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Il movimento 5 stelle: Analisi e populismo in Italia. Nascita e trasformazioni del Movimento 5 Stelle.

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Tesi di laurea magistrale in Sociologia Politica

Il movimento 5 Stelle: Analisi e populismo in Italia. Nascita e

trasformazioni del Movimento 5 Stelle.

Relatore: Laureanda:

Chiar.mo prof. LORENZO VIVIANI Maria Michela Pagliara

matr. 498246

___________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2016 – 2017

(2)

Ai miei Genitori e a mio fratello Giuseppe.

Dedico questo mio traguardo

anche ai miei Professori universitari.

“La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt'altro – cioè populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c'è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea”. (Paul Ginsborg, La

(3)

Maria Michela Pagliara

(4)

INDICE

INDICE ... 4

INTRODUZIONE ... 6

PRIMO CAPITOLO ... 12

1.1 Analisi del termine e significati socio-politici ... 13

1.1.1 Il populismo come ideologia ... 15

1.1.2 Il populismo come stile discorsivo ... 17

1.1.3 Il populismo come strategia politica ... 19

1.3 I teorici del populismo ... 22

1.3 Profilo storico del populismo in Europa e in Italia ... 29

SECONDO CAPITOLO ... 48

2.1 Aspetti e ideologie dei partiti populisti in Italia dopo il referendum del 1946 ... 49

2.2 Populismo e boom economico negli anni Sessanta ... 59

2.3 La percezione sociale dei partiti populisti negli ultimi anni del Novecento (Forza Italia e Lega Nord) ... 62

TERZO CAPITOLO ... 75

(5)

3.3 Il Movimento 5 Stelle nelle istituzioni ... 91

3.4 Il Movimento 5 Stelle in Europa ... 109

QUARTO CAPITOLO ... 121

4.1 Il movimento cinque stelle nelle consultazioni elettorali ... 121

4.2 L’avanzata del movimento cinque stelle preoccupa i partiti tradizionali ... 124

4.3 Movimento 5 Stelle: un movimento-partito “moderno” ? ... 130

CONCLUSIONI ... 142

BIBLIOGRAFIA ... 149

(6)

INTRODUZIONE

Osservando lo scenario socio-politico nazionale sul versante dei risultati delle elezioni amministrative di giugno, potrebbe sembrare inspiegabile o poco comprensibile il successo del Movimento 5 Stelle Nazionale1. E’ successo che i municipi di città come Roma o Torino (giusto per citare i due casi più eclatanti) hanno ottenuto la carica di sindaco. Lasciandosi dietro candidati o coalizioni partitiche di comprovata e consolidata esperienza politica. Ma guardando con attenzione l’attuale situazione socio-politico-economica del Paese, tali esiti erano già nell’aria.

La serrata campagna elettorale e poi la vittoria dei pentastellati, secondo i media, sono state come una specie di sfida alla partitocrazia, al PD e al suo

1 IlFattoQuotidiano.it/Elezioni Amministrative 2016, All’una di notte è Beppe Grillo a

celebrare lo storico risultato elettorale del Movimento 5 stelle: il comico si affaccia alla finestra del suo hotel a braccia spalancate e in silenzio prende in mano un “appendino”. Inizia una nuova vita per il M5s: le candidate grilline asfaltano il Pd a Roma e Torino e

si preparano ad amministrare due capoluoghi di regione e tra questi anche la Capitale d’Italia. L’avvocato Virginia Raggi è la prima donna sindaco in Campidoglio con più del doppio delle preferenze (67,15%) rispetto al dem Roberto Iachetti (32,85%), mentre

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operato sul piano del governo nazionale, divenendo il M5S quasi un partito dell’establishment, cioè un partito che capace di generare una nuova classe dirigenziale italiana. Infatti, il recente tour di Luigi Di Maio2 nei paesi dell’Unione europea, in Inghilterra in particolare, ha quasi legittimato, fuori dalla nostra nazione, il M5S come una nuova realtà politica, attiva e propositiva anche sul piano operativo in seno allo stesso Parlamento.

Comunque, sul fenomeno del populismo in Italia (come ovunque si osservi tale fenomeno) si intrecciano teorie e riflessioni di non facile comprensione e la difficoltà di una teoria esatta che ne giustifica l’esistenza. Perciò, nel seguito del presente lavoro si terrà conto delle varie linee di interpretazione del fenomeno stesso, sia sul piano sociale che politico, sia in Italia come nel resto dell’Europa e più brevemente anche del mondo, l’America latina in particolare.

Venendo all’Italia, la lunga ed estenuante crisi, nazionale e globale, il malcontento per l’operato dei governi degli ultimi vent’anni, la disoccupazione giovanile, la corruzione dilagante nei luoghi del potere e della Pubblica Amministrazione e altro, in tutta Italia hanno trovato facile sfogo e, quindi, convergenza popolare nel pensiero e nell’azione del Movimento 5 Stelle, le cui proposte e gli atteggiamenti di numerosi esponenti hanno convinto una larga fascia di elettori, dichiaratisi scontenti dell’attuale sistema politico.

In tal senso, il punto di forza del Movimento sembra essere proprio la sua veste “populista”, cioè il presentarsi come una specie di partito antisistema, schierato né a destra né a sinistra, ma esclusivamente dalla parte del popolo.

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A tanto, è valso anche il modello trascinante della immagine pubblica dei leader, dallo stile del tutto diverso da quello dei politici tradizionali; infatti, sono scesi in campo personaggi carichi di uno spessore mediatico (Beppe Grillo in testa), veri elementi di rottura con le norme usuali e i più collaudati protocolli di comportamento dei leader dei partiti storici.

Sul piano degli studi sul fenomeno populista, in Italia, prima degli anni 80-90, vi sono pochi studi su questo tema3, mentre già erano note importanti ricerche straniere4. Invece, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso e per tutto il primo decennio del secolo XXI si osserva una ricca produzione di ricerche, centrate sui tanti aspetti del populismo5, ma quello che difetta in questi studi è la mancanza di una teoria sul populismo come movimento. Dice Franco Crispini che negli studi precedenti alla sua analisi “sembra di trovarsi continuamente di fronte al medesimo scenario in cui gli studiosi, con gli strumenti delle sole loro competenze trovano serie difficoltà per venire ad un terreno solido dove piantare il populismo”6.

Vi sono, infatti, posizioni differenti e una variabilità di categorie che annullano ogni tentativo di una solida teorizzazione e forme di ricerca individualista che non portano a risultati oggettivi.

Alcuni studiosi dicono che si tratta di una frattura tra il popolo e le diverse élite del potere e, quindi, di una incolmabile distanza tra il popolo e il sistema politico che lo governa. Infatti, sullo scenario sociale, è la crisi della

3 Venturi F., Il populismo russo, Torino 1925; Asor Rosa, Scrittori e Popolo: il

populismo nella letteratura italiana contemporanea, Roma 1965).

4 Gelner E, Jonescu G., Introduction, in Populism: Its Meaning and National

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fiducia dei cittadini nei confronti della democrazia rappresentativa, poi consegue il sorgere di un movimento di diserzione civica con l’astensionismo elettorale e la ribellione nei confronti dei politici in carica, ritenuti incapaci di portare a soluzione i problemi del popolo7.

Ad amplificare tale atmosfera socio-politica vi è una esasperazione dei media, i quali trattano il fenomeno in termini non adeguatamente comprensibili dalla società e con una moltitudine di punti di vista, tutti confutabili tra di loro, tanto da far dire a Taguieff che la “vera natura del populismo sembra restare ancora misteriosa”8.

Comunque, un punto a favore del populismo è che esso ha saputo sfruttare i problemi e le inquietudini scaturiti dalla spietata globalizzazione sociale, economica e finanziaria.

C’è poi, da parte della “casta”, una convinzione che parla di populismo come “minaccia per la democrazia”, anche se tale affermazione può dirsi paradossale, in quanto il popolo di per sé è alla base sia del populismo che della stessa democrazia9.

