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Sindrome metabolica: criteri diagnostici, patogenesi e aspetti clinico-terapeutici

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Academic year: 2022

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42 M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 2 - marzo 2017

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¼ Introduzione

La prevenzione cardiovascolare rappre- senta oggi una emergenza socio-sanita- ria a livello internazionale sia per i paesi sviluppati sia per i paesi in via di svilup- po, sia per i sistemi sanitari pubblici che quelli privati o su base assicurativa. Ne- gli ultimi anni, le linee guida internaziona- li per la prevenzione della malattia car- diovascolare in generale si sono orienta- te alla valutazione non solo dell’entità del singolo fattore di rischio (valore as- soluto di pressione arteriosa, colestero- lemia, ecc.) ma soprattutto alla valuta- zione del rischio cardiovascolare globale legato alla contemporanea presenza di più fattori di rischio che meglio defini- sce la probabilità che un singolo indivi- duo ha di sviluppare un evento cardio- vascolare maggiore nell’arco, in genere, di 5-10 anni. Mentre da anni esiste una

sostanziale condivisione di quali siano i fattori di rischio che andrebbero valutati nell’intera popolazione per avere inter- venti di prevenzione che siano allo stes- so tempo efficaci e costo-efficaci, solo più recentemente è stata definita l’im- portanza della sindrome metabolica.

La sindrome metabolica è una condizio- ne presente nel 20-25% della popola- zione generale ed è caratterizzata da obesità viscerale, dislipidemia, alterazio- ni del metabolismo glucidico ed iperten- sione arteriosa. Alla base di questa sin- drome si ritrova una resistenza all’azione insulinica, accompagnata da uno stato proinfiammatorio e protrombotico.

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¼ Definizione e classificazione La sindrome metabolica è un insieme di alterazioni con una principale conse- guenza: un marcato aumento delle ma- lattie cardiovascolari. A partire dalla sua descrizione iniziale come “sindrome dell’obesità androide” da parte di Vague nel 1956, la sindrome ha assunto diversi nomi, comprendenti “sindrome dell’i- pertensione dislipidemica” (Williams nel 1988), “sindrome X” (Reaven nel 1988), “sindrome da insulinoresistenza”

(De Fronzo nel 1991), “sindrome disme- tabolica” (OMS nel 1998) e “sindrome

plurimetabolica” (Muggeo, 2001). Risa- le sempre al 2001 la definizione formu- lata dall’Adult Treatment Panel III (ATP III) del National Cholesterol Education Program (NCEP), secondo la quale la diagnosi viene posta quando sono pre- senti 3 o più di 3 dei seguenti fattori di rischio: circonferenza dei fianchi negli uomini >102 cm e nelle donne >88 cm, trigliceridemia >150 mg/dl, HDL-C negli uomini <40 mg/dl e nelle donne <50 mg/dl, pressione arteriosa >130/85 mmHg, glicemia a digiuno > 110 mg/dl.

La principale conseguenza della sindro- me metabolica sono le patologie car- diovascolari aterosclerotiche, e diverse componenti della sindrome rappresen- tano noti fattori di rischio per lo svilup- po di aterosclerosi. Una maggiore co- noscenza della diagnosi di sindrome metabolica porterà presumibilmente in futuro all’identificazione di fattori di ri- schio addizionali e, a sua volta, ad una migliore identificazione dei pazienti ad alto rischio. I fattori di rischio associati alla sindrome metabolica, non compre- si nei criteri del NCEP Adult Treatment Panel III, sono markers dell’infiamma- zione [proteina C-reattiva, fibrinogeno, citochine (IL-6, IL-10, TNF-α), molecole di adesione (ICAM-1, VCAM)], della protrombosi [PAI-1, D-dimero, fibrino-

Nell’identificazione dei soggetti ad alto rischio per sindrome metabolica diverse sono le questioni ancora aperte: l’introduzione di marker clinici di insulinoresistenza, l’integrazione dei risultati dei test da carico glucidico e dei livelli di lipidemia, nonché una migliore definizione del ruolo esercitato da fattori infiammatori, protrombotici e genetici

a cura di Pasquale De Luca1

con la collaborazione di: Antonio De Luca2, Angelo Benvenuto3, Marco Sperandeo4 Gianluigi Vendemiale5, Gaetano Serviddio6, Massimo Errico7

