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Discrimen » Rischio da incertezza scientifica e modelli di tutela penale

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Academic year: 2022

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E. Dolcini - G. Fiandaca - E. Musco - T. Padovani - F. Palazzo - F. Sgubbi

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minimo, affermazione simbolica di valori ed efficienza utilitaristica, garantismo individuale e funzionalizzazione politico-criminale nella lotta alle forme di criminalità sistemica, personalismo ed esigenze collettive, sono soltanto alcune delle grandi alternative che l’attuale diritto penale della transizione si trova, oggi più di ieri, a dover affrontare e bilanciare.

Senza contare il riproporsi delle tematiche fondamentali rela- tive ai presupposti soggettivi della responsabilità penale, di cui appare necessario un ripensamento in una prospettiva integrata tra dogmatica e scienze empirico-sociali.

Gli itinerari della prassi divergono peraltro sempre più da quelli della dogmatica, prospettando un diritto penale “reale” che non è più neppure pallida eco del diritto penale iscritto nei principi e nella legge. Anche su questa frattura occorre interrogarsi, per analizzarne le cause e prospettarne i rimedi.

La collana intende raccogliere studi che, nella consapevo-

lezza di questa necessaria ricerca di nuove identità del diritto

penale, si propongano percorsi realistici di analisi, aperti anche

ad approcci interdisciplinari. In questo unitario intendimento di

fondo, la sezione Monografie accoglie quei contributi che guar-

dano alla trama degli itinerari del diritto penale con un più largo

giro d’orizzonte e dunque – forse – con una maggiore distanza

prospettica verso il passato e verso il futuro, mentre la sezione

Saggi accoglie lavori che si concentrano, con dimensioni neces-

sariamente contenute, su momenti attuali o incroci particolari

degli itinerari penalistici, per cogliere le loro più significative

spezzature, curvature e angolazioni, nelle quali trova espressione

il ricorrente trascorrere del “penale”.

(4)

RISchIO dA INceRtezzA ScIeNtIfIcA e MOdeLLI

dI tuteLA peNALe

IL tuSL cOMe LAbORAtORIO dI SOLuzIONI AL pRObLeMA deLL’eSpOSIzIONe

pROfeSSIONALe Ad AgeNtI pAtOgeNI

g. gIAppIcheLLI edItORe – tORINO

(5)

ISbN/eAN 978-88-348-5977-3

I volumi pubblicati nella presente Collana sono stati oggetto di procedura di doppio referaggio cieco (double blind peer review), secondo un procedimento standard concordato dai Direttori della collana con l’Editore, che ne conserva la relativa documentazione.

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(6)

Alla Prof.ssa Anna Maria Maugeri che con scienza e pazienza mi sostiene

(7)
(8)

INDICE-SOMMARIO

pag.

INTRODUZIONE XI

CAPITOLO I

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE NELLA LOGICA DEL RISCHIO DA SCIENZA INCERTA

Sezione I

LA PROBLEMATICA DEFINIZIONE DELLE REGOLE DI CONDOTTA NELLA PROSPETTIVA PRECAUZIONALE

1. Il mutamento del paradigma logico-epistemologico 1 2. Segue: e la sua incidenza sulle regole cautelari in generale e

nella materia della salute e della sicurezza del lavoro 10 3. L’esposizione professionale ad agenti patogeni come laborato-

rio di modelli di tutela penale dal rischio scientifico-tecno-

logico 13 4. Il passaggio dalla logica cautelare alla logica precauzionale

nella prospettiva della scienza incerta 19 5. La valenza penalistica del principio di precauzione tra logica

precettiva e metodologica 21

6. Il ruolo del principio di precauzione sul versante della tipicità

colposa 27

Sezione II

IL CASO DELLA RESPONSABILITÀ PENALE PER ESPOSIZIONE PRO- FESSIONALE AD AMIANTO

7. Lo sviluppo del sapere scientifico in tema di amianto e l’evo-

luzione della relativa normativa 30

(9)

pag.

8. Breve excursus sul problematico accertamento del nesso di cau-

salità 33 9. Tipicità colposa e giudizio di prevedibilità: la posizione della

giurisprudenza 38

10. Segue: la dottrina fedele al paradigma classico della responsa-

bilità colposa 47

11. Segue: la dottrina che si richiama al principio di precauzione e

alle conoscenze esperienziali 54

Sezione III

L’ESPOSIZIONE PROFESSIONALE AD AGENTI PATOGENI SECONDO IL TUSL

12. Inquadramento metodologico della ricerca: scopo e ambiti del-

l’indagine 59

13. Inquadramento sistematico della disciplina: i Titoli IX e X del

Tusl 62

CAPITOLO II

IL TUSL SOTTO IL PROFILO DELLE TECNICHE DI TIPIZZAZIONE NORMATIVA DELLE

REGOLE DI CONDOTTA

1. Capo I del Titolo IX: agenti chimici 69

1.1. Art. 222: definizioni 70

1.1.1. L’art. 222 alla luce del paradigma classico della

responsabilità colposa 78

1.1.2. Segue: alla luce delle conoscenze esperienziali 80 1.1.3. Segue: alla luce della logica precauzionale precettiva 82

1.2. Art. 232: limiti dell’impegno regolativo del legislatore in

sede di adeguamenti normativi 89

2. Capo II del Titolo IX: agenti cancerogeni e mutageni 93

2.1. Art. 234: definizioni 93

2.2. Art. 245: intervento dell’autorità pubblica in sede di ade-

guamenti normativi 97

2.3. Art. 240: cooperazione tra autorità pubblica e soggetto

privato nell’ipotesi di esposizione non prevedibile 98 2.4. Art. 244: registrazione dei casi di neoplasia sospetta 104

(10)

pag.

3. Titolo X: agenti biologici 107

3.1. Art. 271: intervento del datore di lavoro in tema di classi-

ficazione di agenti biologici 107

3.2. Art. 269: intervento dell’organo di vigilanza in tema di

classificazione di agenti biologici 114 4. La tipizzazione delle regole di condotta in prospettiva de lege

ferenda: il percorso già tracciato dal Tusl 117

4.1. Segue: tra valorizzazione delle “superiori” conoscenze 120 4.2. Segue: e dimensione partecipata della valutazione dei rischi 124 5. Esiti della ricognizione normativa 130 5.1. Obblighi informativi e misure gestionali sperimentali 130 5.2. Segue: come precetti procedimentali “alla ricerca” di una

copertura nomologico-esperienziale 133

CAPITOLO III

IL TUSL SOTTO IL PROFILO DELLE TECNICHE DI IMPUTA- ZIONE GIUDIZIALE: IL RIMPROVERO PER LA CONDOTTA

1. L’imputazione giudiziale della condotta inosservante dei pre-

cetti procedimentali 137

2. Il modello del reato a struttura ingiunzionale nell’ambito del Tusl. La dimensione fisiologica e patologica dei precetti pro-

cedimentali 139

2.1. La procedura di estinzione agevolata: in generale nella

materia della salute e della sicurezza del lavoro 142 2.2. Segue: e nel settore dell’esposizione professionale ad a-

genti patogeni 144

2.2.1. Profilo funzionale: dalla valenza reintegrativa alla

tutela di funzioni 147

2.2.2. Profilo strutturale: il contributo tipicizzante della

prescrizione dell’organo di vigilanza 150 2.2.3. Profilo sanzionatorio: la pena come extrema ratio

in presenza di segnali di rischio qualificati 156 3. Il modello dell’illecito di rischio: la proposta regolativa in gene-

rale 159

3.1. Segue: ed il combinato disposto degli artt. 237, lett. d) e

240 Tusl come sua sperimentazione concreta 162

(11)

pag.

