguibile soltanto in funzione dei diversi livelli di protezione.

I disegni e modelli possono inoltre godere del beneficio del cosidetto “deposito multiplo” ma, mentre il testo dell’art. 6 r.d. n. 1411/1940 anteriore alla riforma del 1987 disponeva che con una sola domanda poteva essere chiesto il brevetto per non più di 50 modelli o disegni, purchè nell’insieme costituissero “un tutto o una serie omogenea”, la norma del testo del 1987 non solo raddoppia da 50 a 100 il numero dei modelli e disegni suscettibili di un’unica brevettazione, ma sostituisce il concetto di “tutto” e di “serie omogenea” con il diverso concetto che deriva dall’applicazione dell’Accordo di Locarno dell’8 ottobre 1968. Infatti mentre sotto il vigore del regime anteriore al 1987 all’origine dell’unicità della brevettazione era posta l’unicità della creazione intellettuale costituita dal design industriale (si faceva riferimento per esempio ai servizi di posateria, ai servizi di caffè, ai mobili di uno stesso ambiente, e così via), sotto il vigore della nuova disciplina introdotta nel 1987, ed ora trasferita nell’art. 39 c.p.i., il deposito multiplo è consentito per ciò solo che i disegni e modelli siano inseriti nella medesima classe della classificazione internazionale, la quale, ai sensi dell’art. 2 dell’Accordo di Locarno, ha di per sé carattere esclusivamente amministrativo e non vincola i Paesi dell’Unione in particolare quanto alla natura ed ai limiti della protezione del disegno o modello in tali Paesi.

Il deposito multiplo costituisce un’eccezione al principio secondo il quale ogni domanda deve avere per oggetto una sola invenzione e questa regola è stata ribadita anche nella materia dei disegni e modelli, oltre che in quella dei modelli di utilità, dalla nuova disciplina introdotta nel 1987 ed ora trasferita nell’art. 39 del Codice, di guisa che non è consentito né presentare una domanda per più brevetti né presentare una domanda per ottenere un solo brevetto per più modelli.

Qualora il richiedente presenti un’unica domanda per una molteplicità di trovati oppure un’unica domanda per un trovato che abbia al tempo stesso i requisiti di una valida brevettazione come modello o disegno e come modello di utilità (cd.

Registrazione contemporanea), compete all’Ufficio di attuare la procedura

(20)

divisionale con invito allo stesso richiedente di sdoppiare la domanda stessa (art.

40 del Codice).

Infine un’ulteriore diversificazione della disciplina dei brevetti per modelli e disegni ornamentali rispetto a quella dei modelli di utilità si è avuta nel 1987, estendendo l’ipotesi della predivulgazione non opponibile, e cioè di una predivulgazione che non intacca la novità del modello, non soltanto al caso in cui quest’ultima avvenga in una delle Esposizione fra quelle contemplate nella Convenzione di Parigi del 1928, come avviene per le invenzioni e modelli di utilità, ma ad ogni altra esposizione ufficiale o ufficialmente riconosciuta, tenuta nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato estero che accordi reciprocità di trattamento (art. 34.5 del Codice).

La Direttiva 98/71/CE sui disegni e modelli segna un’importante svolta per la legislazione italiana in materia di design.

Con la sua entrata in vigore e la conseguente attuazione mediante il d.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95, la disciplina nazionale ha avuto infatti un radicale sommovimento, essendosi dovuta uniformare a principi che sono completamente estranei a quelli regolativi della materia secondo la legislazione precedente e dovendo dare luogo, conseguentemente, ad una regolamentazione completamente innovativa e, per certi versi, antinomica.

