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I RESTI MORTALI DI LEONARDO La tomba nel Castello Reale di Amboise e Arsène Houssaye

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Academic year: 2022

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I RESTI MORTALI DI LEONARDO 1519-1874

La tomba nel Castello Reale di Amboise e Arsène Houssaye

Leonardo, come noto, morì nel Clos Lucé di Amboise il 2 maggio 1519. Dopo più di tre mesi dalla sua morte, il 12 agosto 1519, la salma fu inumata, nel rispetto delle sue disposizioni testamentarie, nella chiesa di Saint Florentin nel Castello di Amboise. Nei secoli successivi, l’edificio subì un progressivo degrado e fu demolito nei primi anni del XIX secolo.

Nel 1863, per conto di una commissione imperiale, Arsène Houssey (François Housset, 1814- 1896) si interessò alle ricerche della tomba di Leonardo tra le rovine del castello. Egli era non solo un famoso scrittore ma anche un personaggio eclettico, spesso ingiustamente sottovalutato: fu anche ispettore generale dei musei di provincia, amico di Théophile Gautier, Gérard de Nerval, Eugène Delacroix e Joseph-Aimé Péladan; a lui Baudelaire indirizzò la celebre lettera d’accompagnamento del “poema in prosa” Le Spleen de Paris.

Egli ritrovò i resti che identificò con la tomba e le ossa di Leonardo, grazie anche ad alcuni frammenti lapidei di un’iscrizione riconducibile al nome di “Leonardus Vinci”.

L’attuale tomba di Leonardo fu quindi ricomposta nel 1874 nella Cappella di Sant Hubert del Castello Reale per volere di Luigi Filippo d’Orléans, conte di Parigi. Il restauro del castello fu compiuto dall’architetto Victor Ruprich-Robert, anche con la consulenza del celebre Eugène Viollet-le Duc.

IL RITROVAMENTO

Dopo la conferenza del 16 aprile 2016, nel Teatro di Vinci, quando presentammo la ricerca sulla genealogia dei Da Vinci e per il DNA di Leonardo con i discendenti viventi, un collezionista americano ci comunicava di essere in possesso di due reperti originali e sconosciuti relativi a Leonardo Da Vinci.

A partire dai documenti in suo possesso, abbiamo verificato che essi provenivano proprio da Arsène Houssaye, ed erano poi stati lasciati in eredità al figlio Georges “Henri” Housset, membro dell’Accademia di Francia, e infine ad Auguste, suo pronipote, per passare infine nella raccolta di Harold K. Shigley. Questi, nato in Ohio nel 1897 e scomparso nel 1992, si era laureato in storia all’Ohio State University ed era un attento e grande collezionista che acquistava oggetti storici e reliquie di personaggi famosi, creando quella che è stata definita una delle più grandi raccolte del genere, alla quale appartenevano per esempio il portafoglio e la ciocca di capelli di Benjamin Franklin, una pipa per la pace offerta a Thomas Jefferson da un capo dei nativi americani, alcuni cimeli appartenuti a Cristoforo Colombo.

Il 29 dicembre 1925, Shigley acquistò a Parigi da Auguste Houssaye “una ciocca di capelli di Leonardo e un anello di bronzo trovato sul dito del Da Vinci”.

Il collezionista americano che ci ha contattato li aveva acquistati da Shigley nel 1985.

Dopo tre anni di lavoro, oggi grazie al nuovo collezionista che desidera mantenere l’anonimato, li portiamo in mostra al Museo Ideale Leonardo Da Vinci, dove tutti potranno vederli.

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“CATERINA SCHIAVA”

La madre di Leonardo, della quale i documenti riportano semplicemente il nome, senza patronimico, non risulta essere una fanciulla serva o contadina di Vinci: non esiste infatti nessuna Caterina nell’intorno di Vinci compatibile con lei.

L’ipotesi storica più probabile, in base a una concatenazione di indizi e analisi dei numerosi documenti d’archivio, anche per esclusione e per considerazioni sul contesto storico e ambientale, è quella di una schiava proveniente dal Mediterraneo orientale.

Bisogna sapere che, per esempio, nel 1457 sono documentati in Firenze 550 schiavi, di cui 544 donne e 6 uomini.