Tale supposizione potrebbe riferirsi al fatto che la minaccia del populismo ricada non già sul popolo ma sulla democrazia rappresentativa, ossia sui gruppi politici costituzionalmente eletti. I valori popolari democratici, infatti, non sono quelli in crisi ma lo è il sistema rappresentativo, verso il quale vi è una insoddisfazione collettiva causata dal mal funzionamento di quest’ultimo.

(10)

Tornando alla complessa situazione circa una definizione scientifica del termine populismo, ancora oggi, vi sono posizioni differenti e una varietà di categorie.

Certo, il populismo non è un malessere democratico di una breve stagione, che a torto si vuole legato alla crisi globale di questi ultimi tempi, visto che il fenomeno si è manifestato e affermato in Europa già negli anni Novanta, come pure in Italia con la Lega Nord e il berlusconismo.

Per fare chiarezza sulla posizione attuale degli studi più critici sul fenomeno del populismo, mi sono rifatta alla lucida analisi di Noam Gidrom e Bart Bonikowski dell’Università di Harvard10, i quali analizzano il populismo,

tracciando un quadro rigorosamente critico sullo stato attuale degli studi e delle ricerche sul fenomeno populista, come si dirà nel seguito di questo lavoro (v. cap.I).

Poi, vi sono i tanti volti dei social network e dei mass media, i quali hanno comunque fatto passare universalmente il concetto di populismo come frattura fra il popolo e le élite del potere, attraverso una crescente distanza di pensiero fra sistema politico imperante e popolo. E ancora più precisamente, come dice Taguieff, in tutte le retoriche populiste di oggi, sia di estrema destra o di estrema sinistra, il popolo viene trasfigurato, assegnandogli il ruolo privilegiato della vittima.

Questa idealizzazione del popolo-vittima “è al centro della nuova immagine stereotipa del popolo o dei popoli ritenuti vittime dell’imperialismo”11.

10 Noam Gidrom N., Bart Bonikowski, Varieties of Populism: Literature Review and

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13-D’altra parte, non sfugge la verità su una specie di disprezzo e di sottostima da parte del sistema economico-finanziario verso il popolo.

Quando in Francia Le Pen superò nelle elezioni i candidati di quella politica, lontana dal “paese reale” e incentrata solo su un paese mediatico e quasi immaginario, l’attenzione degli studiosi ha portato alla luce l’esistenza reale di una Francia diversa; una nazione in sofferenza, con vaste aree socio-economiche, animate da rancore verso le élites politico-economico-finanziario-amministrativo oltre che culturali. Almeno un francese su cinque ha espresso col voto il proprio disagio verso questa roccaforte delle caste.

L’impressione ultima che si riceve, analizzando il populismo è che vi sono posizioni differenti e una variabilità di categorie che annullano ogni tentativo di una solida teoria e forme non concordi forme di ricerca, che non portano a risultati oggettivi.

Il populismo rimane, comunque, l’identificatore di una tendenza della realtà socio-politica di questo momento della storia sociale mondiale12, sia pure distorto nella sua essenza dagli effetti dei mass-media sull’immaginario collettivo; tanto ha determinato definizioni sul populismo come “spettro che ossessiona il mondo”13.

(12)

PRIMO CAPITOLO

Il POPULISMO IN EUROPA

1.1 Analisi del termine e significati sociopolitici 1.2 I teorici del populismo

(13)

1.1 ANALISI DEL TERMINE E SIGNIFICATI SOCIO-POLITICI

Il termine populismo nasce con il movimento politico-culturale russo, sviluppatosi durante la rivoluzione russa nella seconda metà del XIX secolo. Successivamente, è stato associato a movimenti e tendenze socio-economico-politiche che hanno avuto luogo in diversi contesti politici e aree geografiche, come in America Latina, Nord-America, nell’Europa dell’Est e in Africa.

Negli ultimi decenni, sociologi, commentatori politici, storici e studiosi hanno tentato di fare luce sulle molteplici sfaccettature di tale fenomeno sociale e politico, con l’intento di dare una definizione univoca al termine “populismo”. Tale compito si è però rivelato arduo, suscitando numerosi dibattiti e controversie nella comunità degli studiosi.

Perciò ancor prima di addentrarci nella trattazione del tema di questa tesi, è utile richiamare una delle più note chiare definizioni di populismo, quella di Ernesto Laclau, che chiarisce anche l’uso ambiguo e spesso impreciso del termine: “Populismo è un concetto tanto ricorrente quanto inafferrabile. Se pochi termini sono stati così largamente usati nell’analisi politica contemporanea, è anche vero che pochi sono stati definiti con una minore precisione. In modo intuitivo noi sappiamo a che cosa ci riferiamo quando chiamiamo populista un movimento o una ideologia, ma troviamo la più grande difficoltà a tradurre la nostra intuizione in concetti.

(14)

Questo ha portato spesso a una sorta di pratica ad hoc: il termine continua ad essere usato in modo puramente allusivo e qualsiasi tentativo di verificarne l’esatto contenuto viene ormai abbandonato.”14.

Praticamente, dice il politologo francese Taguieff, siamo di fronte a un fenomeno di relativismo del termine populismo15, cioè ognuno dà al termine populismo la definizione o il significato che più sono vicini alla propria scuola di pensiero. Teoricamente, il populismo, sempre secondo Taguieff, è un fenomeno socio-politico moderno non afferrabile, che alla base ha un principio forte, cioè “l’idolatria e il culto del popolo”16.

Volendo, però, studiare il fenomeno, è necessario farlo tenendo in considerazione un triplice riferimento:

1. Populismo e democrazia17;

2. Populismo e demagogia; 3. Populismo e nazione18.

Dalla precisa interpretazione socio-politiva di questi tre punti, forse si potrebbero capire tutte le facce del populismo e quindi la sua vera natura. Anche nel lavoro di ricerca sul populismo, condotto nel 1969 da Gellner e Ionescu19 si legge che, per quanto l’importanza del populismo sia indubbia sul piano sociale e politico, nessuno sa esattamente cosa sia, se “una dottrina o un movimento”.

14 Laclau E., Politics ande ideology in marxist theory, Londra 1979, p.143. 15 Taguieff P. A., L’illusione populista, Milano 2002, p.79.

16 Ivi, p. 30.

17 Meny Y., Surel Y., Populismo e democrazia, Bologna 2001.

18 Taguieff P. A., L’illusione populista, cit. pp. 6-31; vedi anche Baldini G., Populismo e

(15)

A causa della varietà dei contesti storici e sociali in cui esso si è sviluppato nel corso degli anni e delle dinamiche con cui ha preso piede, obbiettivamente è diventata quasi una sfida quella di trovare un comune denominatore, una chiara definizione di populismo valida per tutti.

A fornire un’analisi e un quadro generale e chiaro degli studi compiuti negli ultimi anni, nel tentativo di definire e spiegare il populismo nelle sue diverse forme e definizioni, vi è il lavoro del 2004 di Gidrom e Bonikowski dell’Università di Harvard20, da cui è stata desunta parte del presente

paragrafo.

I due autori partono col dire che tra le varie interpretazioni degli studiosi e le diverse concettualizzazioni del populismo, emergono fondamentalmente tre filoni di pensiero21, in cui converge la maggior parte delle ricerche degli

studiosi, cioè:

1. populismo come ideologia; 2. populismo come stile discorsivo; 3. populismo come strategia politica.

1.1.1 Il populismo come ideologia

Dopo aver parlato di “contagio populista”22 nell’Europa contemporanea,

Cas Mudde, in una serie di studi sui partiti populisti europei di destra,

20 Gidrom N., Bonikowski B., Varieties of Populism: Literature Review and Research

Agenda, Weatherhead Center for International Affairs, Harvard University, XIII- 20004.

21 Gidrom N., Bonikowski B., Varieties of Populism, cit., p.5; vedi anche Moffitt B. e Tormey S., Rethinking Populism: Politics, Mediatisation and Political Style, «Political Studies» 2013.

(16)

fornisce una prima interessante definizione del termine populismo come “a

thin-centered ideology”, cioè una ideologia debole, con un ristretto nucleo

di principi, “che considera la società come separata in due gruppi omogenei e antagonisti, il puro popolo contro l’élite corrotta, sostenendo che la classe politica dovrebbe essere espressione della volonté générale (la volontà generale) del popolo”23.

