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OPERE DALLA COLLEZIONE DI BRUNO MANTURA 23 marzo 2021, Roma

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Academic year: 2022

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Catalogo

Progetto grafico Samuele Menin Fotografie

Alice Turchini, Milano

Untitled Group, Roma.

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ne è stato certamente una delle personalità più rappresenta- tive. Laureato con una tesi su Antonio Federighi, scultore del quattrocento senese, al suo approdo alla Galleria nazionale aveva iniziato a interessarsi ai grandi maestri del Novecento con particolare attenzione al dopoguerra, curando una serie di rassegne monografiche di fondamentale importanza, tra cui si possono ricordare quelle dedicate a Giuseppe Capo- grossi (1974 con Palma Bucarelli), Alberto Burri (1976 con Giovanna De Feo), Fausto Pirandello (1977), Afro (1978 con Valeria Gramiccia), Leoncillo (1979), Fausto Melotti (1983).

All’attività di funzionario aveva, nel contempo, affiancato la promozione del lavoro degli artisti italiani sia nel nostro ter- ritorio, attraverso esposizioni presso spazi pubblici e privati (Carlo Lorenzetti, Luca Patella, Giulio Paolini, Sandro Chia, per fare alcuni esempi), sia all’estero, ricoprendo il presti- gioso ruolo di commissario per la partecipazione degli artisti italiani alla Biennale di San Paolo (dal 1975 al 1983), alla Triennale d’arte di Delhi (1978), alla Biennale di Alessandria d’Egitto (1978, 1982, 1984) e alla Biennale di Parigi (1980).

Nel corso degli anni Ottanta le esplorazioni nei depositi della Galleria nazionale lo avevano, tuttavia, condotto, insieme ai suoi coraggiosi colleghi, a riscoprire con libertà e ampiez- za di vedute l’arte italiana di fine Ottocento e della prima metà del Novecento, sui cui pesavano ancora forti pregiudi- zi. Mantura ricordava, infatti, spesso la fortissima attrazione provata verso quelle testimonianze artistiche occultate dai grandi movimenti innovatori su cui si era imbattuto all’inizio della sua carriera. Importanti maestri troppo a lungo dimen- ticati, come Ettore Ferrari, Giulio Aristide Sartorio, Umberto Prencipe, Ferruccio Ferrazzi, Antonio Mancini, Gioacchino Toma, diventavano così oggetto di ricerche condotte anche, con l’affabilità che lo contraddistingueva, attraverso le rela- zioni con i loro eredi, basti pensare alla lunga amicizia con Lucio Sartorio e agli affettuosi rapporti con Giovanna Prenci- pe, Ninetta Ferrazzi e Chiara Vittoria Barberis.

dicate a Federico Faruffini, Ferruccio Ferrazzi, Vincenzo Ge- mito, Antonio Mancini, Antonio Donghi, Gioacchino Toma, Afro (curata con Patrizia Rosazza Ferraris) e Capogrossi, ar- tisti questi ultimi dei quali, per la prima volta, veniva messa in luce l’iniziale produzione figurativa, nonché Il corpo in corpo (1990), il cui catalogo ha permesso la riscoperta di alcune delle principali personalità della scultura italiana del Ventennio e costituisce ancora oggi una pietra miliare per gli studi di settore, o quelle riservate ad alcuni protagonisti dell’arte francese, altro ambito al centro dei suoi interessi, come Leopold Robert, Gustave Moreau, Emile-Antoine Bou- rdelle, Pierre-Henry de Valenciennes.

Sia come curatore sia come studioso, Mantura è sempre stato intrigato dagli aspetti più inconsueti e meno noti della storia dell’arte. Esemplari sono in tal senso il volume dedicato a Volo e pittura. Dipinti inediti poco e mal noti raffiguranti il volo (1994), o l’ultima fatica, edita dai Musei Vaticani nel 2017, Artisti italiani in Terrasanta, in cui tramite una lunga ricerca d’archivio veniva ricostruita l’attività di un vasto grup- po di pittori, scultori e artigiani nei santuari di Antonio Bar- luzzi. Datano agli ultimi anni della sua carriera di studioso due contributi, su Gioacchino Toma nel “Bollettino d’arte”

(2009) e su Adolfo De Carolis nel “Bollettino dei musei co- munali di Roma” (2015), che testimoniano l’inesauribile acu- me critico e l’insaziabile curiosità intellettuale.

La stessa curiosità che lo portava a frugare nelle pieghe più riposte della storia dell’arte, è anche quella che ha guida- to la sua attività di collezionista. Nel tempo Mantura aveva accumulato un gran numero di oggetti d’arte, moltissimi di grafica, per la quale provava un trasporto irresistibile. A muo- vere i suoi acquisti non erano tuttavia né le mode del mo- mento né i valori codificati della storiografia artistica, bensì la raffinatezza dell’esecuzione o il carattere inconsueto di alcuni soggetti. Come ricordava lui stesso, si trattava di veri e propri colpi di fulmine, che scattavano indipendentemente

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e arguzia ricondotte a un ambito, fino ad arrivare spesso a un’attribuzione convincente. Lo stesso valeva per le icono- grafie, che venivano con attenzione interpretate e quindi rapportate al giusto contesto culturale. Lettore onnivoro, il medesimo interesse riservava anche alle pubblicazioni d’ar- te, da quelle più rare e introvabili a quelle più recenti, che venivano sistematicamente lette e commentate spesso inter- pellando gli stessi autori. I libri invadevano ogni spazio della sua vita, sia quello della sua abitazione in via dei Banchi Vecchi, sia quello dello studio tenuto per molti anni a Cam- po de’ Fiori, affastellandosi insieme a dipinti, grafiche e scul- ture in un suggestivo horror vacui che sembrava portare in sé la memoria estetica di una Wunderkammer fin de siècle.

Nella sua collezione un posto di rilievo ricopriva certamente la scultura, una passione nata negli anni universitari. In un’e- sibizione di corpi possenti e volti sognanti, gli scultori di Il corpo in corpo (Enrico Mistruzzi, Publio Morbiducci) convi- vevano con i maestri dell’Ottocento e del primo Novecento (Filippo ed Ettore Ferrari, Francesco Jerace, Ercole Rosa, Enri- co Quattrini, Emilio Musso, Leonardo Bistolfi). Seguivano poi l’immaginario romantico con preziose illustrazioni da Dante e Petrarca, ma anche i temi letterari in bilico tra pittura di sto- ria (le Beatrice Cenci di Enrico Fanfani e Lorenzo Vallés) e at- mosfere verdiane (La decima piaga d’Egitto di Adolf Hirémy- Hirschl); i ritratti di uomini illustri e affascinanti sconosciuti;

la pittura religiosa, documentata da un notevole nucleo di studi e bozzetti, che coprono un periodo piuttosto lungo, compreso tra purismo (Francesco Coghetti, Nicola Consoni, Domenico Tojetti), tendenze realistiche (Cesare Fracassini, Giuseppe Sciuti) e simbolismo (Frederick Goodall, Mario Barberis); gli studi e modelli per monumenti e decorazioni di edifici pubblici, tra cui tre schizzi di Giuseppe Sacconi per il Vittoriano e un bozzetto per il pavimento a mosaico della sala del Mappamondo di Palazzo Venezia progettato da Pietro D’Achiardi; e ancora il paesaggio in tutte le sue declinazioni, dagli schizzi di viaggio, esempio tra tutti Palme di Johann Jakob Frey, realizzato durante un viaggio in Egitto nel 1842 e fortunosamente scampato a un attacco di predo- ni, al realismo napoletano di Michele Cammarano fino alle visioni simboliste di Umberto Prencipe. Proprio il simboli- smo attraversa trasversalmente generi e temi e ricopre una posizione d’onore nella collezione in cui, oltre a Prencipe, trovano spazio Giulio Bargellini, Duilio Cambellotti, Adolfo De Carolis, Giulio Aristide Sartorio, quasi a chiudere il cer- chio di un’affascinante percorso mentale in cui l’opera d’arte era prima amata e poi indagata con rigore.