Volendo esprimere sinteticamente quello che potrebbe essere definito il punto di

frattura tra l’ordinamento precedente dei disegni e modelli e quello scaturito

dall’attuazione della direttiva, si potrebbe dire che nell’ordinamento precedente i

disegni e modelli erano configurati come creazioni intellettuali capaci di

determinare un rilevante progresso nell’estetica dei prodotti industriali mentre,

secondo il nuovo ordinamento, sono nient’altro che gli strumenti di un marketing

creativo e cioè di un marketing che confida in un successo di mercato in tutto o in

parte riconducibile alla configurazione formale del prodotto. In altri termini,

mentre nel precedente ordinamento i disegni e i modelli erano opere dell’ingegno

applicate alla produzione industriale, nel nuovo ordinamento sono innovazioni

capaci puramente e semplicemente di distinguere i prodotti ai quali sono applicate

dai prodotti concorrenti.

(21)

Questo radicale mutamento di prospettiva nell’organizzazione della materia ha comportato, come si vedrà più avanti, un considerevole sommovimento sistematico riguardante la protezione dell’intera materia delle forme tridimensionali e bidimensionali della produzione industriale.

15

Alcuni commentatori, facendo proprie le lamentele di settori del mondo imprenditoriale, avevano evidenziato che il precedente assetto della protezione della forma esprimesse un’insufficiente tutela del design industriale.

Inadeguatezza della legislazione, inadeguatezza dell’interpretazione giurisprudenziale, ancorata a concezioni nelle quali si ritiene che il pregio estetico da tutelare sia uno “speciale ornamento” che si aggiunge al prodotto, mentre il design si sostanzia nella ricerca di un’armoniosa fusione di aspetti funzionari ed estetici.

Di qui la scomparsa del requisito dello “speciale ornamento” che cede il posto ai requisiti della “novità” e del “carattere individuale” (art. 31 C.p.i.).

A tali pretesi limiti di tutela del design sembra voglia ovviare il legislatore comunitario con la Direttiva 98/71/CE del 13 ottobre 1998. La Direttiva assume un più realistico approccio al fenomeno del design e della tutela della forma del prodotto, rispetto al sistema di protezione ricavabile dagli istituti tradizionali ora ricordati; un approccio che coglie l’importanza economico-concorrenziale dell’industrial design. Infatti, in forza della direttiva, si vuole estendere la tutela alle caratteristiche esteriori del prodotto alle quali sia astrattamente ricollegabile un valore economico e che siano percepite dal mercato come “diverse dal noto”.

Secondo questa impostazione gli investimenti economici devono ritenersi meritevoli di tutela a prescindere da un giudizio di meritevolezza sull’effettivo pregio estetico apportato dalla nuova forma. Si verrebbe così a proteggere in maniera appropriata l’interesse alla utilizzazione in esclusiva di elementi estetici rilevanti per l’apprezzamento del pubblico e quindi idonei ad influenzare il potere di vendita del prodotto, realizzando una tutela della forma del prodotto quale fattore decisivo nella gara concorrenziale.

                                                                                                               

15 FLORIDIA, in AA. VV., Diritto industriale, proprietà intellettuale e concorrenza, AA.

VV., Giappichelli, 2009, P. 288.

(22)

E proprio sulla base di tale innovativa impostazione, già si prospetta una riconsiderazione di tutta l’impostazione maturatasi in tema di tutela delle forme attraverso i tradizionali istituti, per giungere ad un assetto che veda la prospettiva della tutela del design – asseritamente prescindente da ogni valutazione circa il pregio estetico del prodotto – quale pietra angolare dell’intero sistema.

16

Dunque, abbiamo detto che in materia di fondamentale importanza è la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre del 1998, circa la protezione giuridica dei disegni e modelli; la citata Direttiva nel secondo e terzo

“considerando”, pone importanti premesse, affermando “che le difformità nella protezione giuridica dei disegni e modelli riscontrate nella normativa degli stati membri incidono direttamente sull’instaurazione e sul funzionamento del mercato interno per quanto riguarda i prodotti in cui i disegni e modelli sono incorporati e possono falsare la concorrenza nell’ambito del mercato interno, ed è pertanto necessario, per il buon funzionamento del mercato interno, procedere al ravvicinamento delle normative nazionali in materia dei disegni e modelli”. E a ciò aggiunge (all’ottavo “considerando”) che “in mancanza di un'armonizzazione della normativa sul diritto d'autore, è importante stabilire il principio della cumulabilità della protezione offerta dalla normativa specifica sui disegni e modelli registrati con quella offerta dal diritto d'autore, pur lasciando gli Stati membri liberi di determinare la portata e le condizioni della protezione del diritto d'autore”.

