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Teorie economiche del 900: Un confronto tra Keynes e i neoclassici

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITA’ DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGMENT

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN BANCA FINANZA E

MERCATI FINANZIARI

Teorie economiche del 900:

Un confronto tra Keynes e i neoclassici

Candidato Relatore

Alba Mansaku Prof.Fabrizio Bientinesi

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Alla mia famiglia, ai miei amici, ed a tutti

quanti che hanno creduto in me e mi hanno

sostenuto dall’inizio alla fine.

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INDICE

Capitolo 1 – Teorie del 900: La situazione all’inizio del secolo

1. Premessa

2. Economia walrasiana

3. La teoria walrasiana dell’equilibrio economico generale

3.1 Il concetto di prezzo nella teoria dell’equilibrio

3.2 La teoria dell’equilibrio e la moneta

4. Le teorie degli equilibri parziali: A.Marshall e I.Fisher

5. Critiche sul sistema di Walras

Capitolo 2 – Keynes e la sua teoria

1. John Maynard Keynes

2. Un disegno della teoria generale

3. Le aspettative nel breve e nel lungo periodo

4. Confronto tra Keynes e i classici

Capitolo 3 – L’ incompletezza del modello kynesiano

1. Premessa

2. Problemi di instabilita e incertezza

3. L’instabilita del capitalismo

4. La rivoluzione keynesiana

5. L’economia post-keynesiana

6. Nuova macroeconomia keynesiana

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CAPITOLO 1

TEORIE DEL 900: LA SITUAZIONE ALL’ INIZIO

DEL SECOLO

1.Premessa

All’inizio di questo secolo la scienza economica appare dominata dalla teoria dell’equilibrio, quale si e’ formata tra il 1870 ed il 1900. Gli svolgimenti successivi prenderanno la forma o di approfondimenti o di critiche della teoria dell’equilibrio; percio’ la storia della scienza economica nel secolo XX non sarebbe pienamente comprensibile se non si partisse da una esposizione compiuta di tale teoria. Nella teoria dell’equilibrio e’ implicito un concetto di attivita’ economica, e, corrispondentemente, un concetto di scienza economica, i quali, resi espliciti intorno al 1930, diverranno i cardini dell’elaborazione teorica successiva.

La teoria dell’equilibrio si e’ formata dal lavoro dei maggiori economisti della fine del secolo ΧΙΧ: Meger in Austria; Jevons, Edgeworth e Marshall in Inghilterra; Walras in Francia; Pareto e Barone in Italia; Clark e Fisher in America; Wicksell in Svezia. Le differenze tra questi economisti vertono su questioni sostanzialmente marginali, cosi c’e’ tra di loro un’unita’ di

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impostazione e anche di svolgimento teorici che rende legittimo il considerarli come coautori di una dottrina unitaria.

Ai fini di questa tesi, sara’ conveniente esaminare principalmente la forma che la teoria dell’equilibrio assunse in Walras, tra il 1873 e il 1877; forma che e’ comunque tra le piu compiute e rigorose. Qui sara’ sufficiente fare un cenno all’opera di due economisti, l’inglese Marshall e l’americano Fisher, le cui teorie, a differenza di quella di Walras, sono relative ad equilibri parziali, ad equilibri cioe’, di mercati particolari e non dell’intero sistema economico.

2. Economia Walrasiana

Léon Walras è stato un economista francese. Considerato da tanti autori come "il più grande di tutti gli economisti". Fu il "padre" della prima formulazione completa della teoria di equilibrio economico generale. Si tratta, d’altra parte,

del modello per eccellenza della teoria neoclassica. Il contributo più grande e teoricamente soddisfacente della scuola dell’economia neoclassica è il modello di equilibrio economico generale di Walras. L'attenzione si spostò dalle classi sociali al singolo individuo alla soddisfazione dei suoi bisogni procurata da beni che posseggono un valore in quanto sia utili che scarsi. In altri termini, come fu chiaro sin dagli scritti dei padri fondatori del marginalismo (Jevons, Menger e Walras), la metodologia marginalista, a differenza di quella classica che ritiene fondamentale lo studio della crescita economica, incentra la sua analisi sull'equilibrio economico e sulla ricerca di metodologie di allocazione

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delle risorse in modo efficiente. L’analisi del processo economico prende le mosse dallo studio del comportamento massimizzante di operatori individuali perfettamente razionali e di un mercato a concorrenza perfetta e cioè all'interno di un mercato in cui vi è un'ottima diffusione di informazioni.

L’opera principale di Walras, quella in cui trova più articolata e completa espressione la teoria walrasiana dell’equilibrio economico generale, è senz’altro rappresentata dagli Eléments d’économie politique pure. Di quest’opera furono pubblicate quattro edizioni durante la vita di Walras: la prima edizione, suddivisa in due volumi, apparve nel 1874 e nel 1877; le tre edizioni successive, tutte pubblicate come volumi unici, apparvero rispettivamente nel 1889 (II edizione), nel 1896 (III edizione) e nel 1900 (IV edizione, l’ultima durante la vita di Walras). Nel 1877 quattro mémoires furono raccolti da Walras in una brochure, alla quale fu dato il titolo di Théorie

mathématique de la richesse sociale; questa brochure fu poi ripubblicata nel

1883, sotto lo stesso titolo, in una versione rivista e accresciuta, contenente i quattro mémoires originari e altri tre scritti nel frattempo. Tutte le opere sopra citate, e specialmente negli Eléments, Walras sviluppa il proprio sistema teorico per stadi successivi, seguendo un particolare metodo costruttivo della teoria dell’equilibrio economico generale. Il metodo di Walras e’ di sviluppare la teoria generale come un modello disposto in ordine crescente estensione: nel senso che ciascun modello è più ampio del modello che lo precede (sempre che tale predecessore esista); pertanto, ciascun modello include il precedente ed è incluso nel successivo e rappresenta percio’ un’ulteriore approssimazione alla

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determinazione dell’equilibrio generale. Tre modelli sono compiutamente sviluppati in tutte le edizioni degli Eléments e nei quattro mémoires nelle quali Walras espone in modo sintetico la propria teoria. Il primo, denominato “teoria dello scambio”, si occupa della determinazione delle quantita’ scambiate e dei prezzi dei beni di consumo. Il secondo, detto “teoria della produzione”, si occupa delle quantita scambiate e dei prezzi sia dei servizi produttivi dei capitali sia dei beni intermedi. Il terzo, detto “teoria della capitalizzazione”, si occupa delle quantita’ prodotte dei capitali propriamente detti e dei loro prezzi. La quarta fase tiene conto del fatto che la produzione nel tempo sia dell’approvvigionamento dei beni intermedi sia della vendita dei prodotti puo’ essere da richiedere la necessita’ di anticipazioni, con il connesso insorgere del fenomeno del capitale circolante. La struttura di questi tre modelli, al pari delle relazioni reciproche che fra essi intercorrono, rimangono fondamentalmente inalterate in tutte le edizioni degli Eléments. Tuttavia, Walras introdusse la questione del capitale circolante e della moneta nel modello solo nella quarta edizione del 1900. Anche se riguardo a questo argomento si era gia’ discusso nei modelli precedenti degli Eléments, Walras decide di approfondire e integrare la questione monetaria solo nella quarta edizione.

La teoria dell’equilibrio generale, e il concetto di equilibrio concorrenziale walrasiano su cui essa si fonda, costituiscono uno dei pilastri importanti dell’economia contemporanea: non solo, com’è ovvio, della teoria microeconomica, ma anche, sia pure in maniera meno netta e indiscutibile, di

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molti campi della teoria macroeconomica, dell’economia applicata e della politica economica

In primo luogo va rilevato che, a partire dagli anni Trenta, e quindi, con rinnovato vigore, dagli anni Cinquanta del secolo scorso, l’economia walrasiana ha conosciuto uno sviluppo straordinario, tanto sul piano concettuale, quanto su quello formale. Sul piano formale, l’uso sempre più esteso e consapevole, accanto all’algebra, originariamente impiegati da Walras e da Pareto.