In mostra viene esposto per la prima volta il testamento di Vanni di Niccolò di Ser Vanni (1449, con codicilli successivi), conservato nell’Archivio di Stato di Firenze. Il banchiere e usuraio fiorentino era proprietario della “Caterina schiava” ed era amico e cliente di Ser Piero.

In base a questo documento, vergato dallo stesso Ser Piero, il notaio di Vinci sarebbe stato l’erede della casa di Vanni in Via Ghibellina e alla vedova del Vanni sarebbe toccata la schiava Caterina.

Vanni morì il 24 ottobre 1451, tre mesi dopo il concepimento di Leonardo. Monna Agnola dovette rinunciare alla schiava e si dotò di una fantesca a pagamento; in cambio, Ser Piero dovette rinunciare ad abitare nella casa di Via Ghibellina fino alla morte della vedova di Vanni (1480).

Leonardo dovette avere con la madre un intenso rapporto affettivo durato oltre quarant’anni, tanto che dopo la morte del marito (Antonio di Piero Buti del Vacca, detto l’Accattabriga), Caterina raggiunse il figlio a Milano, probabilmente nel 1493 e qui morirà il 26 giugno 1494 (“Chatarina de Florentia, di anni 60, è morta per febbre terzana”).

Un altro documento fondamentale a proposito di Caterina è la Portata al Catasto del marito nel 1487, pure esposto in mostra. In esso la donna risulta di “anni 60”.

È evidente la discrepanza tra le date: Caterina non poteva avere 60 anni nel 1494 e nel 1487.

Tuttavia l’indicazione delle età in queste fonti è spesso approssimativa. E soprattutto, se Caterina era la schiava venuta da lontano non se ne poteva conoscere il Paese e la famiglia di origine e neppure la data di nascita.

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IL NONNO DI LEONARDO, ANTONIO DA VINCI, MERCANTE IN NORD AFRICA AGLI INIZI DEL XV SECOLO E IL SUO SCONOSCIUTO CUGINO FROSINO

Sono qui esposti tre degli oltre 140 che abbiamo individuato nell’Archivio di Stato di Prato (oltre a quelli degli Archivi di Barcellona) e che finora non erano mai stati collegati alla famiglia Da Vinci.

È opportuno chiarire che qui si tratta di storia documentata e verificata, che non ha niente a che vedere con fantasie mediatiche senza fondamento relative a “Leonardo catalano”, inventate da chi, per esempio, scambia la Verruca pisana con il paesaggio del Montserrat in Spagna; e riferisce per assurdo al genio di Vinci opere e teorie inammissibili.

Il nonno di Leonardo, Antonio, fu colui che annotò persino l’ora della nascita di Leonardo e i nomi dei dieci testimoni al suo battesimo; e sarà ancora lui, cinque anni dopo, a ricordare che il nipote viveva nella sua casa in Vinci pur essendo figlio illegittimo di Ser Piero e di Caterina.

Antonio, che non era notaio (contrariamente alla tradizione familiare dei Da Vinci), era ritenuto finora dalla storiografia quasi nullafacente, senza mestiere né occupazioni (come lui stesso dichiarava al catasto), salvo dedicarsi a modesti possedimenti agricoli nel paese natale di Leonardo.

Da questa ricerca a intreccio, come in una sorta di puzzle, è emerso che in realtà Antonio era stato invece, nel Mediterraneo occidentale, uno di quei mercanti che si possono considerare messaggeri di civiltà. Egli operò a Barcellona e ad Alcudia, l’antica Ghassasa, nei pressi di Melilla, non lontano dallo Stretto di Gibilterra: una città portuale (da non confondere con Alcudia nell’isola di Maiorca), da tempo scomparsa, nel Magreb (o Barberia, oggi Marocco). Questa regione era una meta prioritaria per i mercanti italiani, in quanto sbocco sul mare del traffico carovaniero e dell’entroterra che aveva in Fès la capitale. Alcudia, uno dei porti più importanti per i cristiani che commerciavano con musulmani ed ebrei, cadrà in abbandono dopo la conquista spagnola di Ferdinando il Cattolico nel 1506.

