Indice
1 I rivelatori interferometrici 2
1.1 Introduzione . . . . 2
1.2 Interferometro di Michelson e Morley . . . . 4
1.3 Principio di funzionamento di un interferometro gravitazionale . . 6
1.4 Schema di un rivelatore . . . . 9
1.4.1 Masse in caduta libera . . . . 9
1.4.2 Tragitto del fascio luminoso . . . . 10
1.5 Rumore . . . . 11
1.5.1 Rumore sismico . . . . 12
1.5.2 Fluttuazioni della gravità locale . . . . 12
1.5.3 Rumore termico . . . . 13
1.5.4 Shot noise . . . . 13
1.5.5 Fluttuazioni della pressione di radiazione . . . . 14
1.5.6 Instabilità del laser . . . . 15
1.6 Sensibilità . . . . 15
1
I rivelatori interferometrici
1.1 Introduzione
Sebbene ci sia analogia tra le equazioni che le generano, per quanto riguarda la rivelazione le onde gravitazionali sono estremamente più problematiche rispetto a quelle elettromagnetiche. L’ostacolo principale è dato dalla natura stessa del segnale gravitazionale: la radiazione che si propaga infatti è una perturbazione dello spazio tempo, che modificherà quindi anche lo strumento di rivelazione. Per riuscire quindi a misurare direttamente il passaggio di un’onda gravitazionale, è necessario sfruttare l’effetto che questa produce sui corpi.
Le uniche componenti non nulle nel tensore di Riemann
1di un’onda gravi- tazionale producono delle forze di marea oscillanti, che producono deformazioni proporzionali alle dimensioni dell’oggetto, per cui su di un singolo corpo dalle dimensioni trascurabili non hanno alcun effetto.
Prese però due masse che seguano le proprie geodetiche, che sulla Terra si traduce in “in caduta libera”, se ξ
irappresenta la separazione spaziale tra le due geodetiche, si ha:
d
2ξ
idt
2
R
i0k0ξ
k(1.1)
1
Il tensore di Riemann è una quantità dipendente dalle derivate seconde della metrica, e si annulla su uno spazio piatto
2
dove R indica il tensore di Riemann, che per un’onda gravitazionale è della forma:
R
i0k01
2 h
ik00(1.2)
dove è usata la notazione A
αββ ∂A∂xαββ
per la derivata. Quello che accade dunque è che due masse investite da radiazione gravitazionale subiscono un’accelerazione di marea data da:
d
2δξ
idt
2
1
2 h
ik00ξ
kVista la microscopica ampiezza del tensore h è lecito considerare lo spostamento molto piccolo rispetto alla distanza di equilibrio ξ
k, attorno cui esse oscilleranno con ampiezza:
δξ
i1 2 h
ikξ
kI rivelatori interferometrici sfruttano proprio questo fenomeno, come verrà spiegato in dettaglio nei paragrafi successivi.
Se le due masse invece che in caduta libera sono collegate elasticamente l’e- quazione per l’accelerazione è leggermente diversa:
d
2δξ
idt
2
1
2 h
ik00ξ
kω
20δξ
ie per onde monocromatiche di frequenza ω si integra ottenendo:
δξ
iω
2h
ikξ
k2
ω
20ω
2Rispetto al caso precedente ha un fattore di risonanza
ω2ω20 ω2
di cui si servono in-
vece i rivelatori a barra. In questi la molla è costituita dalla stessa elasticità del
blocco che forma l’antenna, ed il principio su cui si basano è il fatto che quando la
frequenza dell’onda si avvicina molto a quella di risonanza del rivelatore, il segnale
risulta fortemente amplificato, per cui è più facile da rivelare. Il difetto di questo
tipo di strumenti è però la banda molto stretta, che permette di captare sorgenti che
emettono ad una determinata frequenza.
