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FULVIO TRONCONE
Secondo Rapporto sulla Giustizia Civile in Italia Avvocatura e magistratura unite per il funzionamento, hic et nunc, del processo civile: il contributo del magistrato∗
Il contributo che porto ai lavori odierni è il frutto di una ventennale frequentazione delle aule giudiziarie del tribunale di Napoli, prima, come procuratore legale e, poi, come giudice civile, funzioni che ho svolto sino a quando, recentemente, sono stato collocato fuori ruolo presso l’ufficio studi del Csm.
Il tema della presente sessione dei lavori involge il bilancio di un ventennio caratterizzato da innumerevoli interventi del legislatore sul processo civile.
Non può non constatarsi come essi, inizialmente, si presentassero, almeno nelle intenzioni, come sistemici: in altri termini sufficientemente meditati e preceduti da un ampio dibattito sulle riviste specializzate.
Col passar del tempo siffatta ruminatio è pian pian scomparsa e gli interventi si sono sempre più caratterizzati per essere episodici, chirurgici, il più delle volte introdotti con la decretazione d’urgenza, pertanto non più estrinsecazione di una visione di sistema delle complessive problematiche da affrontare.
Il codice procedura civile si è così pericolosamente avvicinato, quanto a stabilità dell’ordito normativo, al codice di procedura penale.
Ma, al di là di tale obiettiva constatazione, il chiesto bilancio non può non partire, per chi coltiva il vizio della memoria, dal ricordo di come si svolgevano le udienze in vigenza della controriforma del 1950.
Le udienze erano spesso iperaffollate per le numerosissime, a volte anche più di cento, cause portate sul ruolo; gli avvocati dovevano affrontare una muraglia umana per colloquiare col giudice, il quale, ridotto al ruolo di calendario vivente, si limitava a pronunciare date, spesso molto lontane nel tempo, senza conoscere alcunché delle vicende processuali sottoposte al suo esame.
Bastano, dunque, queste poche battute per cogliere l’inadeguatezza di un rito senza preclusioni, che, ad esempio, consentiva a ciascuna parte di serbare la produzione dei documenti decisivi solo al
∗ Testo dell’intervento svolto dal dott. Fulvio Troncone, magistrato addetto all’Ufficio Studi del Csm, nel corso del convegno tenuto in Roma, il primo marzo 2013, avente ad oggetto “Secondo Rapporto sulla Giustizia Civile in Italia Avvocatura e magistratura unite per il funzionamento, hic et nunc, del processo civile”, promosso dall'Unione nazionale Camere Civili e dal Centro studi dell'Avvocatura Civile italiana.
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termine del primo grado, se non, addirittura, nel grado di appello, considerata la non esecutività della pronuncia di primo grado.
Alla luce dei fatti, l’opzione sposata sin dalla legge 353/90 di un modello processuale scandito da rigide preclusioni non può che essere condivisibile. Così come, guardando a ritroso, sanno di battaglie di retroguardia, un po’ da vandea giudiziaria, tutti quelle astensioni che travagliarono la primavera del 1995, allorché si decise che la riforma del 1990 dovesse entrare finalmente in vigore.
Il che dovrebbe essere di monito anche per i tempi che ora viviamo.
Sotto tale profilo, occorre dato atto di come l’attuale stato del giudizio di appello sia caratterizzato, anche per l’arretrato creatosi nei decenni scorsi per la cennata inadeguatezza strutturale del dato processuale, dall’incapacità del sistema di dare una risposta giudiziaria in tempi ragionevoli, ex se violativa del disposto di cui all’art. 6 Cedu.
Necessitata e condivisibile è stata, dunque, l’adozione di un appello chiuso, caratterizzato dall’impossibilità della parte di depositare nuovi documenti, quantunque essi siano indispensabili alla definizione del giudizio, a meno che essi non si siano formati successivamente o la parte ne sia entrata in possesso solo dopo la sentenza di primo grado per ragioni non ad essa imputabili.
