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Discrimen » La tutela penale dell’onore come diritto della personalità

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A TUTELA PENALE DELL

ONORE COME

DIRITTO DELLA PERSONALITÀ

Roberto Guerrini

SOMMARIO 1.La intrinseca problematicità del bene onore. 2. Le singole concezioni storica- mente avanzate. 3. La tutela penale dell’onore: una parabola in ormai avanzata fase discendente. 4. Sintesi delle proposte di riforma.

1. La intrinseca problematicità del bene onore

Il tema da me prescelto, incentrato sulla problematica tutela penale del dirit- to all’onore, presenta una particolare connessione con un aspetto della recente e pregevolissima attività che Francesco Palazzo ha svolto sul côté “legislativo” della sua multiforme attività, quale Presidente della commissione incaricata di redigere i decreti attuativi della legge delega n. 67/2014, con particolare riferimento alla ri- forma della disciplina sanzionatoria di certi reati e con contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili.

Il tema della tutela penalistica dell’onore si giova, com’è noto, di una riflessio- ne dottrinaria assai ampia e molto risalente, che si intreccia con la costruzione stessa del concetto di bene giuridico. Ci ricordava Enzo Musco1 come proprio la problema- tica dei delitti contro l’onore abbia rappresentato nell’opera di Birnbaum2 origine e conferma della concezione del reato come violazione di un bene giuridico. Ma più in generale, Adelmo Manna rilevava come l’onore sia «il bene forse più tradizionale certamente il più antico (tra i diritti della personalità)»3. Nonostante la mole ed il numero dei contributi offerti sul tema dell’onore come bene giuridico penale è facile rilevare una perdurante sensazione di indeterminatezza, nebulosità di certi passaggi definitori, inafferrabilità dei contenuti, che chiaramente stridono con i necessari

Testo della relazione tenuta al Convegno in onore di Francesco Palazzo, dal titolo La tutela della persona umana. Dignità, salute, scelte di libertà, svoltosi a Pisa, il 12 ottobre 2018.

1Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, p. 62 e ss.

2 Il riferimento è chiaramente già nel titolo all’opera di J.M. BIRNBAUM, Über das Erforderniss ei- ner Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in “Archiv des Criminalrechts, Neue Folge”, 1834, p. 149 e ss.

3 A.MANNA, Beni della personalità e limiti della protezione penale, Padova, 1989, p. 177.

in disCrimen dal 21.12.2018

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profili di certezza che devono caratterizzare l’intervento tutelare attuato con la più severa delle sanzioni. Ciò è derivato forse dall’irriducibile varietà dell’essenza pre- giuridica del bene onore, come indicava Spasari4, o forse dall’influenza sull’esegesi di un confuso quadro normativo-penale di riferimento, rimasto sostanzialmente intatto fino a due anni fa, sotto il profilo delle definizioni legali delle fattispecie di ingiuria e diffamazione: il ricorso ad una pluralità di categorie semantiche (positivizzate: come onore decoro, reputazione, ed anche extracodicistiche, come la dignità) ha spesso in- dotto confusione ed incertezza, ostacolando ricostruzioni unitarie del bene di cate- goria ed evocando distinzioni spesso evanescenti, bisognose di chiarificazione. Cer- tamente, più di altri beni, l’onore consta di radici non naturalistiche5, ma sociologi- co-culturali, difficili da catturare nel rendering6 normativo.

Le tesi formulate dalla dottrina nello scorso secolo e maturate nella ricerca di un concetto di onore penalmente tutelabile, sembrano sempre partire da un rilievo critico di indeterminatezza e nebulosità verso il pensiero che precede, per approdare a con- clusioni che continuano poi a risultare affette dallo stesso vizio, in una struttura a do- mino che non trova una parola conclusiva, neanche dopo l’arricchimento della dimen- sione costituzionale. Tale sconsolante disamina induce poi taluno a dubitare della stes- sa conseguibilità di un concetto di onore in sé, che possa nello stesso tempo prestarsi accettabilmente a generalizzazione normativa e a sufficiente determinazione concreta.

Tuttavia, a nessun studioso dell’argomento in oggetto è mai sembrato eludibile il tentativo di ricostruire i contenuti dell’onore come bene giuridico penalmente tu- telabile, soprattutto in tempi di accesa discussione politico criminale su evoluzioni nomodinamiche nella tipologia di tutela; a questa prova non si sottrae neanche il più recente contributo in materia, proveniente da Arianna Visconti, che ci sembra per- venire a conclusioni più chiare, nell’ingente contesto di pensiero penalistico passato in rassegna. È certo che, al di là delle definizioni contingenti, l’onore anche in pro- spettiva storica, appare sempre occupare una solida posizione centrale tra i diritti della persona, quale costante attributo di necessaria tutela.

Anche se non sempre esplicitato con la chiarezza di cui all’art. 5 della Grundge- setz tedesca, l’onore è accolto e riconosciuto dalle Costituzioni di molti Stati ed è con-

4Diffamazione e ingiuria (dir. pen.), in “Enc. dir.”, vol. XII, Milano, 1964, p. 483.

5 V. sul punto, A. VISCONTI, Reputazione, dignità, onore. Confini penalistici e prospettive politico criminali, Torino, 2018, p. 318.

6 Per l’uso di questa brillante espressione v. M. PAPA in “Fantastic voyage”, Torino, 2017, 55 e ss.

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templato nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” (art. 12)7 e nella “Con- venzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamenta- li”8 ove l’art. 10 pone la tutela della reputazione come limite alla libertà di espressione.

Ripensando le novelle che hanno interessato in quasi novant’anni il complessi- vo sistema normativo dei delitti contro l’onore si può aver l’impressione di un cospi- cuo quadro di interventi normativi e tumultuose proposte di riforma, solo abortite, in una mutazione di contesti cronologici assai vistosa, sia sotto il profilo politico isti- tuzionale, che sotto quello socioculturale e tecnologico. Nell’impossibilità di ricorda- re qui tutti gli interventi riformatori, si ricordi che essi cominciano subito nel 1944 con la reintroduzione della “Exceptio veritatis”, e poi ancora nel 1948 con la legge sulla stampa. Via via si sommano altre significative novelle, per giungere all’ impor- tante interferenza sanzionatoria del d.lgs. n. 274/2000 che con l’introduzione della competenza penale del giudice di pace interessa in maniera decisiva le pene previste per l’ingiuria, anche aggravata e per la diffamazione semplice e aggravata dal fatto determinato. Le molteplici riforme, assai spesso solo abortite, culminano con il d.lgs.

n. 7/2016, recante la trasformazione del delitto di ingiuria in illecito civile tipizzato, sanzionato con pene pecuniarie “civili”, ma intatto nella originaria struttura descrit- tiva di fattispecie: con questo intervento le proposte depenalizzatrici, futuribilmente avanzate da una parte della dottrina quasi trent’anni anni prima, hanno visto un principio di realizzazione.

Nonostante il fermento novellistico appena evocato, ci sembra condivisibile la recente affermazione della Visconti, per cui non può dirsi che sia incisivamente mu- tata la caratterizzazione complessiva del bene onore nel nostro ordinamento, nei confini di tipicità tra ingiuria e diffamazione (anche se ormai appartenenti a diversi settori di illecito), e nel perdurante deficit di determinatezza.

