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CAPITOLO III. TRA DOGMATISMO, SCETTICISMO E CRITICISMO: IL KOALITIONSYSTEM DI SALOMON MAIMON

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CAPITOLO III.

TRA DOGMATISMO, SCETTICISMO E CRITICISMO: IL

KOALITIONSYSTEM DI SALOMON MAIMON

PARTE I. INTRODUZIONE

§1. BIOGRAFIA INTELLETTUALE

Salomon Ben Joshua (o Maimon, come decise di chiamarsi in onore dell’omonimo rabbino di Cordova) rappresenta certamente, tra i pensatori esaminati in questo lavoro, la personalità filosoficamente più interessante e profonda. Il suo «sistema non sistematico» costituisce a mio avviso una mirabile sintesi tra la prima Critica kantiana (considerata anche alla luce della riformulazione proposta da Reinhold) e il filone scettico che, ispirato da Hume, trova negli Aforismi di Platner e nell’Enesidemo di Schulze i principali rappresentanti. A queste fonti si aggiunge l’imprescindibile apporto della metafisica dogmatica, non limitata alla scolastica leibnizio-wolffiana ma comprendente anche Spinoza, ben noto a Maimon assai prima del vasto dibattito suscitato dai Briefe di Jacobi.219 Avvalendosi degli strumenti concettuali forniti da questa tradizione, il nostro autore elabora e in parte recupera da autori precedenti le dottrine fondamentali con cui presume di superare le aporie nelle quali a suo avviso il criticismo inevitabilmente incorre. Cercheremo nel corso del capitolo di mostrare come l’idea dell’intelletto assoluto, la tesi dell’identità degli indiscernibili e la teoria dei differenziali della sensibilità abbiano origine, rispetto alla pars destruens del pensiero maimoniano, da uno scetticismo «immanente» alla filosofia kantiana e al contempo, rispetto alla pars adstruens, dal richiamo positivo ai grandi razionalisti.220

219 Un breve cenno sul rapporto tra Maimon e Leibniz si trova in G.ZINGARI, Die Leibniz-Rezeption im

Deutschen Idealismus und bei Hegel, in Beiträge zur Wirkungs- und Rezeptionsgeschichte von G.W.Leibniz, hg. von A.Heinekamp, Studia Leibnitiana – Supplementa, Vol.XXVI, F.Steiner Verlag, Stuttgart 1986, pp.270-271.

220 A lungo gli studiosi si sono chiesti se la posizione definitiva di Maimon si situi sul versante scettico del

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Filosofo anticonvenzionale, dalla vita errabonda, sempre lontano dagli ambienti accademici, spinto da un genuino amore per la verità a cimentarsi autonomamente con i maggiori classici del pensiero moderno, Maimon rappresenta per certi aspetti un ibrido tra l’ideale illuministico del Selbstdenker e la figura romantica del Wanderer. Egli stesso ci offre, nella Lebensgeschichte che occupa il primo volume dei Gesammelte Werke, un resoconto dettagliato della propria vicenda umana e intellettuale;221 attingiamo adesso da

questa preziosa fonte le informazioni necessarie per fornire un’idea complessiva dello sviluppo del suo pensiero.

Maimon espone il proprio percorso intellettuale suddividendolo in tre fasi, ciascuna delle quali pone sotto l’egida di un particolare filosofo o indirizzo filosofico. Il primo periodo è caratterizzato dallo studio del Moreh Nevukhim (Guida dei perplessi) di Maimonide, da cui egli apprende la molteplicità dei piani semantici nel linguaggio scritturale. Riconoscere se in una data occorrenza un’espressione è impiegata in senso referenziale o meno, e in quest’ultimo caso quale particolare figura viene utilizzata, consente di liberare

riporta una varietà di posizioni contrastanti (per una concisa panoramica v. F.C.BEISER, cit., p.370 n.5). Lo stesso Beiser (cit., pp.303-306), richiamandosi a E.CASSIRER (Das Erkenntnisproblem in der Philosophie und Wissenschaft der neueren Zeit, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1974, Bd 3 [Die nachkantischen Systeme], p.103), propende per una «via intermedia» tra dogmatismo e scetticismo: almeno nella Logica e nelle Ricerche critiche (opere relativamente tarde) Maimon, abbandonato l’iniziale velleitario proposito di conciliare la Critica con l’Etica di Spinoza, non intende tanto confutare la filosofia kantiana quanto piuttosto svilupparla coerentemente coi suoi stessi presupposti, ossia «trasformarla dall’interno purificandola da tutte le entità trascendenti (per esempio la cosa in sé) e costringendola nei limiti autoimposti dell’esperienza possibile». Pur non avendo nulla da obiettare a questa interpretazione, concordo con S.ZAC quando afferma che lo scetticismo ha in Maimon l’ultima parola giacché lo stesso razionalismo dogmatico è per lui, come il criticismo, soltanto ipotetico. Si veda ID., Salomon Maïmon – Critique de

Kant, Cerf, Paris 1988, p.255: «Possiamo affermare per via dimostrativa che il mondo è stato creato da un intelletto, ovvero che è perfettamente intelligibile. Questa è la tesi di Spinoza, di Leibniz e dello stesso Kant. Essa non ci impedisce tuttavia di essere scettici e sostenere che si tratta di una semplice ipotesi. L’intelligibilità universale è un postulato di tutti i sapienti, ma non siamo capaci di “convertirla” in una verità assoluta».

221 L’edizione dei Werke a cui si fa riferimento è ovviamente quella curata da V.VERRA, in sette volumi

(Georg Olms Verlagsbuchhandlung, Hildesheim 1970, d’ora in avanti abbreviata con GW). Presentiamo qui un brevissimo ragguaglio dell’avventurosa vicenda biografica del Nostro. Nato nel 1753 o 1754 in uno stetl della cittadina di Njasviž nell’attuale Bielorussia (allora Polonia-Lituania) da una famiglia assai modesta, sposatosi a undici anni in ossequio ad una strana usanza dell’epoca e divenuto padre a quattordici, Maimon dedicò la giovinezza e l’adolescenza allo studio della religione e della cultura ebraica, e all’apprendimento delle principali lingue occidentali (latino, francese, inglese, tedesco). Intorno ai vent’anni intraprese una serie di viaggi che lo condussero nel 1779 a Berlino, dove visse nel quartiere ebraico sotto la protezione di M.Mendelssohn e M.Herz, tra l’altro inimicandosi per l’irrequietezza del suo carattere alcuni dei più importanti illuministi della città. Dopo un infruttuoso soggiorno ad Amsterdam fece ritorno a Berlino, dove la lettura della Critica della ragion pura, vissuta come una rivelazione, lo occupò fino al 1789 parallelamente alla stesura della sua prima importante opera filosofica, il Saggio sulla filosofia trascendentale. Dal 1790 alla morte (1800) godé il periodo più lieto e fruttuoso della sua breve esistenza; ospite a Siegersdorf del conte Adolf von Kalckreuth, suo protettore, compose nel breve arco di sette anni tutte le sue opere principali: dopo il già menzionato Saggio (1790) fu la volta del Dizionario filosofico (1791) a cui seguì la raccolta di saggi intitolata Scorribande filosofiche (1793), e poi Le categorie di Aristotele (o Propedeutica, 1794), il Saggio per una nuova logica o teoria del pensiero (1794) e le Ricerche critiche sullo spirito umano (1797), per non citare che le opere maggiori.