Oggi, il processo civile non va più concepito come un work in progress, che si dipana in più stadi e volto al progressivo accertamento della realtà materiale, bensì, valorizzando e responsabilizzando il giudizio di primo grado, anche eventualmente accentuando momenti di controllo endoprocessuali sempre all’interno di tale grado di giudizio. Di modo che i giudici dei gradi successivi possono - e devono essere chiamati a - soltanto delibare il quadro istruttorio definitivamente maturato allo scadere delle preclusioni di legge, sulla scorta delle allegazioni difensive una volta e per sempre delineate nel giudizio di primo grado.
Tale ricostruzione, peraltro, conforme al dato costituzionale, secondo cui i giudici si distinguono solo per le funzioni svolte, di modo che non può riconoscersi né alla Corte di Cassazione, né tantomeno alle singole Corti di Appello nessuna posizione gerarchicamente sovraordinata, consegue, come detto, all’abbandono definitivo di ogni residua concezione del giudizio di appello come novum iudicium (si rinvia sul punto amplius alla delibera consiliare del 5 luglio 2012).
Riforma parimenti epocale è stata quella introdotta con la legge che ha proceduto alla soppressione del preture, creando così un unico giudice di primo grado.
Anche qui la scelta del legislatore appare censurabile solo perché arrivata troppo tardi: da tempo,
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solo scopo di individuare quale giudice fosse competente a decidere in primo grado quella determinata controversia.
E si può dire che, almeno in parte qua, l’attuale riforma delle circoscrizioni giudiziarie non sia altro che un precipitato, anch’esso giunto troppo tardi, di tale riforma.
Non è chi non veda che le sezioni distaccate non siano altro che un reliquato delle vecchie preture mandamentali, sopravvissute sia all’introduzione delle preture circondariali ad opera della legge n.
30 del 1989, sia alla riforma sul giudice unico di primo grado introdotta dal decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51.
Mi preme rammentare che, col parere reso al Ministro della Giustizia con delibera del 26 luglio 2012, il Csm ha accolto con viva soddisfazione la scelta di procedere alla totale soppressione delle sezioni distaccate
Ed anzi, posto che, come è noto, le sezioni distaccate non sono altro che mere articolazioni interne di un unico ufficio giudiziario e che non involgono né le regole di riparto di competenza per territorio, né un vizio inerente la regolare costituzione del giudice (Cass. 8 novembre 2002 n. 15752;
Cass. 16 giugno 2011 n. 13200), vi sono ampi ambiti per una sostanziale anticipazione degli effetti della riforma della geografia giudiziaria, specie quanto all’accentramento presso la sede centrale dei procedimenti in corso di sopravvenienza presso la sezione distaccata.
A tal fine può essere utile il ricorso al procedimento di cui dall’art. 48 quinquies ord. giud., che consente al presidente del tribunale, previo parere del locale Consiglio dell’ordine e del consiglio giudiziario, di disporre la trattazione presso la sede centrale di gruppi omogenei di procedimenti.
E l’omogeneità predicata da tale disposizione può essere colta non solo dal punto di vista qualitativo, ossia di tipologia di procedimenti, ma anche sotto il profilo temporale, ossia anche considerando la tempistica in cui gli stessi sono pervenuti o sono stati iscritti presso la sede distaccata. Tanto più se associata all’ulteriore requisito attinente alla mancata fissazione dell’udienza.
E’, dunque, a mio sommesso parere (ma, in tal senso, si veda anche la delibera del Csm del 12 dicembre 2012), auspicabile che i Capi degli uffici di primo grado attivino detti procedimenti, onde procedere sin da subito alla centralizzazione delle trattazione delle instaurande controversie.
Così come è indubitabilmente augurabile che vengano presto archiviate proteste di ordine localistico che, però, perdono di vista il superiore interesse generale e che non trovino seguito le
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pressioni, tuttora esistenti, volte ad ottenere un rinvio della data di entrata in vigore della complessiva riforma sulla geografia giudiziaria.
Ancora, nel corso del ventennio appena trascorso il legislatore ha introdotto e, poi, dopo qualche anno abrogato il cd. rito speciale societario.