Ricostruire con maggior precisione il contenuto del bene onore appare tuttavia questione della massima importanza. La tutela sanzionatoria dell’onore presuppone, per sua intima essenza, un bilanciamento delicatissimo, che incide su beni primaria- mente caratterizzanti lo Stato liberaldemocratico e pertinenti alla libertà di manife- stazione del pensiero, di informazione, di critica politica, e ricerca scientifica. E se per questi motivi appare comprensibile l’invito a non enfatizzare le “questioni di o-

7 Art. 12 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, (ratificata dall’Italia con L.

25/10/1977, n. 881): «nessuno può essere sottoposto … a illegittime offese al suo onore ed alla sua re- putazione. Ogni individuo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze ed offese».

8 Art. 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fonda- mentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848.

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nore”,9 ci sembra che, oggi più che mai, il bene in oggetto, depurato di significati ob- soleti ed anacronistici, rivesta una funzione essenziale nelle dinamiche relazionali della società moderna, quale presupposto protettivo della personalità per una positi- va e rispettosa attuazione di connessioni interindividuali10. La reputazione non è mai stata così centrale come nell’attuale struttura delle relazioni sociali fondate sui temi dell’informazione e delle comunicazioni, e su un tipo di attore che è stato definito

“soggetto reputazionale11. Quest’ultimo si determina razionalmente tenendo conto delle conseguenze delle proprie azioni sulla rete sociale, «che ci riconosce e che con- tribuisce a stabilire la nostra identità, una rete che ogni nostra azione perturba e mo- difica. Gli individui agiscono per proiettare un’immagine sociale che contribuisce a dar loro un’identità»12.

2. Le singole concezioni storicamente avanzate

Lo spazio di questa relazione non consente di ripercorrere, come la dottrina ha già più volte diffusamente svolto13 una disamina delle varie concezioni che hanno storicamente colorato di diversi significati la nozione del bene “onore”. Si può forse tentare una rapsodica evocazione del percorso dottrinario che ha riscattato l’onore da significati desueti, sino alle più recenti acquisizioni.

La strutturazione nel 1930 delle norme ancor parzialmente vigenti al capo dei

“delitti contro l’onore” riflette, com’è noto, una concezione, detta “fattuale” del bene onore, (ed una sua tutela formale) come nettamente spiegato nella Relazione ministe- riale al progetto definitivo di un nuovo codice14. Il contenuto del bene in parola fa ca- po ad una realtà fenomenologico-psicologica, il sentimento, che si identifica a seconda delle due cadenze, ora con l’opinione che il soggetto ha di sé (ingiuria), ora con

9 Così S.LUPO, La verità della ricerca e la verità delle istituzioni, in AA.VV., Libertà di informazio- ne, di critica e di ricerca nella transizione italiana, a cura di C. Riolo, Palermo, 2004, p. 89 e ss.

10 Sul valore sociologico del bene onore v. G.SIMMEL, Sociologia, Torino, 1998, p. 372 e ss. e di re- cente G.ORIGGI, La reputazione. Chi dice che cosa di chi, Milano, 2016.

11 G.ORIGGI, op. cit., p. 196.

12 G.ORIGGI, op. cit., p. 196. Soggiunge quindi l’Autrice: «Ciò che si dice di noi, ciò che si dice del- le cose, è tutto ciò che ci permette di conoscere e riconoscere il mondo, perché essere è essere un va- lore in un ranking, in un sistema che permette di fare paragoni. Essere è poter essere comparati», op.

ult. cit., p. 190.

13 V. in particolare, E.MUSCO, op. cit., p. 1 e ss.; A.VISCONTI, op. cit., p. 335 e ss.; e sia consentito rinviare anche alle nostre sintesi in L’oggettività giuridica di categoria, in F.BELLAGAMBA,R.GUERRI- NI, I delitti contro l’onore, Torino 2010, p. 1 e ss.

14Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, II, Roma, 1929, p. 402.

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l’opinione che gli altri hanno del valore del soggetto stesso. Quindi si tratterebbe di onore in senso soggettivo, come sentimento del complesso delle qualità che il destina- tario dell’epiteto ingiurioso si auto-attribuisce, all’interno dell’immagine che ha di sé, come autorappresentazione della propria identità. Nella diffamazione, verrebbe in considerazione l’onore in senso oggettivo, o reputazione, che solo può essere leso di fronte a terze persone, con la diminuzione del senso di stima che altri hanno del sog- getto passivo riguardo alle qualità che gli vengono da altri attribuite. Gli insuperabili vizi di tale concezione (a cui corrisponde anche un’ inesatta tipizzazione dei confini tra le due fattispecie di ingiuria e diffamazione, ove la presenza di più persone è con- templata come aggravante dell’ingiuria, anche oggi come illecito civile tipizzato) furo- no chiaramente individuati nella pericolosa soggettivizzazione relativistica del bene giuridico, e quindi nella conseguente indeterminatezza di fattispecie, oltre alle forti la- cune di tutela che essa implicava, non ovviabili neanche attraverso forzature domma- tiche. In derivazione dalla dottrina tedesca15 si fa quindi strada una concezione norma- tiva, dell’onore come valore non appartenente alla realtà fenomenica, ma appunto un valore della persona umana, che esiste a prescindere dall’opinione del soggetto offeso o di terzi nei suoi confronti. La concezione normativa assume quindi due diverse diret- trici, che pongono l’accento su profili diversi legati alla tipologia di valore: secondo la prima variante, detta “sociale”, l’onore sarebbe entità di carattere puramente sociologi- co, che nella società trova quindi la sua fonte. L’onore viene negato o attribuito alla persona non in quanto tale, ma nel complesso delle relazioni sociali in cui essa è av- vinta, e quindi dalla società ascritto con il risultato di un’illimitata parcellizzazione di significati coincidenti con i vari status sociali, che pertengono al singolo. Il rischio de- generativo di tale variante, consiste nel rendere l’onore della singola persona total- mente dipendente dai vari finalismi statuali. In quanto concezione utilitaristica, essa può dar luogo, (oltre all’inconveniente della frammentazione, per status, utilità sociali e diversi gruppi che l’onore attribuiscono) soprattutto alla riduzione o negazione dell’onore in capo a soggetti totalmente appartati dalle varie articolazioni sociali, ma soprattutto al diniego di tale attributo della persona verso individui valutati come so- cialmente inutili o dannosi16. Si ricordi, come esempio ammonitore, il tragico scivola-

15 Significativamente, H.J. HIRSCH, Ehre und Beleidigung, Karlsuhe, 1967; J. TENCKHOFF, Die Be- deutung des Ehrbegrifs, für die Systematik der Beleidigungstatbestände, Berlin, 1974.

16 Il richiamo dei principali sostenitori di questa concezione illumina di per sé sulle possibilità de- generative ed i pericoli insiti nella variante sociale della concezione normativa/valoriale di tipo socia- le: R. FREISLER, Gedanken zum Gemeinschaftsehrenschutz, in “Deutsche Justiz”, 1936; G.DAHM, Der strafrechtliche Ehrenschutz der Familie, in “Juristische Wochenschrift”, 1936. V. le considerazioni

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mento della concezione normativa/sociale nell’utilitarismo sociale nazional socialista com’è stato esemplarmente illustrato da Musco.