CAPITOLO IV

IL TUSL SOTTO IL PROFILO DELLE TECNICHE DI IMPUTA- ZIONE GIUDIZIALE: IL RIMPROVERO PER L’EVENTO

1. L’imputazione giudiziale dell’evento lesivo 167 2. La proposta regolativa dei “precetti precauzionali con funzio-

ne cautelare ipotetica” 169

3. Segue: ed il suo possibile inveramento negli obblighi informa-

tivi del Tusl 172

4. Rimprovero a titolo di colpa specifica: in relazione alle tradi-

zionali regole preventivo-cautelari 175

5. Segue: e ai precetti procedimentali del Tusl 181

5.1. Ridescrizione dell’evento 181

5.1.1. Confronto tra i precetti del Tusl e quelli di cui al d.p.r. n. 303/1956 in tema di amianto: colpa speci-

fica non apparente 184

5.2. Selezione della sfera di rischio tipico 186 5.2.1. Confronto tra i precetti del Tusl e quelli di cui al

d.p.r. n. 303/1956 in tema di amianto: rilevanza normativa delle congetture scientificamente fon-

date 188 5.3. L’art. 240 Tusl come sperimentazione concreta del model-

lo di precetti precauzionali con funzione cautelare ipote-

tica 191

CAPITOLO V

LA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA DA REATO DEGLI ENTI NEL TUSL

1. Potenziale interazione tra precetti procedimentali e complian-

ce programs 195

2. Segue: in relazione ai rischi da esposizione nomologicamente

noti 199 3. Segue: e in relazione ai rischi da esposizione nomologicamen-

te ignoti 200

(12)

pag.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE: METAMORFOSI DELLO STATUTO

DELLA COLPA O SUO SEMPLICE ADATTAMENTO? 205

BIBLIOGRAFIA 209

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(14)

INTRODUZIONE

L’evoluzione dei precetti cautelari, che nel campo della salute e della sicurezza del lavoro sono finalizzati alla prevenzione degli even- ti di danno e di pericolo derivanti dall’esposizione professionale ad agenti potenzialmente patogeni, esemplifica in maniera paradigmati- ca il problematico rapporto intercorrente tra diritto penale e rischio da ignoto scientifico-tecnologico.

In tale specifico settore viene in rilievo la spinosa questione della definizione delle regole di condotta considerate nella prospettiva del- la c.d. “scienza incerta”: in relazione all’impiego nel processo produt- tivo di agenti connotati da una patogenicità non del tutto definita e- merge la difficoltà di elaborare regole cautelari che possano concre- tamente fungere sia da criterio-guida per il datore di lavoro in sede di identificazione della condotta doverosa, sia da sicuro parametro di riferimento utilizzabile dal giudice in sede di accertamento della re- sponsabilità penale.

Il carattere di problematicità che connota la definizione dei precet- ti cautelari nella materia in commento trova la sua radice nella circo- stanza per cui è verosimile che tra il tempo del fatto e il tempo del giudizio si registri lo sviluppo delle conoscenze scientifiche sulla noci- vità di un dato agente; in particolare, durante il lasso temporale inter- corrente tra il momento delle esposizioni e quello dell’accertamento del- la responsabilità, può accadere che le cognizioni scientifiche progre- discano al punto da consentire al tempo del giudizio di ricondurre al- l’esposizione a quel dato agente eventi lesivi che al tempo del fatto erano oggetto di un mero sospetto privo di convalida scientifica.

In una simile evenienza si pone il problema se sia possibile formu- lare legittimamente un rimprovero penale a carico del datore di lavo- ro a dispetto della circostanza che sulla possibilità di accadimento degli eventi lesivi verificatisi erano tutt’al più disponibili al tempo delle esposizioni mere congetture ancora prive del crisma della cer- tezza scientifica.

Storicamente tale questione è insorta nel settore della responsabi- lità penale da amianto in relazione all’insorgenza di patologie tumo-

(15)

rali riconducibili al massiccio impiego di questa sostanza nei proces- si lavorativi in un tempo in cui non vi era piena consapevolezza circa la sua effettiva nocività.

La circostanza per cui il sospetto della cancerogenicità dell’a- mianto non aveva ancora ricevuto convalida scientifica nel periodo storico in cui esso veniva utilizzato ha reso problematico l’accerta- mento della responsabilità penale quando, successivamente, è matu- rata una conoscenza completa circa l’effettiva idoneità offensiva della sostanza incriminata.

Le regole cautelari vigenti al tempo dell’esposizione, infatti, non erano state predisposte dal legislatore per gestire il rischio di produ- zione degli effetti cancerogeni dell’amianto, essendo tali effetti anco- ra nomologicamente ignoti. Nondimeno, sebbene tali regole di con- dotta fossero state concepite per prevenire eventi lesivi diversi e me- no gravi rispetto a quelli poi effettivamente verificatisi, la giurispru- denza non di rado è pervenuta all’affermazione della responsabilità penale attraverso una vistosa forzatura delle categorie penalistiche classiche.

Orbene, questi stessi problemi si potrebbero ripresentare oggi in relazione ad altre sostanze pericolose, quali gli agenti chimici, cance- rogeni e mutageni, nonché biologici presi in considerazione dal Testo Unico della salute e della sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008 modifi- cato dal d.lgs. n. 106/2009)1 rispettivamente nei Capi I e II del Titolo IX e nel Titolo X; anche queste sostanze, infatti, spesso presentano una natura patogena non del tutto definita rispetto alla quale appare ardua la formulazione di regole di condotta contenenti l’individua- zione circoscritta e definita delle cautele doverose.

Ciò posto, l’obiettivo che con la presente dissertazione si intende perseguire consiste nel verificare se il legislatore del Tusl si sia assun- to la responsabilità di disciplinare la questione dell’esposizione ad agenti dalla patogenicità nomologicamente ignota o se, invece, la di- sciplina del Testo Unico sia stata confezionata in maniera tale da comportare la possibilità che, in relazione ai nuovi agenti la cui pa- togenicità venga nel frattempo svelata dal progresso scientifico, si ri- propongano gli stessi problemi che storicamente sono insorti in tema di responsabilità penale da amianto.

Nella specie, avendo presente questo obiettivo ultimo di riferimen- to, si intende articolare il presente lavoro nelle seguenti sezioni tema- tiche.

1Da ora in avanti: Tusl.

