L EZIONE 7 LO SWAP
1) Esigenze sottese alle operazioni di copertura del rischio di cambio; le
“currency options”.
Quando l’esecuzione di un contratto non è contestuale alla stipulazione ma successiva, le parti sono soggette al rischio del modificarsi di alcune delle condizioni di mercato che le avevano indotte a concludere il contratto stesso. Il diritto civile consente di dominare tale rischio con diversi rimedi (tra i quali, ad es., la risoluzione per eccessiva onerosità).
Nel settore dello scambio internazionale e in quello speculativo finanziario si sono sviluppati modelli contrattuali e strumenti finanziari
1diretti a controllare i rischi di cambio e i rischi da variazione dei tassi d’interesse, dando luogo, in questo caso, a degli interest rate options, negoziabili sull'I DEM presso Borsa Italiana. Si tratti di strumenti finanziari relativi a rapporti obbligatori per i quali le fluttuazioni nel tempo del rapporto di cambio tra le diverse valute o dei tassi d’interesse attinenti ai vari impieghi finanziari può comportare danni (o comunque diseconomie
2) per gli operatori economici
3.
1
Come le options e i “certificates”, di cui non parla più oggi né l’art. 61nè il successivo art. 62 – ma solo l’art. 1, comma I, lett. g), definendoli esclusivamente come differenti dai “Covered Warrants” – Reg. Emittenti, 1, comma II, lett. d)-g) e j), nonché – ad es., all’art. 114-bis, comma I, lett. f) – T
UF.
Un certificate caratteristico dell’attuale sensibilità per le questioni ambientali è costituito da quello che rappresenta i diritti all'emissione di CO
2, impiegati per creare un
“mercato” relativo ai diritti di emissione, ai sensi dell’art. 66-bis T
UF(cfr. lezione 14, nota 1).
2
In una situazione di cambi stabili non sussisterebbero svantaggi, allo stesso modo,
finché i rapporti di cambio presentano tendenzialmente orientati verso il graduale
rafforzamento di alcune valute sulle altre i vantaggi (e gli svantaggi) derivanti
dall’andamento del corso dei cambi sono prevedibili dagli operatori. Diversamente, lì
dove le fluttuazioni dei rapporti di cambio siano imprevedibili (sia nella misura che
nella direzione) dagli operatori, s’introduce nelle transazioni internazionali una
variabile ulteriore, foriera di rischi consistenti.
Le variazioni nel corso dei cambi che si verificano durante il rapporto obbligatorio avente ad oggetto una somma in valuta estera, possono incidere sulla posizione di entrambe le parti del rapporto medesimo. Infatti, l’apprezzamento (o il corrispondente deprezzamento) della valuta estera rispetto a quella nazionale
4produce un vantaggio per una delle parti del rapporto, e un corrispondente svantaggio per l’altra in funzione della variazione dell’entità economica del credito valutata in Euro
5.
Dunque, dal complesso delle fluttuazioni del rapporto di cambio, ai vantaggi conseguiti da alcuni operatori (esportatori o importatori) si accompagnano svantaggi in misura pressoché identica patiti da altri operatori.
3
Ad es., l’imprenditore che vende le proprie merci all’estero (l’esportatore) fissando il prezzo dell’esportazione in valuta estera, si espone – oltre ai rischi propri di qualsiasi operazione economica – anche ai rischi connessi alle fluttuazioni del rapporto di cambio tra valuta estera e valuta nazionale, cioè del valore della valuta estera rispetto a quella nazionale. Gli stessi rischi incombono – e in eguale misura – sull’importatore quando il corrispettivo che questi è obbligato a pagare per l’importazione venga definito in valuta estera.
È opportuno rilevare che – allo stesso modo delle equity options (v. anche lezione 3) degli equity swaps (lezione 8) – sussistono anche opzioni su azioni, differenti dai warrants (lezione 3) così come sono noti anche altri strumenti finanziari che (in qualche altro modo) "fanno derivare" il proprio valore e la propria "posizione di mercato" da altri (ad es., E
TFed E
TC) senza essere per questo considerati come derivati. A dimostrazione di quanto qui si sostiene si invoca la considerazione del mercato dove sono negoziati e del genere d'intermediari che provvede alla loro trattazione (cfr. lezione 15), che certamente non corrispondono alla totalità dei soggetti abilitati a prestare servizi d'investimento (tra i quali, ad es., sono da annoverare anche le S
GMe le S
ICAV).