Appare quindi, in anni di ritorno a valori liberal democratici, un’ulteriore con- cezione, detta di tipo morale, che vede l’onore come un attributo originario della persona umana, ad essa pertinente in quanto tale, a prescindere da giudizi sociali di merito/demerito e da considerazioni social-utilitaristiche. L’onore appare finalmente collegato, o accostato, in maniera chiara al concetto di dignità della persona, quale aspetto originario ed intrinseco della natura umana, e rispetto ad esso il ruolo della società viene traslato da quello di fonte a semplice luogo, entro il quale la pretesa alla tutela dell’onore deve trovare attuazione17. Il progresso di questa tappa del pensiero penalistico in tema di bene/onore è assai consistente; l’aggancio alla dignità della persona lo affranca da ogni prospettiva utilitaristica, cade ogni soggettiva prospettiva psicologistica, così come la frammentazione moltiplicativa, e si colmano tradizionali vuoti di tutela. Ma ancora sembrano alla dottrina più attenta elevabili rilievi incen- trati sul fatto che il richiamo ad una morale fondante sembra recapitare alternativa- mente o in una nozione assoluta ed eterna, ma in realtà astratta e non chiaramente afferrabile, oppure in una “morale storica, contingente, variabile e socialmente in- fluenzabile, fragile e manipolabile”. Non riuscendo neppure a distinguere chiara- mente il rapporto tra onore e dignità, concetti quasi sostituibili, la concezione mora- le fallisce nello scopo di conseguire un concetto universalmente valido, e costruisce anch’essa «un bene giuridico inutilizzabile» (Manna).

La necessità di coniugare fatto e valore, dimensione effettuale e dimensione as- siologica, ha dato luogo ad un’ulteriore impostazione, di carattere misto, eclettica, o normativo-fattuale, che vede l’onore come bene giuridico in sé complesso (Engisch18), caratterizzato da due volti, quello del valore interno a ciascun uomo (aspetto normati- vo-morale) e quello della buona reputazione di cui egli gode agli occhi degli altri (ver- sante fattuale-sociale). In base ad analogo metodo eclettico si è mosso, sempre in Ger- mania (Schmid19) chi vede, nel quadro dei valori costituzionali, l’onore come manife-

sulla stupefacente degenerazione assunta dalla concezione normativa nel suo scivolamento verso strumentazioni utilitaristiche tipiche della tragica concezione sociale del nazismo in E.MUSCO, op. cit., p. 39 e ss.

17 V. diffusamente, A. JANNITTI PIROMALLO, Ingiuria e diffamazione, Torino, 1953.

18 V. K.ENGISCH, Bemerkungen über Normativität und Faktizität im Ehrbegriff, in “Festschrift für Lange”, Berlin, 1976, p. 401 e ss.; H.OTTO, Persönlichkeitsschutz durch strafrechtlichen Schutz der Ehre, in “Festchrift für Schwinge”, Koln, 1973, p. 71 e ss.; su cui A.MANNA, op. cit., p. 219.

19 K.SCHMID, Freiheit der Meinungsäusserung und strafrechtlicher Ehrenschutz, Tübingen, 1972, diffusamente trattato in E.MUSCO, op. cit., p. 141 e ss.

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stazione della dignità umana e forma della personalità, con un successivo distinguo tra profilo statico (e costante) e profilo dinamico e quindi variabile. Il primo attiene a quella misura minima di onore che è data dal valore di ogni persona in quanto tale, innegabile ed intangibile, e che recapita nel concetto di dignità umana; il secondo pro- filo attiene a quell’ulteriore sviluppo del valore personale che l’individuo acquisisce per valutazioni morali e sociali con la propria condotta e che viene appunto inquadra- to come onore sociale. L’autorevole critica che Musco opporrà a questa ricostruzione bipartita si incentra sulla sostanziale unitarietà del bene onore: «il fatto che l’uomo è persona e cioè un in sé, una unità in sé compiuta, uno scopo in sé, non implica infatti che egli sia una entità presociale, a cui, poi, in un secondo momento, va aggiunto l’aspetto sociale, con i propri attributi e le proprie definizioni».

La svolta forse più decisiva nel percorso della riflessione penalistica sul bene dell’onore avviene verso la metà degli anni settanta, allorché Musco eleva l’individuazione del contenuto del bene onore, coniugandolo imprescindibilmente con lo scenario dei valori costituzionali. Tale contributo si inquadra, com’è evidente, nel contesto del pensiero volto a legittimare l’intervento penalistico in generale con il riferimento all’oggettività giuridica primaria o costituzionale e mostra ampio ri- scontro in autorevole dottrina susseguente20. L’indirizzo verso l’orizzonte costituzio- nale consente di ricondurre il bene in oggetto alla luce personalistica di cui tutta la Costituzione è permeata, conferendo alla tutela dell’onore una giustificazione più certa di quanto ad es. prospettato nella concezione normativa-morale; la sistematica costituzionale non è più solo fonte di legittimazione dei limiti critici ed informativi alla tutela del bene, recapitanti nella libertà di manifestazione del pensiero, ma indi- ca anche un solido contenuto unitario al bene onore in sé, come valore tutelabile. Le norme costituzionali di riferimento sono talora l’art. 2 o, più persuasivamente il solo art. 3, con il riferimento alla pari dignità sociale. È nella lettura di quest’ultima nor- ma, guidata dalla riflessione esegetica di Carlo Esposito che si coglie chiaramente l’aggancio costituzionale; per quest’ultimo la norma costituzionale che solennemente proclama la “pari dignità sociale” di tutti i cittadini implica necessariamente «che la società e ciascun membro di essa non si elevi mai, in buona od errata fede, a giudice dell’ altrui indegnità, e che non esprima mai con atti o con le parole, direttamente o attraverso il riferimento di determinati fatti ritenuti spregevoli, valutazioni negative sulle persone»21. Nel rinnovato bene, che finisce per coincidere con l’onore-dignità

20 F.MANTOVANI, Delitti contro la persona, Padova 2005, p. 200.

21 C.ESPOSITO, La libertà di manifestazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano, 1958, p. 44.

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trova perciò giustificazione la tutela di tutto ciò che «storicamente e materialmente è considerato essenziale alla dignità dell’uomo»22. Infatti la piena realizzazione umana, a cui la Costituzione ambisce, vuole che la persona singola, nella società dei pari, go- da di un ambito di autonomia, quale presupposto per la realizzazione libera ed origi- nale di sé. Tale autonomia deve quindi essere difesa dal potenziale distruttivo che i terzi nel contesto relazionale sono capaci di recare alla persona nella sua realizzazio- ne sociale. Di qui la necessità di un rapporto di riconoscimento tra i membri della società, che mira a garantire l’autonomia suddetta, e «che ha per contenuto il rispetto di tutto ciò che è essenziale al valore della persona come tale»23; per Musco «la viola- zione dell’onore è dunque, in ultima analisi, violazione del rapporto di riconosci- mento, che ha per contenuto la dignità sociale dell’uomo»24. L’onore degli uomini

“pari”, non significa però esclusione della tutela di qualità superiori, al valore-base della persona; accanto ad un onore minimo, comune a tutti gli uomini, ben può con- figurarsi un onore specifico, tutelabile in capo a certe categorie di persone (ad es.

l’accusa di parzialità o ideologizzazione rivolta ad un magistrato, che risulterebbe in- differente rispetto ad un politico).