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Anzitutto, la questione della definizione delle regole di condotta in tema di esposizione professionale ad agenti potenzialmente patogeni va opportunamente inquadrata nel contesto più generale della pro- blematica metamorfosi che il modello dei precetti cautelari in gene- rale ha registrato nella prospettiva del rischio da ignoto scientifico- tecnologico. In tal senso dapprima si renderà necessario richiamare il mutamento del paradigma logico-epistemologico che si è registrato a partire dalla seconda metà del Novecento, per cui al paradigma della certezza nomologica proprio della modernità si sono affiancati i nuo- vi modelli logici ed epistemologici della scienza incerta; dopodiché si vaglieranno le ripercussioni che in questo mutato contesto logico-epi- stemologico l’irruzione della categoria del rischio, accanto alla spe- rimentata logica del pericolo, ha prodotto sul ruolo ricoperto dalle re- gole cautelari nel modello dell’illecito colposo in generale, nonché in particolare nella struttura delle fattispecie vigenti in materia di salute e sicurezza del lavoro.

Successivamente si intende focalizzare l’incidenza del passaggio, che nella prospettiva della scienza incerta si determina, dalla logica preventivo-cautelare alla logica cautelativo-precauzionale sul versan- te della responsabilità colposa. A tal fine, si ritiene indispensabile rie- vocare le due diverse accezioni, precettiva e metodologica, secondo cui è possibile interpretare la valenza penalistica del principio di pre- cauzione, nonché il panorama delle posizioni dottrinarie emerse in ordine al rilievo potenzialmente ascrivibile al principio in questione sul versante della tipicità colposa.

Ricostruito così il quadro complessivo di riferimento, si intende quindi assumere il settore dell’esposizione professionale ad agenti pa- togeni quale specimen privilegiato per indagare la questione della de- finizione delle regole cautelari nella prospettiva della scienza incerta.

Al riguardo si affronterà in chiave diacronica la questione dell’im- putazione dei c.d. reati a distanza connessi all’esposizione ad amian- to; nel merito si procederà alla descrizione degli orientamenti accolti in dottrina e in giurisprudenza sul profilo della tipicità colposa e con specifico riferimento al giudizio di prevedibilità, distinguendo tra la posizione prevalentemente fatta propria dalla prassi applicativa, quel- la adottata dalla dottrina fedele al paradigma classico della responsa- bilità colposa, nonché quella sostenuta dalla dottrina che si richiama al principio di precauzione e alle conoscenze esperienziali.

Successivamente, in una prospettiva sincronica si assumerà quale oggetto specifico della trattazione la normativa del Testo Unico in materia di esposizione professionale ad agenti patogeni per verificare

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se il legislatore si sia finalmente fatto carico della responsabilità di definire il precetto comportamentale gravante sul datore di lavoro in un contesto di incertezza scientifica in ordine all’effettivo potenziale nocivo degli agenti utilizzati nel processo produttivo.

Tale approfondimento si concretizzerà, a sua volta, nell’argomen- tazione dettagliata di due distinti profili aventi ad oggetto rispettiva- mente: l’indagine sulle tecniche di tipizzazione normativa delle regole di condotta contemplate dal Tusl in materia di rischio da esposizione;

la riflessione sulle tecniche di imputazione giudiziale della condotta violativa dei precetti in questione e dell’evento lesivo conseguente a detta condotta.

Infine, in appendice a queste riflessioni sulla disciplina del Tusl, si ritiene di non potere prescindere da un richiamo, sia pure sintetico, al tema della responsabilità amministrativa da reato degli enti, nono- stante questo profilo esuli dall’oggetto specifico del presente studio in cui la questione della gestione del rischio da esposizione nomologi- camente ignoto viene affrontata essenzialmente con riferimento al datore di lavoro-persona fisica.

(18)

C

APITOLO

I

IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE

NELLA LOGICA DEL RISCHIO DA SCIENZA INCERTA

SOMMARIO: SEZIONE I. La problematica definizione delle regole di condotta nella prospettiva precauzionale: 1. Il mutamento del paradigma logico-epistemologi- co. – 2. Segue: e la sua incidenza sulle regole cautelari in generale e nella ma- teria della salute e della sicurezza del lavoro. – 3. L’esposizione professionale ad agenti patogeni come laboratorio di modelli di tutela penale dal rischio scientifico-tecnologico. – 4. Il passaggio dalla logica cautelare alla logica pre- cauzionale nella prospettiva della scienza incerta. – 5. La valenza penalistica del principio di precauzione tra logica precettiva e metodologica. – 6. Il ruolo del principio di precauzione sul versante della tipicità colposa. – SEZIONE II. Il caso della responsabilità penale per esposizione professionale ad amianto: 7. Lo sviluppo del sapere scientifico in tema di amianto e l’evoluzione della relativa normativa. – 8. Breve excursus sul problematico accertamento del nesso di causalità. – 9. Tipicità colposa e giudizio di prevedibilità: la posizione della giurisprudenza – 10. Segue: la dottrina fedele al paradigma classico della re- sponsabilità colposa. – 11. Segue: la dottrina che si richiama al principio di precauzione e alle conoscenze esperienziali. – SEZIONE III. L’esposizione pro- fessionale ad agenti patogeni secondo il Tusl: 12. Inquadramento metodologico della ricerca: scopo e ambiti dell’indagine. – 13. Inquadramento sistematico della disciplina: i Titoli IX e X del Tusl.

Sezione I

LA PROBLEMATICA DEFINIZIONE DELLE REGOLE DI CONDOTTA NELLA PROSPETTIVA PRECAUZIONALE

1. Il mutamento del paradigma logico-epistemologico

Al fine di focalizzare la fisionomia che attualmente connota le re- gole di condotta nella struttura delle fattispecie colpose in materia di

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esposizione professionale ad agenti patogeni, occorre preliminar- mente considerare il processo di metamorfosi che nella prospettiva della scienza incerta il modello dei precetti cautelari ha registrato;

più precisamente si tratta di focalizzare le ripercussioni derivanti dal- l’irrompere della categoria del rischio in ordine al ruolo ricoperto dal- le regole cautelari nel modello dell’illecito colposo in generale, nonché in particolare nella struttura delle fattispecie vigenti in materia di sa- lute e sicurezza del lavoro.

In tal senso bisogna muovere dall’individuazione del contesto lo- gico-epistemologico in cui questo processo evolutivo è maturato, data l’interdipendenza che sussiste tra l’avvicendarsi di diversi paradigmi logici ed epistemologici e il mutamento del modello di ricostruzione della responsabilità colposa e del connesso ruolo delle regole cautelari.

Secondo il modello epistemologico centrale della modernità, fon- dato sul canone della certezza nomologica, il verificarsi di eventi dan- nosi o addirittura catastrofici non è imputabile al caso, ma costitui- sce piuttosto una «rottura della forma normale»1, ossia una deviazio- ne rispetto al corso ordinario degli eventi dominato dalla tecnica (nor- malità c.d. primaria). Tale deviazione va spiegata razionalmente per potere ripristinare «una normalità in certo qual modo secondaria»2, ossia un nuovo ordine delle cose che viene ristabilito dopo che la nor- malità primaria è stata bruscamente interrotta.

L’evento dannoso viene così normalizzato tramite la spiegazione tecnico-razionale, ossia viene interpretato come realizzazione di un rischio prevedibile nella misura in cui diviene riconducibile, median- te i parametri esplicativi della scienza e dell’esperienza, ad una con- dotta umana derivante da una decisione scorretta.

Questo significa che «la normalità sta nel funzionamento della tec- nica, nelle condizioni di possibilità della razionalità e soprattutto nel- la dipendenza del futuro dalle decisioni»3. In altre parole il concetto di normalità (primaria o secondaria) si sostanzia della combinazione di tre elementi interdipendenti: la tecnica, la razionalità e le decisio- ni.