Esso si è rivelato alla prova dei fatti difficilmente gestibile sia dalle parti, sia dal giudice, specie nelle controversie soggettivamente complesse: il che dimostra, come sia divenuta patrimonio condiviso dell’avvocatura e della magistratura, l’opinione per cui è utile, se non necessario, che il giudice conosca e diriga il dibattito processuale sin dall’inizio della controversia, ponendosi così esso stesso in grado di esercitare i propri poteri decisori, se del caso, sin dalla prima udienza.
Anche in materia di espropriazione forzata, gli interventi legislativi succedutisi negli anni hanno mirato in buona sostanza ad un recupero in termini di efficienza del processo esecutivo.
La ratio sottesa agli stessi si rinviene nella consapevolezza del carattere necessario della giurisdizione esecutiva: l’esecuzione non può essere concepita come mera appendice
“sanzionatoria”, bensì come naturale completamento della funzione dello ius dicere.
In questa prospettiva, l’inefficienza del processo esecutivo si pone come un problema dell’intero sistema giurisdizionale, fattore che come tale aggrava la scarsa competitività del sistema
economico nazionale (risolvendosi anche in maggiori costi per la collettività: si pensi alla tendenza degli istituti di credito di “ricaricare” sui mutui i costi derivanti dalla difficoltà di recupero del credito in via forzata).
La legge n. 302 del 1998 ha istituito il meccanismo della delega delle operazioni di vendita in favore dei notai e che ha consentito di “sgravare” i tribunali delle operazioni materiali di vendita;
con la legge n. 80 del 2005 si è fatto un significativo passo in avanti nei termini di efficienza del processo esecutivo: ad esempio, mediante la generalizzazione dello strumento della delega anche per le operazioni di vendita senza incanto, mentre in passato la delega era ammissibile solo per la vendita con incanto; la previsione all’art. 600-601 c.p.c. e 181 disp. att. c.p.c. della possibilità di un celere giudizio di divisione endo-esecutivo per la liquidazione della quota pignorata; la generalizzazione della figura del custode terzo, l’ampliamento dei sistemi di pubblicità; la generalizzazione della vendita senza incanto quale strumento principale di vendita.
In una prospettiva de iure condendo, potrebbe essere utile la generalizzazione della nomina del custode terzo già nella fase preliminare (al momento la nomina può aver luogo con l’ordinanza di autorizzazione alla vendita, salvo che il bene non sia occupato dal debitore): nella prassi vi è la tendenza ad anticipare la nomina in quanto si favorisce l’accesso da parte dell’esperto stimatore, oltre a consentire al debitore l’interlocuzione con un soggetto qualificato (anche per eventuali transazioni).
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E’ indubitabile che il recente passato si sia altresì caratterizzato da un progressivo svuotamento della giurisdizione ordinaria in favore di quella amministrativa, spesso motivata dall’assunta maggiore efficienza della giustizia amministrativa .
Oggi, la nuova configurazione del giudice amministrativo come giudice del rapporto e non dell’atto, il radicarsi della giurisdizione di legittimità anche in caso di controversie involgenti diritti incomprimibili, così come le nuove potenzialità di tutela introdotte dal codice del processo amministrativo pongono ineludibili questioni.
E’ sufficiente qui accennare che l’introduzione della translatio iudicii, in uno con la novella giurisprudenza del giudice del riparto sull’art. 37 c.p.c., in sostanza recepita dal c.p.a., all’art. 9 secondo comma, ha depotenziato la questione di giurisdizione, degradandola, sia pure con le dovute cautele, sostanzialmente a questione di competenza. Del pari, l’attribuzione alla giudice amministrativo, in coerenza la predetta impostazione teoretica per cui egli è giudice del rapporto, in via esclusiva delle controversie risarcitorie conseguenti ad attività provvedimentale solleva il problema della necessità o meno di un’unica funzione nomofilattica nel cui alveo sussumere, anche per esigenze di parità di trattamento, tutte le controversie risarcitorie, indipendentemente dalla natura fattuale o provvedimentale dell’evento generatore di danno.