Un ulteriore contributo di precisazione del bene onore-dignità, viene offerto da Mantovani25, il quale oltre ad aderire al suo implicito riconoscimento costituzio- nale, legge nella Carta anche ulteriori elementi utili a caratterizzarne più da vicino il contenuto della possibile tutela, legandolo a parametri normativi. Alla dimensione offensiva dell’onore-dignità dovrebbero così essere ricondotti tutti i giudizi che con- siderano il relativo destinatario, nel suo modo di essere o di operare, in contrasto non soltanto con altri valori personali costituzionalmente significativi, (vita, libertà sessuale, incolumità individuale), ed anche con valori giuridici (beni ambientali, pie- tà per i defunti o per gli animali), o socioculturali (qualità morali, intellettuali, fisi- che, psichiche, caratteriali, professionali) dell’individuo, che risultino costituzional- mente non incompatibili, e comunque essenziali per la valorizzazione sociale della persona, consentendo una sicura delimitazione dell’onore tutelabile, almeno in nega- tivo. L’onore-dignità, ricostruito secondo le suddette cadenze costituzionali viene ri-

22 ID., p. 44, in nota: «appunto perché la Costituzione divieta in maniera diretta e specifica all’art. 3 giudizi di indegnità (e la pari dignità non è solo un ideale o un fine da raggiungere) quell’articolo e- sprime un limite alla libertà di manifestazione di giudizio e pensiero garantita generalmente dall’art.

21».

23 E.MUSCO, op. cit., p. 146.

24 Ancora E.MUSCO, op. cit., p. 147.

25 F.MANTOVANI, Diritto penale. Delitti contro la persona, cit., p. 201 e ss.

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conosciuto come bene unico, declinabile solo secondo le modalità di lesione: non è tanto la percezione in presenza che riesce a dar conto della progressione di tutela, ma la progressiva maggiore ampiezza della violazione del rapporto di riconoscimen- to, che già viene anticipato dalla vecchia aggravante di cui all’art. 594, comma 4, c.p., oggi trasfusa nell’art. 4, comma 4, lett. f, del d.lgs. n. 7/2016, istituente l’illecito civile tipizzato. Inoltre, l’onore-dignità sembrerebbe richiedere in linea di principio una tutela formale più che sostanziale, infatti esso, in quanto attributo della persona, be- ne innato, innegabile e ingraduabile, deve ricevere tutela obiettivamente e formal- mente, a prescindere dalla falsità o veridicità della dichiarazione offensiva26. L’onore come bene della personalità costituzionalmente rilevante riesce infine ad escludere ogni vuoto di tutela che caratterizza alcune delle concezioni precedenti, pertinendo indiscriminatamente ad ognuno, ed indipendentemente anche dalla percezione con- creta dell’addebito o della sua stessa percepibilità dovuta a condizioni di handicap, ed anche dall’effettività del merito concreto. Nonostante questi riconosciuti progressi e delimitazioni, la dottrina specialistica ha continuato a rilevare un difetto di determina- tezza ed obiettività, anche perché i parametri indicati dal Mantovani come implicita- mente garantiti, o almeno non incompatibili, con la Costituzione, continuerebbero a rappresentare «un criterio identificativo estremamente sfumato, per non dire evane- scente» - rileva ancora recentissimamente la Visconti27- perché tali connotati non ca- ratterizzano che pochi beni.

Altra teoria di origine tedesca prospetta un diverso approccio di carattere socio- logico-funzionale volto ad enfatizzare la dimensione sociale dell’onore medio o mini- male, inteso quale realtà psichica che assolve alla funzione di presupposto della comu- nicazione e si sostanzierebbe nella «capacità di un uomo di soddisfare quelle aspettati- ve normative alle quali egli deve saper corrispondere per essere accettato come partner paritario in un rapporto comunicativo», distinguendosi un onore esterno, come corri- spondenza alle aspettative dei consociati ed un onore interno parametrato sulla corri- spondenza a criteri normativi autoimposti dall’individuo28. Ma anche l’impostazione

26 Già in questo senso v. A.MORO, Osservazioni sulla natura giuridica della exceptio veritatis, in

“Riv. it. dir. proc. pen.”, 1954, p. 7.

27 A.VISCONTI, op. cit., p. 390; malgrado i suoi meriti, la concezione personalistica costituzional- mente orientata, non sembra a quest’ultima, che riesca a conferire al bene onore sufficiente determi- natezza e obiettività anche in positivo, p. 391.

28 K.AMELUNG, Die Ehre als Kommunikationsvoraussetzung. Studien zum Wirklichkeitsbezug des Ehrbegriffs und seiner Bedeutung im Strafrecht, Baden Baden, 2002, p. 10 e ss.; sul punto v. anche A.

MANNA, Beni della personalità, cit., p. 225 e ss.

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sociologico-funzionale sembra implicare un inaccettabile margine di incertezza so- prattutto per quanto riguarda il concetto di onore minimale, e la sua concretizzazione,

«giacché essa non può che essere fatta dipendere da aspettative sociali storicamente condizionate, fluide e variabili, oltre che potenzialmente frammentate, ancor più in una società pluralista»29. Questa perdurante situazione di ritenuta incertezza spinge ta- luno a rinunciare a definizioni contenutistiche in positivo, accontentandosi di delimi- tare in negativo i confini dell’onore tutelabile, nello specifico della diffamazione:

l’onore in quest’ottica, non viene considerato come bene in sé concluso ed autosuffi- ciente, ma evincibile in codeterminazione con altri diritti fondamentali costituzional- mente rilevanti, come risultato di un’opera di bilanciamento con questi ultimi (libertà di manifestazione del pensiero: diritto di cronaca e di critica) che al loro interno assu- merebbero l’onore quale mera componente non autonoma ma meritevole di tutela con solo riferimento alle ipotesi in cui siano valicati i limiti apposti dall’esercizio dei diritti costituzionali concorrenti30. A questo proposito, tutti e tre i parametri della verità, del- la continenza e pertinenza sarebbero, per questa ultima concezione, da ricondurre al livello della tipicità della diffamazione31.

Ma, inevitabilmente, anche questa impostazione ricade in fondate critiche, in quanto nega l’autonomia e di fatto la stessa esistenza di un bene definibile come ono- re/reputazione, svalutando la dimensione di offensività32, oltre che destare dissensi sul ruolo dogmatico da assegnare alla verità dell’addebito33.

La sinossi delle impostazioni teoriche che hanno sostenuto l’opera della dottri-

29 A.VISCONTI, op. cit., p. 369, 370; A.TESAURO, La diffamazione come reato debole e incerto, Tori- no, 2005, pp. 21 e 22; A.GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma, 2013, p. 25 e ss., anche per quest’ultimo nella concezione di Amelung «il vero termine di riferimento della tutela finisce con il divenire la comunità sociale e non la persona», riproponendosi infine tutti i limiti delle concezioni normativo-sociali, op. ult. cit., p. 26.

30 A.TESAURO, op. cit., pp. 23, 24. Per lo stesso, tuttavia, «l’onore rappresenta un’istituzione sociale che concorre insieme con l’etica e con il diritto a garantire la conservazione e la coesione interna dei gruppi sociali, agendo da fattore preventivo delle violazioni alle regole di vita dei gruppi», op. ult. cit., p. 7.