Sulla base di una lettura degli eventi condotta alla luce del «para- digma di tendenziale certezza nomologica o esperienziale» si proce- de, così, alla «rimozione del caso» ed alla sua sostituzione con la no-

1N. LUHMANN, Sociologia del rischio, trad. di G. Corsi, Bruno Mondadori, Mi- lano, 1996, p. 1.

2N. LUHMANN, op. loc. ult. cit.

3N. LUHMANN, op. ult. cit., p. 2.

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zione di causalità, per cui si attiva un «procedimento di regresso dal- l’evento sino alla causa umana (colpevole)»4 al fine di individuare il soggetto responsabile dell’accadimento indesiderato.

Nel corso della seconda metà del Novecento, però, il paradigma epistemologico della modernità entra in crisi ed è costretto a coesi- stere con i nuovi modelli logici ed epistemologici della scienza in- certa.

Matura progressivamente la convinzione che lo scopo della scien- za non sia la verità, che in ultima istanza viene prospettata come una mera idea regolativa, bensì l’elaborazione di teorie sempre più vero- simili, cioè sempre più prossime all’ideale di un’esaustiva rappresen- tazione della realtà5; una convinzione, questa, che si traduce in una nuova concezione della scienza la quale, facendo ricorso a leggi di ti- po probabilistico o addirittura di carattere statistico-epidemiologico, appare connotata da un inedito statuto epistemologico segnato da un’incertezza costitutiva6.

Peraltro, parallelamente al diffondersi della consapevolezza della fallibilità della conoscenza scientifica, si disvela l’«illusione prome-

4D. CASTRONUOVO, La colpa penale, Giuffrè, Milano, 2009, p. 92.

5Cfr. K. POPPER, I due problemi fondamentali della teoria della conoscenza, Il Saggiatore, Milano, 1997, vol. I, p. XXI, ove l’Autore, riflettendo sui presupposti della teoria fallibilista (secondo cui la scienza non si sostanzia di verità immutabi- li, ma di mere congetture suscettibili di rettifica o di smentita) e facendosi inter- prete nel nostro tempo di una rinnovata ripresa dell’ignoranza socratica, afferma che il fallibilismo, nel sostenere che tutte le conoscenze umane sono incerte e che la ricerca non ha fine, «è nient’altro che il non sapere socratico». In particolare detto Autore, in Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino, Bologna, 1985, p. 393, sostiene: «Per noi la scienza non ha niente a che fare con la ricerca della certezza, della probabilità, o dell’attendibilità. Non siamo interessati allo stabilimento di teorie scientifiche in quanto sicure, certe o proba- bili. Consapevoli della nostra fallibilità, siamo interessati a criticarle e a control- larle con la speranza di scoprire dove sbagliamo, di apprendere dagli errori, e, se abbiamo fortuna, di pervenire a teorie migliori».

6Detta incertezza, peraltro, viene ulteriormente esasperata dal dibattito epi- stemologico post-positivistico. Con l’espressione «epistemologia post-positivisti- ca» nel dibattito filosofico si fa riferimento a quel filone della filosofia della scienza che ha assunto posizioni radicalmente critiche nei confronti del neopositivismo e dello stesso Popper; filone, questo, che trova i suoi massimi rappresentanti in Thomas Kuhn, Imre Lakatos e Paul K. Feyerabend. Quest’ultimo Autore in parti- colare si è fatto banditore di un sorta di anarchismo epistemologico, secondo cui nella scienza non esistono metodi assolutamente vincolanti, ma ciascun ricerca- tore procede liberamente, adottando il metodo che ritiene più confacente alla sua indagine, sulla base del principio «anything goes» (qualsiasi cosa può andare be- ne); cfr. P. FEYERABEND, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano, 1979.

(21)

teica»7 secondo cui la tecnica sarebbe in grado di dominare i rischi originati dalle sue varie applicazioni concrete e si dispiega per tal via, se non una sfiducia, certamente un timore nei confronti degli svilup- pi della tecnica, la quale si rivela, oltre che strumento di dominio del- la natura e dei suoi pericoli, anche fonte di inediti rischi, connotan- dosi come potenziale d’offesa in sé, sempre più temibile nella pro- spettiva degli odierni processi di globalizzazione.

Proprio in relazione a questo mutato contesto logico-epistemolo- gico, contraddistinto da un sapere scientifico dall’identità sempre più problematica e da un’evoluzione tecnologica dagli esiti sempre più im- prevedibili, fa il suo ingresso la logica del rischio8 che, affiancandosi a quella ormai sperimentata del pericolo, irrompe nel dibattito relativo ai diversi ambiti disciplinari imponendo una rivisitazione delle catego- rie di pensiero tradizionali.

In particolare nel dibattito sociologico sulla vexata quaestio della distinzione tra pericolo e rischio, Luhmann sembra essere pervenuto ad alcune conclusioni definitive laddove, muovendo dalla considera- zione che entrambi i concetti si fondano sul presupposto di un’incer- tezza rispetto a danni futuri, sintetizza l’essenza della querelle in que- sti termini: «Ci sono, allora due possibilità: o l’eventuale danno viene visto come conseguenza della decisione, cioè viene attribuito ad essa, e parliamo allora di rischio, per la precisione di rischio della decisio- ne; oppure si pensa che l’eventuale danno sia dovuto a fattori esterni e viene quindi attribuito all’ambiente: parliamo allora di pericolo»9.

7D. CASTRONUOVO, La colpa penale, cit., p. 86 ss.

8Sulla riconducibilità della categoria del rischio alla problematica identità as- sunta nella nostra epoca dal sapere scientifico cfr. U. BECK, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, Laterza, Roma-Bari, 2008. L’illustre sociologo, che ha co- niato già negli anni ’80 l’ormai celebre formula “società del rischio” nel suo saggio La società del rischio. Verso una seconda modernità (Carocci, Roma, 2005), di re- cente è tornato a riflettere sulla tematica del rischio, questa volta, nella prospetti- va della società globalizzata, affermando che: «La categoria del rischio dischiude un mondo al di qua e al di là della chiara distinzione tra sapere e non-sapere, vero e falso, buono e cattivo. L’unica verità si è frantumata in centinaia di verità relati- ve, che nascono dalla prossimità al rischio e dal coinvolgimento in esso. Questo non significa che il rischio cancelli qualsiasi forma di sapere. Piuttosto, esso me- scola il sapere e il non-sapere nell’orizzonte di senso della probabilità. Nella cate- goria di rischio si esprime dunque il rapporto con l’incertezza, che spesso oggi non può essere superata grazie ad una maggiore conoscenza, ma che scaturisce proprio da una maggiore conoscenza». Cfr. U. BECK, Conditio humana. Il rischio nell’età globale, cit., p. 11.

9N. LUHMANN, Sociologia del rischio, cit., p. 31.

(22)

In altre parole, diversamente da quel che accade per i pericoli, ri- spetto ai quali si può dire unicamente che si è esposti, si può parlare di rischio soltanto quando può essere assunta una decisone, senza la quale il danno non potrebbe insorgere; sicché, mentre il rischio risul- ta riconducibile solo ad un atto decisionale, la fonte del pericolo è sempre di provenienza esterna, sia essa un evento naturale oppure un fatto umano produttivo di un evento dannoso o pericoloso10.