3. La teoria walrasiana dell’equilibrio economico generale

La teoria di Walras va sotto il nome di teoria dell’equilibrio generale, perche essa si riferisce non solo all’equilibrio di singoli soggetti economici isolatamente considerati, ma sopratutto alla posizione di equilibrio raggiunta dall’intero sistema economico. L’approccio utilizzato da Walras non è di equilibrio parziale (esame di un mercato per volta, come nella tradizione marshalliana) ma è, appunto, di equilibrio generale (per cui tutti ciò che accade in un singolo mercato determina effetti su tutti gli altri mercati). Il problema di Walras e’ dunque il seguente: date certe quantita’ iniziali di risorse produttive, data una certa tecnica di produzione, dato il sistema di preferenze dei soggetti economici, determinare le quantita’ di beni prodotti e scambiati, nonche’ i prezzi ai quali tali scambi hanno luogo, nella configurazione di equilibrio generale, in quella configurazione cioe’ nella quale sono simultaneamente realizzate le posizioni di equilibrio verso le quali rispettivamente tendono i vari

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soggetti economici. E’ importante notare che il tipo di economia che Walras ha in mente nella costruzione della sua teoria e’, almeno nelle sue intenzioni, assolutamente generale, non condizionata cioe’ da elementi specifici a questo o a quel sistema sociale.

E’ da rilevare tuttavia che Walras riesce ad assolvere solo in piccola parte questo suo compito, in quanto gli elementi essenziali della sua costruzione, e sopratutto i vari tipi di soggetti e di comportamenti economici che in essa appaiono, sono direttamente tratti dalla realta’ capitalistica.

Il ragionamento di Walras puo’ essere pienamente compreso in quanto si tenga presente il concetto di ricchezza che egli pone come categoria iniziale del suo discorso teorico. Walras intende per ricchezza sociale l’insieme delle cose materiali o immateriali (perché la materialità delle cose non importa qui in nessun modo) che sono rare, cioè che, da un lato, ci sono utili e che, d’altro lato, non esistono a nostra disposizione che in quantità limitata. Vi sono dunque due condizioni necessarie e sufficienti perche’ qualche cosa possa essere definita ricchezza: essa deve possedere la capacita’ di soddisfare qualche bisogno e d’altra parte deve essere disponibile in quantita’ limitata rispetto a questo bisogno. Non fanno quindi parte della ricchezza sociale ne’ le cose inutili ne’ quelle che, pur essendo utili, sono d’altra parte disponibili in quantita’ tale (come l’aria per esempio) da soddisfare completamente il bisogno che di esse si abbia. La duplice qualita’ di essere utile e limitata conferisce alla ricchezza tre proprieta’: essa e’ appropriabile; e’ oggetto di scambio ed e’ oggetto di attivita’ produttiva.

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L’economia politica pura, secondo Walras, in quanto e’ teoria della determinazione dei prezzi e delle quantita prodotte e scambiate, puo’ dunque essere definita anche come teoria della ricchezza sociale. La determinazione teorica dell’equilibrio e’ fatta da Walras sulla base di una accurata classificazione degli elementi che compongono la ricchezza sociale, classificazione anch’essa importante perche’ consente di distinguere le varie funzioni ed i vari tipi di comportamento che hanno luogo nel sistema economico. La prima grande ripartizione compiuta da Walras consiste nel distinguere gli elementi della ricchezza sociale in due categorie: i capitali ed i redditi. I capitali sono quei beni che non si esauriscono in un singolo uso ma che servono piu’ di una volta, o anche beni durevoli; i redditi sono quei beni che si esauriscono in un sigolo uso, che servono cioe’ una sola volta. I capitali comprendono a loro volta tre categorie di beni: le terre, i capitali personali, cioe’ le capacita’ di lavoro e di produzione dei soggetti economici esistenti nel sistema, e i capitali propriamente detti (edifici, macchine, capitale industriale). I redditi comprendono i beni di consumo non durevoli, poi i cosiddetti beni intermedi, cioe’ i beni non durevoli usati nella produzione che costituiscono una fase intermedia del processo produttivo (materie prime, energia, ecc.) e infine i servizi dei beni capitali, ossia gli usi successivi delle tre specie di capitali prima menzionate.

Sulla base di questa classificazione, l’equilibrio, in tutta la ricchezza dei suoi elementi costitutivi, puo’ essere descritto come segue. Si immaginino presenti nel sistema economico tre categorie di soggetti, distinti secondo la natura dei

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capitali a loro disposizione. Vi saranno cosi’ dei proprietari fondiari, che possediono le terre quindi che offrono i servizi del capitale terra, dei lavoratori che possediono i capitali personali quindi che offrono i servizi del loro capitale umano, dei capitalisti in senso stretto che possiedono i capitali propriamente detti e che offrono i loro servizi. Ciascuno di questi soggetti, proprio in quanto proprietario di capitali, e’ in grado di offrire sul mercato i servizi produttivi dei capitali stessi. Quindi il criterio di distinzione tra le categorie di soggetti è dunque il capitale posseduto e non le funzioni esercitate nel sistema produttivo. Oltre a queste tre categorie di soggetti ne esiste poi un’altra, quella degli imprenditori, di coloro cioe’ che acquistano sul mercato i fattori della produzione (siano essi servizi di capitali ovvero beni intermedi) e, sulla base di una tecnologia data, li combinano in processi produttivi che mettono capo a prodotti, cioe’ a beni di consumo, a beni intermedi e a capitali propriamente detti o beni capitali durevoli. Gli acquirenti di questi prodotti, nel caso dei beni intermedi, sono gli imprenditori stessi; nel caso dei beni di consumo e dei capitali propriamento detti sono gli stessi soggetti che all’inizio hanno offerto servizi produttivi e che ora, spendono il reddito ricavato dalla vendita di tali servizi, e sulla base di una struttura data di preferenze, acquistano, in quanto consumatori, i beni di consumo e, in quanto risparmiatori-investitori, i beni capitali resi disponibili dal processo produttivo. Perche’ il problema dell’equilibrio sia determinato, bisogna naturalmente supporre che le quantita’ dei capitali di ogni specie inizialmente a disposizioni dei soggetti economici siano date. Su questa base si tratta di stabilire di quali sono le quantita’ prodotte

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e scambiate di ogni tipo di beni e quali sono i prezzi di tali beni; e cioe’ si fa ipotizzando che su tutti i mercati di cui il sistema economico e’ composto abbiano luogo condizioni di concorrenza perfetta; abbia luogo cioe’ la circostanza che ogni soggetto economico sia abbastanza piccolo rispetto al mercato complessivo da non poter influenzare, ne’ con le sue offerte ne’ con le sue domande, i prezzi di mercato. Cio’ significa, in altri termini, che, mentre i prezzi si formano come risultato del complesso delle azioni e reazioni di tutti i soggetti economici, ciascun soggetto, a se’ considerato, deve accettare i prezzi di mercato come dati da lui non modificabili.

Si tratta, date le ipotesi, di operatori perfettamente razionali, perfettamente informati (i mercati sono perfettamente concorrenziali e dunque vi è perfetta trasparenza) e liberi di scegliere in che mercato operare (non vi sono barriere all’entrata o all’uscita).

Per ogni bene prodotto, servizio e capitale in senso stretto vi è un mercato. Vi sono così tre gruppi di mercati (piu quello del risparmio); mercati dei servizi produttivi dove i proprietari fondiari, lavoratori e capitalisti offrono i servizi dei loro capitali e le imprese domandano tali servizi; mercati dei prodotti dove le imprese offrono prodotti e domandano materie prime e beni intermedi e i proprietari fondiari, lavoratori e capitalisti domandano tali prodotti; mercati dei capitali nuovi dove i proprietari fondiari, lavoratori e capitalisti offrono risparmio e domandano capitali nuovi (i cui servizi offrono poi alle imprese) e le imprese produttrici di capitali in senso stretto offrono tali beni.

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Tale situazione di equilibrio è caratterizzata dal fatto che sia i consumatori che i produttori non hanno alcun interesse a modificare la propria posizione sui

diversi mercati.