31 Secondo l’immagine brillante, ma poco persuasiva, di una “tipicità on balance”, A.TESAURO, op.

cit., p. 26, rinuncia alla costruzione di una fisionomia criminosa stabilmente definitiva, in favore di

«diversi ‘bilanciamenti di risultato’ che di volta in volta la giurisprudenza stabilizza in rapporto ai vari casi generici prospettabili in tale generico ambito (per esempio cronaca, critica, critica politica, stori- ca, scientifica, artistica, satira, intervista)».

32 A.GULLO, op. cit., p. 29: «L’idea allora, di negare la stessa esistenza di un’offesa all’onore allorché la condotta comunicativa debba considerarsi lecita in nome della libertà di espressione finisce per guardare soltanto al saldo finale del bilanciamento, occultando indebitamente agli occhi dell’osservatore il costo della condotta in termini di lesione del diritto individuale all’onore, ridotto a quantité négligeable dal punto di vista giuridico».

33 A.VISCONTI, op. cit., p. 395; A.GULLO, op. loc. ult. cit.

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na nel tentativo di ricostruzione del bene giuridico onore risulta certamente incom- pleta, data la vastità dell’orizzonte, storico e comparatistico, ma il dato di fondo ed ormai acquisito che si può ricavare dai più alti e condivisibili sviluppi è che l’elevazione del discorso a livello di oggettività costituzionali sembra aver legato per sempre l’identificazione dell’onore con il dato costituzionale della dignità, fino ad at- tuare una sostanziale identificazione dell’uno nell’altra.

Non sarebbe completo il panorama senza dar conto di un recentissimo con- tributo, di ingente consistenza ed eclettico fondamento su basi storico filosofiche, psicosociologiche e comparatistiche, oltre che ovviamente sul riconoscimento della matrice costituzionale del concetto di dignità personale. Senza sminuire tale im- prescindibile referente, A. Visconti34 giunge infatti a ritenere che onore e dignità siano in realtà concetti da distinguere, sia nell’ottica dell’esegesi delle norme di tu- tela penale vigenti, ma soprattutto de jure condendo, per conseguire un rafforza- mento, ma anche nello stesso tempo una delimitazione ragionevole della tutela pe- nale, prefigurando una vera e propria bozza di articolato sulla scia della riforma del delitto di diffamazione. Per l’Autrice, il concetto costituzionalizzato di dignità ri- mane un qualcosa di comunemente percepito, ma assai difficile da spiegare conte- nutisticamente «tanto profondo e ampio nelle sue implicazioni valoriali e giuridi- che, quanto (per ciò stesso) difficile da contenere e ‘cristallizzare’ in una esatta e puntuale concettualizzazione». Ed infatti il miglior modo per afferrarne il contenu- to in maniera chiara è quello di procedere “in negativo”, tramite le sue aggressioni, materializzandolo «attraverso ciò che alla dignità umana risulta contrario: offesa e umiliazione»35. D’altra parte, la dignità personale, connotata dagli attribuiti difensi- vi di intangibilità ed inalienabilità, risulterebbe essere concetto non scalare, e non potrebbe essere «diminuita o aumentata nella sua quantità o intensità in nessuna persona», tramite azioni umane, proprie o altrui, né con qualificazioni di scalarità graduale. Una prima risposta sembra però già contenuta nel pensiero di Musco, al- lorché quest’ultimo tiene a chiarire che la violazione offensiva dell’onore/dignità deve essere intesa solo come «lesione di interessi e delle pretese che discendono da situazioni ideali»36. Il lavoro della Visconti tenta anche una ricostruzione dei fon- damenti filosofici del concetto di dignità, e dell’esistenza di un diritto basilare di

34 A.VISCONTI, op. cit., segnatamente, v. cap. V: Verso una nuova concezione dell’onore e della re- putazione, p. 505 e ss.

35 Ancora A.VISCONTI, OP.cit., p. 509. Nello stesso senso v. A.HONNETH, Riconoscimento e di- sprezzo. Sul fondamento di un’etica post-tradizionale, Messina, 1993, p. 16.

36 E.MUSCO, op. cit., p. 46.

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ogni uomo “ad essere rispettato in quanto tale”, sia pure in quei termini minimali che scaturiscono da un’identificazione per via negativa. Tuttavia, per l’Autrice la dignità umana non si presta tanto ad essere costruita come un diritto, quanto come

«caratteristica intrinseca e coessenziale dell’essere umano, dalla quale i diritti fon- damentali della persona discendono necessariamente»37; ma neanche sembra alla stessa accettabile la qualificazione della dignità come bene giuridico in senso pro- prio38, nonostante il suo indiscusso rilievo costituzionale, non essendo idonea ad o- rientare (con il suo riferirsi al valore “assoluto, unitario e globale dell’uomo”) la co- struzione di «specifiche, puntuali e autonome scelte politico criminali»39. Non mancano d’altra parte moniti di autorevole dottrina volti alla cautela nell’utilizzo della categoria dignità come oggetto di fattispecie incriminatrici senza ulteriori specificazioni: ci ricordava Palazzo che in tal modo verrebbe a mancare «la neces- saria concretizzazione dell’interesse e dell’offesa, che si pone quale necessario co- rollario di fondamentali esigenze garantistiche»40. È stato efficacemente evidenzia- to da De Francesco come la dignità umana possa ben evocare «una carica ideale di particolare intensità, un’ansia teleologica destinata ad attingere – si potrebbe dire – addirittura il piano del sacro», e proprio per questo rischi di suscitare la soccom- benza di «qualsiasi altro interesse potenzialmente in conflitto». La dignità umana appare quindi potersi atteggiare – almeno in linea di principio – soltanto come «u- na sorta di involucro o di sintesi categoriale, la quale per sostanziarsi di contenuti, ha bisogno di essere nutrita, implementata, modellata con lo scalpello della tipici- tà»41. In uno sforzo di concretizzazione la Visconti propone di considerare una dif- ferenziazione tra dignità ed onore. La prima costituisce infatti un concetto ampis- simo, fino all’indeterminatezza, ma fondamentale in sé e come matrice di «ricono- scimento di beni (propriamente intesi) più circoscritti e specifici, a loro volta di grande rilievo per la persona, come appunto l’onore, riconducibile alla stimabilità sociale, bene esteso e polimorfo che al di là della confusa commistione nell’attuale

37 A.VISCONTI, op. cit., p. 536.

38 Ciò apparirebbe comprovato per la VISCONTI, da caratteristiche intrinseche della stessa dignità umana: vaghezza e volatilità concettuale, (pur nella prevalente percezione di essa come valore), talché solo in negativo possono esserne definiti i contenuti; la ridetta intangibilità è contrastabile, ma non sminuibile o annientabile da varie forme di negazione aggressiva, op.cit., p. 541.

39 A. VISCONTI, op. cit., p. 541.

40 F.PALAZZO, I confini della tutela penale: selezione dei beni e criteri di criminalizzazione, in

“Riv. it. dir. proc. pen.”, 1992, p. 453.

41 G.A. DE FRANCESCO, Una sfida da raccogliere: la codificazione delle fattispecie a tutela della persona, in AA.VV., Tutela penale della persona e nuove tecnologie, a cura di L. Picotti, Padova, 2013, p. 11 e ss.

