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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato DECISIONE

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e dall'Avvocatura Generale dello Stato e domiciliato presso la stessa in Roma via dei Portoghesi n. 12;

contro

I.R.T. s.r.l. – Immobiliare Rione Trevi, in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gustavo Romanelli e Guido Francesco Romanelli, ed elettivamente domiciliato presso gli stessi, in Roma, via Cosseria, n. 5;

e nei confronti Vitale Maurizio, non costituitosi in giudizio;

per l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione II, n. 3949/2000;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della società appellata;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

N. 5091/06 Reg.Dec.

N. 7869 Reg.Ric.

ANNO 2001

(2)

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 6-6-2006 relatore il Consigliere Roberto Chieppa.

Uditi l'Avv. dello Stato Tortora e l'Avv. Guido Francesco Romanelli;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O E D I R I T T O

1. Con l’impugnata sentenza il Tar del Lazio ha riunito e deciso tre ricorsi, attinenti al riconoscimento del premio ex art. 49 della legge n.

1089/1939 per la scoperta di una serie di beni di interesse archeologico, rinvenuti durante gli scavi effettuati per la ristrutturazione di un immobile dalla I.R.T. s.r.l. – Immobiliare Rione Trevi in Roma in via dei Maroniti.

Il Ministero per i beni e le attività culturali ha impugnato tale sentenza, nella parte in cui è stato parzialmente accolto il ricorso proposto dalla predetta società per l’annullamento del provvedimento ministeriale, con cui era stato negato il diritto alla corresponsione del premio, spettante allo scopritore dei beni di interesse archeologico.

La I.R.T. s.r.l. – Immobiliare Rione Trevi si è costituita in giudizio, chiedendo la reiezione dell’appello.

All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il giudice di primo grado ha in parte accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata, rilevando che:

a) la qualità di scopritore di un bene di interesse storico o archeologico può essere riconosciuta non solo alle persone fisiche, ma anche alle persone giuridiche;

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b) nel caso di specie, la scoperta è avvenuta in modo fortuito e non a seguito del rilascio di una concessione edilizia, finalizzata al ritrovamento di reperti archeologici;

c) compete quindi alla società il premio quale scopritore del ritrovamento per i beni, ad eccezione di tre statue, per le quali il premio è già stato attribuito all’arch. Vitale con provvedimento non impugnato;

d) l’impugnato provvedimento è stato adottato in violazione dei termini, fissati dall’art. 2 della legge n. 241/90.

Il ricorso in appello proposto dal Ministero è infondato.

Innanzitutto, la questione di cui al precedente punto d) non assume rilevanza, in quanto, come sostenuto anche dal Ministero, l’eventuale superamento del termine per provvedere non può assumere rilievo ai fini dell’annullamento del provvedimento con cui il premio è stato negato, perchè il termine ha carattere ordinatorio e alcun effetto favorevole per il privato può derivare dalla sua decorrenza.

3. La questione principale riguarda la definizione dei presupposti, previsti per l’attribuzione del premio allo scopritore di beni di interesse archeologico.

Al riguardo, l’art. 48 della legge n. 1089/1939, vigente all’epoca dei fatti, prevedeva che chiunque scopra fortuitamente cose mobili o immobili di cui all'art. 1 deve farne immediata denuncia all'autorità competente e provvedere alla conservazione temporanea di esse, lasciandole nelle condizioni e nel luogo in cui sono state rinvenute.

Il successivo art. 49 aggiungeva che le cose scoperte fortuitamente appartengono allo Stato e che allo scopritore è corrisposto dal ministro, in

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denaro o mediante rilascio di una parte delle cose scoperte, un premio che in ogni caso non può superare il quarto del valore delle cose stesse e che eguale premio spetta al proprietario della cosa in cui avvenne la scoperta.

Tali disposizioni sono state trasfuse, con alcune modifiche, dapprima negli artt. 87 – 90 del D. Lgs. n. 490/99 e successivamente negli artt. 90 – 93 del D. Lgs. n. 42/2004.

Anche in base alla disciplina di cui alla legge n. 1089/39, il premio previsto per il ritrovamento spetta a chi ha scoperto in modo fortuito i beni ed ha assolto i relativi obblighi di denuncia e custodia.