1.2 Interferometro di Michelson e Morley
Tra i metodi per determinare la distanza tra due corpi con estrema accuratezza uno dei più efficaci consiste nel misurare il tempo impiegato da un fascio di luce per un viaggio di andata e ritorno da uno all’altro. E’ una tecnica per mappare la struttura dello spazio-tempo, e l’idea principale sfruttata per l’utilizzo di un interferometro come rivelatore di onde gravitazionali.
Il primo interferometro, ideato da Michelson e Morley, aveva come scopo lo studio del moto della Terra nell’etere: a causa di questo, infatti, secondo la legge di composizione delle velocità galileiana, la velocità della luce sarebbe dovuta essere diversa nella direzione del moto rispetto a quella perpendicolare.
A questo scopo avevano ideato lo strumento in figura
che nella sua versione più semplice, è costituito da una sorgente luminosa se-
guita da uno specchio semiriflettente, e due specchi ad una certa distanza dal primo
(la stessa per entrambi), in direzioni ortogonali tra loro. La luce prodotta dalla sor-
gente viene divisa in due fasci dallo specchio semiriflettente, dopodichè la parte
trasmessa viaggia in una direzione, mentre quella riflessa nell’altra. Giunte alla
fine dei propri percorsi, grazie agli specchi esse tornano indietro per incontrarsi nel
semiriflettente. Provenendo dalla stessa sorgente, le fasi dei due fasci sono lega-
te tra loro da una relazione nota, per cui è facile studiarne l’evoluzione durante il tragitto.
Se il campo elettrico della luce in ingresso è E
0exp i
2π ft
kx
ed i coefficien- ti di trasmissione e riflessione dello specchio semiriflettente sono rispettivamente T
i2, R
12all’ingresso dei due bracci i campi diventano:
E
xiE
0
2 exp i
2π ft
k
xx
(1.3) E
yE
0
2 exp i
2π ft
k
yx
(1.4) La riflessione da parte degli specchi alla fine di ciascun braccio inverte sempli- cemente il segno dei campi, che giunti nuovamente nello specchio semiriflettente saranno in parte trasmessi, in parte riflessi con i medesimi coefficienti dell’andata.
La luce all’uscita dell’interferometro (quella trasmessa) risulta quindi:
E
outi
2 E
0exp i
2π ft
2k
xL
xi
2 E
0exp i
2π ft
2k
yL
yiE
0cos
k
xL
xk
yL
yexp
2π ft
k
xL
xk
yL
y(1.5) Sostanzialmente quindi un interferometro di Michelson traduce la differenza tra i tempi di percorrenza nella potenza di un segnale luminoso con una precisio- ne almeno dell’ordine del periodo ottico
λc. E’ interessante notare che l’ampiezza dipende dalla differenza di fase tra i fasci nei due bracci accumulata durante il tragitto. Se questa è nulla la luce viene completamente trasmessa, mentre se c’è uno sfasamento di
π2si ha la riflessione totale e l’uscita è buia. Michelson e Mor- ley decisero di far partire i due fronti d’onda con fasi ortogonali, in modo che fosse più semplice, in caso di eventuale sfasamento, percepire un fievole bagliore nell’oscurità piuttosto che un’impercettibile diminuzione dell’ intensità massima.
Per aumentare la sensibilità dello strumento vennero posizionati ulteriori spec-
chi all’interno dei bracci in modo che i fasci percorressero ripetutamente il tragitto,
aumentando così la lunghezza del percorso e con essa i suoi effetti sull’ampiez-
za del segnale in uscita. Con un tragitto di 22 m la differenza di tempo data da
uno sfasamento di
π2è 1
7
10
16s, e l’interferometro è capace di percepire una
differenza di tempi minima pari a 8
10
17s [17].
Secondo la teoria dell’etere, al loro ricongiungimento dopo il percorso nei brac- ci i due fronti d’onda avrebbero dovuto impiegare tempi diversi, e di conseguen- za aver subito uno sfasamento relativo rispetto alla partenza. Quello che i due scienziati trovarono, però fu che i due fronti erano perfettamente in fase: avevano involontariamente dimostrato quindi, prima che fosse ipotizzato dalla teoria della relatività, che la luce viaggia sempre con la medesima velocità in tutti i sistemi di riferimento.