Prescindendo comunque dalla riflessione sociologica sulla distin- zione tra pericolo e rischio, va posto l’accento sul fatto che la temati- ca del rischio, in quanto oggetto di attenzione viepiù crescente sul versante propriamente giuridico, non solo ha registrato un’incidenza culturale di rilievo tale da sfociare nella controversa affermazione del c.d. diritto penale del rischio11 (ossia di un’elaborazione giuridica che si pone in risposta alle nuove istanze emergenti dall’odierna società

10In questa prospettiva, tra l’altro, appare evidente che, nella misura in cui si teorizza che il rischio è sempre riconducibile ad una o più decisioni, si finisce per affermare che è sempre possibile individuare un responsabile; non a caso stori- camente si registra la significativa circostanza secondo cui «il passaggio dal peri- colo al rischio coincide con un’espansione delle responsabilità private e pubbli- che». Cfr. P. SAVONA, Il passaggio dal pericolo al rischio: l’anticipazione dell’inter- vento pubblico, in Dir. amm., 2, 2010, p. 359.

11Questa controversa formula appare segnata da una sostanziale ambiguità derivante dalla circostanza per cui: da una parte si fa ricorso ad essa per indicare il diritto penale che recepisce le istanze di tutela della c.d. società del rischio e in- trattiene con il rischio, di cui il contesto sociale è portatore, una sorta di rapporto dialogante; dall’altra, al contempo, il termine rischio cessa di avere una mera va- lenza sociologica e assume un’esplicita connotazione giuridica, sicché la formula in questione finisce per designare la nuova fisionomia che il diritto penale, nel suo sforzo di adattamento alle istanze del nuovo orizzonte sociologico, viene ad assumere a seguito dell’irruzione del fattore rischio nella struttura del reato. Re- sta, pertanto, controverso se con l’espressione diritto penale del rischio si debba intendere un nuovo diritto penale con uno statuto identitario diverso dal prece- dente, accogliendo così il riconoscimento di una discontinuità rispetto al passato;

oppure se, al contrario, gli elementi di novità connessi alla tematica del rischio, riscontrabili sia sul piano legislativo che giurisprudenziale, siano da spiegare, in una logica di continuità, come espressione di un fisiologico adattamento della disciplina penale alle nuove istanze sociali. Ad ogni modo la polemica dottrinaria, che si estende peraltro alla più generale contrapposizione tra diritto penale clas- sico e diritto penale moderno, ancora è ben lontana dall’esaurirsi. Sul punto cfr.

C. PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, Giuffrè, Milano, 2010, in particolare cap. I, p. 4 ss. e cap. II, p. 168 ss., nei quali l’Autrice delinea un’ac- curata ricostruzione del dibattito dottrinario sulla penetrazione della nozione di rischio nella teoria del “diritto penale moderno” rispettivamente in prospettiva endosistemica ed esosistemica.

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complessa, non a caso ribattezzata società del rischio12), ma è stata altresì formalmente recepita sul piano del diritto positivo13.

12Com’è noto, questa fortunata espressione, destinata ad affermarsi anche al di fuori della ristretta cerchia dei sociologi, è stata introdotta negli anni ’80 del secolo scorso da Ulrich Beck, che l’ha utilizzata per la prima volta nel suo saggio La società del rischio. Verso una seconda modernità, ove si sostiene la tesi che il problema so- ciale fondamentale del nostro tempo è costituito dai grandi rischi, prodotti dalla stessa società, che sono connessi al progresso tecnico-scientifico incontrollato e che, avendo ormai assunto una dimensione globale, minacciano la sopravvivenza stessa dell’umanità (cfr. U. BECK, La società del rischio. Verso una seconda modernità, cit.).

Circa la valenza, poi, che la formula in questione storicamente ha assunto, cfr. C.

PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, cit., p. 175 ss., ove l’Autrice ricorda che nel dibattito sociologico è possibile distinguere «almeno tre differenti approcci che si traducono in altrettanti modelli di società del rischio»: il “modello oggettivistico” (sviluppatosi sulla base del concetto di Risikogesellschaft elaborato da Beck) alla luce del quale il termine rischio si identifica sostanzialmente con il ri- schio tecnologico e non si distingue dal termine pericolo, che di fatto viene utilizza- to come sinonimo; il “modello sociologico in senso stretto” (facente capo ad A. E- vers e A.H. Nowotny) secondo cui deve essere operata una distinzione tra il concet- to di pericolo, da identificare nel potenziale di offesa allo stato puro, e quello di ri- schio, da individuare invece nel potenziale di offesa che l’organizzazione sociale de- ve gestire al fine di renderlo prevedibile e controllabile; il “modello soggettivistico”

(facente capo a Franz-Xaver Kaufmann e oggi in particolare interpretato da Zyg- munt Bauman) che insiste sul peculiare paradosso di cui è portatrice la società del rischio, segnata dallo stridente contrasto tra la sicurezza oggettiva delle condizioni di vita garantite dall’attuale contesto sociale e il sentimento di insicurezza collettiva di una società frammentata. Con particolare riferimento a quest’ultimo modello si puntualizza che, diversamente dall’interpretazione oggettivistica che identifica il fattore rischio sostanzialmente con il “rischio tecnologico”, il modello soggettivisti- co tende ad includere nella semantica del rischio tutte le sue possibili declinazioni (ad esempio il rischio terroristico, il rischio finanziario, etc…), sicché si affievolisce la possibilità di pervenire ad una nozione di Risikogesellschaft dal contenuto univo- co ed al contempo si volatilizza la linea di demarcazione al cui interno si possa mantenere la corrispondente analisi penalistica.

13È opportuno precisare che la nozione di rischio, oltre ad essere oggetto di at- tenzione dottrinaria e sociologica, è stata anche recepita a livello normativo. Al ri- guardo va ricordato che nel nostro ordinamento la distinzione tra pericolo e rischio è stata formalizzata per la prima volta nelle due disposizioni definitorie di cui all’art. 2, lett. r) ed s) del Tusl, nelle quali rispettivamente viene identificato: il peri- colo con «la proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il poten- ziale di causare danni»; il rischio con la «probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione». Nel commentare queste definizio- ni in dottrina si osserva che esse sono espressione di un atteggiamento di novità ri- spetto al passato (considerato che all’art. 2, d.lgs. n. 626/1994, rubricato «Definizio- ni» e costituente l’antecedente prossimo della corrispondente norma definitoria del Tusl, il legislatore aveva omesso di inserire la distinzione concettuale in questione) e presentano una notevole rilevanza sistematica (considerato che il loro compito è

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In particolare, nel dibattito sviluppatosi in seno alla dottrina pena- listica con riferimento alla distinzione tra pericolo e rischio14, si è os- servato in generale che, mentre il concetto di pericolo è connesso ad eventi naturali, nonché a fatti umani produttivi di un evento dannoso o pericoloso, la nozione di rischio contraddistingue invece «il disva- lore oggettivo dell’azione (più che dell’evento) presente in reati di me- ra condotta come in reati di evento, ovvero la tendenza, non necessa- riamente illecita, di un’attività consentita (es. circolazione stradale), o di un’organizzazione sociale (es. di impresa) a produrre eventi dan- nosi o pericolosi»15.