Grande rilievo assume la lettera che nel 1402 Antonio scrisse da Alcudia di Barberia a Cristoforo di Bartolo Carocci, direttore della compagnia Datini, nell’isola di Maiorca. Lo informava di aver venduto, scambiato e acquistato a Fès merci di valore: pepe di Guinea, coloranti e fissativi per tessuti e cuoio (lacca, allume di rocca, tartaro e la preziosa cera della regione del Garbo).

Nel 1403 il padre di Antonio (il bisnonno di Leonardo, Ser Piero di Ser Guido Da Vinci) veniva nominato procuratore della cognata Lottiera e del nipote Frosino. Nel marzo 1404 il nonno di Leonardo, Antonio, si trovava a Barcellona come procuratore delegato da Frosino per riscuotere dai mercanti italiani la tassa sul passaggio delle merci.

La sua era evidentemente una vita ricca di esperienze e di conoscenze: sicuramente le tramandò a un nipote tanto interessato alla conoscenza.

Altre scoperte sorprendenti riguardano i rapporti di Antonio con il cugino Frosino, figlio del notaio ser Giovanni Da Vinci e di Lottiera Beccanugi, già abitanti a Firenze nel Popolo di San Michele Berteldi, in prossimità di Palazzo Antinori.

Frosino di ser Giovanni Da Vinci fu uno dei personaggi di rilievo tra i mercanti italiani nel fervente centro portuale dell’aera catalano-aragonese, in rapporto con Valencia e le Isole Baleari; egli ebbe la cittadinanza di Barcellona, e fu in relazione diretta e di fiducia con il re Martino l’Umano che, nel

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1402, in cambio dei prestiti fatti dal Vinci alla Corona, gli concederà il diritto di riscuotere le tasse dovute dai mercanti stranieri al re (il “diritto degli italiani”). Frosino non possedeva una grande compagnia, ma fu in relazioni d’affari con la più strutturata e celebre compagnia del pratese Francesco di Marco Datini.

Si occupava anche dei trasporti di lane dalla Catalogna e dalle Baleari al Porto Pisano; noleggiava le navi; ne organizzava la difesa con arcieri; talvolta veniva derubato, come nel 1398 dal corsaro Barrasa.

Una vicenda rivelatrice risale per esempio al 1395, quando una nave a nome di Frosino trasportò 109 quintali e 68 libbre di lane pregiate dall’isola di Minorca a Pisa per essere poi distribuite – dopo 14 giorni di navigazione – tra 98 filatrici nei dintorni di Prato, di cui 43 residenti a Cerreto Guidi, 17 proprio a Vinci e 1 a Carmignano. Successivamente le lane furono riportate in Spagna e la vendita del prodotto lavorato si concluse a Valencia e a Maiorca nel 1398.

Significativo è il fatto che Antonio, tornato in Toscana e stabilitosi a Vinci, il 19 aprile 1426 battezzerà il suo primogenito, futuro padre di Leonardo, con il nome di Piero Frosino.

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FRAMMENTI DI STOVIGLIE DI CASA DEL GIOCONDO

I tre frammenti esposti di ciotole in maiolica policroma invetriata, di manifattura toscana della fine del XV secolo e inizio del XVI (provenienti dalla collezione dell’antiquario Fioretto, Firenze), recano lo stemma con tre gigli e tre stelle della famiglia di Francesco Del Giocondo, marito di monna Lisa Gherardini, ormai definitivamente identificata con la donna ritratta nella Gioconda del Louvre.

Provengono dalle case della famiglia Del Giocondo in via Sant’Antonino a Firenze, insieme a un monumentale e artistico lavabo in pietra serena attribuito a Benedetto da Maiano. È ovvio pensare che potrebbe averli usati la stessa Monna Lisa.

Nella ristrutturazione di questi edifici, i frammenti di maiolica furono usati nei riempimenti dei solai del Palazzo dei Cartelloni o Palazzo Viviani, ricostruito nel XVII secolo per un grande discepolo di Galileo, il matematico Vincenzo Viviani, che fece realizzare la facciata come un monumento al suo maestro.

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UNA “MADONNA DELL’UVA”

Nel 1989, lo storico d’arte Lucio Grossato studiò a lungo questa scultura. Sottolineò «la stupenda mano degna di Leonardo che regge un grappolo d’uva al Bimbo piluccante»; e come si trattasse di

«un’opera concepita in un modulo tipicamente donatelliano […], che può far pensare addirittura a certe Madonne di Donatello, specialmente dopo l’attività padovana e in conseguenza di essa».