Di particolare interesse (ai fini di quanto ci occupa) risultano gli articoli 12, 16, 17 e 19 della direttiva 98/71/CE, rispettivamente dedicati ai “diritti conferiti dal disegno o modello”, alle “relazioni con il diritto d’autore”, alle “relazioni con altre forme di protezione” ed alla “attuazione” della medesima direttiva negli stati membri.

17

                                                                                                               

16 BICHI, La tutela della forma del prodotto e le nuove prospettive introdotte dalla Direttiva comunitaria n. 71/98 in Riv. Dir. Industriale 2003

17 Di seguito i testi integrali delle norme menzionate: articolo 12 - diritti conferiti dal disegno o modello – “1. La registrazione di un disegno o modello conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzarlo e di vietare a terzi di utilizzarlo senza il suo consenso.

Costituiscono in particolare atti di utilizzazione la fabbricazione, l'offerta, la commercializzazione, l'importazione, l'esportazione o l'impiego di un prodotto in cui il

(23)

Detta direttiva è stata attuata dal legislatore italiano il 2 febbraio del 2001 mediante il d.lgs. n. 95 (entrato in vigore il 19 aprile del 2001).

Fino alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 95/2001, l’articolo 5 del regio decreto n.1411 del 25 agosto del 1940 sanciva (pur parlando di brevettabilità) la tutelabilità dei disegni e modelli ornamentali capaci di dare uno “speciale ornamento” ai prodotti industriali escludendo espressamente l’applicabilità a questi, delle disposizioni sul diritto d’autore.

Tale protezione, per i disegni e modelli, si riscontrava nel dettato della Legge n.

633 del 22 aprile del 1941. L’articolo 2, primo comma, n.4, inizialmente considerava tutelabili sotto il profilo del diritto d’autore, soltanto quei disegni o modelli il cui valore artistico fosse stato scindibile dal carattere industriale del prodotto al quale erano associati; ciò a prescindere dalla applicazione di dette opere all’industria o meno.

La direttiva in esame ha modificato l’articolo appena citato, eliminando la condizione di “scindibilità” ed aggiungendo al punto n.10, all’elenco delle opere

                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

disegno o modello è incorporato o cui è applicato, ovvero la detenzione di tale prodotto per tali fini. 2. Qualora il diritto di uno Stato membro non consenta di impedire gli atti di cui al paragrafo 1 prima della data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della presente direttiva, i diritti conferiti dal disegno o modello non possono essere fatti valere per impedire la continuazione dei suddetti atti da parte di persone che li abbiano iniziati anteriormente a tale data”. Articolo 16 - relazioni con altre forme di protezione – “le disposizioni della presente direttiva lasciano impregiudicate le disposizioni comunitarie o nazionali applicabili ai disegni o modelli non registrati, ai marchi d'impresa o ad altri segni distintivi, ai brevetti per invenzione, ai modelli di utilità, ai caratteri tipografici, alla responsabilità civile e alla concorrenza sleale”. Articolo 17 - relazioni con il diritto d'autore – “i disegni e modelli protetti come disegni o modelli registrati in uno Stato membro o con effetti in uno Stato membro a norma della presente direttiva sono ammessi a beneficiare altresì della protezione della legge sul diritto d'autore vigente in tale Stato fin dal momento in cui il disegno o modello è stato creato o stabilito in una qualsiasi forma. Ciascuno Stato membro determina l'estensione della protezione e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve possedere”. Articolo 19 - attuazione – “1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 28 ottobre 2001. Quando gli Stati membri adottano tali disposizioni, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all'atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri. 2. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle disposizioni di diritto interno che essi adottano nel settore disciplinato dalla presente direttiva”.

