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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato DECISIONE

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REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

Sul ricorso n. 2363/2004, proposto da **** con sede in ** via ****, in persona dell’amm.re ***, rappresentata ed assistita dall’Avv. Massimo Camiciola con il quale è elettivamente domiciliata in Roma via Portuense n.

104, presso lo studio della dott.ssa Antonia De Angelis;

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro in carica pro-tempore, ex lege domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato presso cui è per legge domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12;

il Ministero per i beni e le attività culturali-Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali delle Marche, Sovrintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio delle Marche, non costituiti;

e nei confronti

del Comune di ++++, in persona del Sindaco in carica pro-tempore, con sede in c.so Matteotti n. 230 di Porto Recanati, non costituito;

per l’annullamento

della sentenza del TAR Marche n. 0035 del 19 novembre 2003-17 dicembre 2003, pubblicata il 3 febbraio 2004, con la quale è stato deciso il ricorso n.

N.7694/04 Reg.Dec.

N. 2363 Reg.Ric.

ANNO 2004

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382/2003, proposto dalla società **** per chiedere l’annullamento degli atti concernenti la dichiarazione di particolare interesse storico-artistico di un immobile di sua proprietà sito in **** e degli atti presupposti, conseguenti e comunque connessi.

Visto il ricorso con relativi allegati.

Visto l’atto di costituzione del Ministero per i beni e le attività culturali.

Visti gli atti tutti di causa.

Alla pubblica udienza del 15 ottobre 2004 relatore il Consigliere Sabino Luce e sentite le parti presenti, come da verbale d’udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto.

DIRITTO

Come già rilevato nelle premesse di fatto, nel giustificare la declaratoria d’irricevibilità del ricorso, il Tribunale amministrativo regionale fa riferimento alla data d’avvenuta conoscenza del provvedimento di vincolo, a seguito della sua materiale consegna (eseguita il 9 ottobre 2002) a mani del legale rappresentante della società odierna appellante; rispetto a tale data, la notifica dell’atto introduttivo del giudizio (effettuata il 14 aprile 2003) doveva considerarsi tardiva poiché avvenuta oltre il sessantesimo giorno dalla piena conoscenza del provvedimento impositivo del vincolo.

Né rilevava, secondo i giudici di primo grado, la circostanza che, nelle more del decorso del termine, l’appellante avesse anche proposto ricorso in opposizione alla Soprintendenza emanante l’atto impugnato e ricorso gerarchico al Ministero per i beni e le attività culturali; l’atto di vincolo, giacché di competenza funzionale del Soprintendente regionale, doveva

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considerarsi definitivo e non suscettibile d’impugnazione gerarchica, e nessun’effetto sul decorso del termine potevano, quindi, avere i rimedi impugnatori irritualmente proposti.

Nel censurare la sentenza di primo grado, la s.r.l. deduce, invece, che il provvedimento del Soprintendente regionale, impugnato al Tribunale amministrativo regionale, non era definitivo stante il rapporto di subordinazione gerarchica con il sovraordinato Ministero. Inoltre, sempre secondo l’appellante, l’iniziale sua impugnazione avverso il provvedimento di vincolo, più che ricorso in senso proprio, era una semplice istanza volta a sollecitarne l’annullamento ministeriale d’ufficio ex art. 14, terzo comma, del T.U. sul pubblico impiego di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.

L’appellante deduce, poi, che, non essendovi stata notifica del provvedimento a mezzo di ufficiale giudiziario, come prescrive l’art. 8 del T.U. per i beni culturali e ambientali di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n.

490, l’atto non era ancora efficace e quindi ancora impugnabile. La società ricorrente, infine, dopo avere evidenziato pretese contraddittorietà nella motivazione della sentenza del Tar, chiede il riconoscimento dell’errore scusabile con remissione in termini per la proposizione dell’impugnativa.

L’appello è infondato in relazione a tutte le censure proposte.

Il provvedimento impugnato in primo grado è stato emanato ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 2000, n. 441, di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, il cui art. 13, comma 2, lett. b) ne aveva rimesso l’adozione al Soprintendente regionale. Trattatavasi, pertanto, di provvedimento definitivo di competenza funzionale dell’organo decentrato

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Come ben rilevato dal Tribunale amministrativo regionale, in base a quanto originariamente previsto dal Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, il provvedimento di dichiarazione di particolare interesse storico dei beni di proprietà privata era riservato alla competenza funzionale del ministero (art. 6). Lo stesso T.U. manteneva, poi, fermo il quadro di competenze definito dal D.Lgs.20 ottobre 1998, n. 368 di istituzione del Ministero, che aveva, all’art.7, previsto l’istituzione dell’ufficio del Soprintendente regionale per i beni culturali e ambientali con compiti, a quella data, di coordinamento delle attività delle altre Soprintendenze operanti in ambito regionale ed attribuendo alla stessa il solo potere di proposta per quanto riguardava l’imposizione di regimi vincolistici e di tutela dei beni di proprietà privata la cui decisione, come già rilevato, era riservata al Ministro. Tuttavia, a seguito del sopravvenuto riordino delle competenze del Dicastero operato con gli artt.52, 53 e 54 del D.Lgs.30 luglio 1999, n. 300, recante la riorganizzazione del Governo, e come confermato dal successivo regolamento di organizzazione dello stesso approvato con D.P.R. 29 dicembre 2000, n. 441, si attuava un decentramento di attribuzioni e si rimettevano alla competenza funzionale dell’ufficio del Soprintendente regionale le competenze ministeriali di cui agli artt.3 e 5 della legge 1 giugno 1939, n. 1089, trasfuse, poi, nell’art. 6 del T.U. n. 490 del 1999 tra cui quella relativa all’imposizione dei vincoli storico artistici; con la conseguenza che, come già rilevato, l’atto impugnato, costituendo esplicazione di attribuzione funzionale decentrata, doveva considerarsi avente carattere definitivo senza possibilità di