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la ragione dagli ostacoli che si presentano nella ricerca del puro contenuto razionale della fede.222 L’influenza di Maimonide si estende tuttavia ben oltre questi tecnicismi esegetici: grazie alla perfetta padronanza del lessico filosofico ebraico e alla familiarità con alcuni commenti medievali della Guida, Maimon assimila a tal punto il contenuto speculativo dell’opera da ricavarne una dottrina che avrà un ruolo cruciale nel passaggio da Kant a Fichte. Come scrive Hayoun, «è sicuramente Maimonide che [gli] dischiude la via della filosofia, e sono le teorie della Guida sull’intelletto umano e divino che [gli] permettono di rifiutare l’eterogeneità assoluta tra i dati dell’intuizione e i concetti dell’intelletto»; in particolare, la tesi secondo cui «l’intelletto divino e quello umano non sono separati per una differenza di natura, ma di grado», benché certamente maturata nel contesto del confronto con Leibniz e Spinoza, è già nota a Maimon grazie all’opera del filosofo spagnolo.223 In questa prima fase devono essere collocati anche i suoi studi cabbalistici, presto abbandonati perché infruttuosi ma in realtà decisivi in quanto veicolo per la conoscenza dello spinozismo,224 ritenuto da Maimon, a differenza di molti contemporanei, non un ateismo, bensì un acosmismo fondato sulla dissoluzione della realtà del molteplice (il mondo) in quella dell’Uno (il Dio-Sostanza).

La seconda fase, in realtà non chiaramente separabile dalla terza, si svolge all’insegna della scolastica tedesca: da Leibniz (del quale studia alacremente non solo i Nouveaux Essais sur l’entendement humaine, ma anche gli scritti logici e in particolare i progetti della Characteristica universalis), Wolff e Baumgarten (letti invece occasionalmente), Maimon impara anzitutto a distinguere i concetti in base ai criteri formali di chiarezza e distinzione e matura la convinzione che in filosofia ogni termine, persino il più semplice, deve essere definito con esattezza.225

222 Tracce di queste ricerche, benché epurate degli originari intenti religiosi, si trovano ancora nel trattato sul

linguaggio contenuto nella Transzendentalphilosophie (pp.303-316).

223 M.R.HAYOUN, Publications récentes sur Salomon Maïmon (1752?-1800), in Revue des études juives,

156, 1997, pp.376-377. Cf. anche infra, nota 341.

224 La cabbala si compone di una parte pratica e una teorica. La prima si avvicina alla magia, mentre la

seconda è una cosmologia emanazionista finalizzata a favorire l’ascesa dell’anima a Dio e basata sulla tesi per cui tutte le cose sono scintille divine ovvero emanazioni più o meno imperfette dell’Ente sommo. Per Maimon essa non è che «un gioco di numeri e lettere con cui i cabbalisti ricercano grandi segreti e con cui, come Dio […], sono capaci di creare tutto ciò che vogliono». Per un confronto approfondito tra Maimon e Spinoza si vedano S.H.BERGMAN, The philosophy of Solomon Maimon, translated from the Hebrew by

N.J.Jacobs, Jerusalem 1967, p.216 sgg.; J.M.VAYSSE, Totalité et subjectivité – Spinoza dans l’idéalisme

allemand, J.Vrin, Paris 1994, pp.52-63. La connessione tra cabbala e spinozismo è rilevata anche da Jacobi (La dottrina di Spinoza, cit., pp.139-140).

225 Notiamo che questa «Definitionswut» è in stridente contrasto con quella fretta e trascuratezza che, per

altro verso, caratterizzano a tal punto lo stile di Maimon da fare di lui un autore inevitabilmente “esoterico”. Chiunque si cimenti nel commento e nel confronto di diversi suoi testi può rendersi conto di come certi termini, definiti da una parte in modo assai originale e preciso, occorrano altrove nel loro significato

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Tutte le opere di Maimon che ci sono state tramandate risalgono al terzo e più importante periodo della sua vita, illuminato dall’astro di Kant. Malgrado la sostanziale coerenza di questi scritti, motivata dall’esiguità degli scarti cronologici che li separano e dal fatto che l’autore intraprese la loro composizione in un’età già relativamente matura, è possibile suddividere la Schriftstellerlaufbahn del Nostro in tre ulteriori fasi, ognuna delle quali mette capo ad uno dei suoi lavori principali. La prima fase, incentrata sulla Transzendentalphilosophie, è caratterizzata dal proposito – abbandonato dopo breve tempo – di unificare il criticismo kantiano con lo spinozismo; nella seconda, rappresentata principalmente dalla Logica, Maimon si avvicina invece a Leibniz, assecondando una propensione che nella terza (fondata sulle Ricerche Critiche) riceve un ulteriore approfondimento.

§2. L’IDEA DELLA FILOSOFIA

Nell’introduzione al Versuch troviamo una delineazione generale del concetto di filosofia, basata sul motivo spinoziano del conatus: se ogni ente ha un’innata tendenza a conservare la propria esistenza, e se l’esistenza degli esseri pensanti consiste, conformemente al cogito cartesiano, nel pensare stesso, allora tutti gli impulsi umani potranno essere interpretati come funzioni particolari dell’unico Grundtrieb verso il pensiero. Poiché tuttavia il nostro Denkvermögen è necessariamente limitato, dobbiamo porre un massimo non superabile nell’esercizio del pensiero, raggiungere il quale costituisce lo scopo ultimo della nostra esistenza. A prescindere da qualsiasi applicazione pratica, le scienze sono in primo luogo mezzi per lo sviluppo generale della nostra capacità di pensare. In quanto costitutivamente finito, l’intelletto umano deve limitarsi a trasformare nel pensiero un materiale ricevuto e non può che aspirare a ridurre indefinitamente questo dato in un puro pensiero, assimilandolo infine a se stesso. Riportiamo la spiegazione di S.Zac al proposito:

comune, facendo apparire contraddittori i passi in esame. La funzione esemplare di Leibniz per Maimon – a mio giudizio più significativa di quella svolta da Spinoza – è ben evidenziata da S.ZAC, cit., p.24: «La

filosofia di Leibniz è per lui il modello della forma più perfetta della realizzazione di una scienza. Leibniz ordina il diverso nella molteplicità dei fenomeni sotto l’unità più alta dei principî e nella disposizione sistematica più perfetta. Giustamente, dice Maimon, si ammira il sistema del mondo di Newton, dove tutti i corpi, siano grandi o piccoli, seguono nelle distanze e nelle velocità delle loro parti la stessa legge che fa di loro un tutto unico e armonioso»; ciò trova una precisa corrispondenza nella dottrina leibniziana dell’armonia prestabilita.

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Il desiderio dell’intelletto è che il dato diventi intelligibile, ma il dato oppone resistenza a questo sforzo di intelligibilità e la ricerca intellettuale ci conduce da una perfezione all’altra solo se impariamo a superare o aggirare gli ostacoli. Così il processo della conoscenza filosofica non si compie mai. Ciò fa sì che nella ricerca filosofica abbiamo simultaneamente coscienza, come ha detto Platone, della nostra indigenza e della nostra ricchezza, dell’esaltazione o compressione del nostro sforzo di pensare.226

Ecco perché, pur costituendo insieme alla matematica il criterio della scientificità di ogni ricerca, la filosofia non è in sé una scienza, bensì l’idea di una scienza avente per oggetto la totalità delle conoscenze possibili.227 Ogni totalità consiste nell’unificazione di un molteplice, sorta in virtù di una sua concordanza reale con gli oggetti o derivata dalla semplice spontaneità della facoltà conoscitiva. Al primo caso appartiene la matematica, in cui il pensiero della sintesi di un molteplice nello spazio o nel tempo coincide con la costruzione o esposizione [Darstellung] che fa del molteplice un oggetto reale. La filosofia rientra invece nel secondo caso poiché prescrive le regole universali che permettono di unificare nel pensiero un molteplice percepito come irriducibilmente dato dall’esterno, senza offrire alcuna garanzia circa la connessione effettiva di quel molteplice in un oggetto.228

Si chiama a rigore filosofia pura la sola logica formale in quanto scienza della possibilità del pensiero di un oggetto in generale, a prescindere dalle determinazioni che spettano a quest’ultimo indipendentemente dal mero essere pensato. La filosofia trascendentale o applicata riguarda le condizioni del pensiero di oggetti determinati attraverso le forme della sensibilità a priori o empirica: partendo dalla nozione di oggetto dato essa ricava (non già per astrazione, ma a mezzo della riflessione) i concetti e i principî puri che consentono di pensarlo.229

226 S.ZAC, cit., p.34. Più avanti (p.132) l’autore nota che in conseguenza di ciò «la distinzione tra soggetto e

oggetto non esiste che in quell’essere finito che è l’uomo, o piuttosto si trova in lui soltanto l’idea dell’oggetto, e questa distinzione non è che un prodotto dell’immaginazione». Approfondiremo questa riflessione nel paragrafo 6.