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Come pure le variazioni nel tasso d'interesse, se lo stesso viene definito nel contratto come variabile in funzione della modifica di un tasso ufficiale, come il Libor (per i Paesi dove la valuta di riferimento é la lira sterlina inglese) o l'Euribor per i Paesi dove la valuta di riferimento é invece l'Euro; la c.d, "area Euro")
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È evidente come la rilevanza di questo strumento finanziario aumenta laddove si
consideri i rapporti tra soggetti operanti nei vari Paesi appartenenti all'area Euro e quelli
extracomunitari, tra i quali spiccano per rilievo economico la Gran Bretagna e gli Stati
Uniti da un lato, il Giappone e tutti i Paesi dell'Estremo Oriente dall'altro. Rispetto a
ciascuna di queste aree si pone la questione del rischio cambi ma anche quella del
rischio tassi, come pure quelle connesse al diverso andamento dei mercati finanziari
(soprattutto azionari; v. lezione 7).
Diventa chiara, a questo punto la funzione delle operazioni contrattuali dirette a consentire di controllare il rischio di cambio, specie per le imprese la cui attività si realizza prevalentemente attraverso rapporti contrattuali di importazione o esportazione.
Tra le operazioni contrattuali utili a controllare il rischio di cambio vanno annoverate le cc. dd. “opzioni di cambio” (currency option) con cui un istituto di credito conferisce ad un operatore economico il diritto di acquistare o vendere un ammontare definito di valuta estera ad un prezzo e ad una scadenza prestabiliti.
Diversamente dalla compravendita a termine, il titolare dell’opzione non ha l’obbligo di acquistare (o di vendere) alle condizioni stabilite in contratto, ma la semplice facoltà (che gli permette, allora di scegliere avendo presente l’evoluzione più o meno favorevole del corso dei cambi).
Tali opzioni sono contratti negoziati liberamente (e quindi quotati) sul mercato;
I) si definiscono call, se conferiscono il diritto di acquistare (un dato ammontare di valuta ad un prezzo e un termine predefiniti); in tal caso sarà interessato ad acquistare la currency option un importatore, in funzione del rischio che alla scadenza il valore in Euro del corrispettivo pattuito possa essere superiore al prezzo indicato per il call;
II) sono put se danno il diritto di vendere valuta (sempre a condizioni predeterminate). Sarà interessato ad acquisire un’opzione del genere l’esportatore, per l’ipotesi che alla scadenza il valore in Euro del corrispettivo pattuito (in ragione del deprezzamento della valuta straniera in cui è calcolato) possa essere inferiore al prezzo fissato nel contratto di opzione di cambio.
È evidente che la convenienza complessiva dell’affare (e dunque della decisione di utilizzare o meno il diritto di opzione) dev’essere valutata tenendo conto del corrispettivo (premio) pattuito con l’istituto di credito per acquisire il diritto di opzione.
2) Le equity Options
Si parla di questo genere di strumenti finanziari a proposito di due differenti categorie, da un lato le opzioni su indici di borsa e d'altro canto le opzioni su singole azioni appartenenti ad uno di quegli indici.
Qui s'intende trattare esclusivamente di questa seconda tipologia, anche se pure l'altra risulta presente tra gli strumenti finanziari trattati presso Borsa Italiana (in particolare sull'I DEM ). Anche a questo proposito sono presenti soprattutto opzioni call, ma non si può escludere radicalmente che anche in tal caso – cioè come si è effettivamente verificata a proposito dei Covered Warrants – possano sussistere anche opzioni di tipo put che, peraltro, trovano applicazione comune in alcune obbligazioni bancarie strutturate del genere "reverse convertible" o " reverse floater" (v. lezione 9).
Non è da escludere neppure che possano sussistere contratti differenziali relativi all'andamento di vari titoli azionari, in modo da controllare il rischio di una forte variabilità nei corsi azionari di ciascun titolo.
3) Differenza tra opzioni, swap ed altri strumenti finanziari con sottostante identico.