Tuttavia, sembrò a Grossato che «la bellezza del profilo della Vergine, l’addolcimento plastico e la raffinata complessità dell’insieme, specialmente nel complicato giuoco del panneggio, la rendesse tipica opera di Desiderio da Settignano».

Questa terracotta, esposta per la prima volta in Italia è stata recentemente oggetto di analisi scientifiche e infine di una riconsiderazione storico-critica, ripartendo dall’ambito di Donatello e Desiderio per giungere a quello del Verrocchio.

Maestro fiorentino della seconda metà del Quattrocento (con attribuzione a Desiderio da Settignano) Madonna con Bambino e grappolo d'uva

Terracotta con tracce di policromia e doratura circa 1460-1475 Collezione privata

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LEONARDISMI

È opportuno distinguere almeno quattro momenti del Leonardismo, che sono esemplificati in questa mostra.

Il primo originario del Cinquecento, riconducibile agli allievi e seguaci di Leonardo: i Leonardeschi.

Il secondo, quello antico, che continua attraverso quattro secoli (dal XVI al XIX), ma con limitazioni tematiche (per la scarsa conoscenza di molte opere e soprattutto dei manoscritti), spesso con epigoni, talvolta con eccezioni significative (da Rubens a Poussin).

Il terzo, quello moderno, nelle reinvenzioni e negli attraversamenti delle diverse avanguardie del XX secolo.

Il quarto infine, quello attuale, con i diversi linguaggi e tendenze, nel vivo delle nuove tecnologie e globalizzato da Internet.

Il Leonardismo diviene sempre più emblematico, non solo per l’arte-scienza; si ritrova in Pop, Optical, Minimal, Conceptual e Land Art, Arte Povera e Noveau Réalisme, Architettura Utopica e Radical Design, Fluxus, Azionismo e Body Art, Poesia Visiva e Grafitismo, Post Modern e Transavanguardia, dalla Computer Art fino alle nuove tendenze “mercuriali” e ipertecnologiche.

Nel loro insieme, i Leonardismi del XX e del XXI secolo fanno vivere Leonardo nel presente e costituiscono uno straordinario fenomeno di iconografia e di riflessione attiva sulla continuità e la discontinuità della storia e sul futuro dell’arte.

Alle espressioni artistiche si deve aggiungere naturalmente la crescente proliferazione dei Leonardismi nel banale e nel kitsch: un fenomeno dilagante tanto più nell’anno del quinto centenario della morte dell’artista-scienziato.

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DADAISMO E GIOCONDOCLASTIA

La celebrità della Gioconda nell’arte moderna e contemporanea si è ingigantita a causa dal clamoroso furto del dipinto nel Louvre nella notte del 20 agosto 1911, che ne fece un mito planetario: il primo fenomeno mediatico di cronaca in cui l’arte diventava protagonista in conseguenza di un crimine.

Fu un evento epocale destinato sia a rivoluzionare e ingigantire la popolarità di Leonardo e del suo capolavoro, tra mitica esaltazione e corrosiva dissacrazione, sia ad assumere un ruolo fondamentale nella rivoluzione che le avanguardie artistiche del primo Novecento hanno determinato nella storia dell’arte.

Dopo all’Eclisse parziale di Monna Lisa del costruttivista russo Malevič (1914), le provocazioni concettuali del dadaista Marcel Duchamp, uno dei più grandi artisti del XX secolo, dal 1919 anticipano (con i baffi e la scritta “L.H.O.O.Q.”) le infinite manipolazioni dell’icona Gioconda.

Fra le citazioni più emblematiche si distingue quella di Dalì, che si traveste nella Gioconda di Duchamp.

Mentre l’attentato del 1957 rilancia ancora la Gioconda nella cronaca mediatica, negli anni Cinquanta, a Parigi, viene teorizzata la “Giocondoclastia”, in particolare grazie a Jean Margat e allo storico numero monografico di «Bizarre» (in cui erano raccolte le sue Giocondoclastie) e che ispirò il film La Joconde di Henri Gruel e Jean Suyeux, Palma d’oro nel 1959 a Cannes.