227 L’idea secondo cui una disciplina è scientifica solo nella misura in cui si compone di elementi teorici a

priori (e dunque una scienza è possibile solo in quanto è matematica o filosofica) verrà progressivamente chiarita e argomentata attraverso il quadro complessivo dell’Erkenntnistheorie maimoniana che cercheremo di tracciare in questo capitolo.

228 GW, VI, pp.128-138.

229 GW, VI, pp.144-146.Rimarrebbe un ultimo punto da esaminare in questa panoramica, cioè il rapporto di

Maimon con la storia della filosofia. Non potendomi qui soffermare per esteso sull’argomento, mi limito a rimandare all’articolo intitolato Storia pragmatica della filosofia e analisi del metodo moderno di filosofare, contenuto nel volume VII dei GW, dove Maimon esamina schematicamente i diversi sensi in cui la nozione

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Seguendo quest’ordine prenderemo adesso in considerazione le riflessioni elaborate da Maimon a partire dallo studio della Critica della ragion pura. Successivamente (parte III) cercheremo di situare il nostro autore all’interno della linea ideale che collega Kant a Fichte, esaminando tra l’altro la sua posizione rispetto a Reinhold e Schulze.

PARTE II. «SICH IN EIN SYSTEM HINEINDENKEN»: LA REVISIONE DELLA CRITICA

§3. LA LOGICA GENERALE

La filosofia di Maimon, programmaticamente avversa alla «Systemsucht»230 caratteristica del suo tempo, non si offre con docilità allo studioso che intenda approntarne una Wiedergabe complessiva ed esauriente al tempo stesso, al fine di garantire a sé e ad altri una solida visione d’insieme a partire dalla quale sia possibile formulare valutazioni complessive e di dettaglio. L’esempio più eloquente della disorganicità del pensiero del Nostro è costituito proprio dal suo capolavoro, il Saggio sulla filosofia trascendentale,231

di filosofia è stata intesa nel corso della storia, dai presocratici al suo tempo. Dall’inclusione di personaggi quali Copernico, Galilei, Keplero e Newton nella rassegna dei filosofi ivi presentata si evince quanto strettamente per Maimon filosofia e scienza siano interconnesse.

230 GW, V, p.351.

231 Il carattere frammentario di quest’opera è giustificato dal fatto che essa ha avuto origine come raccolta di

appunti occasionati dalla lettura della Critica della ragion pura. Nella seconda parte dell’autobiografia edita nel 1793 da K.Ph.Moritz (GW, I, p.557 sgg.) Maimon descrive in questi termini il suo iniziale confronto con Kant: «Il modo in cui studiai [la Critica] fu del tutto particolare. Alla prima lettura mi feci un’oscura idea di ogni parte, poi cercai di renderla distinta con le mie riflessioni e così afferrare il pensiero dell’autore (questo si chiama propriamente “addentrarsi col pensiero in un sistema”). Poiché mi ero già appropriato in quel modo dei sistemi di Spinoza, Hume e Leibniz, era naturale che avrei fatto attenzione ad un [possibile] sistema di coalizione. Lo trovai effettivamente e lo esposi via via, nel modo in cui si sviluppava nella mia mente, sotto forma di annotazioni e spiegazioni relative alla Critica della ragion pura; così nacque la mia Filosofia trascendentale. […] Qui l’importante problema della cui soluzione la Critica si occupa: quid iuris? è presentato in un senso molto più ampio di quello in cui il sig. Kant lo intende, e viene dato spazio allo scetticismo humeano in tutta la sua forza. D’altra parte la completa soluzione di questo problema conduce necessariamente al dogmatismo spinoziano o leibniziano». Dopo aver ricevuto da Maimon una copia del Saggio accompagnata da una lettera dell’amico M.Herz ed averne letto verosimilmente soltanto i primi due Abschnitte, Kant elogia l’«eccellenza» del testo e afferma che «non solo nessuno dei miei avversari ha compreso me e la questione fondamentale così bene come il sig. Maimon, ma che soltanto pochi possiedono un simile acume per queste ricerche profonde»; al tempo stesso chiede scusa per non potersi dedicare ad un attento studio dell’opera a causa dell’età avanzata e dell’imminente pubblicazione della Critica del Giudizio (lettera a Herz del 26 maggio 1789, in I.Kant, Briefwechsel, hg. R.Malter e J.Kopper, 3. Auflage, Hamburg 1986, p.395). I primi recensori e commentatori dello scritto non fanno mistero della difficoltà del loro compito: per K.Ch.Kiesewetter (lettera a Kant del 15 dicembre 1789) Maimon «manca di precisione»; L.Holst (Sul fondamento dell’intera filosofia del sig. Kant) bolla il Saggio

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che pertanto utilizzeremo soprattutto come appoggio per confermare o smentire particolari aspetti teorici di altre opere e come fonte primaria per alcune nozioni fondamentali che non vengono discusse altrove con pari attenzione, quali i differenziali della sensibilità e l’intelletto infinito. Seguiremo invece più da vicino il Saggio per una nuova logica o teoria del pensiero che, per quanto incompleto, è assai superiore all’altro per chiarezza stilistica e strutturale.

Obiettivo di Maimon è rilevare le lacune della filosofia critica e superarle attraverso una migliorata teoria del pensiero, considerato in se stesso (logica) e nelle sue applicazioni ad oggetti a priori (matematica) ed empirici (Naturwissenschaft). Benché «arida e assai sterile»,232 la logica generale merita qui un rapido accenno prima che la più rilevante teoria dell’Erkenntnisvermögen sia presa in esame, poiché offre la definizione di alcuni concetti basilari che quest’ultima presuppone.

Si chiama logica la scienza relativa al pensiero in generale, cioè ad un oggetto astratto da tutte le sue determinazioni interne e considerato nel suo puro rapporto con un soggetto pensante. Posto che con pensiero si intenda la connessione [Verbindung] di un molteplice dato in una unità della coscienza, risulta che ogni cosa, comunque determinata «al di fuori» del pensiero, può essere oggetto della logica, cioè può fornire il materiale per la

come «un’opera ovunque contraddittoria», «un caos di rappresentazioni»; il nostro Schulze, più diplomatico, dice di non essere «riuscito a capirlo del tutto» (Allgemeine Deutsche Bibliothek, Bd 117, 1. Stück, Kiel 1794, p.128). Lo stesso Maimon nel brano citato testimonia l’imbarazzo dei recensori designati per la ALZ: dopo la defezione di Reinhold (attestata da una sua lettera a Maimon, nella quale peraltro abbondano le manifestazioni di stima) e di Schmid, l’incarico viene assegnato a una terza persona non meglio identificata (secondo la congettura proposta da J.B.Scherrer nella Presentazione della traduzione francese del Saggio si tratta di J.S.Beck) che a sua volta rifiuta, infine a una quarta. L’agognata recensione, comparsa anonima nel numero del 31 dicembre 1794, si limita a dichiarare il testo «incomprensibile» per la «mancanza di ordine e di una determinazione precisa dei concetti» (ALZ, p.681).