Più precisamente, nella scienza penalistica è emerso che la diffe-

quello di garantire un’omogenea interpretazione delle innumerevoli previsioni che nel corpo del Tusl richiamano la problematica relazione tra pericolo e rischio): cfr.

G. MORGANTE, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle recen- ti riforme legislative, in Cass. pen., 2010, 9, p. 3320. Per un’opinione critica su queste disposizioni cfr., però, M.N. Masullo, Colpa penale e precauzione nel segno della complessità: teoria e prassi nella responsabilità dell’individuo e dell’ente, ESI, Napoli, 2012, p. 33 ss., che disconosce alle norme definitorie in oggetto una reale attitudine a porsi quale vincolo nell’interpretazione.

14In ordine alla tematica del rischio nella dottrina penalistica si sono sviluppate due diverse impostazioni interpretative: l’approccio endosistemico e quello esosiste- mico. Per un’approfondita ricostruzione di questi due indirizzi ermeneutici cfr. C.

PERINI, Il concetto di rischio nel diritto penale moderno, cit., in particolare Capitolo II, p. 168 ss., ove l’Autrice delinea un’accurata rassegna del dibattito dottrinario tedesco e italiano sviluppatosi in argomento. In questa sede è sufficiente ricordare che men- tre l’approccio “endosistemico”, più risalente, si polarizza sulla rilevanza del concetto di rischio come tema interno al diritto penale, proponendosi l’obiettivo di attribuire al rischio una specifica collocazione nell’ambito della teoria dell’illecito penale, l’approccio “esosistemico” si qualifica come tale in quanto interpreta l’elemento del rischio quale fattore pre- ed extra-giuridico di cambiamento del sistema penale e di conseguenza si sforza di individuare nel contesto della dialettica politico-criminale gli elementi che sostanziano la rilevanza del rischio nel diritto penale. Ne discende che, con riferimento alla distinzione tra pericolo e rischio, le due impostazioni in questione pervengono ad esiti differenti: nella prospettiva endosistemica il concetto di rischio non riesce a sviluppare un autonomo statuto identitario e viene utilizzato in un ruolo sostanzialmente ausiliario rispetto alla nozione di pericolo, con la conse- guenza che sul piano semantico si determina «una piena fungibilità tra i due termini in questione» (C. PERINI, op. ult. cit., p. 163); viceversa la prospettiva esosistemica (alla luce della quale il rischio viene declinato come nozione socio-giuridica), nono- stante non riesca neanch’essa ad individuare con esattezza il discrimen tra le due no- zioni e a definire in positivo la categoria del rischio, si sforza comunque di precisare il perimetro della nozione di rischio tracciando i confini della nozione di pericolo, ossia facendo ricorso ad «un procedimento di caratterizzazione del rischio in negati- vo, che si concentra sulle forme di ulteriore anticipazione dell’intervento penale ri- spetto alla frontiera più esterna del reato di pericolo» (C. PERINI, op. ult. cit., p. 362).

15M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra diffe- renziazione e sussidiarietà, Giuffrè, Milano, 2004, p. 108.

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renza tra le due nozioni di pericolo e rischio attiene sia ad un piano per così dire quantitativo che ad un piano qualitativo16.

Sotto il profilo quantitativo si evidenzia un netto carattere distin- tivo tra le due nozioni in relazione al diverso grado di anticipazione della tutela, in quanto: il pericolo «allude all’esistenza di fattori di cui è ben conosciuta l’idoneità sotto il profilo causale e la potenzialità ad evolvere senza meno in direzione dell’offesa»; viceversa il rischio «vie- ne a situarsi in una dimensione ulteriormente arretrata rispetto allo stesso verificarsi di un pericolo; non si esprime in una valutazione fon- data sull’apprezzamento di una vicenda in atto: esso incarna, piutto- sto, l’esigenza di fondo che determinate attività debbano venire “re- golate” in via anticipata rispetto al possibile attivarsi di una serie cau- sale verso l’evento»17.

Sotto il profilo qualitativo, poi, «il rischio non si limita a precede- re il pericolo, ma assume un altro oggetto e un altro criterio di valu- tazione»18.

In primo luogo, con riferimento all’oggetto, si puntualizza che es- so «non è un fattore determinato, ma l’interazione dinamica dei fat- tori presenti in una situazione data»19, che proprio per questo si qua- lifica come rischiosa.

Tale situazione rischiosa, che peraltro si configura come «non ne- cessariamente suscettibile di evolversi verso il danno», appare conno- tata soprattutto dal fatto che il rischio è «strutturalmente caratteriz- zato dall’incertezza sul potenziale offensivo dell’interazione dei diver- si fattori dai quali esso stesso scaturisce»20.

16Cfr. G. MORGANTE, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavo- ro nelle recenti riforme legislative, cit., p. 3323 ss.

17G. DE FRANCESCO, Pericolo, rischio, incertezza. Il controllo penale ed i suoi confini nella temperie della postmodernità, in M. GOLDONI-E. SIRSI (a cura di), Re- gole dell’agricoltura e regole del cibo. Produzione agricola, sicurezza alimentare e tutela del consumatori, Atti del convegno, Il Campano, Pisa, 2005, p. 128.

18T. PADOVANI, Il destino sistematico e politico-criminale delle contravvenzioni e le riforme del diritto penale del lavoro in Italia, in M. DONINI (a cura di), Modelli ed esperienze di riforma del diritto penale complementare, Giuffrè, Milano, 2003, p. 166.

19T. PADOVANI, op. loc. ult. cit. Sul punto l’Autore, proseguendo, osserva:

«Uscire con l’automobile significa di per sé affrontare un rischio, dipendente dal- la contemporanea presenza di più utenti sulla strada, dallo stato della strada, dal- le condizioni meteorologiche e così via; ma non significa trovarsi in pericolo, che si verifica solo quando l’interazione dei fattori si esprime in termini almeno po- tenzialmente eziologici verso un evento di danno».

20G. MORGANTE, Spunti di riflessione su diritto penale e sicurezza del lavoro nelle recenti riforme legislative, cit., p. 3323.

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Affiora quindi un profilo distintivo del rischio di notevole rilevan- za, che rende oltremodo problematica la sua “gestione” e, come tale, è destinato ad avere pesanti ricadute sul piano sistematico generale;

un profilo, questo, la cui incidenza (come si avrà modo di verificare) si evidenzia soprattutto nel momento in cui lo si pone in relazione al potenziale di offesa insito nella natura stessa dei processi tecnologici e lo si considera nella prospettiva del «dubbio epistemologico che av- volge le leggi scientifiche allorquando si tratti di valutare i possibili sviluppi verso l’offesa delle attività intrinsecamente rischiose»21.

In secondo luogo, con riferimento al criterio valutativo, si rileva che proprio la suddetta fisionomia problematica dell’oggetto del ri- schio (che rispetto a quella del pericolo si caratterizza per la somma- toria dei tre elementi di cui si è detto, e cioè l’ulteriore anticipazione del grado di tutela, l’interazione dinamica tra i fattori che lo determi- nano e la strutturale incertezza circa il suo potenziale offensivo), comporta altresì l’ingresso del nuovo canone della riduzione o del contenimento del rischio in sostituzione del criterio della sua elimi- nazione.