A tale conclusione Walras perviene grazie alla costruzione di un complesso modello matematico, le cui diverse equazioni riflettono gli assunti fondamentali dell'economia marginalista sul comportamento degli operatori. L'economista, infatti, poneva come condizioni del suo modello che ogni soggetto cerchi di massimizzare la propria utilità, che ogni impresa cerchi di massimizzare il proprio profitto e che in ogni mercato la domanda e l'offerta di un bene siano uguali. Data la disponibilità di risorse produttive ed i gusti dei consumatori (ed ammesso che il mercato operi in regime di concorrenza perfetta, per cui la domanda e l'offerta sono funzioni dei prezzi), Walras dimostra che tale modello ammette un'unica soluzione. Tale soluzione, che è appunto quella di un equilibrio economico generale, assicura che ogni operatore economico raggiunga il suo ottimo in modo da non danneggiare le altrui funzioni di utilità. Perché questa soluzione sia effettiva, però, occorre che gli scambi avvengano solo ai prezzi di equilibrio. Per aggirare tale difficoltà, perciò, Walras ricorse all'espediente di immaginare che le contrattazioni avvenissero alla presenza di un banditore il quale, per aggiustamenti successivi (Tâtonnement), permetteva di raggiungere i prezzi di equilibrio.

Si supponga esistente, in modo del tutto casuale, un certo sistema di prezzi. In tale sistema sono compresi i prezzi dei beni di consumo, i prezzi dei beni intermedi, i prezzi dei servizi produttivi, i prezzi dei beni capitali e, infine, il

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saggio dell’interesse che naturalmente collega tra loro il prezzo del servizio di ciascun capitale col prezzo del capitale stesso. In presenza di tali prezzi, ogni soggetto cerca di comportarsi in modo da conseguire una posizione di massima soddisfazione o di massimo utile. Da questo complesso di reazioni all’ipotizzato sistema di prezzi, deriva un insieme di quantita’ offerte e di quantita’ domandate che si confronteranno sul mercato. Naturalmente, poiche’ il sistema di prezzi e’ stato ipotizzato come causale, non si potra’ supporre in generale che la domanda e l’offerta di ciascun bene siano uguali. Accadra’ percio’ che, rispetto ai prezzi iniziali, vi saranno aumenti di prezzo di tutti i casi in cui la domanda superi l’offerta e diminuzioni di prezzo in tutti i casi in cui l’offerta superi la domanda. Ad ogni nuova configurazione del prezzo corrisponderanno altre domande ed altre offerte. Il processo continuera’ fino al punto in cui vi sia da per tutto egualianza tra quantita’ offerte e quantita’ domandate. L’equilibrio risultera’ allora dal verificarsi di un duplice ordine di condizioni: una condizione soggetiva, che consiste nel perseguimento di una posizione di massimo da parte di ogni singolo soggetto economico; ed una

condizione oggettiva, la quale, attraverso l’equilibrio tra domanda e offerta per

ciascun mercato, garantisce che la posizione di massimo conseguita da ogni soggetto sia compatibile con quelle conseguite da ciascun altro.

Da un punto di vista metedologico e’ importante rilevare che questa grandiosa costruzione di Walras, proprio per la grande quantita’ degli elementi costitutivi e per la complessita’ del sistema di rapporti che tra di essi vengono istituiti, non puo’ compiutamente essere espressa mediante il linguaggio comune, e richiede

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l’uso del linguaggio matematico. Il sistema walrasiano si traduce infatti in un sistema di equazione algebriche, le quali esprimono l’insieme delle condizioni soggettive e oggettive di cui si e’ parlato. Naturalmente questo sistema di equazioni non fu pensato da Walras come un sistema effettivamente risolubile, nel senso che si potessero calcolare i valori numerici delle quantita’ e dei prezzi d’equilibrio, ma fu scritto essenzialmente per mettere in evidenza la logica del sistema.

Bisogna accennare soltanto due sviluppi successivi. In primo luogo vi saranno correzioni e perfezionamenti nel raggionamento matematico di Walras; in particolare verra messo in luce come la eguaglianza tra il numero delle incognite e il numero delle equazioni, che Walras ritienne sufficiente ai fini della correttezza del proprio discorso, non e’ invece sufficiente per garantire al sistema l’esistenza di soluzioni economicamente significative. In secondo luogo, attraverso opportune manipolazioni semplificatrici, il sistema di Walras e’ stato trasformato in modo da poter servire all’effettivo calcolo numerico delle soluzioni, e cio’ e’ stato di grande importanza ai fini della teoria di pianificazione. Fin ora pero’ importa mettere in luce uno degli aspetti piu’ importanti della teoria di Walras cioe’ quale sia il concetto di prezzo che risulta dal sistema dell’equilibrio economico generale.

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3.1 Il concetto di prezzo nella teoria dell’equilibrio

Secondo l’eccezione corrente il prezzo e’ semplicemente il rapporto di scambio tra due beni. Generalmente si assume uno dei tanti beni presenti sul mercato come termine di confronto per tutti gli altri, e lo si chiama in tal caso “numerario”. Questa nozione elementare di prezzo e’ naturalmente guista, ma si ferma soltanto alla superficie del fenomeno. La teoria dell’equilibrio economico generale consente di mettere in luce aspetti’ piu profondi del fenomeno prezzo, che sono indispensabili a chiarirne la vera natura. Per comprendere questo punto, occorre tener presente due circostanze. In primo luogo, il sistema walrasiano consente di precisare il concetto di saggio marginale di trasformazione, per il sistema economico nel suo complesso, tra due beni qualsiasi; consente cioe’ di determinare quale sia la quantita’ addizionale di un certo bene che puo’ essere prodotta qualora si rendano libere risorse produttive mediante la rinuncia alla produzione di una unita’ di un altro bene qualsiasi. In altri termini si stabilisce tra i vari beni una sorta di equivalenza tecnologica per cui, attraverso lo spostamento di risorse da un’attivita’ produttiva all’altra, e’ possibile, per cosi dire, trasformare un bene in un altro secondo una legge ben definita. In secondo luogo, nel sistema di Walras e’ possibile definire il cosiddetto saggio marginale di sostituzione tra due beni qualsiasi; e’ possibile cioe’ precisare quale quantita’ addizionale di un certo bene occorrerebbe avere, in corrispondenza della perdita di una unita’ di un altro bene qualsiasi, affinche’ la soddisfazione di chi consuma tali beni

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rimanga inalterata. In altri termini e’ possibile stabilire una sorta di equivalenza tra i vari beni sul terreno del consumo. Accade inoltre che in corrispondenza della configurazione di equilibrio, quale e’ determinata dal meccanismo della concorrenza, dati due beni qualsiasi, il loro saggio marginale di trasformazione nella produzione risulta uguale al loro saggio marginale di sostituzione nel consumo, e il comune valore di queste due grandezze rusuilta coincidere col il prezzo che si stabilisce sul mercato concorrenziale. I prezzi di equilibrio percio’ vengono a configurarsi come la misura dei rapporti di equivalenza tecnica e psicologica tra i vari beni presenti nel sistema.

Date cioe’ le iniziali quantita’ di risorse produttive, date le condizioni della tecnica di produzione, dato il sistema dei gusti e delle preferenze dei consumatori, il prezzo risulta, almeno teoricamnete, determinabile come rapporto di equivalenza tecnologica e psicologica, a prescindere dal verificarsi di un effettivo atto di scambio su un mercato.

L’importanza di questa nozione e’ evidentemente enorme: essa mette in evidenza il fatto che la teoria dell’equilibrio economico generale, nata ed elaborata essenzialmente come teoria del mercato di concorrenza, mette capo ad una nozione di prezzo che consentirebbe di fondare su basi razionali una economia pianificata, qualora naturalmente fossero risolti i connessi problemi di calcolo. Walras non si rese bene conto di questo aspetto della sua teoria. Tale aspetto comicia pero’ ad essere gia’ chiaro in Pareto, che e’ il maggiore continuatore di Walras, e divene del tutto esplicito nell’economista italiano Enrico Barone.