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impugnazione gerarchica. Né pertinente al caso di specie appare il richiamo all’art. 14, comma 1 del D.P.R. n. 441/2000 che fa riferimento ad una sopraordinazione gerarchica del Ministero rispetto alle Soprintendenze regionali. Tale disposizione, nello stabilire che trattasi di organi periferici dell’amministrazione che dipendono dalla competente direzione generale, si riferisce alle Soprintendenze per il patrimonio storico-artistico, per beni architettonici e per il paesaggio, per i beni archeologici e per i beni archivistici; la stessa non riguarda, pertanto, le Soprintendenze per i beni e le attività culturali cui, conseguentemente, non può riferirsi il previsto tipo di subordinazione. Ed a conclusione diversa neppure può indurre la considerazione che anche le Soprintendenze per i beni e le attività culturali sono rapportate, ai sensi dell’art. 1 comma 4 del regolamento organizzativo del Ministero, al Segretariato generale dello stesso, cui anch’esse afferiscono e che disponeva nei loro confronti di potere di coordinamento, di indirizzo e di vigilanza; trattasi, infatti, di mera afferenza all’organo centrale che attiene al rapporto organico di lavoro ed esclude qualsiasi dipendenza di tipo gerarchico funzionale. A ciò si aggiunge la considerazione che il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al D.Lgs. n. 42/04, entrato in vigore il 1 maggio 2004, all’art. 16, con disposizione innovativa, prevede la possibilità del ricorso al Ministero per motivi di legittimità e di merito contro le dichiarazioni di interesse storico-artistico adottate dalle Soprintendenze regionali; dal che la comprova che, ragionando a contrario, del fatto che precedentemente una tale facoltà era esclusa. Essendo, pertanto, quello impugnato in primo grado atto definitivo, dalla data della

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stesso, per la proposizione del ricorso giurisdizionale ovvero del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.

Neppure poi rilevare la circostanza ulteriore, dedotta dall’appellante, secondo cui l’impugnazione proposta avverso l’atto di vincolo, più che ricorso gerarchico in senso proprio, costituiva una semplice sollecitazione all’esercizio del potere d’annullamento d’ufficio da parte del Ministero; a parte il rilievo che dall’intestazione della proposta impugnativa appare chiaramente il contrario, ugualmente, da tale circostanza non si può far derivare alcuna sospensione del termine per la proposizione del ricorso in sede giurisdizionale o al Capo dello stato. Allo stesso modo, infine, è irrilevante il fatto che il provvedimento di vincolo non era stato notificato per il tramite dell’ufficiale giudiziario, dal momento che tale formale adempimento non era specificamente previsto dal richiamato art. 8 del T.U.

490/1999 come condizione d’efficacia dell’atto impugnato. L’indicata disposizione, nel fare, infatti, riferimento alla notifica, più che condizionare l’efficacia dell’atto al formale espletamento di una ulteriore fase integrativa del procedimento, ha inteso semplicemente stabilire la necessità della sua comunicazione agli interessati; di modo che da tale conoscenza possano decorrere i termini per la proposizione delle eventuali impugnative senza attribuire all’atto del Soprintendente natura recettizia e non subordinandone l’efficacia all’avvenuto formale indicato adempimento; inoltre, non impediva che la conoscenza dell’atto con modalità diverse da quella prescritta potesse produrre decorso del termine per la relativa impugnazione.

Neppure, infine, può aderirsi alla richiesta di riammissione in termini per la proposizione dell’impugnazione non ricorrendone i presupposti; il

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provvedimento impugnato, come già rilevato, portava in calce l’avvertenza che avverso lo stesso era proponibile ricorso giurisdizionale davanti al Tar competente per territorio secondo le modalità di cui alla legge 6 dicembre 2072, n. 1034, ovvero ricorso straordinario al Capo dello Stato ai sensi del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199, rispettivamente entro 60 giorni e 120 giorni dalla data di avvenuta notificazione; dal che la non equivocità del testo per quanto riguardava l’organo cui andavano proposti gli eventuali ricorsi. L’appello va, conclusivamente, respinto, con compensazione delle spese processuali ricorrendovi giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato,in sede giurisdizionale, Sezione sesta, respinge l’appello e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2004 dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Mario Egidio SCHINAIA Presidente

Sabino LUCE Consigliere Est.

Luigi MARUOTTI Consigliere

Carmine VOLPE Consigliere

Giuseppe ROMEO Consigliere

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