L’opera si compone di cinque grandi parti, la prima delle quali consta di dieci sezioni assai poco unitarie. Le tre iniziali ripercorrono capitulatim la Critica kantiana, trattando rispettivamente [1] spazio e tempo come forme a priori della sensibilità (Estetica trascendentale) insieme alla distinzione generale tra forma e materia della conoscenza; [2] le categorie, la Deduzione, gli schemi, i principî (Analitica trascendentale) e infine [3] il concetto di idea (Dialettica trascendentale). Le sezioni successive abbandonano l’ordine della Critica per seguire quello della Metafisica di Baumgarten (in precisa corrispondenza con la quale è strutturata anche la terza parte, intitolata La mia ontologia) e trattare isolatamente nozioni svariate: identità e differenza, grandezza, modalità, diverse accezioni di “verità”, ecc. La parte successiva (Breve panoramica sull’intero lavoro) è una raccolta di note e spiegazioni relative alle dieci sezioni. Il biografo di Maimon S.J.Wolff ritiene che essa sia stata aggiunta in un secondo momento insieme alla quinta (Annotazioni e spiegazioni) col vano intento di conferire maggiore unità all’opera. La quarta parte è una lunga digressione su Conoscenza simbolica e lingua filosofica che trova qualche corrispondenza nel più tardo Philosophisches Wörterbuch (cf. in particolare la prefazione e la voce «Sprache» in GW, III, pp.9-24 passim e pp.135-145) e che richiama a giudizio di M.R.HAYOUN alcune riflessioni contenute nei primi capitoli della Guida di Maimonide (Publications récentes sur Salomon Maïmon, in Revue des études juives, 156, 1997, p.377). Un altro chiaro esempio dell’avversione di Maimon alla struttura sistematica è l’opera successiva al Versuch, l’appena citato Wörterbuch, dove l’ordine logico degli argomenti è abbandonato a favore di quello alfabetico.

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sintesi; al contrario, oggetti propriamente logici sono solo le forme o leggi a priori in virtù delle quali la connessione ha luogo. Di queste forme alcune valgono universalmente e meritano il nome di principî o assiomi logici (si tratta del Satz des Widerspruchs e di quello der Identität), altre specificano la sintesi particolare che ha luogo di volta in volta ovvero stabiliscono se due oggetti del pensiero a e b non contraddittori sono da connettere come soggetto e predicato, causa ed effetto, ecc. La possibilità o verità logica233 di una

sintesi consiste soltanto nella non-contraddittorietà dei termini, mentre la possibilità reale o verità metafisica presuppone, oltre alla coerenza formale, [1] il fondamento oggettivo stabilito dal principio di determinabilità per il quale un elemento della sintesi deve poter essere pensato senza l’altro, ma non viceversa,234 e [2] una definizione reale che mostri,

233 L’importante nona sezione della TP (p.145 sgg.) è dedicata alla distinzione dei vari significati di verità.

Maimon precisa anzitutto che il vero e il falso non possono essere attribuiti al discorso considerato di per sé (come mero flatus vocis) e neppure al solo pensiero, a proposito del quale ci si deve piuttosto chiedere se si tratti di un pensiero reale o di un’illusione dell’immaginazione. Essi possono invece essere predicati dei segni o espressioni come tali: «verità è il riferimento particolare [del discorso al pensiero], tale per cui all’espressione corrisponde un pensiero; falsità il contrario, cioè: all’espressione non corrisponde alcun pensiero, ma si presume che le corrisponda, perché altrimenti sarebbe un suono vuoto». L’espressione “triangolo rettangolo” è vera poiché ha per significato un concetto reale, il cui molteplice è connesso necessariamente (la determinazione “rettangolo” non può essere pensata senza il determinabile “triangolo”), mentre in “triangolo nero” non cogliamo la necessità della sintesi, perciò il concetto è problematico e l’espressione è falsa. Infine “triangolo quadrato” è un’espressione falsa perché non denota alcun concetto. È bene fare attenzione alla differenza tra i due casi di falsità: nell’ultimo, sia il «soggetto» che il «predicato» sono determinazioni della figura e non possono esserle assegnate contemporaneamente; falsa è dunque la particolare forma della Verbindung utilizzata, cioè la connessione oggettiva, alla quale deve essere sostituita la sintesi soggettiva della Verschiedenheit. Nel primo caso non si trova invece un determinabile comune per entrambi i termini (notiamo che l’uso apparentemente improprio dei termini «soggetto» e «predicato» in riferimento ai componenti di un concetto è giustificato dal fatto che, come vedremo subito, concetti e giudizi mettono capo secondo Maimon alla stessa funzione del pensiero).

Merita poi di essere menzionata la distinzione tra verità soggettiva e oggettiva; la prima riguarda ogni conoscenza che dipende dalle facoltà specifiche di certi soggetti pensanti («le nostre intuizioni sensibili, ad es., sono semplicemente soggettive perché hanno luogo in base a forme determinate; possono infatti darsi enti pensanti provvisti di forme dell’intuizione diverse dalle nostre») mentre la verità oggettiva (di fatto indeterminabile) vale per ogni soggetto pensante come tale.

234 Come la logica generale dipende dal principio di non contraddizione, così quella trascendentale è basata

per Maimon sul Satz der Bestimmbarkeit. Nel corso del capitolo citeremo a più riprese questo importantissimo principio, costantemente presente nell’opera del nostro autore. Anziché darne una definizione rigorosa (per la quale si veda ad es. TP, p.84 sgg.) vogliamo qui chiarirlo intuitivamente aggiungendo un paio di esempi a quelli citati en passant nella nota 4. La linea retta costituisce una sintesi reale dell’intelletto poiché consta di un determinabile che può essere pensato in sé (la linea) e una determinazione concepibile soltanto all’interno della sintesi stessa (l’essere retta). Parimenti una linea in generale costituisce una sintesi reale in quanto determinazione dello spazio, mentre il pensiero di una linea colorata o dolce non è reale perché la dolcezza e il colore, dati a posteriori nella percezione degli oggetti, non ineriscono alla linea come sue determinazioni; si chiama infatti determinazione «soltanto ciò che aggiungendosi al determinabile fornisce una ragione per nuove conseguenze (che il determinabile prima non aveva)» (TP, p.391, sottolineatura mia). Si può affermare genericamente che il determinabile è l’universale e la determinazione il particolare, benché sia talvolta difficile individuarli. Per stabilire se in un triangolo equilatero l’universale è costituito dal primo o dal secondo termine, ad esempio, bisogna tener conto delle conseguenze che si vogliono trarre da questo concetto: se lo scopo è dimostrare l’uguaglianza degli angoli, l’equilateralità è il determinabile e la trilateralità la determinazione, poiché l’uguaglianza richiesta dipende dall’uguaglianza dei lati e non dal loro numero, il quale «fa sì che ciò che senza di esso semplicemente può essere, sia effettivamente». Se invece si vuole mostrare che ciascun angolo è p/3, la triangolarità è il

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oltre all’essenza, la Entstehungsart dell’oggetto.235 Da ciò segue in particolare che nessun concetto o giudizio empirico è un pensiero reale, poiché nasce da una sintesi dell’immaginazione:

L’oro è ad es. una connessione percepita tra colore giallo, elevato peso specifico, durezza e sim. Qui non c’è una sintesi dell’intelletto perché questi Merkmale non stanno nel rapporto di soggetto e predicato (determinabile e sua determinazione), dal momento che possono essere pensati l’uno senza l’altro; essi vengono invece connessi soltanto perché si accompagnano nel tempo e nello spazio.236

Oltre al pensiero reale, in cui tra gli elementi della sintesi esiste un rapporto unilaterale di determinabilità, possono darsi due ulteriori relazioni tra i termini da connettere: nel primo caso essi si presuppongono vicendevolmente, ovvero non possono essere pensati l’uno indipendentemente dall’altro (ad esempio i concetti di causa ed effetto); nel secondo si tratta di due oggetti indipendenti della coscienza, tra i quali non sussiste alcun legame necessario (come in tutti i giudizi della Naturwissenschaft, che pertanto non costituisce una conoscenza in senso proprio237). Le corrispondenti specie della sintesi sono chiamate da Maimon «pensiero formale» e «arbitrario»; il primo denota, al pari degli assiomi logici, un pensiero necessario e oggettivo (cioè fondato nel Denkvermögen come tale e indipendente dagli stati mutevoli del soggetto) eppure incapace, in opposizione a quello reale, di determinare alcun oggetto, mentre il secondo a rigore non è affatto un pensiero poiché manca di fondamento.238

Le operazioni del pensiero consistono nella triade che determina la suddivisione canonica dei manuali di logica: concetto, giudizio e inferenza. Il principio di determinabilità è la base unica di queste funzioni. Infatti 1) osservando che il medesimo determinabile a occorre nelle diverse sintesi ab, ac, ecc., lo astraggo da qualsiasi determinazione e lo

determinabile poiché la proprietà in questione non spetta a tutte le figure equilatere, ma solo a quelle di tre lati in base alla legge: A=[(2n-4)/n]x(p/2) dove “A” è l’ampiezza di ciascun angolo di un poligono equilatero, “n” il numero dei lati. Aggiungiamo infine che nella connessione tra un’intuizione e un concetto la prima, se è a priori, costituisce il determinabile (giacché «ciò che è possibile nella connessione [realizzata dal concetto] deve essere possibile anche in sé»), altrimenti funge da determinazione (TP, pp.244-247).