Teresa Sacchi Lodispoto Sabrina Spinazzè

8 FINARTE

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10 FINARTE

dell’Accademia di belle arti di Vienna con L’entrata dei Goti a Roma e si trasferì nella città eterna, dove subì il fascino dell’antico e trattò soggetti classici e neopompeiani. Pittore di successo, fu in seguito insignito di numerosi riconoscimenti:

nel 1889 ottenne il premio Reichel per Santa Cecilia, nel 1891 il Kaiserpreis per Corteo nuziale nell’antica Roma, nel 1892 la medaglia d’argento a Vienna per il Prometeo, nel 1893 il premio Erzherzog Karl Ludwig per Venere e nel 1898 la medaglia d’oro per la grande esposizione per il Cinquantenario del regno dell’imperatore Francesco Giuseppe con Le anime all’Acheronte. I temi catastrofici legati a momenti di transizione sono uno dei fili conduttori degli anni della sua formazione dall’Entrata dei Goti a Roma del 1882 fino a La peste a Roma, che corona nel 1884 i due anni dell’alunnato capitolino. A questo periodo, risale anche un viaggio in Egitto, che ispira all’artista, all’epoca decisamente orientato verso il genere neo-pompeiano, il dipinto La decima piaga d’Egitto, di cui si conservano solo due grandi frammenti e lo studio preparatorio.

L’estrema cura filologica nella ricostruzione storica, che sottende alla produzione del periodo, caratterizza anche quest’opera di atmosfere verdiane, che traduce in immagini la narrazione biblica dell’Esodo. L’ultima e decima piaga è la morte che coglie ogni primogenito maschio d’Egitto. Il bozzetto permette di ricostruire l’aspetto del dipinto documentato ancora integro e senza cornice da una foto scattata nello studio

partire Mosè e gli ebrei alla volta della terra promessa. Intorno al trono sono disposti i dignitari. La colonna massiccia, posta in primo piano a coinvolgere visivamente lo spettatore, denota una conoscenza diretta delle antichità egizie, che ricorre anche in Funerale nell’antico Egitto (collezione privata), opera coeva o di poco successiva. Il tono drammatico è rafforzato dalla donna nuda, che si abbandona alla disperazione ai piedi del trono del faraone. La figura femminile chiude lo spazio in orizzontale secondo uno stilema di ascendenza böckliniana, che ricorre in opere successive di altrettanta carica drammatica, come Assuero alla fine del mondo (collezione privata). Interessante notare come seguendo i precetti della tradizione accademica tale figura sia stata studiata nuda e poi coperta da un drappo solo nella fase di esecuzione del dipinto. I due frammenti della grande tela raffigurano il faraone in trono con il figlio abbandonato sulle ginocchia e la donna, forse la madre del bambino, che si dispera sulla sinistra. Hirémy-Hirschl descrive le sfumature del dramma attraverso l’espressività dei volti e dei corpi. La statuaria compostezza della figura maschile, che guarda fissa avanti a sé impenetrabile e impietrita, immobile come lo è il corpo senza vita del fanciullo, costituisce un contrappunto di quella femminile, che inarca la schiena ed esprime il dolore in maniera dinamica attraverso la tensione del corpo e l’espressione stravolta del volto.

Teresa Sacchi Lodispoto

Lo studio di Adolf Hirémy-Hirschl con sullo sfondo il dipinto

“La decima piaga d’Egitto”.

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ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Carlo Virgilio, 1981-1982;

Roma, Galleria Prencipe, 2019.

BIBLIOGRAFIA

Adolf Hirémy Hirschl. Disegni, acquerelli e pastelli, catalogo della mostra, Galleria Carlo Virgilio, Roma, 1981, p.73, n. 2;

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, p.

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12 FINARTE 12 FINARTE

Due frammenti del dipinto “La decima piaga d’Egitto”

,

entrambi olio su tela, senza cornice a) Faraone

cm 79 x 59 b) Madre dolente cm 75,5 x 59,5 BIBLIOGRAFIA

Adolf Hirémy Hirschl, catalogo della mostra (Roma, Galleria Carlo Virgilio, 12 ottobre 1981– 16 gennaio 1982), 1981, p. 61 n. 2;

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T.Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, p.

70 n.19.

4.000 - 6.000

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14 FINARTE

3

FILIPPO FERRARI (Roma 1819-1897) Due studi per bassorilievi

, entrambi china su cartoncino cm 29 x 45 circa ciascuno a) Scena mitologica, 1848

firmato e datato in basso a sinistra: Ferrari 1848 b) Il canto di Omero

400 - 600 4

TOMMASO MINARDI (Faenza 1787-Roma 1871)

“Abbozzo per i disegni della ‘Disfida di Barletta’”

, matita su carta

cm 17,6 x 23,3

in basso, antiche scritte con riferimento al pittore e al soggetto

200 - 300

La morte di Cesare

,

1820-1835 circa

matita e china su carta riportata su cartoncino cm 20,5 x 30,8

firmato in basso a destra: Sala Vitale

Pochissime sono le notizie sull’artista, morto a soli trentadue anni.

Autore di ritratti, soggetti storici, letterari e religiosi tra neoclassicismo e gusto romantico, Vitale Sala si forma a Milano tra l’Accademia di Brera e lo studio di Pelagio Palagi. Fra il 1816 e il 1823 partecipa ai concorsi accademici e nel 1823 viene premiato con l’opera Dante incontra Paolo e Francesca (Milano, Accademia di Brera). Fu attivo soprattutto come frescante, lavorando essenzialmente tra Piemonte e Lombardia: a Milano, nella chiesa di San Vincenzo con Palagio Palagi, nella basilica di Santo Stefano e nella chiesa di San Nazaro (1820-1830); a Novara, nel Duomo (1831-1834); ancora con Pelagi, nelle residenze sabaude di Stupinigi e a Racconigi (1833-1835). Il soggetto dello studio in esame è identificabile con la morte di Cesare, di cui rispetta l’iconografia del gruppo di togati che pugnala concitatamente l’uomo già disteso in terra.

Va, tuttavia, rilevata un’incongruenza nella figura di Cesare, raffigurato con una lunga barba e con la corona e lo scettro con l’aquila, simboli del potere imperiale di cui non era stato insignito il dittatore a vita.

La lunga barba e i capelli fluenti, inoltre, sono pertinenti all’immagine tradizionale di Giove piuttosto che a quella di Cesare.

ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Prencipe, 2019.

BIBLIOGRAFIA

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, p.

66 n. 12.

200 - 300

6

SCUOLA ITALIANA DEL XIX SECOLO Scena dal Libro di Giobbe, V 11

,

matita su carta cm 22,2 x 29,8

firmato in basso verso destra: ?P dip. e timbro con le iniziali del pittore in basso a destra

200 - 300

3a

3b

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delle Logge di Raffaello in Vaticano e alla decorazione della basilica di San Paolo fuori le mura e realizzò cicli di affreschi per le chiese della Santissima Trinità dei Pellegrini e di San Rocco. La sua abilità come disegnatore gli permise di partecipare a numerose e celebrate imprese editoriali, realizzate con “fecondità di fantasia, […]audacia d’ìngegno, […] maestria d’esecuzione”1. Alla fine degli anni Venti dell’Ottocento era venuto in contatto con Romualdo Gentilucci, editore e promotore culturale di Fabriano fondatore del periodico “L’Ape italiana delle Belle Arti”, che gli aveva commissionato alcune delle tavole per Il Vaticano Descritto ed Illustrato da Erasmo Pistolesi, pubblicato a fascicoli tra il 1829 e 1838. Il proficuo rapporto tra i due si era sviluppato nel corso degli anni in importanti progetti tra cui Il Perfetto Leggendario, ovvero un almanacco illustrato dei santi, e nel 1854 la Galleria Dantesca, un grandioso progetto di ventisette tele, solo in parte realizzate da Bigioli,

collocando il disegno all’interno delle imprese editoriali a cui Bigioli aveva frequentemente e attivamente preso parte grazie all’equilibrio delle sue composizioni, alla maestria nell’orchestrare i gruppi di figure e all’uso sapiente della lumeggiatura, che lo rendevano particolarmente apprezzato dai contemporanei.

Teresa Sacchi Lodispoto

1 F. Romani, Belle Arti, in “L’Album”, XIII, 1846-47, 13, pp. 178-179.

PROVENIENZA

Galleria Carlo Virgilio, Roma.