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3.2 La teoria dell’equilibrio e la moneta

Uno delle carateristiche piu’ rileventi dello schema dell’equilibrio economico generali, come lo abbiamo esposto nei paragrafi precedenti, e’ che esso vale a determinare i prezzi relativi e non i prezzi assoluti. Abbiamo gia’ detto come le

condizioni oggettive dell’equilibrio consistano nell’ugualianza, per ciascun

bene, tra la quantita’ offerta e la quantita’ domandata. Ora accade che queste condizioni di equilibrio non sono tutte indipendenti, ma ve n’e’ una (qualsiasi) che puo essere logicamente ricavata dall’insieme di tutte le altre, e che percio’ non costituisce una condizione vera e propria in quanto non impone alle incognite del sistema un vincolo aggiuntivo rispetto ai vincoli gia’ imposti dal complesso delle altre condizioni. Si consideri infatti uno qualunque dei soggetti economici presenti nel sistema: secondo l’impostazione walrasiana, egli e’, a un tempo, offerente di certi servizi produttivi e richiedente di certi beni, e il suo comportamento e’ tale che il valore complessivo dei beni domandati e’ uguale al valore complessivo dei beni offerti. Ora se questa uguaglianza e’ valida per ciascun soggetto, essa sara’ valida altresi’ per l’economia tutt’intera, per la quale si avra’ dunque che il valore dell’offerta complessiva sara’ uguale al valore della domanda complessiva (“legge di Walras”). Ma e’ chiaro allora che una configuarazione del sistema economico la quale soddisfaccia tutte le uguaglianze tra singole domande e offerte meno una, soddisfa necessariamente, in virtu’ della “legge di Walras” anche quest’ultima.

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Se dunque noi stabiliamo inizialmente il sistema dell’equilibrio generale, imponendo alle incognite di tale sistema un pari numero di condizioni, dovremmo poi eleminare una di queste condizioni che si rivelerebbe non indipendente dalle altre; ma in tal caso, come mostrano i matematici, l’insieme delle condizioni indipendenti non e’ in grado di determinare i valori assoluti delle incognite, ma e ‘ solo in grado di determinare quali valori assumono tutte le incognite meno una in funzione di valori arbitrariamenteassegnati all’incognita rimanente (“variabile indipendente”). Stando cosi le cose, assumiamo come variabile indipendente un prezzo qualunque: allora gli altri prezzi e tutte le quantita’ dei beni saranno determinabili in funzione di questo prezzo particolare. Chiediamoci ora di qual natura siano questi legami di dipendenza funzionale di tutte le variabili del sistema da quel prezzo assunto come variabile indipendente. Per rispondere a questa domanda soccorre un’ipotisi caratteristica della teoria dell’equilibrio: si suppone cioe’ che la quantita’ domandata e la quantita’ offerta di ciascun bene non mutino se i prezzi variano tutti nella medisima proporzione. Quest’ipotesi si giustifica con le seguenti due considerazione: se tutti i prezzi mutuano nelle stesse proporzioni, allora, in primo luogo, non muta quella che potrebbe chiamarsi la “posizione economica” di ciascun soggetto, giacche’ ad una variazione dei prezzi di cio’ che egli deve acquistare corrisponde un’indentica variazione dei prezzi di cio che egli vende, e, in secondo luogo, non essendo, per ipotesi, cambiati i rapporti tra i prezzi, i termini di riferimento per le scelte di vari soggetti sono rimasti immutati. In base a questa ipotesi (detta “ipotesi

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dell’omogeneita”), nella soluzione del sistema dell’equilibrio, ciascun prezzo risulta direttamente proporzionale al prezzo assunto come variabile indipendente, mentre ogni quantita’ risulta costante, cioe’ non muta al mutare del valore arbitrario che si puo’ assegnare a tale prezzo. Ugualmente indipendente da esso risulta il saggio dell’interesse, in virtu’ della natura, che egli e propria, di essere gia un rapporto tra i prezzi. Per quanto riguarda i prezzi, dunque, lo schema dell’equilibrio generale li determina in funzione di uno tra essi – e il bene che ha questo prezzo assunto come indipendente si chiama “numerario” -, e li determina in modo che al variare del prezzo del numerario, i rapporti tra i prezzi non mutuano: lo schema percio’ determina i

prezzi relativi e non i prezzi assoluti.

In questo senso si dice che nella teoria dell’equilibrio non e’ contenuta una teoria monetaria, giacche’ uno degli scopi fondamentali di una teoria della moneta e’ appunto quello della determinazione del livello assoluto dei prezzi. Ora e’ frequentissima nel pensiero economico moderno prima di Keynes, l’idea che il sistema dei prezzi relativi, delle quantita’ prodotte e del saggio dell’interesse, da un lato, e, dall’altro lato, il livello assoluto dei prezzi relativi siano determinati da circostanze del tutto distinte e riciprocamente indipendenti. I prezzi relativi, le quantita’ e il saggio dell’interesse si determinano, come abbiamo visto mediante il modello dell’equilibrio generale. I prezzi assoluti si determinano mediante un’ulteriore condizione, che si puo’ illustrare come segue. Consideriamo un bene (l’oro per esempio) che funga da moneta, e chiediamoci quale sia la quantita’ di moneta che occorre all’insieme

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dei soggetti economici per effettuare tutte le transazioni che hanno luogo nel sistema economico durante certo periodo, poniamo un anno. Tale quantita’ di moneta possiede una relazione definita con due elemento: il valore annuo della produzione e la velocita’ di circolazione della moneta stessa (ossia il numero di transazioni che un unita’ monetaria compie, in media, in un anno): precisamente la quantita’ di moneta richiesta dai soggetti economici e’ uguale al valore annuo della produzione diviso per la velocita’ di circolazione. Per quanto riguarda il valore annuo della produzione, e da rilevare che, dalla soluzione del sistema dell’equilibrio generale, noi possiamo trarre le quantita’ prodotte e i prezzi relativi; il che significa che, da tale soluzione, il valore della produzione resta determinato a meno di un coefficiente arbitrario. Cio’ posto, ammettiamo che l’autorita’ monetaria fissi per suo conto la quantita’ di moneta. Poiche’ la quantita’ di moneta domandata deve essere uguale a questa quantita’ offerta dall’autorita’ monetaria, cio’ impone al sistema economico, rispetto alle condizioni gia’ imposte dall’equilibrio generale, un’ulteriore condizione nella quale unico elemento incognito e’ proprio quel coefficiente lasciato arbitrario dallo schema dell’equilibrio: determinato allora tale coefficiente mediante la condizione in parola, si ottiene il livello assoluto dei prezzi, e quindi il valore della produzione, il quale risultera’ tanto maggiore e’ la quantita’ di moneta. Questa teoria ( che va sotto il nome di “teoria quantitativa della moneta”) implica dunque una separazione molto netta tra un aspetto reale e un aspetto

monetario della vita economica; ripetiamo: sul terreno reale si determinano i

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monetario si determinano i prezzi assoluti. Cio’ che importa rilevare e’ questo: la separazione tra i due aspetti poggia tutta su un’ipotesi, ossia che la domanda di moneta provenga unicamnete dalla necessita’ di condurre transazioni mercantili, e che percio’ ( una volta data la velocita’ di circolazione) la moneta serve solo a determinare il livello assoluto dei prezzi; quando con Keynes si affermera’ che la quantita’ di moneta e uno degli elementi essenziali per la determinazione del saggio dell’interesse ( in quanto la moneta e’ usata per scopi speculativi oltre che per scopi transattivi), allora quella separazione scomparira’, perche’, in questa nuova impostazione, se non si tiene conto della moneta, e quindi non si determina il saggio dell’interesse, non si possono determinare tutte le grandezze che dal saggio dell’interesse dipendono ( in primo, e in via immediata, le produzioni dei beni capitali).

4. Le teorie degli equilibri parziali: A.Marshall e I.Fisher

L'equilibrio economico parziale è l'equilibrio economico di un singolo mercato. In un'analisi di equilibrio economico parziale sono studiate le condizioni di equilibrio in un singolo mercato, senza prendere in considerazione anche gli altri mercati del sistema economico. L'equilibrio economico parziale è determinato da un prezzo ( prezzo di equilibrio ) in grado di uguagliare la domanda e l'offerta relative al singolo mercato. L'equilibrio economico parziale può essere agevolmente rappresentato su un diagramma cartesiano, nel punto di

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incontro tra la curva di domanda e la curva di offerta di un bene/servizio ( croce marshalliana ).