235 Cf. TP, pp.100-101Può essere utile illustrare questa importante distinzione con un esempio: il decaedro

regolare, in quanto non contraddittorio nel suo concetto, è certamente possibile dal punto di vista logico; non lo è però realmente, poiché non può venire costruito (GW, V, p.76). Per la differenza tra definizione (o essenza) nominale e reale v. TP, pp.38-39.

236 TP, pp.102-103.

237 Questi giudizi si basano in effetti sulla mera constatazione empirica dello Zusammentreffen di

determinazioni diverse nello spazio e nel tempo.

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considero come concetto; 2) constatando che nell’oggetto determinato ab il primo elemento è il determinabile e il secondo la determinazione, formulo il giudizio: “a è b”; 3) nell’inferenza comprendo il rapporto di determinabilità che intercorre tra un a e un c non direttamente, bensì con la mediazione di un terzo termine b, determinante a e determinato da c. Consideriamo adesso queste operazioni separatamente.

3.1.SUI CONCETTI

In opposizione all’intuizione (coscienza di ogni singolo elemento, per sé preso, del molteplice dato per la sintesi) e alla rappresentazione (coscienza di ogni singolo elemento in quanto membro di quel molteplice), il concetto è definito come la coscienza di una parte di un molteplice in quanto contenuta in diversi molteplici, quindi ulteriormente determinabile in tanti modi quante sono le specie subordinate al concetto in questione. Mentre l’intuizione è condizione esterna del pensiero, fornendo il materiale per la sintesi, i concetti trascendentali – non prodotti dall’intelletto ma dati ad esso a priori in quanto regole universali della Verbindung – ne costituiscono la condizione interna o formale. Ancora: a differenza delle rappresentazioni, sempre relative ad oggetti dati, i concetti matematici sono prodotti del pensiero riferiti ad oggetti determinati costruiti a priori,239 con i quali in ultima analisi si identificano. Si hanno infine concetti empirici, astratti dagli oggetti intuiti a posteriori e distinti da questi poiché non contengono tutti i Merkmale che li caratterizzano. Ricalcando la tavola kantiana dei giudizi, Maimon classifica e suddivide i concetti come segue:

1) Per quantità. Essendo comune a più oggetti ovvero determinabile in vari modi, un concetto è universale; se determinato in un certo modo ma ancora determinabile per altri aspetti, esso è in sé certamente universale, ma particolare rispetto al precedente (ad esempio ab è universale in quanto concetto ma particolare rispetto ad a); infine, un

239 Per essere precisi bisogna notare che Maimon assegna all’espressione “a priori” un significato

leggermente diverso da Kant, che la intende come sinonimo di non-empirico (KRV, B 2). Il nostro autore ammette infatti due gradi di esattezza nell’uso di questa nozione: in senso stretto è detta a priori ogni conoscenza «fondata sulla pura forma dell’Erkenntnissvermögen in rapporto a un oggetto in generale e di conseguenza precedente ogni oggetto determinato della conoscenza» (questo è il caso dei principî, delle forme particolari e dei teoremi appartenenti alla logica), mentre soltanto in senso lato anche la matematica – i cui oggetti non sono solo formali ma reali e determinati, benché costituiti da una materia non empirica – è a priori (GW, V, pp.174-176; v. anche KU, pp.167-178 dove, pur venendo presentati tre livelli di apriorità, la sostanza non cambia). Poiché si tratta comunque di capziosità terminologiche, non ci faremo scrupoli a parlare sempre dell’apriorità in senso lato. Saremo invece più cauti nell’uso del termine “puro”, riferito da Maimon a concetti a priori indipendenti da qualsivoglia contenuto intuitivo (da ciò segue che i concetti matematici non sono puri, né possono esistere intuizioni pure, benché talvolta egli stesso sembri dimenticarsene; v. TP, pp.55-57).

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triangolo coi lati di lunghezza data è un concetto in quanto prodotto dal pensiero, ma si identifica col suo oggetto perché non può essere ulteriormente determinato: esso è un concetto singolare.

2) Per qualità: concetti trascendentali, matematici e astratti sono rispettivamente condizioni, prodotti ed edotti del pensiero.

3) Per relazione: due concetti semplici possono essere tra loro identici, differenti o contrapposti; le stesse relazioni intercorrono tra i singoli componenti di due concetti complessi.240

4) Per modalità: un concetto è necessario se le parti di cui si compone (Bestimmbares e Bestimmung) sono identiche; possibile se non si comprende il preciso rapporto in cui queste si trovano, reale se lo si comprende.

3.2. SUI GIUDIZI

Giudicare significa per Maimon sintetizzare in una unità della coscienza una molteplicità di oggetti del pensiero (siano essi concetti, intuizioni, oggetti o a loro volta giudizi) senza che tuttavia essi «confluiscano in un’unica coscienza», come nel caso dei concetti. Tale unità è oggettiva (indipendente dal soggetto) nei giudizi analitici e in quelli sintetici conformi al Satz der Bestimmbarkeit; soggettiva o mentale nei giudizi negativi e infiniti, dove dipende unicamente dall’identità del soggetto pensante e dalla connessione tra i due termini da lui istituita.241

Dalle definizioni di pensiero e giudizio appena fornite si evince che per Maimon il primo si risolve interamente nel secondo. Ora, la comprensione del rapporto tra determinabile e determinato nel pensiero reale può verificarsi nei due modi seguenti: 1) il determinabile è dato e si ricerca la sua determinazione; 2) l’oggetto determinato è già dato, si cerca di ricavarne il determinabile o la determinazione. I risultati delle due ricerche consistono,

240 Maimon definisce poi interscambiabili quei concetti in sé diversi che danno origine alle medesime

conseguenze [Wechselbegriffe], ad esempio un cerchio e la sua equazione. Non è però il caso di un oggetto e della sua definizione, diversi per espressione ma concettualmente identici.

241 Definendo soggettiva la sintesi nei giudizi negativi Maimon previene l’obiezione che Schulze solleverà

nella KTP quando noterà che a proposito di tali giudizi non si può parlare di separazione del predicato dal soggetto, dato che l’essenza del giudizio consiste proprio nel collegamento dei concetti operato dalla copula (cf. supra, p.118).

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rispettivamente, in un giudizio sintetico e in uno analitico.242 Maimon sembra conferire al concetto di analiticità un’estensione maggiore rispetto a Kant:

Per me si pensa analiticamente quando il predicato deve essere sviluppato non [solo] a partire dal concetto del soggetto, bensì in generale (dal soggetto stesso), cioè quando l’oggetto composto di determinazione e determinabile (che è soggetto del giudizio) è dato in modo non sviluppato [unentwickelt] e il predicato […] viene sviluppato dal pensiero.243

Da questa definizione, purtroppo non molto chiara (sfugge soprattutto il significato preciso del termine «sviluppare»), segue che ad esempio il teorema di Pitagora o il giudizio “un trilatero ha tre angoli”, pur riferendosi a un oggetto costruito mediante una sintesi a priori, è analitico perché in qualche modo ricavabile dall’oggetto. Poiché il predicato è già implicitamente contenuto nel soggetto, il giudizio analitico non permette di pensare alcunché di nuovo, quindi non costituisce di per sé un autentico pensiero, pur contribuendo in modo significativo alla conoscenza grazie all’esplicitazione di certe determinazioni dell’oggetto pensato. Nel giudizio sintetico, al contrario, l’oggetto stesso viene costruito. È poi contemplato un terzo caso, il giudizio analitico-sintetico, in cui soggetto e predicato, pur non essendo identici, si implicano reciprocamente, come nell’esempio: “ogni effetto ha una causa”.244

La tavola dei giudizi presentata da Maimon differisce notevolmente da quella di Kant. Poiché avremo ancora occasione di commentare in dettaglio i punti di divergenza, ci limitiamo qui ad elencarli: 1) la quantità non è per Maimon una determinazione essenziale dei giudizi come tali, ma dipende da un’inferenza implicita.245 2) I giudizi infiniti

242 Già da questo si capisce che, come sostenuto da Kant e Reinhold, un giudizio analitico è possibile solo in

virtù di una sintesi precedente (ciò vale anche per il fondamento di tutti i giudizi analitici, il Satz des Widerspruchs: v. KU, pp.137-138).