BIBLIOGRAFIA

Disegni romani di figura 1800 – 1870, catalogo della mostra a cura di

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16 FINARTE

trattò temi del repertorio biblico e letterario come Torquato Tasso al convento di Sant’Onofrio e Rebecca al pozzo (entrambe 1856) e Milton cieco che detta alle figlie il Paradiso Perduto (1857, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti). Nell’ambito del Pantheon romantico trovavano posto personaggi illustri delle lettere, delle arti e delle scienze, ma anche eroine dai tragici e oscuri destini. Frutto del felice connubio tra i due temi è il dipinto Guido Reni dipinge il ritratto di Beatrice Cenci ambientato nella buia cella dove l’infelice attende il momento di recarsi al patibolo.

Ricordata dalle fonti come coraggiosa ribelle contro un padre violento e prevaricatore, la giovane, accusata di parricidio e giustiziata appena ventiduenne l’11 settembre 1599, è assimilata dagli scrittori romantici ai tirannicidi a partire dalla tragedia The Cenci (1819), ispirata a Shelley dal celebre ritratto (Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini) attribuito a Guido Reni, Questo primo testo letterario aveva generato numerose opere, tra cui nel 1844 l’omonima tragedia di Giovan Battista Niccolini e nel 1854 il romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi, che sancirono la definitiva popolarità del soggetto. La tela in esame è databile intorno alla metà degli anni Cinquanta, periodo in cui Fanfani realizza anche L’ultima confessione di Beatrice Cenci, presentata alla Promotrice fiorentina del1857, e Beatrice Cenci dopo la tortura, esposta a quella del 1861. Sono questi dipinti di successo replicati in diverse versioni, talvolta con varianti, come attestato dall’opera di analogo soggetto conservata presso una collezione privata madrilena 1. Va, inoltre, sottolineato che proprio il tema di Beatrice Cenci ritratta da Guido Reni aveva particolarmente colpito gli artisti contemporanei al punto da indurre Achille Leonardi, prolifico pittore di temi di genere, a replicare numerose volte questo soggetto e lo stesso ritratto attribuito a Guido Reni2, nonostante Guerrazzi avesse affermato nel suo romanzo che il

rendere credibile l’ambientazione. In una cella del carcere della Corte Savella Beatrice Cenci posa seduta su un modesto giaciglio con indosso una veste bianca e tra le mani un libro di orazioni e un rosario a indicare il progressivo distacco dalle cose terrene in attesa dell’ora fatale. Guido Reni, in sontuose vesti rinascimentali, dipinge il ritratto con turbante bianco. Un gentiluomo alle sue spalle ammira la grazia della modella riflessa nel celebre dipinto.

Le due figure di soldati che entrano nella cella costituiscono un brusco contrappunto alla compostezza dei tre astanti, consci della solennità del momento. La pacata rassegnazione, l’accettazione del proprio destino attraverso la fede, il candore virginale delle vesti conferiscono a Beatrice Cenci il ruolo di perfetta eroina romantica: “Così pensando io mi dava a ricercare pei tempi trascorsi: lèssi le accuse e le difese; confrontai racconti, scritti e memorie; porsi le orecchie alla tradizione lontana. La tradizione, che quando i Potenti scrivono la storia della innocenza tradita col sangue, che le trassero dalle vene, conserva la verità con le lacrime del popolo, e s’insinua nel cuore dei più tardi nepoti a modo di lamento. Scoperchiai le antiche sepolture, e interrogai le ceneri. […] Conobbi la ragione della offesa: e ciò, che persuase il delitto al volgare degli uomini, usi a supporlo colà dove colpisce la scure, me convinse di sacrificio unico al mondo. Allora Beatrice mi apparve bella di sventura”3.

Teresa Sacchi Lodispoto

1 Romanticismo storico, catalogo della mostra a cura di S. Pinto, Palazzo Pitti, Firenze 1973, p. 93.

2 Beatrice Cenci. La storia il mito, catalogo della mostra a cura di M. Bevilacqua, E. Mori, Roma, Fondazione Marco Besso 4 novembre - 20 dicembre 1999, p. 155 n. 12.

3 F. Guerrazzi, Beatrice Cenci, Pisa, Guerrazzi, 1854, p. 6.

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Guido Reni ritrae Beatrice Cenci in carcere

,

1855-60 circa

olio su tela riportata su legno cm 56,5 x 71,5

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18 FINARTE

della vedova (1852), Milton cieco che detta alle figlie il Paradiso Perduto (1857) e Veduta della Loggia dei Lanzi il 27 aprile 1859 (1860). Come individuato da Caterina Bon Valsassina, un dipinto raffigurante l’incontro tra Michelangelo e Giulio II a Bologna è citato nel catalogo della collezione del formatore in gesso fiorentino Oronzio Lelli. È difficile dire se si tratti di questa opera o della versione definitiva, comparsa nel 2010 sul mercato statunitense1, di cui la tela della collezione Mantura costituisce un modello preparatorio. La data 1875 apposta da Fanfani sull’opera finale appare in linea con l’evoluzione stilistica dell’artista che a partire dagli anni Quaranta si era allontanato dal purismo toscano per accostarsi alle sperimentazioni degli artisti del Caffè Michelangelo, come appare evidente dalla stesura a macchia dei colori, dalla costruzione dei chiaroscuri nei volti attraverso l’uso del bianco e nella striscia di luce che colpisce il pavimento. Nella galleria di uomini illustri cari al romanticismo storico italiano Michelangelo ricopre il ruolo del genio individuale, superiore e distaccato dalle dinamiche del potere politico, in questo caso incarnato dalla straordinaria personalità di Giulio II. Il potere che omaggia il talento artistico era, d’altronde, un tema ricorrente in tale temperie culturale,

Lo scultore, dopo aver abbandonato Roma in rotta con papa Giulio II, il 27 novembre del 1506 si era recato a Bologna, suggerita nel dipinto dalle torri che si intravedono fuori dalla finestra, per riappacificarsi con il pontefice, su indicazione del gonfaloniere Pier Soderini preoccupato che la tensione tra i due potesse compromettere i rapporti tra Firenze e la Santa Sede. Narra Giorgio Vasari che Giulio II avesse accolto Michelangelo esclamando “In cambio di venire tu a trovare noi, tu hai aspettato che venghiamo a trovar te?”2 in riferimento alla minore distanza tra Firenze e Bologna piuttosto che tra Firenze e Roma. La fonte è, tuttavia, riletta e rivisitata da Fanfani in chiave moderna, l’artista, infatti, invece di inginocchiarsi, come descritto da Vasari, rimane in piedi di fronte al pontefice che distende imperiosamente il braccio, intimorendo gli astanti, che chinano il capo in segno di rispetto.

Teresa Sacchi Lodispoto

1 Fine American & European Paintings, Freeman’s, 5 dicembre 2010, lotto n. 35.

2 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, 1568, ed. XII, Firenze 1856, p. 186.

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BIBLIOGRAFIA

Memoria storica e attualità tra Rivoluzione e Restaurazione, catalogo della mostra a cura di C. Bon Valsassina, Torgiano, Museo del Vino