Il popolo è dunque il depositario di valori positivi da opporre alla corruzione morale dell’élite politica priva di scrupoli che lo governa. Di conseguenza, il populismo – non essendo associato a una ideologia forte – non presenta programmi politici definiti, ma si traduce piuttosto in una serie di strutture mentali, atteggiamenti politici e pensieri che interpretano la realtà politica e possono essere tipici di partiti non solo di destra, ma di qualunque orientamento.

destra radicale, parlava dell’avvento di uno Zeitgeist populista. Da allora si sono moltiplicate le diagnosi sul contagio populista, da destra verso sinistra e dai paesi abituati a convivervi – Francia e Italia in primis, poi Olanda – a macchia d’olio sul continente, in vista di una vera e propria ondata nelle elezioni europee del 2014”, cfr. Baldini G.,

Populismo e democrazia rappresentativa in Europa, cit. pp. 11-12.

23 Cfr. Mudde C., The Populist Zeitgeist, «Government and Opposition», LIX, 4, 2004, cit., pp. 542-563, p. 543; vedi anche Mudde C., Kaltwasser C.R., Populism: corrective

and threat to democracy, in Populism in Europe and the Americas: Threat or Corrective for Democracy?, Cambridge 2012, pp. 205-222. Già dieci anni fa, Cas Mudde, “uno dei

maggiori esperti del fenomeno populista e dei partiti di destra radicale, parlava dell’avvento di uno Zeitgeist populista, cioè di un “contagio”, sia in Europa che nel mondo. In Europa in particolare, si sono moltiplicate le diagnosi sul contagio populista, partendo dai paesi abituati a convivervi, come la Francia e l’Italia in primis, e poi anche

(17)

Il populismo come ideologia sostiene la differenza fra “capi” e “masse” e si basa sul concetto di sovranità del popolo che deve essere applicato ad ogni contesto e situazione. Il leader del movimento populista deve quindi assicurarsi una forma di comunicazione diretta con il popolo, affinché il potere decisionale del movimento resti al popolo e non sia invece affidato ai pochi, cioè all’élite, scelta come rappresentativa del movimento stesso e del pensiero socio-politico-economico.

Il popolo, dunque, costituisce un organismo unificato che viene guidato dal “senso comune”, fatto di ideali storici e valori morali. Questo concetto è espresso da Taggart ed è definito come heartland24.

Nella politica populista il termine heartland esprime essenzialmente una nozione ‘idealizzata’ di popolo moralmente puro. I populisti si identificano infatti, con la terra patria, quelle delle proprie radici culturali che viene elevata e quasi mitizzata e necessita di essere preservata da politiche che danneggiano e impoveriscono il suo valore socio-economico-culturale. Per questo motivo, i movimenti populisti non sono caratterizzati da una precisa programmaticità e da una linea di pensiero che mira a riformare, educare o fornire una coscienza al popolo.

Il populismo, al contrario, mira a preservare, difendere e conservare i valori ed anche le tradizioni della comunità, identificando il pericolo nella classe politica corrotta, negli immigrati, nelle multinazionali, ecc.

1.1.2 Il populismo come stile discorsivo

Secondo un altro e differente approccio, il populismo viene definito come uno stile discorsivo, cioè come una retorica che riflette “il conflitto morale

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ed etico fra il pueblo e l’oligarchia”25, come afferma Carlos de la Torre nei

suoi studi sulle politiche populiste in America Latina.

Ad avvalorare questa interpretazione del termine populismo, vi è soprattutto lo studio di Laclau, secondo il quale il populismo non si riferisce “a un fenomeno circoscrivibile, ma ad una logica sociale, i cui effetti coprono una varietà di fenomeni”26.

Questa logica sociale si traduce in un modo di pensare, che viene espressa attraverso un registro discorsivo, una retorica di tipo fondamentalmente oppositivo a quella dei partiti tradizionali. Infatti, la retorica del populismo si caratterizza sia per i temi che per il tipo di terminologia specifica adottata.

In particolare, una delle più importanti caratteristiche dello stile discorsivo populista è il ricorrente concetto della dicotomia “Noi” e “Loro”, “Us and Them”, come ribadisce Michael Kazin in un saggio del 1995.

In pratica, secondo Kazin, il populismo non è un’ideologia che racchiude le convinzioni politiche di un movimento, ma piuttosto un “modo di esprimersi”27 del politico. Una forma di linguaggio che viene usata

selettivamente e strategicamente da entrambi i partiti di destra e di sinistra. Dunque, si distingue fra Noi e Loro (“Us and Them”), riferendosi al “Noi” come la parte o il partito che opera nel giusto – seguendo dei principi moralmente corretti – e a “Loro” come al nemico da combattere che

25 Carlos de la Torre, Populist Seduction in Latin America. Athens, Ohio University Press 2000, p. 4; Gidrom N., Bonikowski B., Varieties of Populism, cit., pp. 7-10.

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rappresenta la casta e che è colpevole di inefficienza e corruzione, ossia i partiti tradizionali ormai in crisi o le istituzioni.

In questo modo, il popolo si identifica facilmente e in maniera convinta nel “Noi” impiegato dagli attori politici, che con il loro carisma intendono attrarre le masse.

Nonostante un certo parallelismo e le uguaglianze fra le due interpretazioni date al termine populismo, come ideologia o stile discorsivo, in realtà la definizione di populismo come retorica e come atteggiamento ci permette di estendere l’aggettivo “populista” a partiti o movimenti politici molto differenti tra loro per orientamento culturale-politico-economico e, quindi, per le proprie ideologie.

Questo modo di analisi facilita la comprensione delle circostanze che hanno portato al formarsi di movimenti che si definiscono “populisti” nei diversi periodi storici del Novecento e in aree geografiche differenti.

In questo caso però si parla sia di populismo di destra che di populismo di sinistra, a seconda della scelta che il popolo farà in “chi” dovrà identificare il “Noi” e il “Loro”.

1.1.3 Il populismo come strategia politica

Appare chiaro che oggi, i leader dei vari partiti, nella loro propaganda, facciano maggior uso di stili populisti rispetto a qualche decennio fa. Tale aspetto evidenzia soprattutto l’importanza della dimensione retorica propria del populismo, ma che sta divenendo una moda, uno stile tutto contemporaneo e comune del fare politica.

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strategia politica adottata da alcuni gruppi ed intesa come risposta sociale

organizzata dei cittadini.

Lo studioso R.L. Madrid28, parlando di etno-populismo in America latina, definisce il populismo come strategia politica al fine di creare una forma organizzata di mobilitazione sociale che mira a una riappropriazione e a una ridistribuzione delle risorse naturali e delle ricchezze economiche del proprio Paese, caduto sotto lo sfruttamento delle multinazionali.

Questo consentirebbe alle masse di combattere non solo l’impoverimento delle classi sociali più basse, ma anche di lottare contro l’esclusione sociale e la concentrazione dei beni e del potere economico in una sola classe sociale elitaria (cioè, la cosiddetta polarizzazione sociale dell’economia). Allo stesso modo, nel 2013, Moffitt e Tormey poggiano la loro ricerca sul populismo come strategia politica. Secondo questi autori, molti politici fanno uso più o meno frequentemente di stili populisti.

Ora, proprio “il modo in cui questi stili condizionano la qualità della politica democratica è un punto aperto per l’analisi, così come lo è stabilire i confini oltre i quali i politici mainstream (traduco: politici di una precisa,

determinata corrente politica, di destra o di sinistra) diventano populisti”29. Perciò, appare chiaro che è con l’intento di restituire autorevolezza ed efficacia alle istituzioni democratiche (le quali non hanno saputo garantire in modo soddisfacente uguali diritti a tutti i cittadini) che il movimento populista reagisce fornendo una strategia d’attacco anche a politici che populisti non sono e che sanno che con questa strategia possono vincere.