La sua formulazione si deve principalmente a Marshall il quale, a differenza di Walras, concentrò la propria attenzione su un solo mercato per volta, ipotizzando che quanto avviene nel mercato di un bene non abbia influenza sui prezzi degli altri beni. Inoltre, Marshall fu molto più attento alla dimensione temporale, giungendo a definire un equilibrio di breve e di lungo periodo. Nel breve periodo il livello di output di ciascuna azienda dipende dalla produttività del lavoro e degli altri costi variabili, mentre il capitale è considerato fisso. Perciò nel breve periodo la curva di offerta dell'impresa è determinata dalla legge della produttività marginale decrescente. Nel lungo periodo, invece, l'andamento dell'offerta di ciascuna azienda dipenderà da tutti i fattori produttivi utilizzati, per cui la produzione potrà avvenire a costi crescenti, decrescenti o costanti. Per la sua analisi dell'equilibrio parziale Marshall sviluppò concetti divenuti fondamentali per l'economia politica in genere, quali, appunto, la condizione ceteris paribus e la nozione di impresa rappresentativa (un'impresa che ha funzioni di costo normali ed opera in condizioni di mercato medie). L'analisi dell'equilibrio di un singolo mercato portò, inoltre, Marshall ad elaborare la croce marshalliana, il famosissimo grafico in cui il prezzo di equilibrio è determinato dall'incontro fra domanda ed offerta.

Si vuole indicare il contributo di Marshall come teoria degli equilibri parziali, essendo stato interesse di quest’economista sopratutto lo studio della singola

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unita’ di produzione in un mercato dato, e della singola industria, definita come l’insieme delle aziende che producono la stessa merce. Naturalmente, proprio in virtu’ di questa caratteristica, la teoria di Marshall non ha la grandiosita’ e la compiutezza di quella di Walras, ma fornisce, rispetto ad essa, un esame molta piu’ ricco e assai meno schematico della struttura e del comportamento dell’azienda concorrenziale.

I contributi di Marshall che piu’ interessano la nostra esposizione sono tre. In primo luogo la teoria della domanda, nella quale egli espose, in modo completo e rigoroso, la relazione funzionale che intercorre tra il prezzo di un bene e la quantita’ di esso che viene domandata, consentendo un tal modo di sgombrare il campo dell’analisi economica da non poche oscurita’ che precedentemente nascevano dalla confusione tra mutamenti della quantita’ domandata lungo una medesima funzione di domanda e spostamenti dell’intera curva di domanda in conseguenza di cambiamenti nel reddito o nelle preferenze dei consumatori. L’analisi marshalliana pose le fondamenta sulle quali si svilupperanno tutte le numerose ricerche teoriche e statistiche sulla domanda.

In secondo luogo e’ da ricordare l’illustrazione delle condizioni necessarie e sufficienti a definire un regime di concorrenza perfetta.

In terzo luogo e’ notevolissima l’analisi dei costi e, sulla base di essa, lo studio del modo in cui l’azienda e l’industria si adattano alle condizioni di mercato in breve e in lungo periodo. Questa distinzione tra breve e lungo periodo, sebbene adombrata fin dall’epoca classica, e’ essa stessa un contributo di Marshall, il quale defini’ “periodo breve” quel periodo durante il quale si puo’ suporre, in

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primo luogo, che l’azienda mantenga inalterata la consistenza dei propri impianti e quindi muti soltanto il volume della produzione entro i limiti fissati dalla capacita’ a dispozione, e, in secondo luogo che il numero delle aziende componenti l’industria sia dato; ed intese per “periodo lungo” un periodo durante il quale si suppongono variabili sia la consistenza degli impianti sia il numero delle aziende. In conseguenza di questa distinzione, riusciva possibile a Marshall definire due fasi nel processo di conseguimento dell’equilibrio, secondo che l’equilibrio stesso fosse appunto di breve o di lungo periodo. Nell’equilibrio di breve periodo l’azienda consegue il massimo utile da un impianto dato, l’utile puo’ essere anche diverso da quello che si consegue presso altre industrie; nel lungo periodo essa massimizza il proprio utile scegliendo la piu’ redditizia tra tutte le possibili dimensioni dell’impianto stesso, mentre l’entrata o l’uscita di aziende rispetto all’industria ha portato tale utile massimo allo stesso livello che si consegue presso ogni altra industria. L’equilibrio generale walrasiano e’, alla tregua di questo concetto marshalliano, un equilibrio di lungo periodo.

L’altra analisi “parziale” di grande rilievo e’, come s’e’ detto, quella di Irving Fisher; essa riferisce a quel particolare mercato nel quale si determina il saggio dell’interesse. Il problema, secondo Fisher, si pone in questi termini: quando diciamo che il saggio dell’interesse d’equilibrio, e’ poniamo il 4%, intendiamo dire che 104 euro disponibili tra un anno sono, alla stregua delle risultanze di mercato, equivalenti a 100 euro disponibili oggi: si tratta allora di vedere quali sono i meccanismi mediante i quali il mercato determina il valore di questo

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prezzo particolare, che e’ il saggio dell’interesse, il quale consente di confrontare tra loro ricchezze disponibili in periodi diversi. In tale ricerca Fisher suppone che tutti gli altri prezzi siano dati: in cio’ risiede appunto il gia’ ricordato carattere “parziale” della sua analisi. La determinazione del saggio dell’interesse avviene sulla base di due principi. In primo luogo, c’e’ un fatto psicologico, cioe’ la sottostima del futuro rispetto al presente da parte del soggetto economico normale, in conseguenza di un atteggiamento che Fisher disegna col termine “impazienza”: si tratta in sostanza della circonstanza, gia’ da tempo messa in luce da altri teorici, che un bene disponibile oggi e’ generalmente preferitto a un bene disponibile in fututo. Ogni soggetto possiende il suo saggio di preferenza nel tempo, il quale dipende da vari fattori, ma principalmente dal suo reddito e dal modo in cui esso si distribuisce nei vari nei vari periodi futuri: ad una semplice riflessione apparira’ chiaro che normalmente questo saggio e’ tanto maggiore tanto minore e’ il reddito, e quanto piu’ rapidamente esso cresce luongo il tempo. Immaginando che per ogni individuo sia dato il reddito e la suo distribuzione nel tempo, e supponendo, secondo un procedimento seguito gia’ da Walras, che il saggio dell’interesse sia dato a caso, e’ chiaro che coloro che hanno un saggio di preferenza nel tempo maggiore di tale saggio dell’interesse tenderanno a contrarre prestiti e lo faranno fino al punto in cui tali prestiti, accrescendo la disponibilta’ presente di reddito a scapito di quella futura, avranno abbassato il saggio di preferenza nel tempo fino al livello del saggio d’interesse. Viceversa coloro che hanno un saggio di preferenza nel tempo minore del saggio

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d’interesse tenderanno a concedere prestiti, e lo faranno fino al punto in cui tali prestiti, diminuendo la disponibilita’ presente di reddito a favore di quella futura, avranno aumentato il saggio di preferenza nel tempo fino al livello del saggio d’interesse. Sul mercato percio’, che si suppone funzioni in condizioni di concorrenza perfetta, si formeranno, in corrispondenza del saggio d’interesse, una domanda e un’offerta di prestiti: se la domanda superera l’offerta il saggio dell’interesse crescera’, abbasando la domanda e aumentando l’offerta, e il processo continuera’ fino a che le due grandezze siano divenute uguali; analogo processo avra’ luogo se, inizialmente, se la domanda sia inferiore all’offerta. Nella posizione d’equilibrio, la domanda e l’offerta dei prestitisono uguali in corrispondenza di un saggio d’interesse al quale si eguagliano i saggi di preferenza nel tempo di tutti i soggetti.