Di certo, non è questa la sede per affrontare e risolvere le questioni, tutte sul tappeto, dell’unità della giurisdizione, sia pure con plessi specializzati sottoposti al medesimo organo di governo autonomo, dell’opportunità della separazione fra funzione consultiva e funzione giurisdizionale, ovvero, come anche proposto, dell’eventuale rimodellamento del giudice del riparto, come alta corte di giustizia a composizione mista, competente, altresì, per il gravame degli atti degli organi di autogoverno od in caso di violazione del medesimo codice disciplinare, cui, in futuro,
assoggettare tutti i magistrati della Repubblica.
L’ultimo decennio ha visto anche plurimi interventi riguardanti il mondo delle libere professioni.
Sotto tale profilo, mi preme unicamente evidenziare come la recente riforma dell’ordinamento forense abbia portato la buona novella dell’abrogazione del patto di quota lite. La trasformazione dell’avvocato in parte nuoce al buon funzionamento della giustizia e mina, alle basi, l’autonomia e l’indipendenza del difensore, che, di certo, alla luce del complessivo quadro costituzionale, ha un valore non inferiore a quella del magistrato.
Concludo questa breve, e necessariamente, incompleta panoramica con una constatazione, che ben può far intendere quanto in questi anni sia mutato il ruolo della giurisdizione.
E’ notizia di qualche giorno fa che la Corte di Strasburgo ha respinto il ricorso presentato dal Governo italiano per chiedere il riesame della sentenza della stessa Corte del 28 agosto 2012 sulla L. 40/2004 in materia di procreazione medicalmente assistita.
Oggi, dunque, per effetto delle pronunce della Corte Costituzionale e della Cedu l’impianto originario della legge 40 risulta completamente stravolto: si è così raggiunto per via giudiziaria il
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risultato, a prescindere dal merito della questione su cui ognuno può avere le proprie idee, in passato non colto con la consultazione referendaria, risultata inutile per la mancata formazione del quorum.
Quanto appena tratteggiato testimonia la formidabile vis expansiva della giurisdizione.
L’epoca attuale si caratterizza per essere una nuova età dei diritti, diritti che trovano la loro fonte nella legge ordinaria, nella Costituzione, nella legge europea, nelle convenzioni internazionali: di qui sempre maggiore consapevolezza negli operatori giuridici del vigore del costituzionalismo multilivello, ossia del dovere del giudice nazionale, oltre che di ispirare la propria attività esegetica ai principi ispiratori della Costituzione repubblicana, di trarre linfa nel suo quotidiano ius dicere dall’ordinamento europeo e dai principi della Cedu.
Di fronte a questa rinnovata visione della giurisdizione come servizio, piuttosto che come esercizio del potere statuale, la giustizia civile e del lavoro non potrà, alla prova dei fatti, rendere ottima prova di sé, almeno sino a quando e laddove le risorse umane e materiali impiegate per farle funzionare siano congrue rispetto all’afflusso degli affari.
La crescita esponenziale della domanda di giustizia, dovuta anche alla stessa profonda crisi economica, etica e valoriale, ed alla connessa liquefazione del tessuto sociale, restando invariata la dotazione di risorse materiali, ha determinato una crisi di funzionalità del processo civile, che si è tradotta, nonostante l’obiettivo incremento di produttività dei magistrati, inevitabilmente in un allungamento dei tempi processuali.
Oggi siamo più consapevoli della direzione verso la quale si sta orientando il mondo, ma sapere non basta. Applicando l’antico detto di Luigi Einaudi del “conoscere per deliberare”, chiusa la parte cognitoria, occorre passare a quella deliberativa
Ed in quest’ottica sono fiducioso, anzi sicuro, che l’Anm, così come l’Organo di governo autonomo, saranno, in stretta collaborazione con l’Avvocatura, in grado di assumersi le proprie responsabilità nell’interesse della giustizia e del Paese.