(21)

In pratica, al popolo viene data l’opportunità di prendere direttamente e senza intermediari, l’iniziativa di gestire la democrazia sociale, di organizzarsi per mettere in atto un programma di riappropriazione dei propri diritti e di quello che gli appartiene. Il tutto, cercando di ristabilire un ordine sociale che è stato rovesciato da una classe elitaria, avida, corrotta e debole nel garantire ai cittadini politiche democratiche efficaci.

Il populismo come strategia politica è dunque un modo o una reazione di alcuni leader di partiti con una propria ideologia usata per combattere nemici politici, che hanno governato lasciando il paese in mano alle élite. Secondo me, questa potrebbe essere la forma di populismo più pericolosa, quella che può mettere in pericolo la democrazia sociale, perché siamo di fronte non a un leader di movimento popolare, ma dinanzi a un leader di un partito con l’ideologia di destra o di sinistra, il quale mostra - in maniera convincente - che il suo obiettivo è quello di restituire la sovranità al popolo, ma la Storia ci dice che tanti governi totalitari sono nati proprio con queste buone intenzioni.

D’altro canto, riferirsi al populismo solo come una strategia politica è tuttavia limitante poiché una strategia rappresenta solo una modalità con la quale un certo pensiero o forma di consenso popolare viene attuata.

Le tre diverse forme del populismo, così come analizzati dai vari studiosi che abbiamo citato, mostrano quanto questo fenomeno socio-politico sia complesso e sfuggente. Per questo, è necessario tenere conto dell’aspetto

(22)

ideologico, dialettico-retorico e strategico-attuativo di ogni forma di populismo30

Il nucleo fondante di questo fenomeno sociale rimane sicuramente il dualismo, carico di conflitti, popolo-élite, oltre alla rivendicazione della sovranità popolare.

Questi concetti si manifestano nel pensiero, nel linguaggio e nell’azione dei movimenti populisti di oggi, sia in Europa che nel mondo, dando così piena ragione alle tre forme di populismo: come ideologia, come stile discorsivo e come strategia politica. Infatti, è lungo oltre trent’anni l’impegno di ricerca su questo interessante fenomeno da parte di tanti politologi e degli esperti delle dottrine della sociologia politica.

1.3 I TEORICI DEL POPULISMO

Nell’Occidente prima del 1980-‘90 (anni in cui fioriscono gli studi sul populismo), vi sono pochi studi su questo tema31. A partire dal 1980 e per

tutto il primo decennio del secolo XXI si osserva una ricca produzione di

30 Elementi per un minimo comune denominatore del populismo - Fonte: Baldini G.,

Populismo e democrazia rappresentativa in Europa, “Quaderni di Sociologia”, n. 65,

2014

31 Fra i primi lavori di ricerca, meritano di essere evidenziati quelli italiani di Venturi F.,

Il populismo russo, Torino 1925 e di Asor Rosa A., Scrittori e Popolo: il populismo nella letteratura italiana contemporanea, Roma 1965, – oltre a un lavoro collettivo del 1969 di

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ricerche centrate sui tanti aspetti del populismo32, ma quello che difetta in

questi studi è la mancanza di una teoria sul populismo come movimento. Dice Crispini (cit. p. 23) che negli studi precedenti alla sua analisi “sembra di trovarsi continuamente di fronte al medesimo scenario in cui gli studiosi, con gli strumenti delle sole loro competenze trovano difficoltà per venire ad un terreno solido dove piantare il populismo”33.

Oggi, sul fenomeno del populismo si intrecciano teorie e fenomeni di difficile comprensione insieme alla mancanza di una comune teoria che ne giustifica l’esistenza. Per questo, vale la pena tener conto delle diverse linee di interpretazione sul fenomeno stesso, sia sul piano sociale che politico.

Rilevando i risultati emersi dalle ricerche di studiosi sul fenomeno populista, vi sono almeno due posizioni principali che sono proprie dei movimenti populisti:

1. la convinzione o la presunzione che il loro movimento - sia per i contenuti che per le forme dettate dai leader - goda di unicità;

2. la capacità di mobilitazione massiccia del popolo, inteso come folla, massa, pubblico e opinione, il tutto schierato contro l’establishment politico e intellettuale oltre che finanziario del proprio Paese.

Il populismo rimane, comunque, l’identificatore di una tendenza della realtà socio-politica di un determinato momento storico, sia pure distorto - nella sua essenza - dagli effetti dei massmedia sull’immaginario collettivo; tanto

32 Cfr, Canovan M., The People, Cambridge 2005; Id., Two Strategies for the Study of

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ha determinato anche definizioni estreme sul populismo, come ad es., “spettro che ossessiona il mondo”34.

Ma non troppo se, leggendo i giornali o andando nella rete, nei network, si osserva un quadro dell’Unione Europea fortemente orientato a riportare l’equilibrio nazionale in ogni stato, cioè a ristabilire una sorta di nazionalismo di dubbia forma democratica. Tale impegno fa parte della politica dei movimenti populisti (e ormai sono tanti) soprattutto quelli di destra sembrano marciare alla grande con la loro politica anti-immigrati, per cui la crisi dei migranti ha dato la spinta ai partiti xenofobi partiti che fino a pochi anni fa era fuori o venivano controllati dal dibattito politico e da legittime formazioni politiche e di partito oggi fanno parte, con numeri che contano, del Parlamento europeo. Inattesa e preoccupante è stata anche la Brexit del 23 giugno 2016. La Gran Bretagna ha detto no al sistema politico ed economico dell’Unione Europea

La stessa cosa dicasi per la questione del terrorismo islamico; gli attacchi del 13 novembre 2015 a Parigi e poi quelli in Belgio o in Germania, hanno aggiunto nella volontà di voto del popolo anche la paura confronti del terrorismo. La socialdemocratica Svezia - spinta dalla impossibilità a controllare il virus dell’immigrazione di massa e dalle critiche dei movimenti di estrema destra - ha da tempo sospeso Schengen e ripristinato i controlli sul ponte di Öresund, mentre in Francia il Fronte Nazionale (Fn) di Marin Le Pen, dicono i sondaggi, ha avuto una forte crescita.

In sintesi, il denominatore comune delle politiche nazionali populiste è la volontà a combattere la globalizzazione, colpevole della lunga crisi, il terrorismo islamico e di mettere fine alle politiche di austerità imposte da

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un’istituzione sovranazionale, la troika, formata da Bce, Commissione e Fondo monetario internazionale.

E anche se le ricerche oggi continuano su più aspetti del fenomeno, i teorici non riescono ancora a individuare e concertare in maniera univoca e convincente la dimensione essenziale e reale del fenomeno populista.

In maniera più ragionata, Peter Wiles definisce il populismo come “a syndrome not a doctrine”35. La qualcosa rende più comprensibile le tante e

a volte anche banali e semplicistiche teorie, che portano a eterogenei punti di vista e al mancato raggiungimento di una razionale dimensione ideologica, rimanendo così, come denominatore comune il concetto che il populismo sia una semplice sindrome, che si manifesta soprattutto nei periodi di crisi sociali o di difficili transizioni. In particolare, Wiles parla di

relativismo definitorio, nel senso che il problema si risolve quasi in un

teorema, “a ciascuno la sua definizione di populismo, secondo il santo accademico di cui fa gli interessi”36.

Infatti, nel pensiero di Wiles vi è la convinzione di una eterogeneità dottrinale, nata dal fatto che il populismo non riesca ad avere una sua dimensione “ideologica” e rimanga ovunque una semplice sindrome, propria dei periodi di crisi della democrazia rappresentativa, cioè della casta del potere politico37.

35 Peter Wiles, A syndrome, not a doctrine. Some elementary theses on Populism, in Ionescu G., Gellner E., Introduction, in Populism: Its Meaning and National

Characteristics, cit., pp.166-179.

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Un interessante punto di lettura lo troviamo anche nel lavoro di K. Minogue, in cui si fissano due nette distinzioni di studio38:

- una sulla retorica populista;

- la seconda su una possibile ideologia del populismo.

In questo modo si potrebbe pensare a un recupero del termine populismo secondo una teoria organizzata sull’intreccio di ideologia-retorica-politica, con la quale il populismo acquisterebbe una sua dimensione anche all’interno dell’azione politica di una nazione. In pratica, questo movimento di massa dovrebbe esprimere una ideologia propria (ancora da trovare) che gli faccia da struttura portante.