In una seconda approssimazione al problema, Fisher fa intervenire il secondo principio rilevante per la determinazione del saggio dell’interesse. Si tratta (abbandonando l’ipotesi che il reddito sia dato per ogni soggetto) di considerare la circostanza di caraterre tecnologico che ad ogni soggetto sono aperte piu’ possibilita’ di reddito, piu’ flussi di reddito estendentisi nel futuro, secondo l’uso che egli faccia delle risorse a sua disposizione. Il principio che regola la scelta di tale uso e’ che il soggetto destinera’ le proprie risorse a quell’impiego cui corrisponde il flusso di reddito avente il massimo valore attuale calcolato al saggio d’interesse di mercato; una volta che tale scelta sia fatta, la destribuzione del reddito lungo il tempo viene modificata mediante il meccanismo dei prestiti prima descritto. Il saggio d’interesse che si stabilisce

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sul mercato in posizione d’equilibrio risulta cosi’ congiuntamente determinato e dalle possibilita’ tecnologiche aperte a ciascun soggetto per cio’ che riguarda l’uso delle risorse e dal saggio di preferenza di ciascuno.

Nei riguardi dell’aspetto teconologico del problema, e’ da osservare che il caso di gran lungo piu’ rilevante e’ quello in cui l’impiego che comporta il reddito di massimo valore attuale e’ un impiego che consente uno scarso reddito nei periodi piu’ vicini e un reddito abbondante nei periodi piu’ lontani: un impiego siffatto, rispetto agli altri, comporta dunque un “investimento”, come appunto puo’ definirsi, secondo Fisher, la rinuncia ad un reddito presente per il conseguimento futuro. Se si considera come “costo” dell’investimento il minor reddito dei periodi vicini, e come suo “rendimento” il maggior reddito dei periodi lontani, allora si chiama “saggio di rendimento rispetto al costo” quel saggio di sconto al quale il valore attuale dei rendimenti e’ uguale al valore attuale dei costi. E’ chiaro allora che il criterio di scelta prima menzionato (che si riferiva all’alternativa dotata del flusso di reddito di massimo valore attuale) puo’ anche esprimersi dicendo che il soggetto tendera’ investire, cioe’ a spostarsi verso alternative che implicano una rinuncia presente in favore di redditi futuri, fino a che il saggio di rendimento rispetto al costo e’ maggiore del saggio d’interesse, ossia fino al punto in cui il saggio di rendimento relativo all’ultima dose di reddito investito sia divenuto uguale al saggio d’interesse. Nella posizione d’equilibrio percio’ esiste un unico valore per il saggio dell’interesse, per tutti i saggi marginali di rendimento degli investimenti e per tutti i saggi di preferenza nel tempo.

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Nelle societa’ moderne, rileva Fisher, la parte di gran lungo piu’ rilevante dei prestiti e’ costituita da quelli effettuati per correggere le distribuzioni temporali dei flussi di reddito che, per i soggetti investitori, sarebbero fortemente e insopportabilmente distorte in conseguenza appunto degli atti di investimento: attraverso i prestiti tali distorsioni vengono trasferite dagli investitori ai mutuanti e percio’ distribuite su tutta la collettivita’. Giova in fine ricordare, per completare il quadro della teoria di Fisher, che il progresso tecnologico, cioe’ il complesso di quelle che egli chiama “scoperte e invenzioni”, gioca un ruolo essenziale nella determinazione del saggio dell’interesse: infatti e’ da tale progresso che derivano nuove occasioni d’investimento, e quanto piu’ intenso e’ tale progresso tanto piu’ alto tendera’ ad essere, in equilibrio, il saggio dell’interesse.

5. Critiche sul sistema di Walras

Sara’ opportuno accennare brevemente ai problemi che la teoria dell’equilibrio lasciava aperti e che come si vedra formeranno oggetto di riflessione successiva.

Un primo problema riguarda specifivamnete il sistema di Walras ed e’ una difficolta interna al sistema stesso. La teoria di Walras e’ logicamente coerente in ogni sua parte salvo in una. Questa parte non soddisfaciente del sistema riguarda la teoria del capitale, quella parte cioe’ della teoria che esamina la produzione di beni capitali nuovi nonche’ la formazione dei loro prezzi. Piu’ in

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particolare, non sembra sia possibile, nell’ambito del sistema walrasiano, dimostrare l’esistenza di equazioni per quel gruppo di equazioni che si riferiscono alla determinazione di un unico saggio di rendimento sui vari capitali. In altri termini in questo sistema, mentre esistono meccanismi sufficienti a determinare il prezzo d’equilibrio dei vari prodotti attraverso il gioco della domanda e dell’offerta, non esistono meccanismi sufficienti a far coincidere i saggi di rendimento dei vari capitali con l’unico saggio di interesse presente sul mercato. Si supponga infatti che i saggi di rendimento siano diversi; un aggiustamento verso l’equilibrio potrebbe aversi soltanto attraverso un aumento delle quantita’ dei servizi di capitali che rendono molto e una diminuzione delle quantita’ dei servizi dei capitali che rendono poco. Questo risultato a sua volta potrebbe ottenersi solo in quanto la disponobilita’ di alcuni capitali aumentasse e quella di altri diminuisce, ma cio’ contraddirebbe l’ipotesi che le quantita’ dei capitali siano date, ipotesi fondamentale nello schema walrasiano, giacche’ il suo abbandono renderebbe inderteminato il sistema dell’equilibrio; del che lo stesso Walras si rese ben conto allorche’ suppose che i capitali nuovi, prodotti durante il periodo stesso e cominciano a dar luogo a servisi produttivi solo nei periodi successivi. Una conferma indiretta, ma interessante, di questa difficolta della teoria walrasiana ci viena da Pareto, il quale, dopo aver esposto una prima volta, la teoria dell’equilibrio economico generale,includento in essa una teoria del capitale identica a quella di Walras,elimino’ del tutto, dallo schema dell’equilibrio generale, il fenomeno della formazione del capitale, come se si fosse reso conto dell’impossibilita’ di

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dare una teoria rigorosa di tale fenomeno entro le premesse e le categorie dell’economia di origine walrasiana.

Si deve dunque concludere che i problemi del capitale e quindi dell’interesse hanno posto gravi difficolta’ alla teoria dell’equilibrio generale, quale che fosse il modo di formularla. Ne’ si puo’ pensare di sfuggire a tali difficolta’ facendo ricorso ad una teoria dell’interesse perfettamente coerente dal punto di vista logico.

Il secondo riguarda la cosiddetta irrealta’ dell’ioptesi concorrenziale. La critica a questo punto della teoria dell’equilibrio costituisce per altro una delle componenti piu’ rilevanti del pensiero economico contemporaneo.

Il terzo problema riguarda la questione dello sviluppo. Anche supponendo che la su ricordata difficolta’ relativa alla formazione di capitale non abbia luogo, sta di fatto che il sistema dell’equilibrio presuppone che le circostanze relative alle tecniche di produzione nonche’ ai gusti ed alle preferenze dei consumatori siano date ed immodificabili. In tal modo alcuni dei fenomeni piu’ caratteristici dello sviluppo economico vengono esclusi da questo sistema. Effettivamente un’economia in cui la tecnica di produzione e le preferenze dei consumatori siano immutabili, e’ destinata a raggiungere prima o poi uno stato stazionario, dove l’unica crescita possibile e’ quella di natura puramente quantitativa, che avrebbe luogo in conseguenza degli eventuali aumenti della popolazione.