243GW, V, p.87.

244 Come si sa, questo giudizio per Kant è analitico poiché il predicato è implicato dal concetto del soggetto.

Le proposizioni matematiche sopra citate sono invece sintetiche perché, come rilevato dallo stesso Maimon, il predicato non è deducibile dal concetto del soggetto ma viene assegnato ad esso sulla base della costruzione di quest’ultimo nell’intuizione a priori. Non vale la pena dilungarsi su questa divergenza terminologica, concernente più le definizioni che «la cosa stessa» (GW, V, p.182; notiamo tra l’altro che la caratterizzazione di analiticità e sinteticità esposta da Maimon nei suoi Prolegomeni non è esattamente coerente con quella appena esposta: v. KU, pp.174-177).

245 Aggiungiamo che i giudizi singolari, avendo come soggetto un ens omni modo determinatum, non

possono essere che identici. «Alla cosa singola si può [infatti] attribuire o l’individuale o il suo concetto specifico; in entrambi i casi non viene determinato niente di nuovo nella nostra conoscenza» (GW, V, p.114). In generale Maimon ricava la quantità dei giudizi dalla modalità (cf. infra, nota 312): in base al Satz der Bestimmbarkeit, universale è il giudizio in cui il soggetto è determinazione e il predicato determinabile

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esprimono l’impossibilità di connettere soggetto e predicato secondo il principio di determinabilità; non sono pertanto giudizi in senso proprio. 3) I giudizi ipotetici differiscono dai categorici solo perché la loro materia è costituita da altri giudizi; dal punto di vista formale sono identici, perciò non costituiscono una classe distinta. 4) Non esistono giudizi assertori.246

3.3. SULLE INFERENZE

Ogni oggetto dell’intuizione consta di materia e forma (determinabile e determinazione), non immediatamente intuite a loro volta. Queste componenti devono essere dotate di una realtà indipendente dalla loro sintesi nell’oggetto perché la Verknüpfung le rende soltanto intuibili, senza determinare (anzi, presupponendo) la loro esistenza. «Ci troviamo in questo caso costretti a pensare qualcosa come un oggetto reale senza poterlo intuire; non possiamo quindi rappresentarcelo che mediante segni ed esso è perciò […] un oggetto della conoscenza simbolica».247 Ora, il molteplice da connettere intuitivamente in una unità della coscienza secondo il principio di determinabilità non può essere composto da più di due membri per volta, corrispondenti al soggetto e al predicato di un giudizio. Se dunque la sintesi riguarda un numero maggiore di elementi subordinati,248 dovrà avere luogo simbolicamente. Questo è ciò che accade nelle inferenze singole e nelle Schlussketten, dove la Verbindung tra due membri avviene per mezzo di uno o più terzi: a è determinabile di b, che a sua volta è determinabile di c, che può essere determinato da d e così via; da cui segue che a e l’ultimo termine n sono in un rapporto di determinabilità. Il nesso tra a e n non viene colto direttamente tramite il confronto dei due oggetti, bensì

(“ogni triangolo è un poligono”), particolare quello in cui al determinabile è attribuita la determinazione (“qualche triangolo è rettangolo”); ora, il determinabile è condizione necessaria della determinazione, che a sua volta inerisce ad esso solo possibilmente.

246 Abbiamo visto nella nota precedente che le sole modalità ricavabili dal Satz sono necessità e possibilità.

A conclusione della trattazione dei giudizi è doveroso per lo meno accennare al tentativo maimoniano di dimostrare le relazioni che intercorrono tra certe forme: i giudizi universali sono, in quanto analitici, necessari; i negativi non possono essere disgiuntivi né problematici; gli infiniti sono universali e apodittici; gli ipotetici sono pure apodittici e privi di quantità (GW, V, pp.117-122).

247 TP, pp.271-272 (il corsivo è mio). Per completezza bisogna aggiungere che certi oggetti (come il

chiliagono o il numero 1000), sfuggendo di per sé all’intuizione, possono essere conosciuti soltanto simbolicamente. Noi costruiamo il 1000 considerando la decina (intuibile ad esempio grazie alle dita) come unità di una nuova decina, a sua volta ripetuta dieci volte. Di tutto ciò che attiene all’infinito (il numero dei lati del cerchio, gli asintoti dell’iperbole, i differenziali, ecc.) abbiamo parimenti una conoscenza simbolica.

248 In effetti i membri della sintesi possono essere più di due se si trovano in un rapporto di coordinazione

(ad esempio tre linee vengono sintetizzate per costruire un triangolo). Questo non vale tuttavia se essi sono da connettere in quanto determinabile e determinazione, perciò è stato necessario specificare sopra: «secondo il principio di determinabilità».

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grazie alla successione dei nessi intuiti, nella quale, in occasione di ogni nuovo nesso, i precedenti vengono conservati nella memoria sotto forma di segni.249

L’aspetto più notevole in virtù del quale la logica maimoniana si distingue dalle precedenti consiste, come abbiamo cercato di mostrare, nell’ipotesi di un principio comune a tutte le funzioni del pensiero (tradizionalmente considerate in modo isolato) e nel tentativo di ricondurle ad esso. Alla luce di tale fondamento unitario – il Satz der Bestimmbarkeit, “preso in prestito” dalla filosofia trascendentale – Maimon può denunciare il carattere puramente esteriore della partizione dei manuali di logica secondo le dottrine del concetto, del giudizio e del sillogismo, e sottolineare che «in un sistema queste parti non devono essere semplicemente giustapposte, ma intrecciarsi e determinarsi reciprocamente in base a un principio correttamente inteso».250

§4. LA TEORIA DELL’ERKENNTNISVERMÖGEN

4.1. ESTETICA TRASCENDENTALE

4.1.1. Premessa

Maimon definisce sensibile la conoscenza relativa alle componenti dell’oggetto che possono essere apprese soltanto in una successione temporale; ciò che invece viene rappresentato «in una volta (senza tempo)» è oggetto della conoscenza intellettuale.251 In quanto generata dal movimento ideale di un punto,252 una linea è costruita a priori in

249 Da questa spiegazione emerge l’affinità tra Maimon e Leibniz riguardo al concetto di segno. Secondo

Leibniz l’utilità dei segni (tra i quali sono da annoverare le parole) consiste nel permettere a chi calcola o ragiona di pensare un nesso per volta senza dover conservare una nozione distinta di ciascuno dei precedenti, e al contempo senza dimenticarli (v. ad es. G.W.LEIBNIZ, Scritti di logica, cit., p.240).