A rendere problematico uno studio in tal senso, vi è la presenza urlante del suo aspetto più basso, che è quello della retorica, ma che è anche l’arma più potente nelle mani dei leader populisti, dei trascinatori di popolo.

La retorica infatti è una costante nelle tante forme di populismo, anzi la retorica incarna il destino stesso del populismo, per le tante forme mutevoli e transitorie che essa esprime.

Tanto ci porta a dire che uno degli indicatori più chiari del populismo sembra essere proprio la retorica.

La verità è che, come scrive Taguieff, esiste una molteplicità di populismi, ciascuno con le forme proprie del quadro nazionale o storico di appartenenza39. Allo stesso modo, anche Minogue è del parere che il

populismo è un tipo di movimento, basato sulla consapevolezza, spesso analfabeta, di appartenere alla periferia povera di un sistema

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finanziario e che, in quanto tale, sarebbe trascurata dall’élite politico-finanziaria.

La giustificazione a tanto, dice invece il filosofo argentino Ernesto Laclau, sta nel fatto che “la rozzezza ideologica e la vuotezza del populismo (appunto, il suo analfabetismo socio-politico) sono causa del suo rigetto da parte del sistema elitario”40. E questo si osserva, perchè il popolo,

nonostante non sia politicamente acculturato, comprende visceralmente che vi è incapacità o non volontà da parte dell’élite politica di affrontare le problematiche che esso vive e lo affliggono. Dunque, il populismo appare come un movimento di protesta e di reazione delle masse al disagio di avvertirsi una società trascurata dalle caste economiche e politiche.

Un interessante orientamento di studio e di lettura del fenomeno lo si evince anche guardando indietro, alla tradizione storico-filosofica dell’Occidente, risalendo addirittura a Vico e a Herder, i quali assegnano al popolo un valore fondamentale: quello di detenere e custodire la coscienza di identità e di appartenenza a un gruppo e a una cultura nazionale da difendere dinanzi alle aggressioni di un regime o di una cultura41. Tanto viene sostenuto dal pensiero di autori del passato, come Machiavelli, Hobbes, Rousseau, Fichte o il già citato Herder42.

Secondo K.Weyland, perciò, il populismo è “una strategia politica attraverso la quale un leader carismatico, popolare e populista, cerca o esercita un potere di governo basato sul diretto - e non mediato, non

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istituzionalizzato - supporto di un largo consenso popolare”43. E stando

anche al pensiero di Weyland, si parla ancora una volta di movimento o di mobilitazione delle masse e non di partito populista, in quanto i populisti non si schierano né a destra né a sinistra, ma si schierano solo dalla parte del popolo, della parte di quei settori della società che, inizialmente esclusi, vogliono tornare a partecipare alla vita politica del paese, nel rispetto del concetto di democrazia.

Studiando Taguieff, si capisce come nel populismo il popolo venga celebrato come il legittimo depositario dell’intera scala dei valori positivi; sono valori traditi da una classe politica inetta e corrotta; ed è a questa casta indegna che il populismo vuole sostituirsi come forma stessa della politica. E così, il populismo diventa una strategia che mette in luce l’aspetto dinamico della società, con cui essa reagisce e agisce, si organizza, opera scelte politiche ed economiche, per riprendersi ciò che le spetta di diritto. Infatti, le ultime ricerche mettono in luce la convinzione che il populismo altro non è che il sintomo delle difficoltà in cui si dibatte “l’asse centrale della tradizione politica moderna”.

Tali difficoltà pongono ai vari studiosi di filosofia e sociologia politica dell’oggi “una sfida concettuale e pratica” per il futuro delle democrazie di ampie regioni geografiche del nostro pianeta. Forse, in tal senso, si potrebbe dire che il populismo è una patologia della democrazia contemporanea. Anche se le ricerche oggi continuano, i teorici non riescono a individuare in maniera univoca e consenziente la dimensione essenziale del fenomeno populista.

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Un’interessante punto di lettura lo troviamo nel lavoro di Minogue K., Populismo come un movimento politico, in cui si fissano due accettabili distinzioni di studio: quella tra retorica e ideologia del movimento stesso. In questo modo si può pensare a un recupero del termine populismo secondo una sistemica teoria sull’intreccio di ideologia-retorica-politica, con la quale il populismo acquista una sua dimensione all’interno dell’azione politica. In pratica, questo movimento dovrebbe esprimere una ideologia come struttura portante del movimento, ma d’altra parte presenta anche un aspetto più basso che è quello della retorica.

In tal senso la retorica incarna il destino stesso del populismo per quella politica mutevole e transitoria che esprime, anzi, l’identificatore più chiaro del populismo sembra essere proprio la retorica, anzi, in accordo con Laclau, il populismo appare come la forma stessa della politica

contemporanea44.

1.3 PROFILO STORICO DEL POPULISMO IN EUROPA E IN ITALIA

Nel 2001 usciva il volume del noto politologo francese Hermet (Les

populismes dans le monde)45, in cui l’autore traccia una precisa storia

sociologica del populismo europeo e latino-americano, a partire dai fatti russi della seconda metà del sec. XIX fino a Le Pen e a Berlusconi.

Questo lavoro (pur con i suoi limiti) va oltre, anche perché i quindici anni che ci separano dal 2001 hanno disegnato una nuova mappa storica e geografica del populismo. Esiste il problema, però, che in questo percorso

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storico sui tanti movimenti populisti, non sempre è possibile trovare oggettivamente una comune ideologia o un codice politico con i punti-cardine che singolarmente, li definiscono; la qual cosa rende complessa una buona identificazione del nocciolo vero dei populismi europei

Rimane perciò, come mio obiettivo principale, quello di leggere il populismo europeo e soprattutto italiano così come nel suo insieme si è manifestato nel tempo e nello spazio, considerando la possibilità di verificare l’esistenza di una continuità e di eventuali somiglianze tra populismo quello affermatosi soprattutto negli anni Novanta del sec. XX. Sec. XIX - Il populismo come fenomeno socio-politico e come lo intendono gli studiosi contemporanei, parte con l’avvento della rivoluzione russa di metà Ottocento.46

La prima organizzazione populista, la Zemlja i volja (Terra e Libertà), venne costituita nel 1861, subito dopo la deludente conclusione dell’abolizione della servitù della gleba, nel febbraio del 1861, che penalizzava ancor più i contadini. Il movimento portò alla caduta di un sistema politico-economico di tipo feudale e la nascita di una nuova ideologia, basata sulla convinzione della possibilità di uno sviluppo storico-economico che, saltando la fase capitalista, avrebbe portato la Russia, attraverso la rivoluzione, a una struttura sociale e politica di tipo socialista (“comunitarismo”). Ma la repressione della polizia zarista obbligò lo scioglimento dell’organizzazione Zemlja i volja.

46 Nel populismo russo della seconda metà dell’Ottocento, narodniéestvo, ciò che prevale è l’orientamento riformistico e progressista di un socialismo umanista, che idealizza la comunità contadina. I populisti (narodniki) hanno come missione quella di

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Negli ultimi anni di quel secolo, il populismo, organizzato intorno a un partito, fece una rapida comparsa anche negli Stati Uniti, dopo la Guerra di secessione47, con quella che fu la rivoluzione populista agraria. Il fenomeno populista si manifesterà, poi, soprattutto nell’America del sud, con quella

grande rivoluzione su posizioni simil-marxista, continuando negli anni

’20-’30 del sec. XX, dando inizio al populismo latino-americano48.

Sec. XX - Guardando all’Europa del primo Novecento, non si osservano eventi sociopolitici o protagonisti che possono indicarci situazioni di marcato populismo, così come inteso nell’accezione comune del nostro tempo. L’avvento della società di massa - favorito dalla duratura pacifica condizione delle nazioni a partire dalla fine della guerra franco-prussiana del 1870, dallo sviluppo industriale, dell’arte e della cultura nel quadro della Belle Epoque – pur avendo creato una maggiore coscienza dei problemi politici, che pure esistevano, non aveva dato origini a movimenti spiccatamente populisti, se non quello di mettere in evidenza alcune forme di nazionalismi49 (come quello tedesco in particolare).