Nella sostanza, sullo scopritore gravano una serie di obblighi e di connesse responsabilità e questa costituisce la ragione di un premio aggiuntivo rispetto a quello previsto per il proprietario.

Ciò determina che un criterio idoneo ad individuare il soggetto cui attribuire il premio previsto per lo scopritore consiste nel verificare su chi gravano i predetti obblighi, oltre a controllare il loro assolvimento.

Tale ricostruzione esclude la legittimità della tesi, posta a fondamento dell’impugnato provvedimento, secondo cui il premio previsto per lo scopritore può essere attribuito solo a persone fisiche, e non anche a persone giuridiche.

Fermo restando che non costituisce oggetto del presente giudizio di appello il premio per le tre menzionate statue (riconosciuto all’Arch. Vitali con provvedimento non impugnato), in un caso, quale quello di specie, in cui una società ha effettuato lavori di ristrutturazione di un immobile e casualmente ha trovato, durante i lavori, beni di interesse archeologico, è evidente come l’obbligo di denuncia e di custodia gravasse direttamente

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sulla società, e non sulle persone fisiche che lavoravano per essa (dipendenti o liberi professionisti).

Del resto, alcuna disposizione vieta l’attribuzione ad una persona giuridica del premio previsto per lo scopritore.

Inoltre, la società appellata ha affermato di aver rinvenuto i primi reperti archeologici, di aver prontamente fatto denuncia alla Soprintendenza e di aver poi, d’accordo con la Soprintendenza, proseguito i lavori, nel corso dei quali sono emersi altri reperti (ricostruzione non contestata dal Ministero appellante).

In un caso del genere, non può dubitarsi del carattere fortuito della scoperta, avvenuta durante lavori aventi finalità del tutto diversa da quella del ritrovamento di beni di interesse archeologico.

La scoperta non può ritenersi limitata ai primi beni rinvenuti, in quanto tutti i beni poi emersi sono stati ritrovati grazie agli scavi effettuati dalla società appellata e in modo fortuito rispetto all’originaria finalità degli scavi.

Anche gli ulteriori beni non sarebbero mai venuti alla luce in assenza del ritrovamento fortuito iniziale e del successivo adempimento degli obblighi di denuncia e custodia.

Una diversa interpretazione, oltre a non porsi in linea con il dato normativo, avrebbe l’effetto di disincentivare l’immediata denuncia in tutti quei casi in cui dalla prima scoperta emerge il possibile ritrovamento di ulteriori beni; i privati sarebbero indotti a continuare da soli i lavori per scoprire immediatamente il maggior numero di beni per poi chiedere il premio.

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Al contrario, appare maggiormente ragionevole ritenere che una volta avvenuta la scoperta fortuita e adempiuti gli obblighi di denuncia e custodia, il premio spetti anche per gli ulteriori beni rinvenuti a seguito della prosecuzione degli scavi, ferma restando una proporzionalità tra la quantità di beni rinvenuti e l’estensione degli scavi rispetto agli originari lavori (nel senso che se a seguito di lavori circoscritti vengono alla luce beni in una territorio maggiormente esteso rispetto a quello oggetto degli scavi, è carente tale correlazione e il premio dovrà, quindi, essere circoscritto a quei beni, per i quali tale correlazione sussiste).

Deve, quindi, essere confermata sul punto l’impugnata sentenza.

4. In conclusione, l’appello deve essere respinto.

Ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 6-6-2006 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio Schinaia Presidente

Luigi Maruotti Consigliere

Carmine Volpe Consigliere

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Giuseppe Romeo Consigliere

Roberto Chieppa Consigliere Est.

Presidente

f.to Mario Egidio Schinaia

Consigliere Segretario

f.to Roberto Chieppa f.to Glauco Simonini

DEPOSITATA IN SEGRETERIA il...04/09/2006...

(Art. 55, L.27/4/1982, n.186) per Il Direttore della Sezione

f.to Giovanni Ceci

CONSIGLIO DI STATO In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)

Addì...copia conforme alla presente è stata trasmessa al Ministero...

a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 Il Direttore della Segreteria

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