250 GW, V, p.23. 251 GW, V, pp.178-180.

252 KU, pp.88-90; importanti considerazioni a questo proposito si trovano anche in TP, pp.33-36. Condizioni

del pensiero di un oggetto in generale sono [1] un’intuizione data (a priori o a posteriori) e [2] una regola in conformità alla quale l’intelletto connette il molteplice intuito. Mentre la sintesi ha necessariamente luogo nel tempo, la regola viene colta auf einmal. Per questo motivo Maimon afferma che l’intelletto, «in quanto facoltà di pensare (produrre concetti) e giudicare, non agisce nel tempo; le sue forme a priori (modi di riferire oggetti gli uni agli altri) sono unità inseparabili», prive di grandezza intensiva, quindi non aumentabili o riducibili nel tempo. Non possiamo certo rappresentarci contemporaneamente il fuoco e la cera sciolta, né in generale il soggetto e il predicato di un giudizio: quando la nostra attenzione si ferma sul secondo membro, il primo è conservato in forma simbolica. Il nesso causale tra il fuoco e la cera (lo sciogliere), come l’identità o la contrapposizione tra soggetto e predicato, è invece rappresentato tutto in una volta. Questo – sia notato di passaggio – vale anche per la ragione, in grado di produrre «idee che sono unità assolute e perciò non possono nascere nel tempo» (GW, III, pp.87-89). Ora, il pensiero di un oggetto non è altro che la produzione dell’unità in un dato molteplice intuitivo; poiché, come detto, questa operazione si

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un’intuizione sensibile, mentre la connessione di tre linee in una unità della coscienza è prodotta istantaneamente dal pensiero; come ogni altro oggetto, il triangolo dipende perciò dalla sensibilità rispetto alla sua materia, dall’intelletto quanto alla forma. Se in un oggetto della sensibilità facciamo astrazione dalla componente soggettiva (la Empfindung) e da ciò che riguarda il puro pensiero, otteniamo le forme pure spazio e tempo, argomento di questo paragrafo. Occorre notare che l’Estetica trascendentale maimoniana, assai originale e ricca di spunti soprattutto per la filosofia della matematica, si compone di considerazioni sparse in diverse opere, a mio giudizio coerenti ma difficili da inserire in un quadro sistematico. Per ovviare al problema cercherò di delineare questa dottrina nel suo complesso e spiegare in che senso Maimon intende migliorare per suo tramite l’Estetica trascendentale kantiana. Ciò richiederà una collazione dei testi finalizzata a mostrare la loro concordanza ma non prevenuta di fronte a eventuali contraddizioni insanabili.

4.1.2. La dottrina dello spazio e del tempo

Ciò che chiamiamo oro è, come già rilevato, una sintesi di percezioni disparate (colore giallo, peso elevato, durezza, ecc.) operata dall’immaginazione. Questo molteplice viene unificato nell’intuizione di un oggetto perché le sue parti appaiono contigue nello spazio e nel tempo. In quanto condizioni della sintesi, spazio e tempo non possono essere a loro volta membri del molteplice, né sono d’altra parte concetti empirici (cioè unità di un molteplice dato) poiché contengono parti uniformi, distinte solo quantitativamente e non concepibili prima dei rispettivi interi, ma solo in quelli.253 Che non si tratti di concetti ricavati per astrazione da oggetti conosciuti tramite l’esperienza può essere ulteriormente dimostrato come segue. La coscienza dello spazio richiede la presenza di più oggetti reciprocamente esterni: qualora si voglia rappresentare un unico oggetto nello spazio, si è costretti a pensarlo come composto di parti ciascuna delle quali può essere a sua volta

svolge nel tempo, l’intelletto non può concepire l’oggetto che in statu nascenti («entstehend, d. h. fließend») mentre l’immaginazione in quanto facoltà dell’intuizione, limitandosi a rappresentare il molteplice, deve «pensare i suoi oggetti non nel loro sorgere, bensì come già sorti […]. Se l’intelletto deve rappresentarsi una linea, la deve tracciare nel pensiero; se invece si deve esporre una linea nell’intuizione, la si deve rappresentare come già tracciata. Per l’intuizione di una linea si richiede solo la coscienza dell’apprensione (della composizione di parti esterne l’una all’altra), mentre per la sua comprensione è necessaria la definizione della cosa [Sacherklärung], cioè la spiegazione del modo in cui nasce [Entstehungsart]». Perciò rispetto all’intuizione la linea precede il movimento del punto, mentre il concetto di una linea esige il movimento come sua condizione.

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considerata come oggetto. Non essendo dunque un Merkmal o una qualità presente negli oggetti, bensì un rapporto tra loro, lo spazio non può venire astratto da alcun oggetto considerato per se o absolute;254 che lo stesso valga per il tempo emergerà chiaramente dal séguito. Spazio e tempo non sono neppure concetti puri dell’intelletto: in quanto «mere forme logiche o modi particolari di radunare il molteplice degli oggetti in generale in una unità della coscienza», le categorie non possono essere pensate a loro volta come oggetti suscettibili di determinazioni diverse, mentre le matematiche dimostrano il contrario a proposito di spazio e tempo, determinandoli rispettivamente per mezzo delle figure geometriche e delle operazioni numeriche.255

Maimon è d’accordo con Kant nel considerare spazio e tempo come forme pure della sensibilità e intuizioni a priori; essi sono però al contempo qualcosa di più.256 A suo giudizio la sostanziale integrazione di cui l’Estetica trascendentale kantiana ha bisogno riguarda la provenienza di queste forme, cioè il loro carattere non originario, bensì derivato a priori: «Io aggiungo semplicemente che queste particolari forme della nostra sensibilità hanno il loro fondamento nelle forme universali del nostro pensiero»,257 in particolare nella nozione di Verschiedenheit. Maimon non intende dunque esplicitamente rettificare la teoria kantiana della sensibilità, bensì completarla esaminando spazio e tempo da tutti i possibili angoli visuali, cioè in quanto 1) concetti a priori, 2) intuizioni a priori ed empiriche. Vedremo tuttavia che, così facendo, egli finisce per confutare la posizione della Critica e riabilitare in parte la dottrina leibniziana.

1) Per definizione il pensiero presuppone: a) un molteplice dato, b) una unità per la sintesi. Affinché due elementi costituiscano una molteplicità nella coscienza (cioè siano appunto colti come due) è necessario che siano diversi;258 d’altra parte, per poter essere unificati devono appartenere alla medesima coscienza. In quanto condizioni del pensiero in generale, i «concetti relazionali» [Verhältnissbegriffe] di diversità e identità (ai quali si

254 KU, pp.74-75.

255 GW, III, p.64. Si noti però che in TP, pp.23-24 allo spazio, al tempo e alle categorie viene attribuito «un

identico grado di realtà», cosicché «ciò che viene affermato a buon diritto di questi, può essere detto di quelle»; dopo un esempio volto a mostrare l’analogia tra il tempo e la causalità viene persino notato che «come le categorie non possono avere alcun significato (e di conseguenza alcun uso) senza una determinazione temporale, così anche le determinazioni temporali non hanno significato senza le categorie di sostanza e accidente, e queste ultime non lo hanno senza oggetti determinati. Lo stesso avviene anche per lo spazio». Bisogna peraltro tener presente che qui si tratta dell’uso o applicazione delle forme in esame, non della loro essenza.

256 GW, VI, p.245. 257 TP, pp.15-16.

258 Ciò vale anche per quelle particolari sintesi note come giudizi identici: l’affermazione “a è a”

presuppone una distinzione di a da se stesso nella coscienza, cioè due considerazioni separate del termine, prima come soggetto e poi come predicato.

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aggiunge la contrapposizione, ¬a, ricavabile da quest’ultima) sono puri a priori.259 Ora, spazio e tempo sono anzitutto forme a priori dell’unificazione di un molteplice, quindi concetti260 e in particolare specificazioni della nozione di diversità sotto forma di Außer- e Nacheinandersein. Essi rendono dunque possibile non solo la percezione, ma anzitutto il pensiero a priori (rispettivamente, limitato agli oggetti del senso esterno e in generale).261

2) In quanto intuiti a priori come grandezze continue, lo spazio e il tempo sono meri prodotti dell’immaginazione (entia imaginaria), costruiti secondo la regola fornita dal concetto di Verschiedenheit:262

l’immaginazione, scimmiottando l’intelletto, rappresenta le cose a e b come reciprocamente esterne nello spazio e nel tempo perché l’intelletto le pensa come differenti. Questo concetto dell’intelletto è pertanto il criterio dell’immaginazione; essa non può perderlo di vista, se il suo procedimento deve essere conforme a regole.263

259 TP, p.110 sgg. Nella stessa opera (pp.345-346) Maimon precisa che identità e opposizione si riferiscono

a un obiectum logicum affatto indeterminato e per suo tramite a ciò che esiste, mentre la diversità è prerogativa degli oggetti reali. Ciò viene chiarito in GW, V, p.72, dove si dice che il pensiero logico, astraendo da qualsiasi determinazione (sia a posteriori che a priori) degli oggetti, non può contemplare altra differenza che la contraddizione: a è pensabile come diverso da b solo se tra le sue note include un ¬b. Perciò la diversità si riduce qui alla contrapposizione.