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CAPITOLO 2

KEYNES E LA SUA TEORIA

1.JOHN MAYNARD KEYNES

Nacque a Cambridge nel 1883. Studiò dapprima ad Eton, poi a Cambridge, dove si era laureato in matematica nel 1905. Due anni dopo iniziò a lavorare al Ministero per l'India e studiando i rapporti monetari tra Inghilterra e India elaborò in una sua opera del 1913 un sistema monetario teorico internazionale molto più avanzato. Keynes divenne un importante ed influente funzionario del Ministero del Tesoro, professore d'economia a Cambridge, nel 1941 fu nominato governatore della banca d'Inghilterra, consigliere della corona e nel 1944 lord. Keynes era un letterato, editore, mecenate, militante pacifista, amante del teatro e dell'arte, collezionista di libri e di quadri, non poteva sopportare la guida di nessuno e non si fece mai sedurre dalla politica. Egli non concepiva l'Economia come una scienza pura slegata dalle vicende economiche e dalle questioni politiche; era un economista illuminista, non conservatore che glorificava Malthus. Keynes credeva limitatamente nel mercato e molto nel ruolo dello stato, la cui azione era necessaria per sconfiggere le distorsioni del

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sistema economico e per superare le crisi che colpivano le società capitalistiche. Egli come Marx e Smith, rispecchiava la società in cui viveva e operava; di fronte ad una crisi come quella del 1929 che aveva provocato milioni di disoccupati in tutto il mondo, proponeva un intervento dello stato nel governo dell'economia, senza però distruggere il sistema capitalistico. Nella prima opera di Keynes, edita nel 1919, si trovavano gia alcuni spunti sviluppati meglio nella sua opera più nota, quali la fine del capitalismo, la "previsione" che non sarebbero più esistite negli anni a venire le stesse condizioni di sviluppo e di progresso che si erano create nei decenni precedenti alla prima guerra mondiale, per effetto dell'aumento della popolazione e delle innovazioni tecnologiche. L'opera per cui Keynes divenne il più famoso e influente economista del suo secolo, fu "la teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta”, edita nel 1936. Essa sancì la fine della teoria neoclassica e in particolare delle capacità del mercato di autoregolamentarsi e di trovare al suo interno le forze per arrivare alla piena occupazione. La teoria generale è stata il centro di quella che fu chiamata rivoluzione keynesiana, ed ebbe un gran successo perché analizzò le cause e indicò i rimedi della più grave crisi che colpì l'economia mondiale. La teoria keynesiana venne influenzata dalla Grande depressione del 1929, perché era stata causa di un'imprevedibile e inarrestabile deflazione, cioè di una riduzione generale dei prezzi, a cui non era corrisposto un aumento della domanda a causa di un crollo dei redditi. Keynes spiegò che per superare la depressione e rimediare ai suoi effetti occorreva sostenere la domanda, favorendo la spesa privata e, se questa era insufficiente

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espandere quella pubblica. Ma soprattutto invitava i governi ad elevare il livello degli investimenti al fine di utilizzare le risorse produttive disoccupate, anche ricorrendo ad ingenti prestiti.

Il mercato del lavoro e di tutti i fattori produttivi in genere non era in grado di riequilibrarsi automaticamente, come avevano sempre sostenuto i neoclassici; era quindi necessario l'intervento esterno da parte dello stato di sostenere la domanda globale. Il grande merito di Keynes fu quello di provocare un profondo rinnovamento non solo della scienza economica ma anche della politica economica. Il raggiungimento del benessere generale per Keynes doveva essere il risultato di una continua e pacifica evoluzione della società, fino a giungere alla fine dell'economia di mercato. Questo grande economista con le sue teorie di fatto rafforzò il capitalismo perché riuscì a trovare i rimedi della crisi del sistema, cosa di cui era stata incapace l'economia tradizionale. Quando Keynes morì, le sue idee ed il suo pensiero si erano ormai diffusi in tutto il mondo. Tuttora non esiste un manuale di macroeconomia che non sia stato elaborato e sviluppato sulla base delle sue teorie.

2.Un disegno della teoria generale

Nel 1936 Keynes pubblicò la Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, un'opera molto complessa che critica l'economia classica. I suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine alla cosiddetta "rivoluzione keynesiana". In contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la

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necessità dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di bilancio e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione nel sistema capitalista, in particolare nella fase di crisi del ciclo economico.

Nella storia delle crisi cui è andata soggetta l’economia capitalistica se ne ricorda in particolare una, assai prolungata, manifestatasi sul finire degli anni’ 20, che ha interessato tutti i Paesi a regime di mercato e che è stata significativamente definita come la Grande Depressione. All’indomani del tracollo del mercato borsistico di Wall Street si diffuse un’atmosfera di incertezza e di panico che minacciò di far precipitare l’America, vera patria del liberismo economico, nell’incubo della recessione. In questo contesto altamente drammatico, che metteva in luce i limiti insiti nel sistema capitalistico, matura il pensiero rivoluzionario di John Maynard Keynes, economista inglese, artefice di una nuova impostazione, nettamente contrapposta a quella tradizionale della scuola classica e neoclassica destinata a fondare le basi della moderna concezione dell’interventismo statale.

La "teoria generale" nasce come riflessione sulla situazione di crisi e di disoccupazione della Gran Bretagna degli anni `30. L'atteggiamento degli economisti accademici era tale da considerare questi avvenimenti come puramente accidentali, destinati ad essere superati spontaneamente attraverso i meccanismi di riequilibrio di mercato. La conseguenza di questo fatto era l'assoluta impreparazione ad affrontare le violente crisi che scossero quegli anni -- addirittura vennero prese misure di politica economica che avrebbero

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scatenato effetti opposti a quelli voluti, come Keynes più volte aveva previsto. Inizialmente Keynes propone, nel Trattato sulle Probabilità, un approccio razionalista alla economia, quindi gli economisti dovranno tenere un comportamento razionale, in una realtà aperta e piena di incertezze; la razionalità è legata alle valutazioni soggettive, ovvero ai cosiddetti, comportamenti occasionali. Ruolo chiave, dopo gli agenti economici, sono i mercati finanziari che costituiscono l'intermediario tra la passività e il ruolo attivo nei mercati da questi vengono decise scelte a breve e a lungo termine. Queste ultime vengono studiate piu affondo, a causa della maggior incertezza e soprattutto riguardano la teoria dell'interesse. Nel libro troviamo uno studio approfondito, riguardo l'economia del tempo, nel quale vengono studiati i pilastri, ossia le fondazioni della teoria Keynesiana, che si differenzia, completamente da tutte le altre, al punto tale di guadagnare l'appellativo di Rivoluzione Keynesiana.

I pilastri della Teoria Generale sono: I) Domanda Effettiva che e' definito da due curve, una funzione di offerta aggregata e una di domanda aggregata. Queste due funzione mettono in relazione il numero dei lavoratori occupati per ottenere una certa produzione, con le prospettive degli imprenditori sull'andamento del costo del lavoro e dei ricavi sulle vendite su cui basano le loro decisioni di investimento. L'investimento è la componente variabile della domanda, mentre il consumo è stabile e varia con il reddito. I costi sono misurati, sostanzialmente dai salari e dai profitti mentre la domanda indica, ciò che l' impresario vuole guadagnare. Il punto di domanda effettiva è dove si

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intersecano le due curve e ci dice il livello di equilibrio atteso alla produzione, quindi dall'occupazione, ossia dai costi e dai ricavi. Successivamente parla dei consumi e degli investimenti, i quali sono due distinte categorie di soggetti economici: i consumatori, i quali sono salariati e sono i lavoratori, mentre gli investimenti vengono effettuati dagli imprenditori. I consumi dipendono dal reddito, mentre gli investimenti dalle decisioni dell'imprenditore. Finalmente si ha che l'investimento determina il livello di equilibrio del reddito. Si deduce che risparmio e consumo sono variabili passive, dipendono in modo indiretto dalle decisioni di investimento.

II) Meccanismo del Moltiplicatore in qui Keynes basa il suo ragionamento dal punto di vista dell'imprenditore. Un ruolo fondamentale nella domanda di investimenti è giocato dalle aspettative che gli investitori hanno rispetto ai guadagni futuri. Si hanno due tipi di cosi: i costi a lungo termine, che riguardano i costi dovuti all'investimento stesso ovvero l'acquisizione di macchine da lavoro e l'organizzazione dell'impresa; questi sono considerati costi elevati, perché durano tutto l'arco dell'investimento, inoltre considerati non stabili perche possono variare nel tempo. Altro tipo di costo sono i costi a breve termini, i quali sono considerati quasi nulli, perché non duraturi.