La distanza fra strumenti finanziari in apparenza abbastanza simili almeno per quanto concerne il sottostante, cioè interest rate options, interest rate swap o altri derivati di credito, oppure C DS ed equity swap (vale a dire le modalità in cui il C FD
6si è più di frequente manifestato nel nostro ordinamento e sui mercati in Italia) sono tutti strumenti finanziari e
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Cioè Contracts for difference, ossia contratti differenziali.
comunque modelli contrattuali. Essi si caratterizzano da un lato per la funzione di controllare il rischio di variazioni avverse nel valore del sottostante sui mercati in cui è scambiato, dall'altro si distinguono non solo per l'oggetto – che varia in ragione del differente sottostante per ciascuno di loro – ma anche per gli effetti che producono per i contraenti, a seconda che si tratti della banca (ovvero di un altro intermediario finanziario) e del suo cliente.
Un altro aspetto non secondario, rilevante per tutta questa ampia tipologia di derivati di credito e di cambio, attiene alle modalità di trattazione nonché alla varietà dei mercati regolamentati e non, dove questi derivati sono scambiati, ovvero alla circostanza che la loro liquidazione sia rimessa principalmente all'attività dell'intermediario finanziario che provvede alla negoziazione.
Da questo punto di osservazione, non sembra che possa essere giudicata affatto marginale la circostanza che siano ammessi alla negoziazione dello strumento finanziario solo clienti professionali oppure anche clienti al dettaglio e controparti qualificate.
1) Definizione di swap.
Con il contratto di swap le parti si obbligano a corrispondere l’una all’altra, al verificarsi nel termine stabilito di una variazione nel corso dei cambi
7rispetto a quanto pattuito in contratto, a corrispondere una somma in valuta nazionale pari alla differenza tra il valore in Euro di una somma originariamente calcolata in valuta estera secondo il rapporto di cambio fissato in contratto e il valore in Euro della stessa somma in base al rapporto di cambio di mercato (ovvero la differenza tra la somma maggiorata degl’interessi calcolati al tasso fissato in contratto e quella
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Ovvero del tasso d’interesse o nel rapporto tra il prezzo di due titoli azionari sul
mercato secondario in cui sono scambiati.
maggiorata degl’interessi calcolati al tasso corrente di mercato). Anche in questo caso si tratta di un contratto differenziale (o C FD ) che esprime la funzione socio-economica di controllare il rischio di variazioni avverse nel corso dei tassi d'interesse, oppure nel corso dei cambi tra le valute, ma anche nei prezzi di strumenti finanziari trattati su mercati finanziari regolamentati e di grande diffusione. Ciascuna parte, quindi, assume l'obbligo contrattuale d'indennizzare la controparte rispetto al rischio di variazioni avverse tramite la corresponsione di una somma monetaria corrispondente alla diminuzione di valore sopportata.
È evidente che la funzione dello swap risulta abbastanza vicina a quella di altri modelli contrattuali, come ad es., l'assicurazione del credito, da cui si distingue esclusivamente per:
1. la tecnica di copertura del rischio che nello swap è finanziaria, quindi sostanzialmente differente da quella assicurativa che prevede l'interposizione di una compagnia di assicurazione tra creditore e debitore dietro versamento di un premio, calcolato sulla base della tecnica attuariale);
2. il genere di soggetti abilitati a prestare la copertura, anche in funzione della presenza di diverse autorità di vigilanza, Banca d'Italia e C ONSOB in un caso, I SVAP e Ministero delle attività produttive nell'altro.
3) Tipologia.
A) Domestic currency swap: diffusisi in epoca relativamente recente,
i domestic currency swaps costituiscono una nuova forma di
controllo del rischio di cambio. La denominazione swap indica che
il contenuto dell’operazione è appunto lo scambio (ovvero il
baratto) tra due soggetti, degli eventuali vantaggi (e corrispondenti
svantaggi) connessi alle oscillazioni dei rapporti di cambio della
valuta straniera (rispetto a quella nazionale) che costituisce l’oggetto alternativamente del credito e del debito vantato da ciascuno di essi. Il meccanismo negoziale è piuttosto semplice: si tratta in sostanza dell’accordo con il quale ciascuna parte si obbliga a trasferire all’altra gli eventuali vantaggi derivanti da variazioni del cambio rispetto a quello pattuito al momento del contratto.