(24)

protette, “le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico”.

Il recepimento nazionale della normativa europea ha segnato un ulteriore passo nella senso dell’autonomia dei disegni e modelli ornamentali rispetto alle invenzioni ed ai modelli di utilità, come risulta dalle modifiche che il d.lgs.

n.95/2001 ha apportato anche alle norme del regio decreto n.1411 del 1940, tra cui di maggior interesse, risultano quelle riprese e trasfuse nel Capo II, Sezione III dedicata ai Disegni e modelli del Codice della proprietà industriale promulgato nel 2005.

18

L’attuazione della direttiva comunitaria ha riguardato, in primis, l’individuazione tipologica dei disegni o modelli che possono formare oggetto di registrazione (e non più di brevettazione) ed ha inoltre modificato i requisiti di validità degli stessi.

Una interessante integrazione al testo del d.lgs. n. 95/2001 si è avuta con il d.lgs.

n. 164 del 12 aprile del 2001 (anch’esso recante attuazione della direttiva 98/71/CE), che ha inserito nel citato decreto un nuovo articolo 25bis. La norma prevedeva l’introduzione di una moratoria decennale a decorrere dal 19 aprile 2001 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 95/2001) relativamente alla protezione per i disegni e modelli ex art. 2, primo comma, numero 10 della legge n.

633/1941.

19

A partire dall’aprile 2001 e fino all’aprile 2010, era così impedito ai titolari di disegni o modelli di poter opporre il diritto d’autore a chi aveva già prodotto o commercializzato, prima dell’aprile 2001, gli stessi disegni o modelli caduti in pubblico dominio (per effetto della scadenza di un brevetto industriale).

20

                                                                                                               

18 D.lgs. n. 30 del 10 febbraio 2005.

19 L’articolo 25-bis del d.lgs. n. 95/2001 sanciva che “Per un periodo di dieci anni decorrenti dal 19 aprile 2001, la protezione accordata ai sensi dell'articolo 22 non opera nei confronti di coloro che, anteriormente alla predetta data, hanno intrapreso la fabbricazione, l'offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con disegni o modelli precedentemente tutelati da brevetto e caduti in pubblico dominio. I diritti alla fabbricazione, all'offerta ed alla commercializzazione non possono essere trasferiti separatamente dall'impresa”.

(25)

La materia del diritto d’autore sarà esaminata approfonditamente nel III capitolo.

A norma dell’articolo 15 della legge del 12 dicembre del 2002 n. 273, in data 15 febbraio 2005 è stato poi promulgato il d.lgs. n. 30, meglio noto come Codice della Proprietà Industriale, che ha dato attuazione alla legge delega finalizzata al riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale. Tra gli obiettivi principali: la semplificazione della normativa in materia, il coordinamento della disciplina nazionale con quella comunitaria.

2122

                                                                                                                                                                                                                                                                                                               

20 Questa norma transitoria è stata poi trasfusa nell’articolo 239 c.p.i., successivamente modificato più volte; molte altre. Si veda il paragrafo finale del presente elaborato.

21 In merito alla scelta del “titolo” quale “Codice della proprietà industriale”, ha certamente rilevato per il legislatore nazionale, l’assenza in molti trattati internazionali di un distinguo tra “proprietà industriale” e “proprietà intellettuale”. La normativa di riferimento per il diritto d’autore è ancora la legge n. 633/1941 (come più volte modificata) ma la materia autorale non è certo trattata all’interno del c.p.i. (se non in via del tutto marginale, per mezzo di qualche rinvio espresso alla stessa legge 633/1941 come nel caso dell’articolo 44 c.p.i. che vedremo brevemente in seguito).