Sindrome metabolica: criteri diagnostici, patogenesi e aspetti clinico-terapeutici

Ospedale “T. Masselli-Mascia” S. Severo ASL FG

1Dirigente Medico S.C. Pronto Soccorso

2Dirigente Medico S.C. Cardiologia-UTIC

3Direttore S.C. Medicina Interna IRCCS “Casa Sollievo della Sofferenza”

San Giovanni Rotondo (FG)

4Dirigente Medico S.C. Medicina Interna Policlinico di Foggia AOU “Ospedali Riuniti”

5Direttore Dipartimento Internistico

6Dirigente Medico S.C. Medicina Interna Ospedale Ente Ecclesiastico “F. Miulli”

Acquaviva delle Fonti (BA)

7Direttore S.C. Medicina Interna

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M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 2 - marzo 2017 43 peptide A] e dello stress ossidativo

[LDL-C ossidate, perossidi lipidici].

I più recenti criteri per la diagnosi di sin- drome metabolica sono stati proposti dall’International Diabetes Federation (IDF) nel 2009 e richiedono la presenza di obesità addominale che viene definita con diversi cut-off di circonferenza ad- dominale a seconda dell’etnia di appar- tenenza (per gli europei: >94 cm nei maschi e >80 cm nelle femmine) e la presenza di almeno due tra i seguenti criteri: trigliceridi >150 mg/dl, colestero- lemia HDL <40 mg/dl nei maschi e <50 mg/dl nelle femmine o terapia ipolipe- mizzante, pressione arteriosa >130/85 mmHg o terapia antiipertensiva, glice- mia a digiuno >100 mg/dl o pregressa diagnosi di diabete mellito tipo 2.

La circonferenza addominale, criterio chiave in entrambe le definizioni, è pre- dittiva di rischio cardiovascolare: ogni 5 cm di incremento si associa, infatti, a un aumento dell’11.9% del rischio di de- cesso per malattia cardiovascolare.

In conclusione, l’identificazione dei soggetti con sindrome metabolica tro- va la sua utilità clinica nella necessità, in un paziente con un fattore di rischio cardiovascolare, di ricercarne altri. Si tratta quindi di uno strumento utile e facilmente applicabile nella pratica cli- nica per identificare precocemente i pazienti a rischio al fine di impostare un appropriato monitoraggio e ade- guate strategie terapeutiche.

¼

¼ Fisiopatologia clinica

La patogenesi della sindrome metaboli- ca è multifattoriale, comprendendo cau- se sia genetiche sia ambientali. La diffi- coltà nel definire i meccanismi patoge- netici è giustificata dalla eterogeneità dei fenotipi, determinati dalla diversa combi- nazione dei fattori indicati come diagno- stici nelle differenti definizioni riportate in letteratura. Tuttavia, l’insulinoresistenza viene vista come il possibile meccani- smo patogenetico comune alla base

della sindrome metabolica. Il termine di insulinoresistenza descrive uno stato di disregolazione dell’omeostasi glucosio- insulina caratterizzata da una ridotta ca- pacità dell’insulina nello stimolare le sue azioni a livello epatico, muscolare e del tessuto adiposo. Quest’ultimo aspetto è interessante alla luce dell’associazione fra obesità e insulinoresistenza, anche se non è ben chiarita quale sia la relazio- ne causa-effetto tra tali condizioni.

Il ruolo, evidenziato negli ultimi anni, del tessuto adiposo come organo con funzioni immuno-metaboliche-endo- crine potrebbe spiegare un’azione di- retta dell’obesità nel determinare la sindrome metabolica. È stato eviden- ziato che il tessuto adiposo viscerale è in grado di interferire con l’attività del sistema renina-angiotensina-aldoste- rone, di produrre adipochine (tra cui leptina, resistina, visfatina), di produr- re molecole protrombotiche come il PAI-1 e di secernere citochine proinfiam- matorie come il TNF-alfa, IL-1 e IL-6.