L’accordo intercorre tra due parti qualificabili entrambe come residenti ai fini del diritto valutario italiano, le quali (per la diversa posizione rispettivamente assunta in contratti d’importazione e d’importazione) sono rispettivamente debitore e creditore (ciascuna nei confronti del proprio partner straniero “non residente”) di una somma di denaro espressa nella medesima valuta estera (e quindi esposte nella stessa maniera – sia pure in direzione opposta – al rischio di impreviste variazioni del corso dei cambi). Le parti, dunque, pattuiscono in primo luogo il rapporto di cambio
“contrattuale” (cioè il prezzo al quale sono rispettivamente disposte
ad acquistare e a vendere la valuta straniera): se alla data fissata in
contratto il rapporto di cambio sarà differente da quello stabilito, la
parte che gode del vantaggio derivante dalla modifica ha l’obbligo
di ritrasferire all’altra tale vantaggio (con un effetto non solo di
compensazione – a-tecnica, s’intende – ma anche di fissare
definitivamente per entrambe le parti il rapporto di cambio relativo
alla valuta oggetto delle rispettive transazioni). In tal modo tanto
l’importatore quanto l’esportatore, attraverso il contratto di swap si
sottraggono al rischio di variazioni impreviste del rapporto di
cambio (che modifichino in termini sostanziale il valore – espresso
in Euro – dei loro diritti e/o obblighi derivanti da scambi
internazionali) fissando proprio sotto l’aspetto del cambio i termini
della convenienza economica dell’affare. Dunque, in quanto parti di
un contratto di swap, tanto l’importatore che l’esportatore, che risultino danneggiati da improvvise variazioni del cambio tra valuta nazionale ed estera, possono ottenere dall’altro partner contrattuale una somma di ammontare pari al danno rischiato (e, corrispondentemente, al vantaggio sperato). Dunque si realizza uno scambio (quella che abbiamo definito come compensazione in senso a-tecnico) tra i rispettivi opposti e speculari rischi (i vantaggi e i corrispondenti svantaggi derivanti da variazioni improvvise del corso dei cambi), che risultano così neutralizzati, “coperti”:
ciascuna delle parti del contratto di swap potrà fare affidamento su quello fissato in contratto come rapporto di cambio al quale acquisteranno in valuta nazionale la valuta straniera occorrente per pagare il proprio debito derivante da rapporti di scambio internazionale, ovvero al quale potranno convertire in valuta nazionale (e dunque vendere) la valuta straniera ricevuta quale corrispettivo da un contraente straniero.
B) Interest rate swap: in tal caso l’operazione di swap concerne non la variazione del cambio, ma la fluttuazione dei tassi d’interesse e i rischi a essa connessi (peraltro, è possibile una categoria intermedia, allorché l’operazione di swap investe non solo la variazione del cambio tra le due valute considerate, ma anche la variazione del tasso d’interesse relativo alle valute considerate).
Sia l’I RS che il D CS costituiscono dei “plain vanilla” swaps, dal momento che esprimono un minore livello di complessità e problemi di regolazione sia rispetto ai C DS che agli equity swaps (v. lezione 8).
4) Elementi ricorrenti nei contratti standard di swap.
I) Le parti del contratto: nella stragrande maggioranza dei casi, parti del contratti di swap non sono due operatori economici (ad es. un importatore e un esportatore), bensì uno di questi e un intermediario finanziario. L’elemento comune alle tre categorie di swap è la presenza di un intermediario finanziario (di solito un istituto bancario) che rappresenta, nella maggior parte dei casi, il tramite per lo svolgimento dell’intera operazione : infatti i soggetti interessati (importatori o esportatori) difficilmente potrebbero trovare autonomamente sul mercato una controparte con la quale scambiare il medesimo rischio a cui sono soggetti (destinato così a diventare l’oggetto dell’intera operazione). Invece, l’intermediario finanziario può, proprio in virtù della propria attività professionale e della conseguente posizione rispetto al mercato, rinvenire più agevolmente sul mercato dell’interscambio internazionale operatori che presentino esigenze uguali (ed opposte) di copertura del rischio cambi ; concludendo un cospicuo numero di contratti di swap relativi a rischi omogenei, l’intermediario può essere in grado di bilanciare il singolo rischio assunto rispetto ad un importatore con quello omologo assunto rispetto ad un esportatore (e viceversa). Per l’intermediario finanziario il bilanciamento dei rischi si realizza, se non a livello “macro-economico”, almeno a livello di “massa”, attraverso cioè il bilanciamento del rischio derivante dal singolo contratto di swap stipulato con l’insieme delle attività dell’intermediario (anche consistenti in operazioni diverse dallo swap) che mettono in condizione l’istituto di far fronte agl’impegni derivanti dalle varie operazioni di swap.