1.3 Principio di funzionamento di un interferometro gra- vitazionale
Al fine di monitorare il passaggio di un’onda gravitazionale è necessario misurare con estrema accuratezza la variazione della distanza tra due masse in caduta libera, e questo può essere fatto tramite un interferometro di Michelson opportunamente modificato.
Le due principali correzioni da apportare riguardano le dimensioni ed il fis- saggio degli specchi. Il primo problema è dovuto all’entità dello spostamento che hanno le due geodetiche: esso è proporzionale ad h, quindi quasi infinitesimo. For- tunatamente è proporzionale anche alla distanza iniziale tra gli specchi, perciò è possibile amplificare gli effetti costruendo un interferometro con bracci dell’ordine delle centinaia-migliaia di metri, e facendo percorrere il tragitto al fascio il mas- simo numero di volte compatibilmente con le dissipazioni di energia. Per quanto riguarda gli specchi, non possono essere legati ad una struttura rigida, ma andranno sospesi in modo che possano seguire le proprie geodetiche, e questo sarà realizzato tramite dei pendoli particolari, come spiegato in seguito.
Prima di entrare più in dettaglio nella descrizione dello strumento è importante capire l’idea base del suo funzionamento. Un raggio di luce può connettere due punti dello spazio-tempo separati da un intervallo nullo (o di tipo luce, appunto)
ds
20 (1.6)
Definito il sistema di riferimento del rivelatore con l’origine nello specchio semi-
riflettente e gli assi x e y determinati dai bracci, l’intervallo percorso da ogni fascio
di luce avrà soltanto una componente spaziale non nulla, rispettivamente dx o dy, e sarà della forma:
0 ds
2η
µνh
µνdx
µdx
νc
2dt
21
h
11dx
2(1.7) il che esprime in forma diversa l’effetto che ha l’onda gravitazionale al suo passag- gio: modulare la distanza dx tra due punti di un fattore h
11. E’ possibile calcolare il tempo impiegato per un viaggio all’interno del braccio:
t
and0 dt
1
c
L
0
1
h 11 dx
1 c
L
0
1
1
2 h 11
dx (1.8) dove nel secondo passaggio è stata usata l’approssimazione per la radice quadrata al primo ordine in h, giustificata dal suo valore estremamente piccolo. Il calcolo per il viaggio di ritorno è lo stesso, ed il tempo totale impiegato dal fascio di luce è:
τ
tot2L c
1 2c
L
0
h
11dx
1 2c
0
L
h
11dx (1.9)
L’espressione per il braccio perpendicolare è analoga.
Si consideri il semplice caso (al quale perarltro è sempre possibile ricondur- si) di onda piana monocromatica di frequenza f che si propaga lungo l’asse z con polarizzazione
, che ha h
11h
22. Se 2π f τ
tot1 è possibile considerare la me- trica perturbativa h costante durante la sua permanenza nello strumento. Ci saranno quindi due perturbazioni uguali ed opposte nelle due direzioni perpendicolari, e il ritardo tra i bracci sarà:
∆τ
t
h
t
2L
c (1.10)
corrispondente ad uno sfasamento:
∆φ
t
h
t
4πL
λ (1.11)
dove λ è la lunghezza d’onda del fascio luminoso.
La quantità 2π f τ
totperò non può crescere indefinitamente: quando vale 1 la
luce impiega esattamente un periodo dell’onda gravitazionale nel suo viaggio, gli
effetti sulla fase si compensano esattamente e all’uscita non risulta alcun passaggio.
Il valore di τ
totper cui questo avviene è per cui il massimo possibile. In tutti i casi intermedi tra 2π f τ
tot1 e 2π f τ
tot1 la differenza tra i cammini nei due bracci e il relativo sfasamento sono rispettivamente:
∆τ
t
h
t
2L
c exp
iπ f 2L
c
sinc
π f 2L
c
(1.12)
∆φ
t
h
t
4πL
λ exp
iπ f 2L
c
sinc
π f 2L
c
(1.13)
dove sinc
x
πx1sin πx.