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20 FINARTE

Beatrice Cenci esposto a Ponte Sant’Angelo. È questa una delle opere più importanti dell’artista spagnolo a lungo attivo a Roma, dove grazie a una pensione del duca de Sisto si era trasferito nel 1853 per perfezionarsi. Nella città eterna aveva colto gli stimoli dapprima della pittura nazzarena di Johann Friederich Overbeck, di Léopold Robert e dell’ambiente internazionale romano, come attesta nell’opera in esame il raffinato gruppo di popolane raffigurate sulla sinistra, e poi della pittura di storia di Domenico Morelli e Bernardo Celentano, di cui risulta debitore sia per quanto riguarda le scelte tecniche e compositive sia per quanto riguarda la fedeltà al dato storico nella scelta dei costumi. Dopo aver ottenuto i primi riconoscimenti con Il corpo di santa Sinforosa tratto dal fiume dai suoi familiari (1858) e La conversione del marchese de Lombai, futuro san Francesco Borgia (1862), nel 1864 aveva ottenuto il secondo premio all’Exposición Nacional di Madrid con Il corpo di Beatrice Cenci esposto a Ponte Sant’Angelo, acquistato l’anno successivo dal re per il Museo del Prado e inviato nello stesso anno all’Esposizione di Dublino e nel 1867 all’Esposizione Universale di Parigi1. La tela, semidistrutta da un incendio nel 1872, è, tuttavia, oggi nota nella sua interezza solo attraverso una foto d’epoca. Tale drammatica perdita non permette di compiere una corretta analisi. L’opera della collezione Mantura in esame potrebbe, infatti, essere tanto una replica non firmata rimasta nello studio romano di Vallés quanto una copia, che proprio in virtù della sua eccellente qualità non può essere stata realizzata sulla base di una riproduzione fotografica, ma dal vero nel breve lasso di tempo in cui il dipinto era ancora nello studio dell’artista prima di prendere la strada di Madrid, Dublino e Parigi. Vallés, pienamente integrato nella koinè internazionale romana, tratta uno dei temi più popolari alla metà dell’Ottocento. Beatrice Cenci, condannata per l’assassinio del padre violento e abusatore e giustiziata appena ventiduenne l’11 settembre 1599, diviene a partire dalla tragedia The Cenci (1819), ispirata a Shelley dal celebre ritratto (Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini) attribuito a Guido Reni, un simbolo

diffusione a livello popolare della drammatica vicenda della giovane romana, i cui ultimi giorni di vita furono il soggetto di un ingente numero di dipinti. Lo stesso Vallés fu, d’altronde, autore anche di una perduta tela raffigurante Beatrice Cenci condotta al patibolo presentata a Roma nel 18642. Raccontano le cronache che il processo e la condanna della giovane, che anche sotto tortura non aveva voluto ammettere gli abusi subiti dal padre per non compromettere il proprio onore, avevano colpito particolarmente tutti gli abitanti di Roma, senza distinzione di classi sociali, e che il giorno della sua morte una gran folla si era raccolta nel crocevia di fronte a Ponte Sant’Angelo, dove tradizionalmente si tenevano le esecuzioni capitali. Per placare gli animi papa Clemente VIII aveva, pertanto, concesso di esporre sulla pubblica piazza il corpo della sfortunata eroina, a cui i romani avevano reso onore cospargendolo di fiori. Come sottolineato da Caterina Bon Valsassina, il dipinto è frutto di un attento studio delle fonti e costituisce quasi un manifesto della fortuna del tema. Tutte le classi sociali concorrono a costituire una scena corale e di grande impatto drammatico, a partire dal gruppo delle popolane sulla sinistra fino ai fanciulli sulla destra arrampicati sulla base della statua e al gruppo di tre uomini in armi. Alle figure dei frati francescani, che condividono solennità e compostezza con il fra’ Cristoforo manzoniano, e del confratello incappucciato della Confraternita di Orazione e Morte fa riscontro quella del cardinale che occhieggia la scena dalla sua portantina. Al centro della composizione spicca una nobildonna in abiti eleganti che accompagna un bambino, probabilmente il “povero fanciullo pupillo” citato nel testamento di Beatrice Cenci e da molti considerato un suo figlio illegittimo.

Teresa Sacchi Lodispoto

1 J.L. Díez, Pintura del siglo XIX en el Museo del Prado. Catálogo general, Madrid, Museo del Prado, 2015, p. 577.

2 Revue des Beaux-Arts. Exposition à Rome, in “L’Illustration.

Journal Universel”, XXII, 1864, 43, pp. 247-250.

(21)

olio su tela cm 43 x 62,7

ESPOSIZIONI

Torgiano, Museo del Vino, 1989

BIBLIOGRAFIA

Memoria storica e attualità tra Rivoluzione e Restaurazione, catalogo della mostra a cura di C. Bon Valsassina, Torgiano, Museo del Vino,

(22)

22 FINARTE

12

PIERRE-EUGÈNE LACOSTE (Parigi 1818-1908)

Tiziano e la modella

,

1846

olio su tela, senza cornice cm 41 x 33

firmato e datato in basso a sinistra: E. Lacoste / 1846

500 - 800

(23)

500 - 800

14

EUGÈNE CARRIÈRE

(Gournay-sur-Marne 1849-Parigi 1906) Studio di contadina con bimbo in braccio

, matita su carta

cm 19,7 x 13,3

timbro dell’inventario alla morte e timbro del pittore in basso verso sinistra

Sul retro, studi di mano dell’artista.

300 - 500

16

SCUOLA FRANCESE DEL XIX SECOLO Coppia di dipinti di guerrieri

,

1872

entrambi olio su tavola cm 41,5 x 22 ciascuno a) Guerriero arabo b) Armigero

entrambi firmati e datati in basso a sinistra: C. Alexandre 1872 / ...

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24 FINARTE

Coppia di studi preparatori per il trittico “Nelle tenebre”

,

matita e carboncino su cartoncino cm 25,5 x 33,5 circa

300 - 500

17

17

18b

(25)

cm 39,7 x 29,4

500 - 800

20

®

LIONELLO BALESTRIERI (Cetona 1872-1958) Beethoven

,

antica riproduzione fotomeccanica entro cornice coeva cm 44 x 72 (inclusa la cornice)

(26)

26 FINARTE

Nascita di Venere

,

1910

matita e carboncino su cartoncino cm 26,5 x 20

firmato e datato in basso a sinistra: Silvio G. Rotta 1910

200 - 300

22

SILVIO GIULIO ROTTA (Venezia 1853-1913)

Episodio della vita di Fornaretto

, matita e carboncino su cartoncino cm 27 x 13

firmato e datato in basso a destra: Silvio G. Rotta 90(?)

200 - 300

21

22

(27)
(28)

28 FINARTE

Lotto di tre disegni, in un’unica cornice

,

tutti matita su carta

a) Giovane donna sdraiata nel bosco, 1887 cm 10 x 15,4

datato in alto a destra: 19 7bre 87. / … ….

b) Giovane donna elegante di spalle nei pressi di un caseggiato cm 9,3 x 16

c) Roma, scena di vita a Piazza della Ruota cm 8,5 x 14,8

intitolato in alto a destra PROVENIENZA Studio Ferrari, Roma.

200 - 300

26

ATTRIBUITO A MASSIMO D’AZEGLIO (TORINO 1798-1866)

Giovane donna in abito brianzolo

, china su carta riportata su cartoncino cm 29 x 19,2

Sul retro, cartellino con riferimento all’artista.

100 - 150

25b

25a

26

(29)

praticata in maniera saltuaria, la stessa destrezza e abilità che nella pittura. La sua profonda conoscenza dei grandi maestri del passato lo portò a confrontarsi in questo campo con Rembrandt e, soprattutto, con Goya, esplicitamente citato in alcune opere. La diffusione delle incisioni di Fortuny si deve in gran parte a Goupil, che nel 1869 metteva in vendita una cartella di otto acqueforti. Nel 1878, quattro anni dopo la morte dell’artista, il numero delle incisioni pubblicate dal mercante, in diversi formati, tecniche e tipo di carta, saliva a ventotto.

Il barone Davillier, biografo di Fortuny, fa risalire Tangeri, la sua prima incisione, al 1861, cui segue Famiglia marocchina. Immediatamente successiva, collocabile nel 1862, dovrebbe essere Un pouilleux, pubblicata dallo stesso autore nel 1875 in Fortuny sa vie con il titolo Homme nu jusq’à la ceinture. Costanti sono nel periodo in cui sono realizzate le prime incisioni, le sedute serali presso l’Accademia di Giggi, uno scantinato in via Margutta in cui con poca spesa si poteva partecipare a sedute di studio con modello nudo e in costume, e le escursioni in compagnia dell’amico fraterno Attilio Simonetti nelle taverne trasteverine alla ricerca della romanità più autentica. Modello ricorrente di questi anni è Arlecchino, che secondo Pedro de Madrazo dovrebbe aver posato anche per quest’acquaforte o forse piuttosto per l’acquarello Homme vêtu d’un pagne (Castres, Musée Goya) che potrebbe aver costituito un prototipo per l’opera in esame. Attraverso il ricco bagaglio visivo di cui è in possesso, Fortuny rilegge il nudo maschile di tradizione accademica e lo contestualizza nell’ambito dei temi del folklore romano. Realizzata con tratto sintetico, l’opera ritrae un modello seminudo in un’attitudine, che rimanda al Jeune pouilleux (Parigi, Musée du Louvre), il cercatore di pulci, di Murillo e a una più ampia tradizione iconografica che attraverso i bambocchianti e i pittori del Seicento fiammingo conduce a Goya.