Fra le opere esposte:

Marcel Duchamp Joconde L.H.O.O.Q.

1964

Ready-made; multiplo firmato Vinci, Museo Ideale Leonardo Da Vinci

L’opera di Duchamp (1887-1968) rappresenta un nodo fondamentale e celeberrimo della storia dell’arte: il ready made modificato del 1919, dissacrando la Gioconda, ha consacrato Marcel Duchamp (1887-1968) come il genio delle avanguardie storiche, sulla linea che inizia col Dadaismo, attraversa il Surrealismo, si proietta nella seconda metà del XX secolo, e ancora oggi, tra Concettualismo e Fluxus, è una presenza attiva e imprescindibile, creativa e in espansione.

Quando nel 1964 Duchamp replica il ready made del 1919 con una serie di multipli, ne evidenzia l’attualità nell’arco temporale della sua opera e demitizza consapevolmente il moralismo accademico e l’aura sacrale della Gioconda L.H.O.O.Q. E ancor più, nel 1965, con la Rasée, togliendo i baffi, afferma concettualmente che Monna Lisa è ormai una creazione di Leonardo e di Duchamp insieme, per la nuova storia dell’arte del Rinascimento e del XX secolo.

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Andy Warhol

Mona Lisa (Four Times) circa 1979

mutiplo su tele emulsionate

Firmata sul retro e con timbro “Estate of Andy Warhol”

Collezione privata

Warhol (1928-1987) ha reso ancor più famosa la Gioconda con le sue opere di moltiplicazione delle icone Pop: dal barattolo della zuppa di pomodoro alla sedia elettrica, dal presidente Mao a Marylin Monroe.

Il grande protagonista della Pop Art americana è stato definito “il primo divo dell’arte”. Da grafico- pubblicitario e regista underground è divenuto artista-imprenditore nel museo e nelle aste. La sua strategia si è infine fondata sulla riconoscibilità di una particolare tecnica serigrafica, fotomeccanica, intrapresa nel 1962 con l’immagine di una catastrofe aerea. Ha lavorato anche su altre opere di Leonardo, dal paesaggio dell’Annunciazione al Cenacolo, nel 1986 con un grande ciclo di lavori dalle variazioni cromatiche, compreso l’effetto mimetico delle tute militari. La sua opera fondamentale di moltiplicazione della Monna Lisa risale al 1963: Trente valent mieux q’une. Qui in mostra un multiplo con la variante di quattro Gioconde.

Herman Nitsch Last Supper 1983

serigrafia e sangue su tela Collezione privata

L’Azionismo nasce in Austria alla metà degli anni Sessanta, producendo happening e performances caratterizzati da una matrice di psicologia sado-masochista e di violenta dissacrazione. Herman Nitsch (Vienna, 1938) evidenzia la nuova sacralità dei rituali di un “teatro delle orge e dei misteri” e trasforma il Cenacolo di Leonardo con un neo-espressionismo di estrema intensità.

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“LEONARDO VIVE” AL MUSEO LEONARDO E IL RINASCIMENTO DEL VINO : FOCUS

DECORAZIONE A NODI VINCIANI IN UNA ROBBIANA DI MONTELUPO

Tra le opere provenienti dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, si distingue il vaso con nodi e coperchio a mazzo di fiori e frutta, maiolica databile 1510-1515: non solo si tratta di un capolavoro della Bottega di Luca Della Robbia, ma in particolare è notevole la fascia dei così detti

“nodi vinciani”, originariamente dorati, che suggerisce riferimenti, probabilmente indiretti, all’Achademia Leonardi Vinci e all’iconografia degli intrecci che si ritrovano nella veste dell’ormai celeberrimo Salvator Mundi.

[Vedi in mostra anche il “Nodo vinciano” xilografato da Dürer su invenzione di Leonardo].

REPERTI ARCHEOLOGICI PER IL VINO DA POPULONIA, UN LUOGO LEONARDIANO

Un servizio da simposio etrusco, del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, è composto da dieci reperti provenienti da Populonia.