E’ possibile esprimere, nel limite di basse frequenze, la dipendenza della sensi- bilità dello strumento dagli angoli di Eulero, ottenendo così la funzione d’antenna:
∆φ
t
h
t
4πL λ
1 2
1
cos
2Θ
cos 2Φcos 2Ψ
cosΘsin 2Φsin 2Ψ
(1.14) dove gli angoli sono definiti come nella figura seguente:
La risposta del rivelatore è massima quando l’onda si propaga lungo l’asse z ,
nelle direzioni x e y perde di un fattore 2, mentre si annulla completamente sulle
bisettrici dei quadranti x
y.
1.4 Schema di un rivelatore
Il disegno generale di un interferometro gravitazionale, come visto in preceden- za, è quello di Michelson e Morley. Entrando un minimo nel dettaglio verranno ora analizzate le principali caratteristiche dello strumento modificato per captare radiazione gravitazionale.
Tutto l’apparato è tenuto sotto vuoto per evitare qualsiasi tipo di disturbi ester- ni, attenzione indispensabile data l’entità estremamante piccola ( 10
2110
22) dell’effetto dell’onda sulla lunghezza del percorso.
1.4.1 Masse in caduta libera
I due specchi sono “trattenuti” in caduta libera tramite dei pendoli, così che le forze che vi agiscono siano principalmente gravitazionali, e le dissipazioni siano mini- mizzate. Trascurando le dissipazioni, l’equazione del moto di ciascuno specchio è:
m ¨x
mg l
x
x
0F
ext(1.15)
dove l è la lunghezza della sospensione del pendolo, x la posizione della massa e x
0della sospensione. In termini della frequenza la soluzione è:
x
f
4π
2f
02x
0
f
Fextfm4π
2f
02f
2(1.16)
con f
0! g l.
In assenza di forze esterne x
f
x
0
f
f
02f
02f
2(1.17)
è possibile distinguere due diversi comportamenti: al di sotto della frequenza di risonanza le vibrazioni presenti nel punto di sospensione vengono interamente tra- smesse alla massa, mentre nel limite f
"f
0il pendolo funziona da attenuatore e
x f x0 f$# f02
f2
.
Nel caso di alte frequenze la massa sospesa la pendolo reagisce ad una solleci-
tazione esterna come se fosse libera, proprio per questo motivo è possibile simulare la caduta libera tramite la sospensione.
Al fine di aumentare la sensibilità del rivelatore è utile sospendere lo spec- chio in fondo a più pendoli in cascata. In questo modo, infatti, la funzione di trasferimento dal punto di sospensione alla massa finale è:
x
f
x
0
f
∏
N i% 1f
i2f
i2f
2(1.18)
e per frequenze sufficientemente al di sopra di quelle di risonanza:
x
f
x
0
f
#∏
Ni% 1f
i2f
2N(1.19)
Da quest’ultima formula si vede che per ottenere uno strumento che riveli in una banda molto larga, è necessario scegliere per i pendoli materiali con frequenza di risonanza più bassa possibile.
1.4.2 Tragitto del fascio luminoso
Il raggio di luce che viaggia nei bracci è un laser ad alta potenza, necessario a mantenere l’ estremo direzionamento e la minima dispersione del fascio durante il tragitto. Più precisamente, Virgo utilizza un Nd Yag con λ 1064nm con una potenza di 20W [10].
Il viaggio del laser verso lo specchio semiriflettente passa attraverso il po- wer recycling allo scopo di aumentare la potenza all’interno dell’interferometro e ridurre così le fluttuazioni dovute allo shot noise.