Alla prova di stampa dell’incisione, erano seguite le prime tirature realizzate nel 1875 immediatamente dopo la morte dell’artista. Il foglio in esame in carta china appartiene alla seconda tiratura antilettera, realizzata in tre versioni (carta china, Whatman con filigrana corona con fiori di lillà 1873 e pergamino), cui seguiranno la quarta tiratura del 1878, la quinta del 1916 e la sesta del 1973. L’incisione è impressa a corredo della biografia di Fortuny redatta dal baron Davillier da Charles Amand-Durand (1831 – 1905), celebre incisore parigino pioniere dell’héliogravure e noto per aver contribuito attraverso le sue ristampe alla diffusione dell’opera di grandi maestri del passato come Dürer e Rembrandt nell’ambito dell’etching revival.

ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Prencipe, 2019.

BIBLIOGRAFIA

Baron Davillier, Fortuny sa vie, son oeuvre, sa correspondance, Parigi, 1875, p. 36, tav. f.t.;

P. de Madrazo, Fortuny, “L’Ilustracion Artistica”, VII, 1888, 314, p. 5;

R. Vives i Piqué, Fortuny gravador. Estudi crític i catàleg raonat, Reus 1991, pp. 125-128 n. 13;

Mariano Fortuny Marsal, Mariano Fortuny Madrazo. Grabados y dibujos, catalogo della mostra a cura di R. Vives i Piqué, M.L.

Cuenca García, Madrid, Biblioteca Nacional, 1994, pp. 68-69 (con BIBLIOGRAFIA precedente);

F.M. Quílez i Corella, Fortuny gravador, in Fortuny (1838-1874), catalogo della mostra, Barcellona, Museu Nacional d’Art de Catalunya, 17 ottobre 2003 – 18 gennaio 2004, pp. 324-332, p. 330;

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, pp.

68-69 n. 17.

27

(30)

30 FINARTE

Palme

,

1842

acquerello su cartoncino cm 29,4 x 23

datato in basso a sinistra: /20 Dec. 1842 / ...

Formatosi tra Parigi e Monaco, Johann Jacob Frey giunge a Roma nel 1836, dove si lega alla comunità degli artisti tedeschi. Seguendo la tradizione vedutista, inizia a percorrere la campagna romana e le località intorno a Roma - Tivoli, Anagni, Nepi, Grottaferrata, Ariccia, Albano, Olevano – ma anche la Tuscia, l’Umbria e la Toscana. Tra il 1839 e il 1840 trascorre diversi mesi a Napoli, visitando la costa e le rovine di Paestum, e successivamente, tra il luglio e il settembre del 1840, si spinge fino in Sicilia. Appartengono proprio a questi anni la maggior parte dei disegni della collezione Mantura. Attratto dall’intensità luministica e cromatica e dalla maestà del paesaggio mediterraneo, con i suoi ampi spazi e la sua vegetazione rigogliosa, Frey realizza rapidi schizzi – studi di paesaggio e di costume - destinati a essere poi rielaborati in studio in dipinti caratterizzati da una tavolozza luminosa e smaltata in cui è evidente la lezione della scuola napoletana, Giacinto Gigante in particolare, ma anche quella di Camille Corot. Si tratta di una visione lirica, atmosferica e maestosa in cui domina un sentimento romantico della natura – sempre preponderante rispetto alla presenza umana – che avrà larga fortuna presso la clientela internazionale di passaggio a Roma, assidua frequentatrice dello studio dell’artista che nella capitale vivrà fino alla fine dei suoi giorni, salvo alcuni viaggi condotti in Egitto (1842-43), Francia e Spagna (1848-49).

All’avventura egiziana appartiene l’acquerello Palme. Nel settembre del 1842, sotto la guida dell’amico archeologo Carl Richard Lepsius, Frey prende parte a una spedizione promossa dal governo prussiano in Egitto e in Etiopia con l’incarico di documentare i luoghi visitati e i ritrovamenti archeologici destinati al museo di Berlino. Come ricorda Lepsius nel suo resoconto1, si trattò di un viaggio carico di imprevisti, tra tempeste di sabbia, piogge torrenziali e attacchi dei predoni che misero ripetutamente in difficoltà il gruppo causando a Frey la perdita di numerosi disegni. Nell’agosto 1843, prima dell’arrivo in Etiopia, a causa di problemi di salute Frey è costretto ad abbandonare la spedizione e a rientrare in Italia. Gli schizzi e gli appunti superstiti che riuscì tuttavia

a portare con sé e la memoria del paesaggio africano ebbero, al rientro a Roma, un ruolo decisivo per la sua arte, fornendolo spunto per una vasta quantità di dipinti di soggetto orientale che riscossero vasto apprezzamento soprattutto tra la clientela tedesca e svizzera.

Il foglio della raccolta Mantura, raffigurante palme e altri arbusti sullo sfondo del deserto, è per l’appunto uno dei molti studi fortunosamente scampati alle disavventure egiziane. Realizzato a Giza, come testimoniano un cospicuo gruppo di acquerelli lì eseguiti e datati lo stesso giorno, 20 dicembre 18422, l’opera attesta bene, con la minuziosa attenzione al dato botanico, la tavolozza luminosa, l’immediatezza della resa fluida e sintetica, quel felice incontro tra cultura tedesca, tradizione vedutista e paesaggio mediterraneo e orientale che sarà uno dei tratti maggiormente distintivi della sua produzione.

Sabrina Spinazzè

1 C.R. Lepsius, Briefe aus Aegypten, Aethiopien und der Halbinsel des Sinai: geschrieben in den Jahren 1842 - 1845 während der auf Befehl Sr. Maj. des Königs Friedrich Wilhelm IV von Preußen ausgeführten wissenschaftlichen Expedition, Berlino 1852

2 cfr. E. Passalalpi Ferrari, Johann Jacob Frey. Un artista svizzero sulle strade del mondo, Roma 2015, p. 58.

ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Prencipe, 2019

BIBLIOGRAFIA

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, pp.

66-67, n. 13.

1.500 - 2.500

(31)
(32)

32 FINARTE

Lotto di tre disegni

,

tutti matita su carta a) “Ariccia”, 1858 cm 21 x 31,6

intitolato e datato in basso a destra: Ariccia 1858 b) Grottaferrata, 1838

cm 13,2 x 19,2

intitolato e datato in basso a destra: Grottaferrata / 25 Mars 1838 c) Lavandaie

cm 13,3 x 18,5

500 - 800

29a

29b

29c

(33)

30

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865) Coppia di disegni con paesaggi

, entrambi matita su carta

a) Acquedotto con paese in lontananza, 1840 cm 21,6 x 39,5

b) Alberi, 1839

Sul retro, altro disegno con antica chiesa con campanile e pianura sullo sfondo

cm 25 x 38

(34)

34 FINARTE

Tre disegni di Napoli

,

tutti matita su carta

a) Golfo di Napoli dalla costiera cm 23,3 x 38,2

b) Pescatori a riva con barche, 1840 cm 14,2 x 19,2

datato in basso a sinistra: 19 Mai 1840 c) Molo, 1840

cm 9 x 13,5

datato e intitolato in basso: Molo 13 (?) Juni 1840 ... ... ...