47 Crispini F., Del populismo. Indicazioni di lettura, cit., p. 11.

48 Da questo lavoro esula lo studio del populismo americano in generale e di altri movimenti populisti, presenti anche negli altri continenti. Comunque, il primo populismo latino-americano (come in Argentina, con Juan Domingo Pèron), si caratterizza per “la funzione trainante dei militari o di leader unici”; tale funzione ha portato nei decenni successivi alla rivoluzione di massa contro le dittatura militari; cfr Bo D., Marxismo e

populismo in America Latina, Milano 1976, p. 9-15 (vedi anche i preci riferimenti

bibliografici sul problema (pp. 305-312); Taguieff, P.A., L’illusione populista, cit., p. 25. 49 Secondo Taguieff, L’illusione populista, cit., p. 26-27, il populismo è un modo di designare globalmente il nazionalismo contemporaneo, sottolineando il carattere

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E’ a partire dal dopoguerra, che l’Europa affronterà, specie tra gli anni Venti-Trenta, il fenomeno dei governi totalitari (fascismo, nazismo, stalinismo, ecc.), il cui attributo principale è una forma di radicale nazionalismo, guidato e gestito non dalla volontà popolare ma dal leader di quella dittatura che tiene imbrigliato il popolo.

Alcuni studiosi di sociologia politica dicono che in genere il nazionalismo dei primi decenni del Novecento aveva affinità con il populismo50, che invece si svilupperà negli aspetti che conosciamo solo a partire dal secondo dopoguerra, con un forte impulso soprattutto negli anni Ottanta e Novanta. Dopo questi anni, il populismo esplode quasi in ogni stato del continente europeo, soprattutto in questi primi tre lustri del terzo millennio, nelle due forme di populismo di destra (il più diffuso) e populismo di sinistra, non senza eccezioni, come il Movimento Cinque Stelle, che non è schierato né a destra e né a sinistra.

Bisogna, perciò, partire dal secondo dopoguerra per tracciare un percorso sicuro della storia del populismo contemporaneo, essendo poco caratterizzanti gli aspetti o le riflessioni che sono propri del populismo europeo nel periodo che precede la seconda guerra mondiale.

Per la prima forma di movimento populista si può indicare proprio l’Italia, con l’organizzazione di un partito da parte di Guglielmo Giannini

nazionalismo insoddisfatto, come emerge in particolar modo nei movimenti regionalisti, indipendentisti e autonomisti. In pratica, non vi sarebbe una reale o stretta affinità tra, ad esempio, fascismo e populismo.

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1960), il Qualunquismo51 e fondatore storico del Fronte dell’Uomo

Qualunque, la cui trattazione è propria del secondo capitolo del presente

lavoro, a cui si rimanda.

Intanto anche l’Europa faceva la sua parte.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, in Francia e in Inghilterra, nascevano forme di “populismo approssimativo”, come le definisce Taguieff52.

In Francia, nel 1953, si impone con una certa preoccupazione il

poujadismo, un movimento qualunquista, di chiara matrice populista e

antiparlamentare, che criticava l'inefficienza dei politici del governo della Quarta Repubblica, soprattutto nella politica fiscale del tempo. Fu fondato da Pierre Poujade53, politico e sindacalista (1920-2003), in difesa della classe dei commercianti e degli artigiani. Rimase sempre come movimento demagogico, schierato in favore della piccola borghesia, con

51 Su questa prima esperienza italiana di un movimento-partito populista, tra l’altro, cfr. Giannini G., La grande avventura dell'Uomo qualunque raccontata da G. Giannini, in a cura di G. Scognamiglio, in Enciclopedia del Centenario. Contributo alla storia politica,

economica, letteraria e artistica dell'Italia meridionale nei primi cento anni di vita

nazionale, v.II, Napoli 1960.

52 Taguieff, P.A., L’illusione populista, cit., p. 41-44.

53 Il poujadismo si caratterizzò come movimento dell'UDCA (Unione per la difesa dei commercianti e degli artigiani), un'associazione sindacale di ispirazione corporativista. Esso rappresentava la difesa di una parte dell'elettorato francese, stanco dell'instabilità politica e della inefficienza della Quarta Repubblica. In due anni, il movimento si estese in tutta la Francia e ottenne cinquantadue deputati nelle elezioni del 1956, presentandosi col nome di Unione e Fraternità Francese (UFF). L'Unione si mostrò contraria anche al trattato di Roma (1957) per l’istituzione della Comunità Europea e chiedeva

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tratti xenofobi e con tendenze a identificarsi con l'estrema destra. Il suo obiettivo era quello di superare la divisione tra destra e sinistra, rifacendosi al programma del Partito Popolare Francese di Jacques Doriot, un movimento filonazista che aveva come slogan "né destra, né sinistra" (che poi si vedrà essere anche quello predicato da Beppe Grillo nel suo Programma politico).

Il movimento nacque a Saint-Céré nel Lot durante una rivolta anti-fiscale, nel momento in cui il fisco applicava pesanti e sempre più frequenti sanzioni verso la classe piccolo-borghese di commercianti e artigiani di quel luogo.

Nello stesso tempo, esso si rifaceva alla destra francese, assumendo in questo modo le caratteristiche di un populismo reazionario. Il poujadismo può essere considerato un movimento populista reazionario; spesso, infatti, la violenza caratterizzava le manifestazioni dei poujadisti. Il movimento disponeva d'un servizio d'ordine che non esitava ad usare la forza.

In Gran Bretagna, tra gli anni Sessanta e Settanta, si ebbe l’esperienza di un movimento populista di carattere razzista e anti immigrati, guidato dal conservatore Enoch Pawell (1912-1998), che lottò contro l’immigrazione di gente proveniente dalle ex colonie britanniche, per tutelare la difesa conservatrice dell’ordine morale e civile, impedendo che l’Inghilterra divenisse un popolo di neri, come ebbe a dire in un suo discorso pubblico54.

54 Intitolato Rivers of Blood speech, Powell tenne il suo acceso e discutibile discorso il 20 aprile del 1968 a Birmingham, durante una riunione del Conservative Political Centre. In quell'occasione egli affermò che presto la Gran Bretagna avrebbe avuto un futuro di problemi razziali e di rivolte urbane simili a quelle che c’erano negli Stati Uniti dalla

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Anche la Germania di quegli anni ha i suoi movimenti populisti, incentrati sulla forma nazional-identitaria (già attivi fin dal secondo dopoguerra, piegata dalla drammatica disfatta). Erano gruppi politici che cavalcano – sia pure in maniera diversa – l’ideologia della grandezza della Germania del ventennio nazista. Il più forte dei movimenti, quello Republikaner, si organizzerà in partito nel 1983 e sarà guidato per dieci anni da Franz Xavier Schonhuber55, per poi essere uno dei tanti altri gruppi populisti, nati nelle varie regioni tedesche dopo la caduta del Muro di Berlino (1989), specie nell’Est, nella regione della Sassonia in particolare.

Negli anni Settanta, in Francia iniziava l’avanzata del politico populista. Jean-Marie Le Pen, l'ultimo poujadismo già eletto deputato nelle elezioni politiche del gennaio 1956, s'inserì in questa linea ideologica.

Tale ideologia era stata prestata anche al programma di un suo nuovo movimento populista, cioè il Fronte Nazionale, in cui si concentrava la protesta contro i partiti dominanti, che egli chiamava la "banda dei quattro"; allo stesso modo andava contro lo Stato prevaricatore, i parlamentari corrotti e chiedeva a gran voce l'affermazione di una identità francese contro tutto quello che la minaccia, cioè l'immigrazione, l'Europa unita e la globalizzazione.

Un'eredità di principi in verità già presente anche nel poujadismo e trasferita da Le Pen nel suo nuovo partito, il Fronte Nazionale, perché ritenuti sempre più attuali per la Francia di quel tempo. Ma questa nuova organizzazione populista non venne mai riconosciuta da Pierre Poujade, che addirittura escluse Le Pen dal suo partito nel 1975.