Dopo essere stato scisso nei due fasci perpendicolari, per aumentare il cammi-
no ottico e poter così raggiungere sensibilità tali da rivelare segnali gravitazionali,
il laser viene catturato in ciascun braccio da una cavità di Fabry Perot. Essa consi-
ste in una coppia di specchi, uno al suo ingresso, l’altro alla fine della cavità, che
riflettendo ripetutamente il fascio laser, ne allungano la permanenza all’interno del
braccio, e così il cammino ottico. La fase del fascio riflesso all’interno della cavità
è funzione della lunghezza della cavità stessa, ad una variazione δL della lunghezza
corrisponde uno sfasamento di:
∆φ 8F δL
λ (1.20)
con F finezza della cavità, che se R è la riflettività dello specchio, è data da F
π
1 R
R
. In condizioni di basse frequenza, ovvero quando vale 2π f τ
tot1, la risposta dello strumento ad una sollecitazione gravitazionale risulta:
∆φ 8FL
λ
h
1
4 f LFc 2(1.21)
Confrontando questo risultato con l’analogo nel caso di interferometro di Michel- son semplice si ricava un guadagno di sensibilità pari a
2πF, che si traduce come una lunghezza equivalente del cammino:
L
e f fL 2π
F (1.22)
Per Virgo L 3km, F 50 si ha quindi una lunghezza equivalente pari a 95km circa.
I due fasci si ricongiungono nello specchio semiriflettente, e la parte trasmessa viene catturata dai fotodiodi dove è possibile visualizzarla e procedere con l’analisi.
1.5 Rumore
La rivelabilità dello sfasamento indotto dal passaggio di un’onda gravitazionale è limitata, come avviene per ogni tipo di misura, dal rumore [24].
Le fonti di rumore sono molteplici e possono essere suddivise in due categorie:
1. Fluttuazioni nella posizione degli specchi, associate alle vibrazioni del suolo (rumore sismico residuo e fluttuazioni della gravità locale), al rumore inter- no agli specchi e alle sospensioni (rumore termico, effetti non lineari) ed alla possibile reintroduzione di rumore da parte del controllo attivo delle sospensioni.
2. Rumore di lettura ottica, legato alla lettura interferometrica della posizione
degli specchi, che fa fluttuare l’uscita del fotodiodo anche in assenza di se- gnale, ed è dovuto allo shot noise del laser, alle fluttuazioni della pressione di radiazione, ed alle fluttuazioni della frequenza e potenza del laser stesso.
A causa di tutti questi contributi il fotodiodo in uscita registrerà continuamente uno sfasamento all’interno del quale sarà compito degli analizzatori trovare un eventuale segnale. Lo spettro di questo rumore h
nt
è così definito:
S
n
f
lim
T& ∞ '
1
T
T2
T2
h
nt
exp
i2π ft
dt
'
2
(1.23)
1.5.1 Rumore sismico
Questo tipo di rumore viene prodotto dalle vibrazioni del suolo, non esiste una legge universale che lo descriva, anche perchè esso varia anche di ordini di gran- dezza a seconda del luogo e dei giorni. E’ causato da attività umana (strade vicine, o macchine agricole nei campi circostanti come nel caso di Virgo), dal vento, ed anche il mare se è sufficientemente vicino può arrecare disturbi. Per frequenze al di sopra di 1Hz è possibile tracciare un andamento approssimativo dello spettro proporzionale ad
f14:
S
sn
f
)(ξ
22 10
12f
4f
2f
02f
2f
122
m
2Hz
1(1.24)
dove ξ
(0
1
1mHz
32rappresenta l’attività umana, f
0 (0
1Hz ed f
1 (0
5Hz [10].
Nonostante l’isolamento degli specchi da parte dei pendoli superattenuatori il rumore sismico è la principale limitazione alla sensibilità degli strumenti a basse frequenze.