Noto inoltre che Maimon non dice mai, come io ho scritto, che la contrapposizione è ricavabile dall’identità (da cui segue che essa non è una forma originaria, al pari delle altre due). Deducendola tuttavia dalle categorie di realtà e negazione, e ricavando queste a loro volta «dalle funzioni logiche generali dell’affermazione e della negazione», mi sembra avallare l’idea che essa sia qualcosa di derivato. Le altre due forme, il cui uso si estende invece ben oltre quello delle categorie, devono valere come condizioni della possibilità del pensiero in generale. Potremmo definire la contrapposizione come l’impoverimento della diversità causato dalla sua applicazione alla logica pura.

260 Cf. GW, VI, pp.188-189: «Le forme dell’intuizione, spazio e tempo, sono concetti universali nella misura

in cui comprendono sotto di sé tutti gli oggetti determinati nello spazio e nel tempo». In quanto concetti essi non constano di un molteplice sintetizzato, bensì – al pari delle pure forme del pensiero – «sono mere unità in cui un molteplice in generale deve essere pensato».

261 Sul tempo come condizione o forma «non solo della sensibilità, ma anche dei concetti dell’intelletto e in

generale di tutti gli oggetti logici che devono essere pensati in una qualche unità della coscienza», si veda GW, VI, p.246 sgg.

262 Rileviamo qui una differenza tra spazio e tempo intesi come concetti e come intuizioni, sulla quale non

avremo modo di soffermarci nel corso dell’analisi. A livello concettuale, il pensiero dello spazio è possibile soltanto previa rimozione della temporalità e viceversa: per pensare lo Außereinander tra due oggetti qualsiasi devo considerare i medesimi come simultanei, prescindendo dalla successione temporale, mentre il Nacheinander è concepibile solo in riferimento a un oggetto considerato come inesteso. Spazio e tempo non si lasciano quindi pensare contemporaneamente nei medesimi oggetti (il caso del movimento, in cui ciò sembra verificarsi, non costituisce un’eccezione: se un corpo c si muove da un punto a verso un punto b, i rapporti o distanze di c dai due punti sono intesi soltanto come mutevoli nel tempo, mentre i punti stessi vengono rappresentati simultaneamente come esterni l’uno all’altro). Al contrario, per essere costruiti nell’intuizione spazio e tempo necessitano l’uno dell’altro: la giustapposizione di un’estensione finita a se stessa deve essere ripetuta successivamente per produrre uno spazio delimitato, e la percezione del tempo presuppone il movimento (TP, pp.16-18).

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Che spazio e tempo non siano forme o condizioni della sensibilità in generale ma solo della diversità sensibile è dimostrato dal fatto che un unico oggetto perfettamente omogeneo non è suscettibile di determinazioni spazio-temporali. Se ad esempio il nostro campo visivo fosse interamente occupato da una medesima tonalità di colore, non osserveremmo alcuno spazio. Analogamente, un fiume identico in tutte le sue parti, che scorresse in modo uniforme, non potrebbe essere percepito come esteso e in movimento se non si trovasse in relazione con oggetti eterogenei collocati sulle sue sponde: solo considerando la molteplicità di questi rapporti acquisteremmo la capacità di dividere in parti la percezione del fiume.

La derivazione di spazio e tempo dal concetto di diversità costituisce il punto di frattura tra Maimon e Kant, a partire dal quale il nostro autore rivaluta il principio leibniziano degli indiscernibili. Se infatti la percezione delle diverse collocazioni nello spazio e nel tempo in generale dipende da questa nozione, ogni dissomiglianza particolare tra due oggetti si lascerà ridurre a una differenza di ordine concettuale. In altre parole, se percepiamo due oggetti che riteniamo concettualmente identici possiamo essere certi dell’incompletezza della conoscenza che ne abbiamo: avanzando nella loro analisi scopriremo prima o poi un Merkmal che li distingue.264

Poiché la diversità, in quanto concetto puro, si estende illimitatamente a tutti gli oggetti del pensiero reale e non ammette un minimo o un massimo assoluti,265 le sue immagini sensibili (spazio e tempo) sono rappresentate a loro volta come continue; ciò non vale tuttavia per queste forme in quanto intuite a posteriori. Non essendo possibile che la sintesi di un molteplice infinito abbia luogo in un tempo limitato, è necessario che ogni oggetto sensibile consti di parti elementari, percepite come omogenee al proprio interno. Ora, nello spazio e nel tempo empirici sono intuite tante parti quante sono quelle che compongono gli oggetti che li occupano; dove non appare alcuna diversità non si trova spazio né tempo, quindi gli elementi omogenei degli oggetti non sono spazi o tempi, bensì atomi di queste forme. La continuità è un’illusione dell’immaginazione originata dalla medesima fallacia che troveremo alla base delle cosiddette idee della ragione (anima, mondo e Dio): poiché non è effettivamente posto un limite alle ripetizioni di

264 GW, V, pp.190-193 e 255.

265 Di nuovo: se ci si presentasse un unico oggetto eternamente identico a se stesso non disporremmo di

alcun molteplice da sintetizzare, quindi non potremmo pensare né avere alcuna coscienza. Al contrario, se fossimo posti di fronte ad oggetti assolutamente diversi, cioè privi di durata (l’identità viene infatti percepita in opposizione al cambiamento, cioè per mezzo del confronto tra un elemento permanente e altri mutevoli in un certo lasso di tempo), non avremmo a disposizione un’unità per la sintesi e il risultato sarebbe lo stesso.

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un’operazione, l’immaginazione presume che un limite non possa essere dato. Nel nostro caso, dal fatto che in ogni percezione omogenea è rintracciabile qualche differenza ad un’osservazione più attenta, essa inferisce che nessuna grandezza è composta di parti semplici.

Alla luce di questa caratterizzazione di spazio e tempo come intuizioni Maimon propone una nuova soluzione per le prime due antinomie cosmologiche kantiane, basata sulla distinzione tra i punti di vista matematico (trascendentale) e filosofico (empirico). Riportiamo l’argomentazione relativa allo spazio (riguardo al tempo la prova è simile):

Lo spazio che sta alla base della matematica è certamente un continuo infinito che l’immaginazione non può rappresentarsi altrimenti. La matematica non deve preoccuparsi del modo in cui nasce la rappresentazione dello spazio dall’immaginazione trascendentale: per lei è sufficiente che questa rappresentazione sia necessaria a priori. La filosofia, che non considera lo spazio in se stesso bensì [nel] suo rapporto con gli oggetti che lo riempiono, deve invece richiedere il

certificato di nascita dello spazio. Qui trova che esso originariamente non era altro

che la forma della diversità sensibile (dunque non un continuo infinito) e che ci sono sempre tante parti dello spazio quante sono le parti percepite della materia che lo

colma.266

Le tesi delle antinomie sono vere limitatamente alla percezione immediata dello spazio e del tempo, cioè in considerazione di questi ultimi come intuizioni dei rapporti di un oggetto empirico – rispettivamente – con altri oggetti simultanei e coi diversi stati in cui viene successivamente a trovarsi. In questo caso spazio e tempo risultano composti di parti indivisibili e circoscritti, non estendendosi al di là di ciò che è percepito o conservato nella memoria. Le antitesi valgono invece per le medesime forme intese come necessarie finzioni a priori dell’immaginazione.267

266 GW, V, p.277.

267 GW, III, p.42; KU, pp.186-187. Come si vede, anche l’idea dell’estensione infinita deriva dalla fallacia

appena descritta: non viene mai indicato un termine ultimo per l’accrescimento di una certa porzione di spazio mediante l’aggiunta di altre porzioni (ovvero per il regresso nella serie temporale), quindi un termine siffatto non esiste.

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