Tale mutamento si è storicamente realizzato in occasione del pas- saggio dalla logica della prevenzione dei pericoli a quella della ge- stione dei rischi; una svolta epocale che per la sua complessità ha de- terminato non solo l’adozione di un diverso criterio di valutazione, ma più in generale un radicale cambiamento di approccio al tema della sicurezza. Infatti il problema della sicurezza, mentre nella logi- ca del pericolo si può risolvere attraverso l’adozione di appropriate regole e misure cautelari mirate a neutralizzare la specifica fonte di pericolo, nella prospettiva del rischio si può affrontare solo facendo ricorso ad un modello di gestione globale della sicurezza imperniato sulla valutazione di tutti i rischi che condizionano la singola situa- zione operativa, nonché su moduli procedurali finalizzati a controlla- re tutti i fattori che concorrono a qualificare come rischiosa quella determinata situazione.

A questo punto, per verificare in che termini si è realizzato nel no- stro ordinamento il passaggio dalla logica della prevenzione dei pericoli a quella della gestione dei rischi, occorre focalizzare l’incidenza dell’ir- rompere della categoria del rischio sullo specifico profilo della respon- sabilità colposa, ricostruendo il processo di metamorfosi che nella pro- spettiva del rischio il modello delle regole cautelari ha registrato in ge- nerale e nello specifico settore della salute e della sicurezza del lavoro.

21G. MORGANTE, op. loc. ult. cit.

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2. Segue: e la sua incidenza sulle regole cautelari in generale e nella materia della salute e della sicurezza del lavoro

Con specifico riferimento al profilo della responsabilità penale colposa, a seguito dell’affermazione dei modelli logici ed epistemolo- gici della scienza incerta, coesistenti con il paradigma della certezza nomologica, si incrina la convinzione che le regole cautelari possano rimanere ancorate ad «una “prognosi” sicura ed affidabile circa il po- tenziale offensivo delle attività da esse disciplinate»22.

Ciò si verifica in ragione dell’emergere di un’incertezza viepiù cre- scente su quanto dovrebbe essere assunto a fondamento delle regole medesime; un’incertezza, cioè, «proprio sui dati esperienziali e scien- tifico-sperimentali atti a corroborare l’effettiva validità dei giudizi formulati in base a leggi – o meglio, ipotesi – scientifiche sempre più avvolte nel dubbio epistemologico circa la loro reale capacità esplica- tiva»23.

Si assiste, così, ad una vera e propria metamorfosi del modello di regole cautelari sia sotto il profilo della struttura sia sotto il profilo della genesi24.

Sotto il profilo della struttura delle regole cautelari, alle discipline legislative tendenti all’eliminazione del pericolo si affiancano quelle finalizzate al contenimento del rischio sul presupposto che una quota di esso risulti comunque ineliminabile.

Sotto il profilo della fonte genetica, si dispiega la crisi dello stru- mento legislativo e della sua capacità regolativa sicché: da un canto si registra il ridimensionamento del ruolo della legge, la quale di fatto abdica al compito suo proprio di disciplinare in maniera diretta, li- mitandosi a programmare la devoluzione delle competenze regolative verso il basso; dall’altro si realizza la moltiplicazione e la frammenta- zione delle fonti disciplinari e il contestuale coinvolgimento del sog- getto privato nei processi di regolazione normativa del rischio.

Il legislatore perviene, così, alla formulazione di metanorme che, fondando metadoveri di carattere strumentale, risultano funzionali ad individuare i centri competenti nella regolamentazione di una cer- ta attività e fissano i criteri-guida per l’elaborazione di questa produ- zione giuridica secondaria.

22G. DE FRANCESCO, Pericolo, rischio, incertezza. IL controllo penale ed i suoi confini nella temperie della postmodernità, cit., p. 126.

23G. DE FRANCESCO, op. loc. ult. cit.

24Cfr. D. CASTRONUOVO, La colpa penale, cit., p. 98 ss.

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Orbene, un’esemplificazione paradigmatica di questa parabola evo- lutiva delle regole cautelari si riscontra, per l’appunto, nel percorso storico del diritto penale del lavoro, sfociato da ultimo nel Tusl nel quale si è concretizzato il duplice intervento riformatore del 2008/2009 mediante cui si è cercato di riordinare l’ipertrofica disciplina extra codicem accumulatasi nel tempo25.

In questa materia tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, a seguito del passaggio dalla logica della tutela dai pericoli a quella del- la prevenzione dei rischi realizzatosi su impulso del legislatore co- munitario, si attua una trasformazione radicale26 della fisionomia del- la normativa prevenzionistica ereditata dalla decretazione speciale de- gli anni ’50. Siffatto cambiamento epocale si traduce nell’adozione di un nuovo modello di tutela che, lungi dal sostituire quello vecchio, con esso coesiste.

In particolare, il fondamentale elemento di novità va ravvisato nel fatto che con la legislazione degli anni ’90 si attribuisce al privato un ruolo centrale nella valutazione e gestione dei rischi27. Così, alle re-

25Cfr. D. CASTRONUOVO, La tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro tra codice penale e legislazione complementare, in F. CURI (a cura di), Nuovo statuto penale del lavoro. Responsabilità per i singoli e per gli enti, B.u.p., Bologna, 2011, p. 44 ss.;

sul punto l’Autore opera una puntuale rassegna dei numerosi provvedimenti che non sono stati incorporati nel Testo Unico e qualifica in termini più appropriati questo «magmatico corpus normativo» come mero «contenitore legislativo, seppu- re certamente fondamentale».

26Cfr. T. PADOVANI, Il nuovo volto del diritto penale del lavoro, in Riv. trim. dir.

pen. econ., 1996, p. 1157 ss.; ID., Il destino sistematico e politico-criminale delle contravvenzioni e le riforme del diritto penale del lavoro in Italia, cit., p. 166 ove l’Autore spiega che «i decreti del ’55/’56 fiscalizzano situazioni di pericolo e ne impongono l’eliminazione; i decreti di matrice comunitaria identificano rischi e ne prescrivono il governo, mediante una funzione cautelare imposta (ed è questa una delle novità più salienti) direttamente al datore di lavoro, cui compete l’ado- zione di una serie di discipline».

27Per la ricostruzione dei profili problematici che, sul versante della definizione contenutistica delle regole di condotta, insorgono in relazione all’inedita centralità riconosciuta al privato dal nuovo modello prevenzionale di derivazione comunita- ria, cfr. tra gli altri G. MARRA, Prevenzione mediante organizzazione e diritto penale.