Altri studi evidenziano invece il ruolo della disfunzione endoteliale, ma anche in questo caso non è ben chiaro se essa sia il meccanismo che dà inizio alla sin- drome o se sia essa stessa conseguen- za di uno dei diversi fattori della sindro- me metabolica, in particolare della iper- tensione arteriosa. L’insulinoresistenza si esplica infatti anche a livello della cel- lula endoteliale: in condizioni fisiologiche l’insulina induce la produzione dell’enzi- ma ossido nitrico sintetasi da parte della cellula endoteliale; in caso di insulinore- sistenza si ha una riduzione della produ- zione di questo enzima con conseguen- te riduzione della produzione di ossido nitrico, importante molecola con azione protettiva (poiché regola le resistenze vascolari determinando vasodilatazione arteriosa e venosa), antiaterogena e an- titrombotica nei confronti dell’endotelio vascolare (inoltre si verifica un aumento di produzione di endotelina, ad opera delle cellule endoteliali danneggiate, che ha un alto potere vasocostrittore).

Secondo altre ipotesi patogenetiche, la sindrome metabolica sarebbe conse- guenza di una alterata funzione neuro- endocrina caratterizzata da una iperatti- vazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-sur- rene con conseguente ipercortisolemia:

tale alterazione porterebbe all’aumento del tessuto adiposo viscerale ed alla mobilizzazione di acidi grassi liberi me- diante l’attivazione della lipoprotein-lipa- si. Altri studi avanzano l’ipotesi di una alterazione del metabolismo periferico del cortisolo con alterazione dei sistemi enzimatici dell’11-b-idrossisteroidodei- drogenasi di tipo 1 e della 5-alfa-redut- tasi con conseguente aumento della quantità biologicamente attiva del corti- solo a livello del tessuto adiposo.

Prendiamo in considerazione in ma- niera individuale ciascuna componen- te della sindrome metabolica, pur rico- noscendo il fatto che tra i criteri esiste una sovrapposizione.

Obesità

L’obesità è un importante fattore di ri- schio per il diabete di tipo 2 e le patolo- gie cardiovascolari. Il tessuto adiposo viscerale è stato proposto come la principale sede di deposizione lipidica associata alle conseguenze metaboli- che dell’obesità. Si ritiene che l’adiposi- tà viscerale, o centrale, rappresenti l’e- vento iniziale che conduce allo sviluppo di insulinoresistenza, attraverso un au- mento del flusso di acidi grassi liberi nel circolo portale e nel circolo sistemi- co. Il tessuto adiposo viscerale può anche contribuire allo sviluppo di altre cause di aumento del rischio ateroscle- rotico, comprendenti fattori infiamma- tori, protrombotici e fibrinolitici.

Alterazioni del metabolismo lipidico Le caratteristiche alterazioni del meta- bolismo lipidico descritte nella sindro- me metabolica sono l’ipertrigliceride- mia, la presenza di bassi livelli di HDL- C (responsabili della rimozione di cole- sterolo dalla parete vasale) e di livelli

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44 M.D. Medicinae Doctor - Anno XXIV numero 2 - marzo 2017 elevati (o spesso normali) di LDL-C

(che favoriscono l’accumulo di coleste- rolo nella parete vasale), anche se in questi pazienti le particelle di LDL-C sono tipicamente di dimensioni più piccole e più dense del solito. La disli- pidemia della sindrome metabolica può essere causalmente correlata allo stato di insulinoresistenza e ad un au- mento del flusso di acidi grassi liberi, che facilita la produzione a livello epa- tico di colesterolo legato alle VLDL.

Ipertensione arteriosa

L’ipertensione è un’importante caratte- ristica della sindrome metabolica. Un aumento del peso in età giovanile o du- rante la mezza età risulta positivamente correlato ai livelli di pressione arteriosa;

inoltre, nei pazienti ipertesi ed in soprap- peso il calo ponderale può efficacemen- te ridurre la pressione arteriosa. Questo scenario dimostra ancora una volta l’esi- stenza di una sovrapposizione tra le componenti individuali della sindrome metabolica. Inoltre, la concentrazione plasmatica di insulina risulta fortemente correlata alla pressione arteriosa; i figli normotesi di genitori ipertesi sono più insulinoresistenti rispetto ai figli di geni- tori normotesi. Il meccanismo alla base dell’associazione tra insulinoresistenza e ipertensione non è chiaro. Quando viene somministrata mediante infusio- ne di breve durata, l’insulina agisce co- me un vasodilatatore diretto, ma deter- mina anche un aumento del tono simpa- tico e del riassorbimento renale di sodio.

