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Diritto a conoscere le proprie origini: ultime sentenze

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Diritto a conoscere le proprie origini: ultime sentenze

Autore: Redazione | 12/04/2020

Scopri le ultime sentenze su: legittimità della prescrizione dell’azione di riconoscimento di paternità o di maternità nei confronti dell’interessato a conoscere le proprie origini biologiche; sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale; conoscenza e accettazione della discendenza biologica.

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Il diritto a conoscere le proprie origini

Il diritto a conoscere le proprie origini costituisce un’espressione essenziale del diritto all’identità personale. Lo sviluppo equilibrato della personalità individuale e relazionale si realizza soprattutto attraverso la costruzione della propria identità esteriore, di cui il nome e la discendenza giuridicamente rilevante e riconoscibile costituiscono elementi essenziali, e di quella interiore e può richiedere la conoscenza e l’accettazione della discendenza biologica e della rete parentale più prossima.

Tale diritto si compone di una pluralità di elementi anche dialettici quali il diritto a conoscere la verità sulla propria storia personale e quello a conservare la costruzione preesistente dell’identità propria e dei terzi eventualmente coinvolti.

Tale diritto peraltro non è assoluto, ma deve essere contemperato attraverso l’interpello della madre biologica al fine di verificarne il consenso all’eventuale revoca della scelta dell’anonimato fatta al momento della nascita.

Il diritto di quest’ultima a conservare l’identità costruita anche mediante il segreto sull’abbandono del figlio al momento del parto è stato ritenuto rilevante nel bilanciamento d’interessi compiuto dalla Corte ma è stata eliminata l’intangibilità della scelta, sul rilievo dell’intrinseca mutabilità delle tappe dello sviluppo e consolidamento della personalità umana.

Tribunale minorenni Genova, 23/05/2019

Prescrizione dell’azione di riconoscimento di paternità o di maternità

Va riaffermata la legittimità della prescrizione dell’azione di riconoscimento di paternità (o di maternità) solo nei confronti dell’interessato a conoscere le proprie origini biologiche che sia restato negligentemente inerte, mentre in tutti gli altri casi deve essere concessa una proroga: la certezza dei rapporti familiari e la loro realtà socio-biologica deve prevalere sui contrapposti interessi e sulla realtà legale dei legami con la famiglia biologica.

Corte europea diritti dell’uomo sez. II, 15/10/2019, n.44690

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Accesso alle informazioni sull’identità di fratelli e sorelle biologici adulti

L’adottato ha diritto, nei casi di cui all’art. 28, comma 5, della l. n. 184 del 1983, di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti non solo l’identità dei propri genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti, previo interpello di questi ultimi mediante procedimento giurisdizionale idoneo ad assicurare la massima riservatezza ed il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare, al fine di acquisirne il consenso all’accesso alle informazioni richieste o di constatarne il diniego, da ritenersi impeditivo dell’esercizio del diritto.

Cassazione civile sez. I, 20/03/2018, n.6963

Richiesta del figlio di conoscere le proprie origini

Il Tribunale per i minorenni, in quanto giudice competente, su richiesta del figlio che intenda esercitare il diritto a conoscere delle proprie origini e ad accedere alla propria storia parentale, è tenuto ad interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione, e ciò con modalità procedimentali, tratte dal quadro normativo e sulla base dei principi enunciati dalla sentenza della Corte cost. n. 278 del 2013, idonee ad assicurare la massima riservatezza ed il più assoluto rispetto della dignità della donna, fermo restando che il diritto del figlio trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità.

Cassazione civile sez. I, 07/06/2017, n.14162

Parto anonimo e interesse del figlio a conoscere le proprie origini

In ipotesi di parto anonimo su richiesta della madre, dopo la sentenza n. 278 del 2013 ed in assenza di una disciplina legislativa attuativa conseguente a detta

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pronuncia, il giudice può, su richiesta del figlio, interpellare la madre stessa in merito alla persistenza della sua volontà di rimanere anonima, secondo modalità che assicurino la tutela di quest’ultima e del suo diritto alla riservatezza, rimanendo fermo il principio secondo il quale, ove l’originaria volontà di anonimato trovi conferma, ciò rappresenta un limite insuperabile anche in ragione dell’interesse del figlio medesimo a conoscere le proprie origini .

Corte appello Salerno, 07/02/2017

Diritto del figlio a conoscere la propria identità e diritto della madre a restare anonima

In caso di parto anonimo, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 278/2013 e anche in assenza di una disciplina procedimentale attuativa di tale pronuncia, il giudice, su richiesta del figlio desideroso di conoscere le proprie origini, può interpellare la madre che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata, ai fini di una revoca della sua dichiarazione, con modalità procedimentali idonee ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità della donna. Il diritto del figlio trova però un limite insuperabile se la madre non fa marcia indietro rispetto alla sua dichiarazione iniziale.

Tale diritto, finora negato, è stato riconosciuto dalla sezioni Unite che si sono pronunciate, su impulso del procuratore della Repubblica, a tre anni dalla sentenza con la quale la Consulta aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 28 comma 7 della legge 184/1983, per la parte in cui escludeva in maniera irreversibile la possibilità per il figlio di accedere alle informazioni sulla madre, rimediando così all’inerzia del legislatore.