II) Gli strumenti per il controllo del rischio risultano modificati
proprio in funzione dell’inserimento di un intermediario finanziario
come parte del contratto: più che uno scambio tra rischi corsi obiettivamente da entrambe le parti (sicché l’eventuale vantaggio dell’uno copre il rischio di un pregiudizio economico corso dall’altro), il contratto di swap concluso dall’operatore economico internazionale con un intermediario finanziario produce la neutralizzazione del rischio in funzione dell’inserimento (realizzato dall’intermediario) in una massa di attività finanziarie (non necessariamente omogenee). Dunque, si realizza una tecnica di controllo di massa del rischio che non viene neutralizzato con la conclusione di uno swap di segno opposto, bensì con la massa dei contraenti (tra i quali l’accorto intermediario può – e deve – ripartire i rischi in previsione della loro complessiva neutralizzazione).
III) Nel domestic currency swap – o D CS – l’oggetto dell’accordo (e quindi l’oggetto dello scambio viene fissati dalle parti per relationem, cioè riferendosi ai seguenti elementi:
a) l’importo convenzionale, cioè una determinata somma in valuta estera;
b) la data iniziale dell’operazione (solitamente coincidente con la data di stipulazione del contratto);
c) la data finale (cioè la data che si prende in considerazione per valutare la modifica rapporto cambio tra la valuta estera e quella nazionale);
d) dati questi elementi, nel domestic currency swap l’oggetto
dello scambio risulta costituito, da un lato,
dall’obbligazione, assunta da un intermediario finanziario,
di corrispondere all’altra parte l’eventuale differenza
positiva tra l’equivalente in Euro dell’importo
convenzionale calcolato secondo il cambio corrente alla data iniziale di scadenza e l’equivalente in Euro dello stesso importo convenzionale al corso del cambio della data di scadenza ; d’altro canto, sussiste la speculare obbligazione, assunta dall’altra parte, di corrisponde3re all’intermediario l’eventuale differenza positiva tra il valore in Euro dell’importo convenzionale alla data di scadenza dell’operazione e il valore in valuta nazionale dello stesso importo convenzionale secondo il cambio corrente alla data di conclusione del contratto.
e) a favore della banca (o comunque dell’intermediario finanziario che entra nell’operazione), viene anche pattuito un corrispettivo in misura fissa (la c.d. commissione) che dev’essere corrisposto dall’operatore economico (importatore o esportatore che sia) indipendentemente dalla misura e dalla direzione dell’obbligo di compensazione;
dove questo incombe sulla banca, la compensazione verrà ridotta dell’importo del premio, mentre se esso ricade sull’operatore economico, la compensazione sarà maggiorata dal premio.
IV) Nell’interest rate swap (o I RS ma anche nella forma intermedia di
swap che unisce i caratteri del domestic currency swap a quelli
dell’interest rate swap) le parti si accordano per scambiare le
eventuali sopravvenute differenze sia sull’importo convenzionale
che sull’importo in valuta nazionale alla data di scadenza; qui
(oltre a sussistere gli elementi già visti, cioè data iniziale, data
finale, importo convenzionale e premio) rileva la somma algebrica
(e quindi la differenza) tra gli interessi dovuti sul valore in Euro
dell’importo convenzionale alla data iniziale, calcolati in base al tasso d’interesse “usualmente” praticato nel Paese straniero la cui moneta costituisce l’unità di misura dell’obbligazione di valuta in discorso, mentre sull’altro versante si considerano gl’interessi calcolati sul valore in valuta nazionale dell’importo convenzionale (al cambio corrente alla scadenza dell’operazione) al tasso usualmente praticato nell’ordinamento nazionale
8. Lo scambio delle differenza nei tassi d’interesse praticati nei rispettivi Paesi si può aggiungere, quindi, allo scambio delle differenze del corso dei cambi nel tempo; con questo complesso strumento contrattuale, dunque, si riproduce artificialmente il gioco dei diversi rischi gravanti sulle parti nei contratti di acquisto di valuta a termine, senza che venga posto in essere alcuno scambio di valuta: piuttosto che acquistare a termine valuta estera e prendere in prestito una somma in valuta nazionale necessaria per pagare alla scadenza tale acquisto al cambio corrente e (dall’altro versante del rapporto) invece di prendere in prestito valuta estera per rivenderla al valore di cambio nel termine stabilito, le parti si accordano per attribuirsi scambievolmente i vantaggi (che ciascuna avrebbe conseguito se avesse effettivamente realizzato tali acquisti e vendite a termine)
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