Tre studi sulla tutela della sicurezza del lavoro, Giappichelli, Torino, 2009, p. 79 ss.;

P. VENEZIANI, Regole cautelari “proprie” ed “improprie” nella prospettiva delle fattispe- cie colpose causalmente orientate, Cedam, Padova, 2003, p. 141 ss.; D. PULITANÒ, vo- ce Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale), in Dig. disc. pen., Agg., Torino, 2000, p. 388 ss. In questa sede è sufficiente ricordare che la dottrina più garantista si esprime polemicamente in relazione alla possibilità che nella prospettiva del duali- smo disciplinare la linea di demarcazione tra comportamento lecito e condotta pe- nalmente rilevante venga devoluta al privato; sul punto cfr. P. VENEZIANI, Regole cautelari “proprie” ed “improprie” nella prospettiva delle fattispecie colpose causalmen-

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te orientate, cit., p. 154, ove l’Autore afferma che «non è accettabile che il legislatore demandi – in buona sostanza – allo stesso destinatario del precetto penale l’ingrato compito di individuare il contenuto della regola cautelare impropria la cui osser- vanza permetta di mantenersi nell’ambito del rischio “consentito”».

In particolare, sulle criticità del modello regolativo di derivazione comunitaria (imperniato sull’affidamento alla responsabilità del soggetto privato dell’arduo compito della valutazione dei rischi) cfr. F. STELLA, Scienza e norma nella pratica dell’igiene industriale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 382 ss.; ID., La costruzione giuridica della scienza: sicurezza e salute negli ambienti di lavoro, in Riv. it. dir. proc.

pen., 2003, p. 55 ss. L’illustre Autore osserva che, mentre gli ordinamenti di com- mon law, pur richiedendo un intervento proattivo del datore di lavoro in sede di valutazione e gestione del rischio, hanno proceduto alla valorizzazione ed al po- tenziamento di organi pubblici di controllo del rischio al fine di coadiuvare il pri- vato nella definizione delle regole di condotta, nel nostro ordinamento l’imposi- zione in capo al privato dell’obbligo valutativo non è stata supportata da un’infra- struttura istituzionale competente a mettere a disposizione del privato le linee guida e le informazioni scientifiche necessarie per la predisposizione di un effica- ce sistema prevenzionale. Riprendendo una metafora utilizzata da Schünemann, l’Autore afferma quindi che un ordinamento come il nostro, che delega intera- mente alle singole imprese la disciplina del rischio, in definitiva assegna alla ca- pra il compito del giardiniere, in quanto finisce per costruire il precetto prevenzio- nistico come una norma in bianco il cui riempimento viene devoluto a regola- menti privati; un siffatto «trasferimento, più o meno nascosto, di competenze legi- slative a discipline emanate da gruppi, istituti o imprenditori privati» rischia, da un canto, di minare alle fondamenta la ripartizione dei poteri e il principio di lega- lità-tassatività, dall’altro di mettere in discussione lo stesso principio fondamen- tale di democrazia, che richiede che la gestione degli interessi della collettività sia affidata agli organi pubblici e non lasciata alla discrezionalità dei privati. Con- divide questa posizione critica F. CENTONZE, La normalità dei disastri tecnologici.

Il problema del congedo dal diritto penale, Giuffrè, Milano, 2004, p. 22 ss.

Al tempo stesso vi è però chi, in dottrina, interpreta positivamente la svolta epocale di cui si discute. Cfr. in questo senso V. TORRE, Le fonti del diritto penale del lavoro. Fonti normative e sistema penale “autodisciplinato”, in N. MAZZACUVA- E. AMATI (a cura di), Il diritto penale del lavoro, VII, in F. CARINCI (diretto da), Di- ritto del lavoro, Utet, Torino, 2007, p. 3 ss., la quale, nel contestualizzare questo radicale cambiamento di prospettiva, muove dalla considerazione dello scenario di crisi che investe nella loro globalità tutti gli ordinamenti giuridici occidentali e che si esprime nelle difficoltà che il sistema legale di matrice liberale, basato sul principio illuminista di legalità formale, incontra nel tentativo di disciplinare gli inediti fenomeni dell’odierna società complessa; sulla base di questa premessa, si osserva che il legislatore, volendo dare una risposta adeguata alle nuove istanze emergenti in relazione al pluralismo di valori della società in trasformazione, tende a rinunciare al tradizionale schema normativo generale e astratto, con cui si sancisce la prevalenza assoluta di un interesse su quelli contrapposti, e si orien- ta a trovare una soluzione particolaristica, facendo leva su un modello di norma giuridica «a “trama aperta”, che si modella, cioè, sulla realtà sottostante», e che, come tale, interviene sul destinatario attraverso una forma di controllo indiretto, nel senso che «opera per costituire e formalizzare meccanismi di autodisciplina, di negoziazione, di decentralizzazione e di mediazione di conflitti».

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gole “modali”, ispirate alla tecnica dell’eteroregolazione e contenenti una puntuale descrizione delle misure cautelari da adottare, si affian- cano regole “procedurali”, ispirate all’idea di una parziale autoregola- zione e recanti moduli procedurali ed organizzativi funzionali ad orien- tare il soggetto privato nella scelta e nella predisposizione dei presìdi più adeguati allo specifico contesto aziendale di riferimento28.

3. L’esposizione professionale ad agenti patogeni come labora- torio di modelli di tutela penale dal rischio scientifico-tecno- logico

Ricostruito nei termini suddetti il quadro complessivo di riferi- mento e delineata la fisionomia che le regole cautelari vigenti in ma- teria di sicurezza del lavoro hanno progressivamente acquisito per fronteggiare la crescita esponenziale dei rischi derivanti dal progres- so scientifico-tecnologico, è possibile adesso assumere il settore del- l’esposizione professionale ad agenti patogeni quale specimen privile- giato per indagare la questione della definizione delle regole cautelari nella prospettiva della scienza incerta.

Allo scopo di focalizzare tale nodo problematico appare opportu- no richiamare, sia pure sinteticamente, il ruolo nevralgico che nell’e- conomia complessiva dell’illecito colposo viene assegnato alle regole cautelari dalla c.d. concezione normativa della colpa29; tale digres-

In generale, tra i più recenti contributi sulla problematica definizione della la- titudine del debito di sicurezza sui luoghi di lavoro cfr. C. BERNASCONI, Il debito di sicurezza sui luoghi di lavoro: brevi considerazioni sulla sua problematica latitu- dine, in La giustizia penale, 2014, p. 476 ss.; P. PICCIALLI, Qualche riflessione sul debito di sicurezza in materia antinfortunistica, in La giustizia penale, 2014, p. 565 ss.; C. PAONESSA, La tutela penale della sicurezza sul lavoro. Luci ed ombre del dirit- to vivente, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, p. 1657 ss. (resoconto del convegno svol- tosi nei giorni 8-9 maggio 2014, presso la Certosa di Pontignano-Siena, sul tema

“Il diritto penale del lavoro tra diritto vigente e prospettive di riforma nell’orizzonte europeo”).

28In generale sulle nozioni di “regole modali” e “cautele procedimentali” cfr.

F. GIUNTA, La normatività della colpa penale. Lineamenti di una teorica, in Riv. it.

dir. proc. pen., 1999, p. 86 ss.; ID., La legalità della colpa, in Criminalia, 2008, p.

149 ss.

29Per una dettagliata ricostruzione delle diverse concezioni della colpa che storicamente si sono avvicendate cfr. G. MARINUCCI, La colpa per inosservanza di leggi, Giuffrè, Milano, 1965, p. 143 ss.; G. FORTI, Colpa ed evento nel diritto penale, Giuffrè, Milano, 1990, p. 63 ss.; F. GIUNTA, Illiceità e colpevolezza nella responsabi-

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