III) Teoria dei mercati monetari e finanziari: Teoria dell'interesse Keynes parla del tasso d'interesse che è la rinuncia alla moneta liquida, ossia il guadagno che rende una determinata azione, grazie al sui acquisto e alla sua successiva vendita; successivamente parla dell'allocazione di stock. La moneta ha le seguenti qualità: a) la moneta è un'unità di conto b) la moneta è deposito di

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valore c) la moneta serve come finanziamento della produzione e degli investimenti. I protagonisti sono i finanzieri (imprenditori), e il denaro è suddiviso in denaro liquido e titoli azionari. Vi è una domanda di moneta in quanto ricchezza in sé. Nel sistema capitalistico esiste una preferenza per la liquidità che Keynes spiega con l'incertezza nel futuro. Keynes collega però la preferenza per la liquidità anche al discorso sull'accumulazione, infatti nei periodi di maggiore instabilità la domanda di moneta speculativa prevale sugli incentivi ad investire: l'attività normale del sistema diventa l'attività speculativa, che è un'attività di breve periodo e a volte più redditizia, mentre il processo di accumulazione e sempre un processo estremamente lungo e riguarda il futuro incerto. Speculazione (investimenti puramente finanziari) e accumulazione capitalistica sono fenomeni fortemente integrati, non si possono spiegare separatamente, da una parte c'e una tendenza continua al non investimento, dall'altra c'è una continua presenza di liquidità nel sistema e cioè di domanda di ricchezza in termini monetari in quanto tale. Nella borsa vediamo come il tasso d'interesse sia la funzione inversa alla domanda di offerta, perché quando una scende l'altra sale. Questo schema di relazioni gerarchiche si contrappone agli schemi di equilibrio economico generale, in cui ogni variabile dipende dalle altre.

Keynes scrive la Teoria Generale con una serie di finalità: (i) finalità descrittiva: studiare le forze che concorrono alla determinazione del prodotto e del livello di occupazione delle economie monetarie; (ii) finalità critica: dimostrare che la teoria classica si concentra su una situazione particolare e di

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fatto irrilevante per l’economista che si occupi di spiegare la dinamica delle economie monetarie; (iii) finalità politica: sostenere l’auspicabilità dell’azione pubblica nell’economia, indicando gli strumenti necessari a tale azione; (iv) finalità sociologica: persuadere sia economisti che politici della correttezza delle tesi (ii) e (iii). Tali obiettivi sono espressamente e inequivocabilmente esplicitati in vari passaggi della Teoria Generale.

Keynes riuscì a porre le basi affinché la sua opera divenisse un punto focale rispetto al quale gli economisti del passato e le generazioni di economisti a venire avrebbero dovuto comunque confrontarsi. Nella Teoria Generale anzitutto si parte dall’enunciare lo scopo dell’opera. Quindi passa alla parte costruttiva del suo ragionamento che è fatta di argomenti di carattere generale e di caratterizzazione dei particolari relativi ai singoli mercati, che sostengono logicamente la tesi della Teoria Generale. E’ interessante notare che il libro si intitola Teoria Generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, si spiegano nell’ordine occupazione, interesse e moneta, ma in realtà il nesso causale fra le variabili, a ben guardare, dopo avere studiato le variabili è esattamente invertito…

Prima di giungere alla determinazione dell’equilibrio di sottoccupazione Keynes definisce la varie parti del sistema economico, coerentemente con il proprio metodo d’indagine, analizzando dapprima questioni di carattere generale e procedendo via via nel dettaglio dei singoli mercati. Il capitolo 3 della Teoria Generale viene dedicato alla spiegazione del principio della domanda effettiva, che scaturisce dalle preliminari definizioni delle funzioni di

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domanda e di offerta aggregata. Per ciò che concerne la definizione della domanda AD e AS aggregata, appare evidente come Keynes intendesse la domanda effettiva (ossia il punto della domanda aggregata che determina l’equilibrio del sistema economico) pari alla somma delle remunerazioni dei fattori produttivi (si pensi alle identità di contabilità nazionale ed alla determinazione del PIL secondo il criterio della spesa e secondo il criterio del reddito, il primo somma di consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni nette, il secondo come somma della remunerazione dei fattori produttivi).

Nel mercato dei beni la teoria keynesiana dell’investimento si caratterizza per il fatto di enfatizzare il ruolo giocato dalla mancanza di informazione. Il vincolo informativo considerato da Keynes assume esplicitamente due forme. La prima ha carattere sistemico e si connette al tema dell’incertezza dove la decisione di investimento discende da una valutazione delle prospettive di rendimento a lungo termine, e tali aspettative non hanno un fondamento oggettivo. Benché ciascun individuo possa avere una differente capacità previsionale ed una propria propensione al rischio, nessuno può in realtà prescindere dall’incertezza ed essere immune da errori. In questo senso l’incertezza ha una dimensione sistemica dato l’operare in un ambiente incerto ed estremamente complesso, nascono problemi di asimmetria informativa che implicano ulteriori difficoltà nell’aggiustamento del sistema economico verso la posizione di pieno impiego ipotizzata dalla teoria classica. L’incertezza viene catturata dal concetto di

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efficienza marginale del capitale, mentre l’asimmetria informativa viene colta dai concetti di rischio del debitore e di rischio del creditore.

La determinazione del livello di investimento passa attraverso la conoscenza di due prezzi critici: il prezzo di domanda dei beni capitale ed il prezzo di offerta. Il primo è definito come il flusso scontato dei rendimenti attesi dall’investimento (che a sua volta implica una condizione di massimizzazione del profitto atteso); il secondo è il prezzo che induce i produttori di beni capitali ad attuarne la produzione (che in condizioni di concorrenza perfetta nella produzione di nuovi beni capitali implicherebbe coincidenza fra tale prezzo ed il costo di produzione). Per l’equilibrio del mercato dei beni di investimento deve verificarsi l’uguaglianza fra prezzo di domanda e prezzo di offerta. A questo punto, perciò si deriva l’efficienza marginale del capitale: essa non è altro che il tasso di attualizzazione del flusso dei rendimenti futuri attesi che consente di verificare l’uguaglianza fra prezzo di domanda e prezzo di offerta dei beni capitali. Ogni progetto di investimento ha una propria efficienza marginale del capitale. Se il numero di progetti attivabili è sufficientemente ampio, dalla efficienza marginale individuale si passa all’efficienza marginale aggregata che evidenzia una relazione negativa fra efficienza marginale e livello dell’investimento. Poiché il tasso di interesse, secondo Keynes non viene determinato sul mercato dei beni, ma sul mercato della moneta, una volta noti la scheda di efficienza marginale del capitale a livello aggregato ed il tasso di interesse, si determina il livello dell’investimento aggregato. Keynes sottolinea che il concetto di efficienza marginale del capitale non coincide in

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generale con quello di produttività marginale del capitale, derivabile dall’analisi neoclassica. Queste ultime coincidono solo in condizioni di pieno impiego e di raggiungimento dello stato stazionario, nel quale viene meno la distinzione fra valori attesi e valori effettivi. La sostanziale differenza qualitativa fra le due grandezze è dunque data dalla natura non oggettiva e convenzionale della prima, che si contrappone alla natura perfettamente determinabile della seconda. Il ruolo centrale attribuito alla dinamica della MEK (efficienza marginale del capitale) è anche il cuore della spiegazione dell’andamento ciclico dell’investimento analizzato da Keynes. Infatti egli ribadisce che la stagnazione dell’economia può essere ricondotta ad un collasso delle aspettative e della MEK; il sistema economico non può essere avviato su un percorso di ripresa semplicemente modificando il tasso di interesse: la riduzione del tasso di interesse non è condizione sufficiente per produrre un aumento del livello dell’investimento aggregato perché a tal fine occorre anche la stabilità della MEK. Quando invece la MEK si modifica il livello degli investimenti muta, anche se il tasso di interesse non subisce alcuna variazione. La rappresentazione del mercato monetario è essenziale per comprendere la nozione keynesiana del tasso di interesse e di moneta (specialmente della domanda di moneta). Il tasso di preferenza intertemporale implica che l’individuo effettui due tipi di scelta: la prima, sul come ripartire le proprie risorse fra consumo presente e consumo futuro; la seconda sulla forma nella quale detenere le risorse non consumate (in forma liquida o investite in altro tipo di attività). Per Keynes la prima scelta porta alla determinazione della

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