1.5.2 Fluttuazioni della gravità locale
In linea di principio è possibile abbassare indefinitamente la soglia della minima
frequenza rivelabile aumentando il numero dei pendoli in cascata, esiste però un
limite inferiore: a causa delle onde sismiche la distribuzione di massa nel sottosuo-
lo varia nel tempo, e con essa la gravità locale. Queste fluttuazioni raggiungono direttamente gli specchi, producendo un rumore con densità spettrale pari a:
S
lgn
f
S
sn9π
L f
Gρ22
(1.25) con ρ densità media del suolo.
Il gradiente di gravità, detto anche rumore newtoniano, pone quindi di fatto il limite inferiore alla minima frequenza rivelabile da un interferometro.
1.5.3 Rumore termico
Il rumore termico è associato alle dissipazioni interne al sistema. Tramite il teore- ma di fluttuazione-dissipazione che lega i fenomeni dissipativi ai moti browniani del sistema stesso è possibile quantificare queste dispersioni.
Un pendolo è un oscillatore armonico, e nel caso di fluttuazioni dovute al ma- teriale stesso le perdite possono essere rappresentate da un termine immaginario fittizio nell’equazione del moto, che dà come risultato:
S
tn
f
k
BT φ f
2016π
3m f
*f
02f
22f
04Q
2+(1.26) dove k
Bè la costante di Boltzmann, T la temperatura e Q il fattore di qualità del materiale.
Nel caso di più oscillatori in cascata si definisce una massa efficace µ
n En4π2f nx2n
dove E
nè l’energia di ogni modo, e lo spostamento provocato è:
S
tn
f
k
BT
16π
3f ∑
n
φ
nf
n2µ
n*
f
2nf
2 2f
4nQ
2n +(1.27) 1.5.4 Shot noise
E’ associato alla natura quantistica della luce, che causa una fluttuazione nel nu- mero di fotoni del flusso in uscita data da:
δn N
,
cλ
4πP
inτ (1.28)
dove N è il numero medio di fotoni per misura, pari a
4πλ- c
P
inτ, con τ durata media di una misura. Questo corrisponde ad un rumore nella rivelazione di:
S
shotπ 8F
2L
2,
c
2νP
in .1
4π f
gwLF c
2/
(1.29) dove η è l’efficienza quantica del fotodiodo, P
ine φ rispettivamente la potenza e la fase del laser.
Aumentare la finezza della cavità di Fabry Perot aiuta a ridurre questo tipo di rumore, però provoca come effetto collaterale la riduzione della banda di ri- velazione. A grandi frequenze infatti, quando
04π f
gwLFc 1 2
"
1 , lo spettro risulta
indipendente da F, e se questo è maggiore, l’asintoto viene raggiunto per frequenze sempre più basse [24].
Lo shot noise può essere ridotto aumentando la potenza del laser o la potenza accumulata nell’inteferometro, ma mai completamente eliminato.
1.5.5 Fluttuazioni della pressione di radiazione
Le fluttuazioni della potenza del laser generate dalla sua stessa natura quanti- stica originano una pressione di radiazione aggiuntiva che fa muovere ciascuno specchio. Lo spettro di questa varizione di pressione è:
S
pr1
4m
2L
2,
P
inπ
3cλ
1
f
4(1.30)
Mentre lo shot noise è un rumore nella fase, questo provoca un reale sposta-
mento degli specchi. Per ogni dato valore di P
inesiste una frequenza critica al
di sotto della quale le fluttuazioni nella pressione di radiazione domina sullo shot
noise, però per le potenze a disposizione attualmente questa frequenza è al di fuori
dell’intervallo coperto dai rivelatori, che risultano limitati dallo shot noise [24].
1.5.6 Instabilità del laser
Per quanto riguarda le instabilità nella frequenza, se ν
f
è la densità spettrale delle fluttuazioni, si ha:
S
f f1 2
ν
f
ν
∆L L
2
(1.31) dove ∆L è la differenza tra le lunghezze delle cavità ottiche dei due bracci.
Oltre alle fluttuazioni in frequenza, un laser ne ha anche in ampiezza, e queste provocano variazioni nella potenza emessa, che risulta:
P
out#
P
in2
1
δP
inP
in