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legislazione tra dignità e lo stesso onore, potrebbe de jure condendo essere inteso come reputazione (magari comprensiva della riservatezza), selezionata con riferi- mento ai più significativi dei suoi aspetti individuali e sociali»42. Solo l’onore inteso come reputazione (connessa a stima/stimabilità) sembra per l’Autrice prestarsi alla ricostruzione delle fattispecie penali di diffamazione, peraltro in chiave esclusiva- mente “sostanziale” mentre la dignità di per sé, dovrebbe rimaner fuori dalla tutela penale per la sua intrinseca indeterminatezza e volatilità (salvo eccezioni costruibi- li in forma circostanziale rispetto all’offesa dell’onore/reputazione). La soluzione dei problemi garantistici di determinatezza viene infine affidata, a livello di rifles- sione puramene teorico-ipotetica, ad un tentativo di riempimento dei contenuti della “stimabilità”, oltre i vaghi valori “etico-sociali”43, per conseguire una maggio- re determinazione, e quindi una delimitazione dell’onore/reputazione, «in funzione di una maggiore chiarezza e di una più spiccata offensività, delle ipotesi di lesione dell’onore penalmente sanzionate, con un correlativo ampliamento della sfera di azione esclusiva del diritto civile»44.

3. La tutela penale dell’onore: una parabola in ormai avanzata fase discendente La storia del pensiero penalistico in materia di tutela del bene-onore e i corri- spondenti assetti normativi ci sembra possano essere rappresentati graficamente co- me una parabola. L’onore, ricordiamo si colloca in prima posizione nell’ambito della più risalente riflessione ottocentesca in tema bene giuridico; successivamente con il testo originario del codice Rocco, libro II, titolo XII, capo II, sembra raggiunto il ver- tice della sua tutela con l’ampio uso della pena detentiva nell’apparato sanzionatorio di ingiuria e diffamazione, alternativamente o cumulativamente prevista alla pena pecuniaria, e con una tutela del bene in oggetto nella sua esclusiva versione ”forma- le”, non riproducendosi in origine alcuna possibilità di “exceptio veritatis”.

L’importante orientamento dei contenuti dell’onore rispetto alla tavola dei valori co- stituzionali e la chiara focalizzazione negli anni 70 di un rilievo costituzionale impli- cito, vede tuttavia affacciarsi in maniera significativa ed autorevole anche proposte di destrutturazione della tutela penale, con nomodinamiche sanzionatorie orientate, in misura diversa, verso forme di tutela civilistica. Secondo una prima e più netta op-

42 A. VISCONTI, op. cit., p. 575 e ss.

43 A. VISCONTI, op. cit., p. 607 e ss.

44 A. VISCONTI,op. cit.,p. 608.

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zione, rilevandosi una persistente inafferrabilità del bene onore, con sporadicità ed incertezza della pena e quindi grave ineffettività della tutela penale, (comprovata da analisi statistiche e sociocriminologiche), si sarebbe dovuto procedere ad una radica- le depenalizzazione dei delitti contro l’onore45 già alla fine degli anni ottanta. Alla depenalizzazione avrebbe dovuto corrispondere la relativa previsione, all’interno del codice civile, «di altrettante ipotesi tipiche di illeciti civili, ovviamente extracontrat- tuali, da situare dopo quelli al nome ed all’immagine, ed aventi ad oggetto appunto il diritto all’onore», con simultanea riforma del regime relativo al risarcimento dei danni non patrimoniali ex art. 2059, rendendolo estensibile alla lesione di ogni bene della personalità.

Una depenalizzazione soltanto parziale veniva invece prospettata46 nel contesto di una riflessione sulla perseguibilità a querela, fondandosi sul principio di proporzio- ne (piuttosto che di sussidiarietà47): l’intervento depenalizzatorio veniva quindi auspi- cato con riferimento alle ipotesi di diffamazione con attribuzione di un fatto determi- nato per cui la vittima non si avvalga dell’exceptio veritatis e ai casi di ingiuria in pre- senza del solo soggetto passivo o commessa con comunicazione a questi diretta.

Il dibattito penalistico nel suo complesso vedeva anche sollecitazioni contrarie volte verso un potenziamento della tutela penale, con anche il conio di nuove fatti- specie, come “la diffamazione colposa” e la “omessa rettifica”, per fronteggiare il de- grado percepito nei mezzi di informazione. Così come anche l’ipotesi di una tutela meramente privatistica trovava oppositori che prefiguravano in tale operazione no- modinamica un risultato di denegatio tutelae48 in danno soprattutto delle vittime più deboli, culturalmente ed economicamente.

In questo scenario di discussa persistenza della tutela penalistica interviene l’importante riforma di cui al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, che per le fattispecie incluse nel nuovo mi- crosistema sancisce il congedo dalla pena detentiva in senso stretto: com’è noto la ri- forma include i delitti di ingiuria e diffamazione (limitatamente ai commi 1 e 2

45 Si tratta della nota ed anticipativa impostazione di A.MANNA, Beni della personalità, cit., p. 710 e ss.; v. anche M. DE NIGRIS SINISCALCHI, Osservazioni in tema di diffamazione a mezzo stampa, in

“Cass. pen.”, 1983, p. 611.

46 F.GIUNTA, Interessi privati e deflazione penale nell’uso della querela, Milano, 1993, p. 18.

47 V. F.PALAZZO, I criteri di riparto fra sanzioni penali e sanzioni amministrative (dalle leggi di depenalizzazione alla circolare della Presidenza del Consiglio), in “Indice pen.”, 1986, p. 46 e ss.; sul principio di proporzione in generale v. le belle pagine di quest’ultimo Autore in Corso di diritto pena- le. Parte generale, Torino 2016, p. 29 e ss.

48 G.MARINI, Delitti contro la persona, Torino, 1996, p. 199.

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dell’art.595 c.p.) Senza degradare questi illeciti a rango amministrativo, viene noto- riamente prefigurato per essi un regime sostanzial-processuale, che implica il ricorso alla pena pecuniaria o nei più gravi casi, una sanzione paradetentiva (permanenza domiciliare e lavoro di pubblica utilità), in quanto non sia andato a buon esito l’obbligatorio tentativo di conciliazione e non abbiano funzionato le particolari vie di definizione alternativa del procedimento di cui agli artt. 34 e 35 del citato decreto, anticipazioni delle note e più consistenti “riforme Orlando”. Pur nel formale diniego di alternative alla giustizia penale, i delitti contro l’onore sopra citati venivano co- munque trattati con un declino di forza repressiva e collocati, come è stato ben det- to, in una specie di “intercapedine operativa”49 tra il diritto penale in senso più pro- prio ed il diritto punitivo amministrativo. Ferma rimane la competenza del Tribuna- le in composizione monocratica per i delitti di diffamazione a mezzo stampa, radio- televisione, Internet o altro mezzo di pubblicità, per i quali, considerata l’alta incisi- vità offensiva, o addirittura la devastazione, rispetto agli interessi personalistici sotte- si all’onore, il legislatore del 2000 ha ritenuto opportuno lasciare intatta la risposta penalistica tradizionale50 con il corrispondente regime sanzionatorio.