Questi ultimi due meccanismi potreb- bero contrastare l’effetto di vasodilata- zione, e determinare, in una condizione di insulinoresistenza, un’elevazione della pressione arteriosa. È stata dimostrata infine l’importanza critica del controllo pressorio nella riduzione del rischio car- diovascolare in pazienti diabetici.

Livelli elevati di glicemia a digiuno La presenza di livelli elevati di glicemia a digiuno rappresenta un’importante ca-

ratteristica della sindrome metabolica.

L’insulinoresistenza è associata ad un aumento del rischio di diabete di tipo 2, ed un franco diabete si sviluppa in molti soggetti affetti da sindrome metaboli- ca. Non esistono dubbi sul fatto che al- terazioni della glicemia a digiuno ed alte- razioni della tolleranza glucidica rappre- sentino degli stadi intermedi nella pro- gressione da sindrome metabolica a diabete di tipo 2. Un’alterata tolleranza glucidica è stata associata allo sviluppo di coronaropatie aterosclerotiche e di ictus anche prima della sua progressio- ne in un franco diabete.

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¼ Approccio terapeutico

La diagnosi precoce e l’impostazione di una terapia appropriata sono da consi- derare di estrema importanza per pre- venire gli eventi cardiovascolari dipen- denti dalla sindrome metabolica. Pur- troppo nella lunga storia naturale della malattia cardiovascolare esiste un aspetto di intervento preventivo che ri- guarda settori non determinati dalla at- tività medica come, ad esempio, l’indu- stria alimentare e che precede i proces- si di identificazione precoce e di appro- priata terapia. Di fatto, il punto di parten- za fondamentale è la modificazione dello stile di vita e delle abitudini alimen- tari. Tutte le componenti della sindrome metabolica traggono beneficio dal calo ponderale, anche se modesto ma man- tenuto nel tempo, ottenuto tramite re- strizione calorica ed attività fisica e/o terapia farmacologica. È quindi impor- tante educare il paziente a modificare lo stile di vita alimentare in termini sia quantitativi sia qualitativi e a svolgere una regolare attività fisica di tipo aerobi- co e della durata di almeno trenta minu- ti giornalieri. In alcuni pazienti, sempre al fine di ottenere una riduzione del pe- so corporeo, si può utilizzare una tera- pia farmacologica con inibitori della lipa- si intestinale (orlistat). Se il cambiamen- to dello stile di vita è il primo approccio

terapeutico, una terapia farmacologica per il trattamento dei singoli compo- nenti della sindrome metabolica può essere necessaria in molti pazienti per cercare di ridurre il rischio cardiovasco- lare. Le classi di farmaci da considerare sono ovviamente gli antiipertensivi (ACE-inibitori, sartani), gli ipolipemiz- zanti (statine, fibrati, acido nicotinico) e gli ipoglicemizzanti (metformina, increti- no-mimetici, glinidi, glitazoni).

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¼ Conclusioni

In conclusione, la sindrome metabolica rappresenta un insieme di fattori di ri- schio cardiovascolare, legati tra loro at- traverso l’associazione con l’insulinore- sistenza. Dal momento che l’insulinore- sistenza rappresenta un fattore di ri- schio indipendente per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, la sua pre- senza può condurre a complicanze macrovascolari anche molto tempo pri- ma che altre caratteristiche della sin- drome metabolica diventino evidenti.

Le sfide che rimangono, nell’identifica- zione dei soggetti ad alto rischio, com- prendono l’introduzione di marker clinici di insulinoresistenza, l’integrazione dei risultati dei test da carico glucidico e dei livelli di lipidemia, nonché una migliore definizione del ruolo esercitato da fattori infiammatori, protrombotici e genetici.

De Luca P “Medicina Clinica. Manuale pratico di Diagnostica e Terapia”. Enea Edizioni 2016.

Grundy SM et Al. “Diagnosis and management of the metabolic syndrome. An American Heart Association National Heart, Lung, and Blood Institute Scientific Statement”. Circulation 2005.

International Diabetes Federation “The IDF Consensus Worldwide definition of Metabolic Syndrome” 2009.

Kasper et Al. “Harrison - Principi di Medicina Interna”. Casa Editrice Ambrosiana 2017.

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Papadakis MA et Al. “Current Medical Diagnosis and Treatment”. Piccin 2015.

Rugarli C et Al “Medicina Interna Sistematica”.

Edra Masson 2015.

Bibliografia Bibliografia

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