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Nei paesi dell’Est, non si incontrano casi evidenti o significativi di movimenti simili a quelli dell’Europa occidentale o comunque non con i segni marcati dell’ideologia populista, salvo qualche esperienza circoscritta ad alcune regioni. Sarà invece la caduta del muro di Berlino e poi la fine dell’URSS a determinare, dopo gli anni Ottanta, le prime forme oggettive di fenomeni populisti nazionali.

Per quanto riguarda l’Italia, rimando al capitolo successivo la ricostruzione storica dei movimenti populisti italiani: dal partito qualunquista di Giannini alla nascita della Lega Nord, fino al fenomeno del Movimento 5 Stelle. Poiché troppo lunga sarebbe l’analisi del populismo in ogni singola realtà geografica europea, dagli anni Ottanta ad oggi, mi sembra utile completare questa rapida lettura storica del populismo europeo con una mappa contemporanea, precisamente quella di questi due ultimi anni, così come esce dalle elezioni europee del 2014, in cui si riporta il quadro completo del fenomeno così come ancora gli analisti della sociologia politica oggi ancora lo osservano e lo studiano.

A tale scopo mi servirò dei risultati ottenuti dai movimenti populisti nelle elezioni europee del Parlamento di due anni fa e nelle elezioni politiche degli ultimi anni in quegli stati europei dove sussiste il fenomeno del populismo politico56.

56 Per la stesura della mappa sul populismo contemporaneo in Europa, cfr. Ufficio Documentazione e Studi dei Deputati PD, Antieuropeismo e nazional-populismo, Dossier n.36, 16 Aprile 2014; Istituto per gli studi di politica internazionale, Gli euroscettici in

Europa, 22 Marzo 2013; Caracciolo L.. Spagna, Polonia: l’onda dei populisti e indignati si abbatte sull’Europa in crisi., La Repubblica, 26 Maggio 2015; “La Repubblica”,

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Leggendo questi dati, tra l’altro appare subito come il rinnovo del Parlamento europeo del 2014 abbia visto l’avanzata dei populismi e specie delle destre in ogni stato aggregato alla U.E. In alcuni stati, come in Francia e soprattutto in Germania, già nelle elezioni del 2013, fino a quelle odierne, si registra la crescita preoccupante di organizzazioni populiste e neonaziste, xenofobe, razziste e anti immigrati che si ribellano alla politica estera (e oggi ancora di più) per la politica di accoglienza degli immigrati, portata avanti dalla Merkel57.

La mappa che segue si compone dell’elenco delle nazioni in cui è attivo il fenomeno del populismo. Per tale sintesi ragionata, mi sono servita soprattutto dei rilievi statistici, fatti dall’Ufficio Documentazione e Studi dei Deputati PD, Antieuropeismo e nazional-populismo, Dossier n.36, 16 Aprile 2014, e dall’Istituto per gli studi di politica internazionale, dossier:

Gli euroscettici in Europa, 22 Marzo 2013.

Per maggiore chiarezza, vengono riportati per ogni stato europeo oggetto dell’analisi:

a) il nome dei partiti o del partito populista dominante;

b) la percentuale di voti ottenuta nelle elezioni europee del 2014 o in quelle interne;

c) informazioni utili al movimento populista o ai movimenti populisti attivi in ogni singola realtà nazionale.

marzo 2013; Genga N.. Il Front National da Jean-Marie a Marine Le Pen. Catanzaro 2015, p. 143.

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1. AUSTRIA

FPO –PARTITO DELLA LIBERTÀ AUSTRIACO (19,7%).

E’ una forza radicale di destra, ostile all’euro, in passato guidata da Jorg Haider che poi ne era uscito, per fondare un partito ancora più estremista.

TS–TEAM STRONACH

Non ha partecipato alle europee. E’ un partito populista di destra fondato dal miliardario austro-canadese Frank Stronach. Propone addirittura l’uscita dell’Austria dall’Unione Europea.

2. BELGIO

VB–INTERESSE FIAMMINGO (4,1%).

E’ un partito indipendentista di destra sociale ed identitaria, filiazione del Blocco Fiammingo sciolto per violazione della legge sul razzismo e la xenofobia. Propone la separazione delle Fiandre dal Belgio e l’unione con l’Olanda.

N-VA – Alleanza Neo-Fiamminga (16,4%). Partito micro nazionalistico, sostenitore dell’indipendenza delle Fiandre, non ostile all’Unione Europea ma contrario a qualsiasi ulteriore cessione di sovranità nazionale che possa prefigurare gli Stati Uniti d’Europa. La politica ultraidentitaria lo ha condotto su posizioni che, riguardo il problema dell’immigrazione, sono assimilabili a quelle di un partito radicale di destra.

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E’ un partito di destra fondamentalista, xenofobo, antisemita, contrario alla Nato e alla Unione Europea.

4. CROAZIA

HSP–PARTITO CROATO DEI DIRITTI (1,4%).

Nel nome contiene un esplicito riferimento al partito indipendentista ottocentesco. Rifondato nel 1990, ha partecipato alle guerre jugoslave attraverso le Forze di difesa croate (Hrvatske Obrambene Snage, HOS). Nel 2013, alle europee indette per l’ingresso della Croazia in Europa, ottenne lo 1,4% dei voti. Alle europee del 2014 si è presentato in coalizione con altri ottenendo complessivamente il 6,8% dei consensi.

5. DANIMARCA

DF-PARTITO DEL POPOLO DANESE (26,6%).

Partito di destra populista, anti-immigrazione e decisamente antieuropeo.

6. FINLANDIA

PS–VERI FINLANDESI (12,9%).

Partito di destra anti-islamico, sostiene la necessità che la Finlandia esca dall’euro e dalla UE. Si contrappone ai “falsi” finlandesi (immigrati e minoranza svedese).

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Partito di estrema destra, xenofobo e razzista. Propone esplicitamente l’uscita della Francia dalla zona euro.

8. GERMANIA

PARTITO PIRATA (1,4%).

Fondato nel 2006 sul modello del Partito pirata svedese, i pirati tedeschi hanno raggiunto i massimi consensi tra il 2011 e il 2012 per poi avviarsi verso una fase di rapido declino. Le istanze principali comprendevano la modifica radicale del diritto d’autore (soprattutto nel web), maggiore trasparenza dell’apparato pubblico, maggiore sicurezza della trattazione dei dati personali ed il reddito di cittadinanza. Tale proposta politica, in assenza di una connotazione nazionalista e xenofoba, consente di collocarli a sinistra.

AFD – ALTERNATIVA PER LA GERMANIA (7,0%).

Viene considerato un partito populista di destra, esplicitamente contrario all’euro.

9. GRAN BRETAGNA

UKIP–PARTITO PER L’INDIPENDENZA DEL REGNO UNITO (26,8%). Partito anti-europeista che propone l’uscita della Gran Bretagna dalla UE sebbene già non aderisca all’euro. Il partito indipendentista di Nigel Farage nasce nel 1993 da una scissione in seno al partito conservatore promossa in segno di protesta per gli accordi di Maastricht. Può essere considerato un partito di destra radicale.

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10. GRECIA

SYRIZA –COALIZIONE DELLA SINISTRA RADICALE (26,6%).

Guidata da Alexis Tsipras, nata attorno ai due ex partiti comunisti, è l’unica formazione che fa esplicito riferimento ai valori di sinistra. Governa la Grecia dopo aver raggiunto il 36,3% dei voti alle politiche del 2015.Il radicalismo la espone al rischio populista ma l’accettazione da parte di Tsipras del piano di aiuti europeo e dei conseguenti sacrifici ha dimostrato la inequivoca volontà di continuare a far parte dell’Europa e dell’area dell’euro. La frattura interna è foriera di sviluppi i cui esiti saranno verificati alle prossime imminenti elezioni politiche.

XA/CA–ALBA DORATA (9,4%).

Partito xenofobo, islamofobo, antisemita e neonazista.