500 - 800

31a

31b

31c

(35)

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865) Spoleto

,

matita su carta cm 23 x 32

intitolato in basso a destra: a Spoleto

(36)

36 FINARTE

Tre disegni di Napoli

,

tutti matita su carta a) Vesuvio, 1839 cm 22 x 34,3

datato in basso a destra: ...1839 b) “Molo à Napoli”, 1840 cm 12,9 x 20,3

datato e intitolato in basso a destra: 13 Mars 1840 / Molo à Napole c) “Marinella”, 1840

cm 13,4 x 18,9

intitolato in basso verso sinistra: ... Marinella

500 - 800

33a

33b

33c

(37)

34

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865)

Due disegni con il Castrum Caetani a Roma e un borgo

, entrambi matita su carta

a) Castrum Caetani cm 8,8 x 14

in basso a destra, antico numero di riferimento (75) b) Antico borgo

cm 6,8 x 12

in basso a destra, antico numero di riferimento (76)

(38)

38 FINARTE

35

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865)

Coppia di disegni con Porto d’Anzio e studio d’albero

,

entrambi matita su carta a) “Porto d’Anzo”, 1847 cm 34 x 24,2

intitolato e datato in basso a sinistra: Porto d’Anzo, Mai 1847.

b) Studio d’albero cm 17 x 12,4

500 - 800

36

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865)

Coppia di disegni con falchetti e Madonna col Bambino

,

a) Studio di tre falchetti

matita su carta velina, cm 25,3 x 18,5 b) Madonna col Bambino

matita su carta, cm 22 x 15

400 - 600

36a 36b

(39)

Veduta di Canossa

,

matita e acquerello bruno su cartoncino cm 42,8 x 60

400 - 600

(40)

40 FINARTE

38

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865) Veduta di Roma dal Tevere

, matita su carta

cm 18 x 25,4

300 - 400

39

JOHANN JAKOB FREY (Basilea 1813-Frascati 1865)

“Pesto”

,

1839

matita su carta cm 26, 5 x 41

siglato, datato e intitolato in basso a destra: F 23Mai 1839 Pesto

400 - 600

39

(41)

(Basilea 1813-Frascati 1865)

“Assisi”

, matita su carta cm 19,7 x 29,5

intitolato in basso a destra

400 - 600

(42)

42 FINARTE

41

ETTORE FERRARI (Roma 1845-1929) Il lago di Piediluco

,

1876

acquerello su cartoncino cm 17 x 27,5

siglato e datato in basso a sinistra: EF 1876 Sul retro, titolo di mano dell’artista.

Accanto alla sua fortunata carriera ufficiale di scultore monumentale Ettore Ferrari coltivò fin dagli anni della giovinezza la pittura all’acquerello esercitata en plein air; socio della ”In Arte Libertas” e poi tra i fondatori dei XXV della Campagna Romana, si dedicò alla pittura di paesaggio con una vasta produzione di vedute dal vero realizzate nei dintorni di Roma, ma non solo, a partire dai primi anni Settanta.

Datato al 1876 questo acquarello documenta la sua primissima maniera, vibrante di una luminosità diffusa ma sempre attenta al dato naturale. Nel lago di Piediluco si riflettono le sagome azzurrate dei monti che circondano il piccolo specchio d’acqua.

Patrizia Rosazza

PROVENIENZA Eredi Ferrari Frey.

BIBLIOGRAFIA

B.Mantura, P.Rosazza-Ferraris, Ettore Ferrari, catalogo della mostra, Latina, Palazzo della Cultura, 10 dicembre 1988 – 30 gennaio 1989, Milano-Roma 1988, scheda n. 23.

200 - 300

42

ETTORE FERRARI (Roma 1845-1929) La Rocca di Canossa

,

acquerello su cartoncino cm 18,7 x 27,8

siglato in basso a destra: EF

La rocca emiliana della Contessa Matilde, oltre che per i suoi trascorsi medioevali, arroccata com’è su di un monumentale macigno, dovette colpire profondamente i pittori del XIX secolo, sia per la tematica romantica e di revival storico legata alla figura della combattiva contessa, che per il carattere aspro e selvaggio del paesaggio in cui spicca. Ettore Ferrari aveva realizzato nel corso degli anni ‘80 numerosi monumenti dedicati alla figura di Garibaldi sul territorio emiliano, a Forlì, a Fidenza, a Savignano sul Rubicone ed è molto probabilmente durante i suoi viaggi per progettare e mettere in opera questi suoi monumenti, che dovette realizzare l’acquerello, come di consueto preso dal vivo. La scelta del punto di vista, a nord dell’abitato, coglie il lato più scosceso e disabitato del luogo e il castello della contessa si intravede a stento sul profilo della grande roccia.

Patrizia Rosazza

PROVENIENZA Eredi Ferrari Frey.

200 - 300

42

(43)

con il Monte sullo sfondo, ancorandola ad un elemento in primo piano, un pilastrino in pietra che sorregge un mastello in legno cerchiato di

B.Mantura, P.Rosazza-Ferraris, Ettore Ferrari, catalogo della mostra, Latina, Palazzo della Cultura, 10 dicembre 1988 – 30 gennaio

(44)

44 FINARTE

Luci nel bosco

,

acquerello su cartoncino cm 17 x 24,3

firmato in basso a destra: FCipolla

200 - 300

45

FABIO CIPOLLA (Roma 1852-1935)

L’estate nei pressi della costa

,

olio su legno cm 23,5 x 35

firmato in basso a sinistra: FCipolla

400 - 600

44

45

(45)

focalizzato sulle radici e tronchi nodosi dell’ulivo in primo piano. La pittura, divenuta un fatto privato nella vita dell’artista, così piena di impegni pubblici legati alla sua produzione scultorea e alla sua fattiva adesione alla Massoneria, resta una pausa rasserenata e rasserenante, attenta solo al dato naturale liberamente condotto.

Patrizia Rosazza

PROVENIENZA Eredi Ferrari Frey.

BIBLIOGRAFIA

B.Mantura, P.Rosazza-Ferraris, Ettore Ferrari, catalogo della mostra, Latina, Palazzo della Cultura, 10 dicembre 1988 – 30 gennaio

(46)

46 FINARTE

47

FRIEDRICH HORNER (Basilea 1800-1864)

Tivoli, veduta dai giardini di Villa d’Este

, matita su carta

cm 26,7 x 36,8

Sul retro: altro disegno di mano dell’artista raffigurante una veduta di Tivoli e della sua valle; numerato 50 in alto a sinistra e intitolato Tivoli in alto a destra; in basso a destra, scritta in tedesco con riferimenti al pittore e alla provenienza dell’opera.

500 - 800 48

®

GIUSEPPE RONDINI

(Palermo 1886-Grottaferrata 1955) Luci vespertine

,

olio su tela, senza cornice cm 57,5 x 77

200 - 300

49

SCUOLA ITALIANA DEL XX SECOLO Coppia di paesaggi

,

a) Nunzio Bava (Bagaladi 1906-Reggio Calabria 1994)

“Casetta tra gli alberi. Calabria”, 1953 olio su tela, cm 46,5 x 60,5

firmato in basso a sinistra: BAVA

Sul retro: sulla tela, cartellino manoscritto con riferimenti al pittore e al dipinto; sul telaio, numeri di riferimento.

b) Giuseppe Rondini (Palermo 1886-Grottaferrata 1955)

“Armonie grigie”

olio su tela, cm 42,5 x 56,5 firmato in basso a destra: RONDINI

Sul retro, titolo, firma e dedica di mano dell’artista.

200 - 300

48

(47)

tempera su carta cm 31,4 x 59

tracce di firma in basso a destra

Il paesaggio, e in particolar modo quello della campagna romana, è sempre stato un elemento centrale in gran parte della produzione pittorica di Giulio Aristide Sartorio. Lo studio dal vero consentiva infatti di stabilire un rapporto diretto con un paesaggio carico di valenze storiche e simboliche in grado di svelare l’intima dimensione poetica dei luoghi. Molteplici sono i pastelli, le tempere, gli olii che Sartorio dipinse, cercando di approfondire e oltrepassare la semplice osservazione del paesaggio in sé. Visioni lacustri, campagne desolate, talvolta arricchite dalla imponente presenza di rovine romane, erano il pretesto per guardare la natura e il paesaggio in modo diverso, superando la superficialità di una pittura di genere e accademica.

La tempera in esposizione, non datata, ma probabilmente realizzata agli

Per similarità cromatiche, per identiche dimensioni, e per la stessa non finitura, l’opera è accostabile a due altri dipinti Tor Selce e Tomba sull’Appia antica esposti al Chiostro del Bramante nel 20061.

Francesco Maria Romani

1 Giulio Aristide Sartorio 1860-1932, catalogo della mostra a cura di R.

Miracco, Roma, Chiostro del Bramante 24 marzo – 11 giugno 2006, pp. 228-229.

ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Prencipe, 2019.

BIBLIOGRAFIA

Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S.

Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019, p.

(48)

48 FINARTE

Studio di rocce assolate

,

olio su tela cm 39,3 x 53,3

Sul retro, sul telaio, antica scritta con dichiarazione di autenticità di Augusto Jandolo datata Roma 26 Maggio 1920.