In un’ormai avanzata fase discendente della parabola di tutela sanzionatoria, si inserisce da ultimo la riforma di cui al d.lgs. n. 7/2016 che, in esecuzione della legge delega n. 67/2014, introduce la sensazionale novità dell’illecito civile tipizza- to, con note ed importanti ricadute in tema di tutela dell’onore. Ricordiamo infatti che in quell’esiguo numero di fattispecie incriminatrici che la suddetta legge ha de- stinato ad abrogazione (un “drappello di delitti” dice efficacemente Padovani) è contenuta l’ingiuria, in ogni sua possibile declinazione di gravità. Il senso politico- criminale di questa scelta è espresso nella “Relazione illustrativa”51 del decreto legi-

49 V. F.GIUNTA, Un primo bilancio applicativo della giurisdizione di pace, in AA.VV., La compe- tenza civile e penale del giudice di pace. Bilancio e prospettive, a cura di G. Fornasari e M. Marinelli, Padova, 2007, p. 104 e ss. V. anche sul significato generale del trattamento sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 274/2000, A. VISCONTI, Reputazione, dignità onore, cit., p. 327 e ss., per la quale il d.lgs.

n. 274/2000, includendo talune fattispecie a tutela dell’onore nel nuovo regime sanzionatorio, ha ope- rato anche una mutazione «sull’effettivo giudizio astratto di disvalore delle relative fattispecie, da quel momento di fatto non più soggette a pena detentiva»; v. anche A.DI MARTINO, Sanzioni irrogabili dal giudice di pace, in AA.VV., Le conseguenze sanzionatorie del reato, a cura di G.DE FRANCESCO, Tori- no, 2011, p. 166 e ss.

50 V. A. VISCONTI, Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino, 2008, p. 250, la quale giustifica questi casi di persistenza della sanzione penale tradizionale, con la ritenuta incapacità di certe vittime di autotutelarsi, reagendo adeguatamente alle offese subite.

51 V: Relazione illustrativa al decreto legislativo di attuazione dell’art. 2, comma 3, lett. a), c), d) ed e) della l. 28 aprile 2014, n. 67, reperibile in www.governo.it, 1.

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slativo n. 7/2016: si tratta infatti di abrogare «alcune ipotesi delittuose previste nel codice penale a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio, che sono ac- comunate dal fatto di incidere su interessi di natura privata e di essere procedibili a querela, ricollocandone il disvalore sul piano delle relazioni private», considerando

«il ruolo tradizionalmente compensativo attributo alla responsabilità civile nel no- stro ordinamento, affiancando alle sanzioni punitive di natura amministrativa un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell’illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività dell’intervento penale». Le scelte normative sono cadute su fattispecie ritenute o- rami di «attenuata offensività e di minor allarme sociale, che come nel caso dell’ingiuria, del falso in scrittura privata, del danneggiamento semplice, si ritiene possano trovare adeguata e sufficiente tutela mediante sanzioni civili pecuniarie»52.

L’arduo compito di dare una compiuta consistenza normativa a quest’operazione è stato affidato, come sappiamo, alle prudenti mani della “Commis- sione ministeriale di studio presieduta dal prof. Francesco Palazzo”53. È questa anche la sede per rendere merito al lavoro della commissione suddetta ed al suo Presidente in particolare (ed al coordinatore della particolare sottocommissione che elaborò il disegno normativo raccolto nel d.lgs. n. 7/2016), per il raffinato lavoro svolto in un difficilissimo contesto di delega, connotato da un tenore assai vago e da lacune di presupposti indicativi molto consistenti. Si trattava di delineare la fisionomia di un istituto che non trovava sostanzialmente precedenti nel nostro ordinamento, deci- frando i vaghi intenti del legislatore e traducendoli in scelte tecnico-giuridiche plau- sibili ed efficaci, muovendo dal presupposto che il legislatore intendesse «introdurre nel nostro ordinamento una nuova categoria di illeciti, nella prospettiva della valo- rizzazione della funzionalità preventiva della responsabilità civile»54.

Basta ripercorrere le poche norme dedicate dalla l. 67/2014, per capire le diffi- coltà del lavoro di stesura del relativo decreto; in realtà il legislatore inserisce, dopo le disposizioni abrogative, pochissime indicazioni sulla fisionomia del futuro sistema, fino a ridurre la delega ad un vago desiderio di nuova normazione sanzionatoria, pi- lotato dall’indicazione nominalistica di “adeguate sanzioni pecuniarie civili”, neces- sariamente aggiuntive ed accessorie al diritto al risarcimento del danno (in sé prive

52Relazione illustrativa, cit., Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.), 2.

53 Tale commissione veniva istituita con decreto del Ministro della Giustizia del 27 maggio 2014.

54Relazione della Commissione ministeriale di studio presieduta dal prof. Francesco Palazzo, loc.

ult. cit., p. 4.

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di background sistematico) con prescrizione di necessaria ritipizzazione delle con- dotte abrogate e l’esplicitazione di alcuni criteri di commisurazione, fortemente in- centrati sul soggetto attivo, che, perlomeno, consentivano di cogliere nelle sanzioni istituende evidenti finalità punitive e marcatamente special-preventive55. Pur in tan- ta scarsezza di indicazioni orientative, le proposte della Commissione ci restituiscono un testo di decreto legislativo che delinea con ben maggiore chiarezza la fisionomia strutturale della nuova categoria sistematica di illeciti punitivi, operando scelte tec- niche equilibrate e condivisibili, spesso esposte al rischio dell’eccesso di delega, ma meditatamente rimaste entro tali limiti. Si ricordi come neppure risultassero in dele- ga indicazioni in merito alla fondamentale questione della concreta scelta dell’autorità destinata ad irrogare le nuove sanzioni pecuniarie, che coerentemente con la denominazione “civili”, sono state assegnate alla competenza del giudice civi- le, con relativo rito procedurale di cognizione, a sua volta caratterizzato da un (forse) sufficiente standard di garanzie56 atto a fronteggiare i parametri di sindacato delle giurisdizioni europee57. Soprattutto la legge delega non forniva alcuna precisazione riguardo al beneficiario delle sanzioni pecuniarie civili, e la scelta contenuta nel de- creto suddetto si è attestata condivisibilmente su una destinazione alla Cassa delle ammende, e quindi pubblicistica, in coerenza con la presenza nel quadro dell’illecito civile tipizzato, oltre della questione compensativa, di altra questione dalla marcata valenza punitiva-dissuasiva, indissolubilmente legata alla prima. A questo, tra altre scelte di pregio, può aggiungersi la chiara attribuzione del carattere personale della

55Appare evidente dai criteri di commisurazione in oggetto una sostanziale estraneità a significati di carattere meramente reintegrativo, risarcitorio. La spiccata concentrazione sul soggetto attivo con- sente di evocare l’autorevole insegnamento che in egregia sintesi ricorda come nella determinazione del danno da risarcire “tutto ruota attorno alla vittima”, e, per contro, “quante volte in sede giudiziaria si tenda ad inserire nella concreta determinazione della misura in questione qualcosa dell’autore, in particolare la sua colpevolezza, o le sue condizioni economiche, certo si compie un’operazione di stampo penalistico”, così M.ROMANO, Risarcimento del danno da reato, diritto civile, diritto penale, in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 1993, p. 875.