11. ITALIA

MOVIMENTO 5STELLE (21,16%)

Nonostante proposte spesso difficilmente intellegibili (dal punto di vista dell’orientamento politico), è votato da una maggioranza di elettori di sinistra. Tuttavia la sua alleanza, al Parlamento Europeo, con il gruppo di destra di Nigel Farage e la polemica anti-immigrati ne impedisce una collocazione di sinistra.

LEGA NORD (6,2%). Per la polemica contro l’immigrazione, pretestuosa, spesso feroce e con connotazioni decisamente razziste, si configura come partito di estrema destra. Di recente ha abbandonato il regionalismo per abbracciare, molto

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strumentalmente, l’istanza nazionalista. Propone apertamente l’uscita dell’Italia dalla moneta unica.

FORZA ITALIA (16,8%).

Appartiene a pieno titolo al populismo di destra anti-europeista. Il suo leader dall’opposizione si espresse apertamente contro l’ingresso dell’Italia nella moneta unica e al governo non mancò di polemizzare, spesso strumentalmente, con le istituzioni europee cui inopinatamente attribuisce la responsabilità della crisi italiana. La sua posizione filo-russa lo allontana ulteriormente dalla democrazie liberali dell’Occidente.

12. NORVEGIA

FRP–PARTITO DEL PROGRESSO.

La Norvegia non aderisce alla Unione Europea ma appartiene di diritto al campo delle democrazie liberali. Il FRP ha raggiunto il 16,3% alle politiche del 2013 ed è al governo con il Partito conservatore. E’ un partito di destra reazionario con una forte connotazione anti-islamica.

13. OLANDA

PVV–PARTITO DELLA LIBERTÀ (13,3%).

Partito islamofobo e dichiaratamente contrario all’euro.

14. POLONIA

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Fondato dai fratelli Kaczyński, dalle forti venature populiste ed euroscettiche. In Polonia ha governato in passato e alle ultime elezioni (2011) ha raccolto il 29,9% dei voti collocandosi al secondo posto. Alle presidenziali del Maggio 2015, il suo candido Duda ha vinto con il 51,5% dei voti.

15. REPUBBLICA CECA

CPS–PARTITO PIRATA CECO (4,8%).

Il partito trae ispirazione dal partito svedese di cui condivide la battaglia sulla libertà di informazione ed i diritti di autore.

16. ROMANIA

PRM–PARTITO DELLA GRANDE ROMANIA (2,7%).

Fondato e guidato da Corneliu Vadim Tudor, è un partito nazionalista ostile alle minoranze ungherese e rom. Si caratterizza per l’irredentismo puntando alla acquisizione dei territori moldavi e ungheresi dove vivono forti minoranze romene.

17. SLOVACCHIA

SNS–PARTITO DEL POPOLO SLOVACCHIA NOSTRA (1,7%).

Partito di estrema destra, di ispirazione dichiaratamente nazista, anti-europeista. Il leader, Marian Kotleba, nelle amministrative del 2013 ha raggiunto il 20% in una delle sette regioni el Paese ed è stato eletto governatore al secondo turno con il 55%.

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Partito populista di destra, xenofobo, identitario, ostile alle minoranze magiara e rom.

18. SLOVENIA

SNS–PARTITO NAZIONALE SLOVENO (4,0%). Partito euroscettico considerato di estrema destra.

19. SPAGNA

PODEMOS (8.0%).

La brevità dell’esperienza politica non consente ancora una valutazione rigorosa e gli analisti sono costretti ad avvalersi dei mutevoli dati della cronaca quotidiana. Le opinioni di alcuni autorevoli giornalisti spagnoli ne accreditano il carattere fortemente populista. Dopo aver capitalizzato la protesta civile del movimento degli Indignados, la leadership di Podemos ha dato vita ad una struttura verticistica che ha marginalizzato le componenti più movimentistiche e che si avvale di un nutrito gruppo di persone votate alla propaganda sui social network. Per questi aspetti gli avversari interni parlano di una vera e propria setta. Il leader Pablo Iglesias ed il suo braccio destro, l’economista Juan Carlos Monedero, vengono da esperienze maturate in Venezuela alla corte di Chavez. Sebbene Podemos rifiuti di essere etichettato come forza di sinistra, il riferimento culturale è il populismo bolivarista moderno (appunto Chavez ma anche il boliviano Morales e l’ecuadoregno Correa)

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20. SVEZIA

PP–PARTITO PIRATA (2,2%).

Ispiratore dell’omonimo partito tedesco, nasce essenzialmente sull’istanza di una modifica radicale del diritto di autore. Raggiunge il massimo consenso alle europee del 2009 (7,1%). Per le stesse ragioni già viste a proposito dei pirati tedeschi, può essere considerato una forza di sinistra.

DS – DEMOCRATICI SVEDESI (9,7%). Partito di estrema destra islamofobo.

21. UNGHERIA

FIDESZ–ALLEANZA CIVICA (51,5%).

E’ il partito del premier Victor Orban, riconfermatosi primo partito con il 44,9% dei voti alle ultime elezioni politiche del 6 Aprile 2014. Al governo dal 2010, Orban ha dato seguito a quattro modifiche costituzionali restrittive delle libertà civili e politiche.

JOBBIK –MOVIMENTO PER UNA UNGHERIA MIGLIORE (14,7%). Partito ultranazionalista, xenofobo, antisemita, anti-europeista. Alle ultime elezioni politiche, quelle del 6 Aprile 2014, ha raggiunto il 20,2% dei voti.

Un commento rapido ai dati su riportati, ci porta a riflettere su come il populismo sembra aver messo veramente in crisi le democrazie contemporanee, considerando ovunque le vittorie di partiti populisti, specie in paesi progrediti come Olanda, Finlandia, Austria, Italia e soprattutto la

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Francia. Per questa nazione in particolare, stupisce oggi come il Front National di Le Pen abbia avuto un successo inimmaginabile.

Certamente, a tanto sta contribuendo – sul suo territorio - l’escalation del terrorismo islamico e la xenofobia, che hanno attaccato la psicologia di massa del popolo francese. Sono fattori reali non solo amplificati dal Front National e gruppi satelliti di estrema destra, ma anche dai fatti tragici successi per mano del terrorismo islamico.

Tuttavia, i due Le Pen (prima il padre e oggi anche la figlia Marine), con la loro attività stanno trasformando da popolari a populisti i riferimenti al popolo, cambiando i messaggi democratici di libertà e solidarietà in una pesante oratoria carica di frustrazioni, di infelicità e angoscia e quasi di odio verso nemici invisibili.

Il Governo legittimo non riesce a controllare tali ondate di dissenso alla democrazia rappresentativa e né – specie dopo i tragici attacchi terroristici alla Francia - agli occhi del popolo, al quale risulta convincente la politica dei Le Pen, tesa a tutelare la salute collettiva della nazione.

Ma l’interrogativo più forte potrebbe sull’essenza del populismo potrebbe essere quello di una reale preoccupazione della tenuta e della tutela dei valori democratici, costati secoli alla storia di tutta l’Europa58, che oggi vive

58 Nel giro di appena due mesi (maggio-giugno 2015), il successo di Podemos alle amministrative spagnole, il trionfo del PIS alle presidenziali polacche, la netta affermazione della Lega Nord alla regionali italiane e l’ottimo risultato di DF alle politiche danesi hanno modificato sostanzialmente l’equilibrio politico continentale ampliando ulteriormente il fronte populista. Inoltre la vicenda greca ha mostrato che la Germania ed i suoi alleati sono assolutamente disposti a sacrificare l’idea

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nel caos di tante problematiche socio-economiche, politiche e culturali, non ultime quelle generate dal populismo.

In tal senso, la storia del populismo avrà ancora molte pagine da scrivere.

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SECONDO CAPITOLO

I MOVIMENTI POPULISTI IN ITALIA DAL DOPOGUERRA AD OGGI

2.1 Aspetti e ideologie dei partiti populisti in Italia dopo il referendum del 1946

2.2 Populismo e boom economico negli anni Sessanta

2.3 La percezione sociale dei partiti populisti negli ultimi anni del Novecento (Forza Italia e Lega Nord)

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