Il simposio era un rituale che seguiva il banchetto con la condivisione del bere. Gli oggetti in uso per servire e degustare il vino, in bronzo e terracotta, sono: il colum (serviva per filtrare il vino dagli ingredienti aggiunti ed eliminare le torbidità); i kyathoi a rocchetto (di foggia tipicamente etrusca, a metà fra una coppa per bere e una per raccogliere, erano attingitoi per servirsi il vino dal cratere);

un cratere etrusco a figure rosse (il recipiente tipico del simposio poiché conteneva il vino che veniva attinto dai commensali); l’oinochóe a figure rosse (vaso per versare da bere, antenata delle moderne brocche); una teglia (bacile contenitore dei kyathoi); un glaux a figure rosse (vaso per libagione) e un kantharos a decorazione sovradipinta (coppa per bere).

Populonia, presso Piombino, è uno dei luoghi in cui Leonardo lavorò tra il 1502 e il 1504.

GUIDO RENI E UN BACCO INEDITO

Alessandro Marabottini è stato il primo ad attribuire, nel 1998, questo Bacco a Guido Reni (1575- 1642), ponendolo a confronto con un'altra versione che si conserva nel Museo di Dresda e a elementi stilistici del Putto dormiente in collezione Barberini a Roma, oltre che con la testa del fanciullo tra le braccia della madre in fuga sulla destra nella Strage degli innocenti conservata nella Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Lo storico dell’arte ha proposto una datazione agli anni 1610-1620, sottolineando “la perfetta fattura degli incarnati, splendidi e come di madreperla, trasparentissimi nelle ombre, delicato nelle luci argentee”.

Guido Reni (1575-1642) (assegnato da Alessandro Marabottini) Bacco

olio su tela c. 1610-1620 Collezione privata

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IL DIALOGO DI XU LI CON LEONARDO E IL SUO DISEGNO DEL 1473

Il famoso artista cinese Xu Li, nel suo dialogo con Leonardo, ha interpretato il paesaggio del 1473, che raffigura la Valdinievole e il Padule di Fucecchio nei dintorni di Vinci. Lo trasfigura fino a evocare la continuità e l’attualità dell’antica pittura cinese, memore della poetica dell’inchiostro letterario e della concezione taoista della natura.

Xu Li ha compiuto viaggi concreti e ideali, nei suoi luoghi d’origine e in paesi lontani, ricostruiti con lo sguardo del sentimento e della poesia, con finestre aperte su visioni di magia cercata nell’incontro tra natura e pittura. Ha attraversato metaforicamente i luoghi della gloria, del sacro e dell’eterno:

dalle città antiche alle icone del Buddha.

Viene qui esposta un’opera emblematica del suo incontro con Leonardo e la sua Toscana, realizzata appositamente per questa mostra.

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Alessandro Vezzosi

Leonardista e critico d’arte. È originario di Vinci, dove ha fondato e dirige dal 1993 il Museo Ideale Leonardo Da Vinci, con gli Archivi delle impronte digitali e dei Leonardismi, e con il progetto del

“Giardino di Leonardo”. Dirige pure il nuovo Museo Leonardo e il Rinascimento del vino, insieme ad Agnese Sabato.

È autore e curatore di centinaia di mostre, pubblicazioni e conferenze su Leonardo, oltre che su Michelangelo e Raffaello, “Pratolino. Laboratorio delle meraviglie” e i luoghi della memoria, l’arte contemporanea e il design, dagli Stati Uniti alla Cina e al Giappone.

I suoi libri (da Léonard de Vinci. Art et science de l’univers, 1996 a Leonardo infinito, 2008, e Leonardo. La pittura: un nuovo sguardo, 2018) sono stati tradotti in 18 lingue.

Ha iniziato nel 1973 le ricerche sui territori e i discendenti di Leonardo, per quello che si è configurato dal 2000 come il progetto sul DNA di Leonardo.

Agnese Sabato

Nata a Città del Messico, è laureata in Storia Moderna presso l’Università di Firenze.

Collabora all’organizzazione di mostre, conferenze, attività didattiche e iniziative istituzionali del Museo Ideale Leonardo Da Vinci (compreso l’“Archivio delle impronte digitali”), e a libri e quaderni di studio.

Ha pubblicato contributi sulla storia delle schiave a Firenze e sul mito e l’immagine di Leonardo.

Presiede la Leonardo Da Vinci Heritage, per le ricerche sulla genealogia e sui discendenti viventi dei Da Vinci e il progetto sul DNA di Leonardo.

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