56 R.MARTINI, L’avvento delle sanzioni pecuniarie civili. Il diritto penale tra evoluzione e muta- zione, in “www.lalegislazionepenale.eu”, 28 settembre 2016, pp. 9,10.

57 Criteri fondamentalmente provenienti dalla sentenza della CEDU, nel caso “Engel”: v. C. Eur.

Dir. Uomo, Grande Camera, 23 novembre 1976, Engel e altri c. Paesi Bassi; successivamente, C. Eur.

Dir. Uomo, Grande Camera, 21 febbraio 1984, Oztürk c. Germania (entrambe in “www.echr.coe.int”, sezione “Judgments and decisions”); C. Eur. Dir. Uomo, sezione II, 4 marzo, Grande Stevens c. Italia, in “www.giustizia.it”, sezione “strumenti - sentenze CEDU”. Per l’ormai vasta dottrina sul tema ci li- mitiamo a rinviare agli importanti contributi da ultimo contenuti in AA.VV., La “materia penale” tra diritto nazionale ed europeo (Atti del convegno di Modena del 30, 31 marzo e 1° aprile 2017), a cura di M. Donini e L. Foffani, Torino, 2018.

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responsabilità in oggetto. L’analisi delle raffinate scelte che, nei limiti del costituzio- nalmente possibile, la Commissione Palazzo ha incarnato nel testo normativo del d.lgs. n. 7/2016 potrebbe continuare, ma l’oggetto di questa trattazione impone un ritorno alla questione centrale e cioè alla parabola di tutela del bene onore. È eviden- te dunque, dal 2016, che l’abrogazione del delitto di ingiuria è destinata ad incidere in maniera significativa sull’intensità della tutela prestata al bene onore. Di qui a dire che il bene onore, nelle cadenze tipizzatrici della vecchia ingiuria, ma esattamente riprodotte nell’art. 4, comma 1, lett. a), è ormai soltanto affidato alla tutela civile sa- rebbe decisamente fuorviante. Non è chiara la natura del nuovo illecito civile tipiz- zato, definito come: un prodotto «dell’arte combinatoria del legislatore» (Padovani),

«civile solo in rapporto al giudizio», essendo in realtà concepito in termini stretta- mente punitivi58; «tertium genus tra sanzione penale ed amministrativa di non facile decifrazione» (Palazzo59); creatura più che centauresca, e polireferenziale, (evocava- mo a proposito la triaca maxima, di alchemica memoria60, a cui si ben si accosta quale frutto estremo della fantasia legislativa nel parossistico perseguimento della defla- zione penale). Quello che risulta chiaro è che il legislatore non ha rimesso sempli- cemente alla tutela civile il bene onore nella ritipizzazione dell’ingiuria, ma ha prov- veduto ad aggiungere una tutela di rinforzo, forse di ibrida natura, ma di base punitiva.

La soluzione di alcuni dei conflitti sociali che coinvolgono il bene onore nella minore fascia di offensività, risulta quindi sottratta alla competenza del diritto penale, ed affi- data al contesto civile e processualcivilistico, ma con un irrobustimento dissuasivo demandato a sanzioni dai caratteri eminentemente punitivi e pubblicistici: «insomma:

un’abrogazione di delitti, poi rinforzata in ripensamento da un’ulteriore tutela, ultra- compensativa e di matrice prevalentemente penale, a creare un nuovo sistema di ille- citi punitivi di gravità intermedia, provvisto di garanzie tendenzialmente adeguate»61.

Di fondo, ed al di là di alcuni pregi tecnico-realizzativi, il giudizio su questa scelta politico criminale, non solo per quanto riguarda l’abrogazione dell’ingiuria, ma di tutto il “drappello di delitti”, prescelti dal legislatore delegante nel 2014, non è en-

58 T.PADOVANI, Ridurre l’area penale non ha effetti deflattivi ed è poco efficace, in “Guida dir.”, 2016, 1, p.12.

59 F.PALAZZO, Nel dedalo delle riforme recenti e prossime venture (a proposito della legge n.

67/2014), in “Riv. it. dir. proc. pen.”, 2016, p. 1717.

60 Sforzo estremo degli alchimisti nel riunire in un unico prodotto tutti i principi medicamentosi allora noti, nella speranza di ottenere nuovi effetti, v. R. GUERRINI, “Il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. I nuovi illeciti civili tipizzati e le relative sanzioni, in AA.VV., Le recenti riforme in materia penale, a cura di G.M. Baccari, C. Bonzano, K. La Regina, E.M. Mancuso. Padova, 2017, p.37.

61 Sia consentito rinviare a R.GUERRINI, op. ult. cit., p. 35.

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tusiasmante. Il trasferimento dalla cognizione del giudice penale a quella del giudice civile (a sua volta non meno oberato) non è in concreto efficacemente deflattiva. Per contro, rimangono gravi perplessità, come la dottrina non ha mancato lucidamente di sottolineare, che l’ulteriore decorso di vigenza della riforma potrà confermare, ri- spetto alla violazione delle tutele costituzionali di cui all’art. 24 della Costituzione, per quella maggior difficoltà di tutela che per esempio l’ingiuriato oggi incontra per accedere, non più in base a semplice querela, alle più onerose modalità della proce- dura civile, anche sotto il profilo economico, e quindi iniquamente gravando sui meno abbienti. Si è parlato in questo senso di un probabile, perverso effetto deflatti- vo62, per il carattere defatigante delle nuove forme di tutela.

Rimane forse da sottolineare un aspetto interessante di quest’ultimo intervento abrogativo; infatti nel ricostruire il nuovo illecito tipizzato di ingiuria il legislatore delegato non ha imposto l’inserimento (accanto ad alcuni tradizionali istituti di non punibilità come la provocazione e la ritorsione) di alcun esplicito richiamo alla e- xceptio veritatis così come di enunciazioni fondanti una tutela formale dell’onore (v.

art. 596, comma 1, c.p.). Riteniamo in conclusione che la mancanza di richiamo deb- ba essere interpretata come accesso illimitato alla prova liberatoria del fatto oggetto di ingiuria; convincente in questo senso appare l’autorevole osservazione per cui la sanzione pecuniaria civile, accessoria alla questione risarcitoria civilistica, dovrebbe come quest’ultima essere accertabile senza limiti formalistici63. Se la futura esegesi giurisprudenziale della questione confermasse questa opinione, potremmo leggere nella riforma del 2016 anche un passo tendenziale verso la sostanzializzazione futura della tutela del bene-onore, esportabile secondo talune proposte64 anche sul piano della riforma penale.

4. Sintesi delle proposte di riforma

Se la parabola della tutela dell’onore segna ormai un’accentuata fase di riduzio- ne dell’intervento penale, attuando anche trasferimenti nomodinamici di tutela in

62 T.PADOVANI, op. cit., p.12.

63 ID., I nuovi illeciti civili. Procedibilità, e applicazioni, le differenze più nette, in “Guida dir.”, 2016, p. 79. Nella Relazione illustrativa al d. lgs. n. 7/2016, p. 5, si soggiunge che la questione della e- xceptio veritatis, (omessa formalmente per esigenze di “semplificazione”) andava preferibilmente ri- messa al «prudente apprezzamento del giudice civile».

64 V. infra le proposte di A.VISCONTI.

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