22 BALDI, Proprietà industriale: tutela giuridica di disegni e modelli, in www.altalex.it, aprile 2013.

(26)

CAPITOLO SECONDO

STRUMENTI DI PROTEZIONE

1. Marchi di forma. – 1.1. La capacità distintiva. – 1.2. Il fatto costitutivo dell’acquisto del diritto: la registrazione. – 1.3. I presupposti di validità della registrazione. – 1.4. Il diritto di esclusiva. – 1.5. Il marchio di forma per la tutela dell’industrial design. – 1.6. Forme “necessarie” o imposte dalla

“natura stessa del prodotto”. - 1.7. Funzionalità tecnica. Forme utili. – 1.8.

Causa T-270/06 Lego Juris/UAMI - Mega Brands. – 1.9. Causa C-299/99 Causa C-299/99 Koninklijke Philips Electronics NV - Remington Consumer Products Ltd. – 1.10. Funzionalità estetica. Forme ornamentali. – 1.11. Caso Gilmar – Immagine Eyewear. – 2. Disegni e modelli registrati. – 2.1.

Evoluzione normativa e fine dello “speciale ornamento”. – 2.2. Oggetto della protezione e “prodotti complessi”. – 2.3. Requisiti di accesso alla protezione.

– 2.4. La privativa. – 2.4. I disegni e modelli comunitari. Cenni. – 2.6. Esempi di disegni e modelli registrati. Immagini. - 3. Concorrenza sleale.

• Premessa

La protezione del design ovvero della forma del prodotto, si fonda su numerose norme che ne tutelano i vari aspetti e le diverse funzioni:

1. Norme in materia di marchi di forma (artt. 7 e 9 del Codice della proprietà industriale);

2. Norme in materia di disegni e modelli registrati e non registrati (artt. 31-44

del Codice della proprietà industriale; D.Lgs. 30\2005, Regolamento

(27)

6\02\CE; Accordo dell’Aja che consente il deposito internazionale dei modelli);

3. Norme che dettano la disciplina della concorrenza sleale (art. 2598 c.c.);

4. Norme in materia di diritto d’autore (art. 2, n. 10, l. 633\41; art. 239 Codice della proprietà industriale; D.Lgs. 95\2001 attuativo della Direttiva 98/71/CE; L.46\2007).

La possibilità di tutelare le opere del design contro la contraffazione non è tuttavia agevolata da questa ricchezza normativa, anzi la complessità e qualche volta la contraddittorietà di tali leggi creano delicati problemi interpretativi e difficoltà di applicazione. A ciò si aggiunga che la lunghezza dei tempi della giustizia non garantisce l’effettività della tutela.

1) Marchi di forma

Il primo istituto che può trovare applicazione per la tutela di alcune forme di disegno industriale è il marchio di forma; come è noto, infatti, l’art. 7 c.p.i.

prevede tra i segni suscettibili di costituire un marchio di impresa, la forma del prodotto o della confezione di esso.

Innanzitutto analizziamo brevemente la disciplina dei marchi in generale.

Il bisogno di identificazione e di distinzione si ripropone in tutti i segmenti della società e, dunque, anche sul mercato

23

.

Nell’ambito di un’economia liberista e di un libero mercato nasce la necessità di adottare segni distintivi per rendere possibile l’individuazione e il riconoscimento reciproco di coloro che vi operano a vari livelli e con varie funzioni (produttori, enti finanziari, distributori, consumatori ecc.).

Particolare rilievo assumono poi i segni distintivi specificatamente utilizzati nel rapporto tra le imprese e i consumatori, vale a dire i segni inerenti a beni e servizi offerti ai consumatori. Se è vero, infatti, che il regime concorrenziale può dare i buoni frutti che il liberismo da esso si attende solo a condizione che a essere                                                                                                                

23 MARCO RICOLFI, in AA. VV., Diritto industriale: proprietà intellettuale e concorrenza, 2009, Giappichelli , parte II, capitolo I.

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