2.000 - 3.000

52

TEODORO WOLF FERRARI

(Venezia 1878-San Zenone degli Ezzelini 1945) Paesaggio (Asiago)

,

1933

olio su legno cm 16,5 x 26,7

Sul retro: firma di mano dell’artista; antica scritta con titolo e data;

cartellino a stampa della galleria Monserrato Arte ‘900 di Roma con scritti riferimenti al dipinto.

PROVENIENZA

Monserrato Arte ‘900, Roma.

400 - 600

53

RAOUL DAL MOLIN FERENZONA (Firenze 1879-Milano 1946) Veduta di Orvieto

,

olio su tela, senza cornice cm 70,5 x 140,5

500 - 800

51

52

53

(49)

54

®

ORAZIO AMATO

(Anticoli Corrado 1884-Roma 1952)

“A Sacrofano”

,

1945

olio su legno cm 25,4 x 37

dedicato, firmato e datato in basso: Al caro amico Nello Palombi ORAZIO - AMATO / 12 - X - 45

Sul retro, scritta di mano dell’artista.

(50)

50 FINARTE

Tre dipinti di paesaggio

,

tutti matita e tempera su cartoncino a) Veduta di Isola Farnese

cm 32,5 x 47,2

intitolato in alto a sinistra

Sul retro, altro dipinto di mano dell’artista raffigurante paesaggio di campagna al tramonto, siglato in basso a destra: P. D’A.

b) Il casale tra le colline cm 28,2 x 48,4

c) Paesaggio di campagna con casolare e covoni cm 19 x 26

500 - 800

55a retro

55b

55c

(51)

56

®

EMILIO SOBRERO (Torino 1890-Roma 1964) Coppia di dipinti

,

entrambi olio su cartone

a) “Mattino grigio in montagna”, 1924 cm 31,8 x 36,2

firmato in basso verso sinistra: SOBRERO b) “Tempo grigio”, 1920

cm 30,3 x 35,5

siglato in basso verso destra: S

Sul retro di entrambi: titolo e data di mano dell’artista; cartellino della Associazione Culturale BREAK di Roma con riferimenti al dipinto.

56b

(52)

52 FINARTE

Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Legato alla cerchia che fa capo a Giacomo Balla e Giovanni Prini, l’artista in seguito soggiorna a Orvieto, mettendo a punto una personale poetica basata sulle teorie del “paesaggio stato d’animo” e su stimoli della letteratura simbolista e crepuscolare. L’incisione, a cui inizia a dedicarsi da autodidatta a partire dal 1905, si qualifica da subito quale medium privilegiato per tradurre il suo umbratile mondo interiore tendente alla malinconia e all’isolamento. Risalgono infatti al fecondo periodo orvietano rare puntesecche e visionarie acqueforti e acquetinte che gli varranno successivamente la nomina a professore di incisione all’Istituto di Belle Arti di Lucca e alle Accademie di Napoli e Roma. In tali opere la città umbra con la sua rupe impervia, le sue torri, i suoi muri antichi, la presenza incombente del duomo, gli spazi chiusi e raccolti si qualifica quale motivo ispiratore privilegiato, ideale luogo di rispecchiamento dei suoi stati interiori. Identificata con la Bruges descritta da Georges Rodenbach nel romanzo Bruges- la-Morte e vissuta attraverso le descrizioni letterarie di Gabriele d’Annunzio ne Il trionfo della morte e nella raccolta di liriche Le città del silenzio, Orvieto è ritratta spesso in vedute dal basso

accenti irreali e diventano inquietanti apparizioni. L’assunzione simbolica del dato reale è favorita dalla sintesi del linguaggio in contrapposizioni di sintetiche masse di chiari e di scuri, e dal restringimento del campo visivo in una tendenza al frammento, alla messa a fuoco fotografica comune anche all’ambiente romano (Balla, Cambellotti, Grassi, artisti con cui è in contatto in quegli anni), come è evidente ne Il duomo o in Il convegno.

Quest’ultima, eseguita a Roma e raffigurante l’arco delle campane a piazza San Pietro, nell’ombra misteriosa proiettata dalle statue che appaiono fantasmatiche presenze ben esemplifica la capacità di Prencipe di investire il dettaglio architettonico di tensioni misteriose. Una visione ravvicinata, concentrata, capace di rendere parlante un particolare è inoltre ne Il capanno, immagine di un solitario capanno nella campagna orvietana, e in Cimitero di campagna, dove il motivo della finestra, elemento molto ricorrente nel simbolismo esistenziale di Prencipe come immagine di isolamento, è in questo caso reso più drammatico dalla presenza della grata che imprigiona l’artista al di qua della vita.

Sabrina Spinazzè

(53)

b) Cartello per invito

acquaforte su carta, cm 19,5 x 27,5

n. 157 (ripr.), p. 260 n. 84 (con BIBLIOGRAFIA precedente).

c) S. Spinazzè, Umberto Prencipe (1879-1962), Orvieto 2008, p. 126

(54)

54 FINARTE

possenti mura medievali, percorsa da vie silenziose intervallate da antiche chiese e torri austere, la cittadina toscana appare a Prencipe come un nuovo, prezioso hortus conclusus dove mettere ancora una volta a frutto la sua peculiare sensibilità trasfigurante. Anche Lucca era stata, d’altra parte, inclusa da d’Annunzio nel selezionato gruppo delle ventisei città del silenzio italiane. Come già a Orvieto, anche negli anni toscani, per tradurre al meglio la suggestione visionaria dei luoghi e il senso di profonda consonanza con essi, Prencipe utilizza spesso, sia in pittura che in incisione, ambientazioni notturne o crepuscolari. Ne è un esempio questo dipinto dedicato alla Piazza Napoleone, un motivo più volte ripetuto nel 1918. Insieme agli altri dipinti noti1, si tratta probabilmente di uno studio per un quadro di maggiori dimensioni acquistato dalla Regina Madre alla mostra romana degli Amatori e Cultori del 1919, attualmente disperso e di cui non sono note fotografie.

Sullo sfondo di un gruppo di alti platani con i rami secchi protesi verso un cielo crepuscolare gli edifici appaiono

sintetiche pennellate, mentre un forte segno di solitudine è nella presenza delle panchine vuote in primo piano.

Del motivo esiste anche la versione realizzata in incisione nel 19172, in cui, grazie al sapiente uso dell’acquatinta, che stempera l’immagine in un’atmosfera sulfurea, l’artista ne accentua il carattere di apparizione.

Si tratta di una delle ultime opere ancora legate ai modi della cultura simbolista, che Prencipe già in questi anni tenderà ad abbandonare a favore di un rapporto più diretto con il dato naturale, incoraggiato dal clima della Secessione e dalle amicizie coltivate negli anni toscani, in particolare quella con il pittore Alceste Campriani e con la cerchia degli artisti di cultura post macchiaiola.

Sabrina Spinazzè

1 Cfr. Umberto Prencipe e la Toscana. Tra tradizione e modernità, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto e S. Spinazzè, Lucca, Fondazione Ragghianti, 28 febbraio-22 giugno 2014, pp. 66-68.

2 Ivi, p. 65.

(55)

siglato in basso a sinistra, in lastra: UP; siglato a matita inbasso a sinistra: U-

c) La rupe di Orvieto, 1905 puntasecca su carta, cm 23,6 x 18,8

in basso a destra: U. Prencipe 1905; in basso asinistra: 1 stampa.

BIBLIOGRAFIA

a) S. Spinazzè, Umberto Prencipe (1879-1962), Orvieto 2008, p. 67 n. 73 (ripr.), p. 257 n. 70 (con BIBLIOGRAFIA precedente);

Umberto Prencipe 1879-1962. Realtà e visione, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto e S. Spinazzè, Roma, Museo di Roma, 27 maggio – 13 settembre 2009, p. 89 n. 33.

b) S. Spinazzè, Umberto Prencipe (1879-1962), Orvieto 2008, p. 56 n. 56 (ripr.), p. 254 n. 54.

c) S. Spinazzè, Umberto Prencipe (1879-1962), Orvieto 2008, p. 45 BIBLIOGRAFIA

Umberto Prencipe 1879-1962. Realtà e visione, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto e S. Spinazzè, Roma, Museo di Roma, 27 maggio – 13 settembre 2009, p. 95 n. 39;

Umberto Prencipe e la Toscana. Tra tradizione e modernità, catalogo della mostra a cura di T.Sacchi Lodispoto e S. Spinazzè, Lucca, Fondazione Ragghianti, 28 febbraio - 22giugno 2014, p. 67 n. 13.