Cassazione civile sez. un., 25/01/2017, n.1946

Alterazione dello stato civile di un neonato

L’art. 567, comma 2, c.p., che sanziona l’alterazione dello stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità è

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illegittimo nella parte in cui prevede la pena edittale della reclusione da un minimo di cinque a un massimo di quindici anni, anziché la pena edittale della reclusione da un minimo di tre a un massimo di dieci anni, prevista invece per il comma 1 della stessa disposizione, che sanzione l’alterazione dello stato civile tramite la sostituzione di neonato. La Consulta si è così espressa pronunciandosi su una questione sollevata dal tribunale di Varese, chiamato a decidere sulla sorte di due imputati, accusati in concorso tra loro, di avere alterato lo stato civile di una neonata “attestando falsamente”, nella formazione dell’atto di nascita, che la bimba era nata dalla loro unione naturale. Il giudice remittente, pur dando atto del diritto a conoscere le proprie origini e la propria discendenza, trovava anacronistica la pena.

Per i giudici delle leggi il quadro edittale previsto è irragionevole, specie se confrontato con il reato di cui al primo comma che appare ancor più grave. La Corte costituzionale sottolinea che la mano troppo pesante del legislatore sulla pena compromette dall’inizio la funzione rieducativa di quest’ultima. “In questo contesto la particolare asprezza della risposta sanzionatoria determina si legge nella sentenza la violazione degli art. 3 e 27 cost., essendo lesi sia il principio di proporzionalità della pena rispetto alla gravità del fatto commesso, sia quello della finalità rieducativa della pena”.

Corte Costituzionale, 10/11/2016, n.236

Parto anonimo e morte della madre

A seguito della morte della donna che ha partorito mantenendo segreta la propria identità, l’interesse della donna alla segretezza diventa recessivo di fronte al diritto del figlio o della figlia di conoscere le proprie origini biologiche: nel caso di parto anonimo sussiste il diritto del figlio o della figlia, dopo la morte della madre, di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle informazioni relative all’identità personale della stessa, non potendosi considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha partorito in anonimato, il termine di 100 anni, dalla formazione del documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non volere essere nominata, previsto dall’art. 93, comma 2 del d.lg. n. 196 del 2003, che determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte e la

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definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio o della figlia, in evidente contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte cost. n. 278 del 2013) e l’affievolimento, se non la scomparsa di quelle ragioni di protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il corso della vita della madre proprio in ragione della revocabilità della scelta materna.

Cassazione civile sez. I, 21/07/2016, n.15024

Riconoscimento della filiazione biologica

L’annullamento del riconoscimento di paternità (richiesto, nel caso di specie, dal padre naturale del minore nei confronti del coniuge della madre dello stesso) da parte di un giudice francese non costituisce violazione dell’art. 8 Cedu, dal momento che il riconoscimento della filiazione biologica realizza l’interesse superiore del minore a conoscere le proprie origini.

Corte europea diritti dell’uomo sez. V, 14/01/2016, n.30955

Identità biologica del figlio

È inammissibile la dichiarazione giudiziale di maternità nei confronti di una donna che al momento del parto ha dichiarato di non voler essere nominata, atteso che la volontà della madre di rimanere anonima, allorché non vi sia espressione di un diverso avviso da parte della stessa, deve prevalere sull’interesse del figlio a conoscere le proprie origini e la propria identità biologica.

Tribunale Milano sez. I, 14/10/2015, n.11475

Violazione del diritto all’identità

È costituzionalmente illegittimo l’art. 28, comma 7, l. 4 maggio 1983 n. 184, come sostituito dall’art. 177, comma 2, d.lg. 30 giugno 2003 n. 196, nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell’art. 30, comma 1, d.P.R.

3 novembre 2000 n. 396 – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.

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La disposizione censurata prefigura una sorta di “cristallizzazione“ o di

“immobilizzazione“ nelle modalità di esercizio della scelta della madre per l’anonimato, che assume connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad

“espropriare” la persona titolare del diritto a conoscere le proprie origini ai fini della tutela dei suoi diritti fondamentali da qualsiasi ulteriore opzione, ma, mentre può ritenersi ragionevole che la scelta per l’anonimato legittimamente impedisca l’insorgenza di una “genitorialità giuridica“, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare invece ragionevole che quella scelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”, potendosi quella scelta riguardare, sul piano di quest’ultima, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e può essere mantenuta, mentre sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo, a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all’anonimato, secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo, agli effetti della pertinente verifica (sent. n. 425 del 2005).

Corte Costituzionale, 22/11/2013, n.278

Accesso alle informazioni sulle proprie origini al venticinquesimo anno di età

La l. n. 149 del 2001 ha riconosciuto, all’adottato che abbia compiuto il venticinquesimo anno di età, il diritto assoluto ed intangibile ad avere accesso alle informazioni sulle proprie origini senza che occorra un’autorizzazione espressa per conoscere i dati relativi alle proprie origini biologiche.

Tribunale minorenni Salerno, 19/07/2002

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