1.000 - 1.500

(56)

56 FINARTE

Studio per il dipinto ‘I forzati’, 1887

,

matita e carboncino su carta cm 23 x 36

200 - 300

61

ETTORE FERRARI (Roma 1845-1929)

Lotto di due disegni con militari

, entrambi china su carta

cm 10,5 x 17 ciascuno a) Grandi manovre

Sul retro, altro disegno con soldati e cannone.

b) Sosta di soldati presso Foligno, 1892

datato e intitolato in basso a sinistra: 4 - 9 - 92 / presso Foligno Sul retro, altro disegno di mano dell’artista raffigurante soldati nei pressi di un ospedale da campo.

Il foglio fa parte di una serie di quattro raffinati disegni a china raffiguranti soldati accampati a Torre di Montefalco, località nei pressi di Foligno, eseguiti nel 1892. In questo delle Grandi manovre due gruppi di soldati a cavallo si avvicinano alla grande torre medievale che dà il nome al luogo, presidiata da una guardia armata e da una guardia a cavallo, con una lunga scala appoggiata sulla facciata principale.

Sono fedelmente rappresentati due lati della torre a pianta quadrata, con la copertura a beccatelli e caditoie o “piombate” e il moncone di casamatta sommitale, che s’intravede oltre le sagome di quattro militari armeggianti intorno a un cannocchiale d’avvistamento. Scultore, pittore dal 1870 al seguito di Onorato Carlandi e poi cofondatore de “I XXV della Campagna Romana”, deputato dell’estrema sinistra radicale dal 1882 al 1892, consigliere del Comune di Roma (1877-1907), iniziato in massoneria sin dal 1881 fino a divenire Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia (1904-1917), direttore del Museo Artistico Industriale, membro di molte società e associazioni artistiche e circoli repubblicani, Ettore Ferrari fu personalità tra le più complesse del milieu culturale e politico italiano a cavallo tra Ottocento e Novecento. Il disegno Grandi manovre attesta il suo stretto rapporto con l’Umbria, documentato altresì dalla sua elezione a deputato nel 1882, nel collegio di Spoleto, collegio che lo confermò per le due legislature successive, nel 1886 e nel 1890. Il suo unico intervento parlamentare durante la XV legislatura, del resto, si scagliava contro la rimozione di una lapide a Garibaldi decisa dalle autorità di Foligno. Repubblicano, mazziniano, 60

61a

61b

(57)

olio su tela cm 30,7 x 81

firmato e datato in basso a destra: JEAN BENNER SEGESTA 1892

2.500 - 3.500

equestre a Vittorio Emanuele II a Venezia, divenendo da lì in poi uno dei maggiori autori di monumenti pubblici a uomini politici ed eroi del Risorgimento in tutt’Italia. I monumenti a cui è legata la sua fama sono il monumento a Mazzini sull’Aventino, inaugurato postumo a vent’anni di distanza senza ricordarne l’artefice, e il Giordano Bruno di Campo de’ Fiori (1887-89), monumento per eccellenza dell’anticlericalismo italiano che fu oggetto di aspre polemiche. Ferrari dovette infatti modificare il primo bozzetto del Bruno col braccio alzato che incita alla rivolta, bocciato dal Consiglio comunale, in favore di un severo

‘Bruno filosofo’.

Alessandra Imbellone ESPOSIZIONI

Roma, Galleria Prencipe, 2019.

BIBLIOGRAFIA

a) Un coup de coeur. Grafica tra Italia e Francia dalla raccolta di Bruno Mantura, catalogo della mostra a cura di T. Sacchi Lodispoto, S. Spinazzè, Roma, Galleria Prencipe, 14 febbraio – 16 marzo 2019,

(58)

58 FINARTE

63

®

ALBERTO CAROSI (Roma 1891-1967)

Episodio della Prima Guerra Mondiale

, olio su tela

cm 34,5 x 39

firmato in basso a sinistra: ALBERTO CAROSI

Sul retro, sulla tela, antico numero di riferimento (36 / ...).

400 - 600

64

PIETRO SASSI

(Alessandria 1834-Roma 1905)

“Roma, La rivista alle truppe dell’Imperatore di Germania Federico II, campagna di Centocelle”

,

1888

olio su cartone cm 15,5 x 24

Sul retro, scritta a matita di mano dell’artista con titolo e data: 13 8bre 1888

400 - 600

64

(59)

65

®

GIOVAN BATTISTA CREMA (Ferrara 1883-Roma 1964)

Ricordo della Prima Guerra Mondiale

, tecnica mista su cartoncino

cm 15,4 x 23,4

firmato in basso a destra: GBCrema

(60)

60 FINARTE

installando nel 1826 il suo studio nei locali di via delle Colonnette dove aveva lavorato il defunto Canova, di cui realizzò, insieme ad altri scultori, il monumento funebre per la chiesa dei Frari a Venezia. Accanto alla produzione monumentale, Rinaldi eseguì anche busti-ritratto e trattò soggetti mitologici e storici.

Appartiene a quella fase di transizione in cui lo stile neoclassico accoglie fermenti romantici la statuetta, di cui sono note almeno tre versioni, Giovanna d’Arco. Eroina tra le più significative del Pantheon romantico, la “pulzella d’Orléans” sotto Napoleone era divenuta simbolo del patriottismo e dell’identità nazionale francese per poi assurgere negli anni Trenta dell’Ottocento a emblema della Francia stessa rivendicato da repubblicani e monarchici, laici ed ecclesiastici. Venerata come santa dalla Chiesa Cattolica, la giovane si era distinta durante la difesa di Orléans, assediata dagli inglesi, che volevano estromettere Carlo, Delfino ed erede legittimo del trono di Francia, e aveva imposto all’esercito francese uno stile di sobrio e monastico.

La tragedia pubblicata da Schiller nel 1801 aveva dato impulso a una ricca produzione artistica, che aveva trovato il coronamento nel capitolo della monumentale Storia di Francia dedicatole nel 1841 dallo storico Jules Michelet. Oreste Raggi illustra l’opera in esame un articolo, corredato da una tavola incisa di Francesco Garzoli su disegno di Paolo Guglielmi, comparso nel 1837 sul periodico “L’Ape Italiana delle Belle Arti”. Secondo la guida degli studi di scultura di Roma del 1841 del conte Hawsk Le Grice una Giovanna d’Arco è realizzata

culturale neoclassico, facendole assumere la posa dell’Apollo sauroctono “sotto la sembianza di una bellissima giovane, vestita di un’armatura di acciajo, portante sul petto la croce, con elmo in capo, e la visiera alzata, che stesse come in atto di riposare in piè ritta. Sostenendosi colla manca al suo stendardo piega alcun poco da questo lato e poggia la destra sopra l’altro fianco”1. Più problematica appariva agli occhi del critico, tuttavia, la questione dell’abbigliamento di foggia medievale, che colloca l’opera nella sfera della produzione troubadour: “È questione fra gli artefici se possa ciò convenientemente usarsi avvisandosi alcuni che mal si addicano le attillate vesti alla statuaria, cui meglio conviensi la nudità ovvero il grandioso panneggiare; ed altri opponendo, non senza qualche ragione, che i moderni uomini con moderni abiti debbansi vestire; chè se poco si mostrano appariscenti sia colpa dei nostri meschini costumi, non tanto dello scultore”2. Era questo, infatti, un dibatto molto acceso negli anni Trenta dell’Ottocento, che affondava le sue radici nel dialogo tra Canova e Napoleone, in cui l’artista aveva citato come strumenti del linguaggio della scultura il nudo e il panneggio all’antico.

Teresa Sacchi Lodispoto

1 O. Raggi, Giovanna d’Arco di Rinaldo Rinaldi. Statua, in

“L’Ape Italiana delle Belle Arti”, III, 1837, 3, p. 59.

2 Ibidem.

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