Luigi XIV non è nato grande, lo è diventato. Il merito va innanzitutto all’italiano Giulio Mazzarino, che ha saputo gestire con abilità la Francia dopo la morte di Richelieu e Luigi XIII, riuscendo a imporsi nella guerra civile e a formare il re bambino. Certo, si è arricchito oltre misura ed è detestato da molti francesi, ma la sua linea politica si è rivelata vincente. Anche Anna d’Austria, madre del futuro re Sole, ha dato un contributo importante. Vi è però un altro uomo – il cui emblema è uno scoiattolo con il motto «Quo non ascendet?» – che gioca un ruolo rilevante: Nicolas Fouquet, il sovrintendente alle Finanze. Fedele al sovrano e al Primo ministro, durante la ‘Fronda’ fornisce loro gli strumenti economici per battere gli avversari e dividere il parlamento ribelle. Nonostante ciò, Luigi XIV lo detesta e Mazzarino lo teme. Alla morte del cardinale il sovrano decide di sbarazzarsene con maniere indegne, suggerite da Colbert che odia Fouquet e ne vuole il posto. E così, nonostante la sua agilità, lo Scoiattolo finirà in gabbia e il re Sole e Colbert faranno in modo che non ne esca più.
ALESSANDRA NECCI
MAZZARINO, LUIGI XIV E
NICOLAS FOUQUET
È
il 9 marzo 1661 quando, nel castello di Vincennes, muore all’alba Giulio Mazzarino, Primo ministro di Francia e cardinale di Santa Romana Chiesa.Intelligente, astutissimo, dissimulatore, abile e proteiforme, è riuscito a innalzarsi sino alle vette del potere in un paese che non lo ha mai amato, a sconfiggere la ‘Fronda’, formare il futuro re Sole conservandogli intatta la corona sul capo, fare la guerra sul fronte esterno e poi imporre la pace alle proprie condizioni, nonché ammassare la più grande fortuna personale dell’Ancien Régime. In sintesi, a essere e rimanere fino alla morte le maître du jeu, l’arbitro delle vicende francesi ed europee. Exploit davvero straordinario per un uomo che proviene da una famiglia relativamente modesta e, certo, non fa parte dell’establishment.
non è mai stato sereno o felice, tanto che sono trascorsi oltre vent’anni (intramezzati da svariati scandali) prima dell’arrivo dell’erede. Comunque, Luigi XIII non ha tempo di veder crescere né il primogenito né il secondogenito Filippo, perché muore poco dopo Richelieu. Tocca ora a due stranieri, una spagnola e un italiano, prendere le redini di una difficile reggenza ed è dav- vero una strana coppia, quella formata dall’orgogliosa Anna d’Austria e dal suo affascinante Primo ministro. C’è chi dice che siano amanti, chi addirittura parla di un matrimonio morgana- tico, ma la verità non è mai stata accertata. Di certo, la regina lo conferma nel suo ruolo, fidandosi e affidandosi a lui, perché lo ritiene il solo capace di assicurare la corona al re bambino e ge- stire la transizione. Le reggenze, si sa, sono sempre complicate, e questa in particolare viene travagliata da una guerra civile nota come la ‘Fronda’, che scoppia nel 1648 e che in realtà si divide in due parti. Prima, infatti, c’è la Fronda del Parlamento, che è geloso delle proprie prerogative in materia di politica estera e fi- Nato a Pescina negli Abruzzi il 14 luglio 1602, Mazzarino è il
primogenito di una nobildonna, Ortensia Bufalini, e di un in- tendente (o maggiordomo) di casa Colonna, Pietro Mazza- rino, che ha origini siciliane. Cresciuto a Roma, Giulio studia dai gesuiti e diventa chierico senza prendere i voti (che non prenderà mai). Segue quindi uno dei rampolli Colonna in Spagna, dove studia diritto canonico, e infine si laurea alla Sapienza di Roma nel 1628. In quello stesso anno scoppia la guerra di successione di Mantova e del Monferrato, che si col- loca all’interno della Guerra dei Trent’anni, e oppone da una parte la Francia e dall’altra la Spagna, i Savoia e l’Impero nelle pretese sulle ricche terre del Monferrato e sulla magnifica città di Mantova. Il duca Vincenzo II Gonzaga, infatti, è morto senza eredi. Mazzarino viene prima inviato da papa Urbano VIII in Valtellina, insieme a un esercito. Poi, molto opportu- namente, si sposta nel Monferrato come segretario del neo- cardinale Girolamo Colonna, che è stato incaricato dal pontefice di trovare una soluzione diplomatica al problema.
Lì, il giovane Giulio si fa notare per il talento di negoziatore e riesce a piazzare alcuni colpi a effetto, sostenendo la posi- zione dei francesi. Grazie alla sua abilità, si arriva al Trattato di Cherasco del 1631, in virtù del quale l’Imperatore e il duca di Savoia riconoscono che il candidato francese, Carlo Gon- zaga-Nevers, ha pieno diritto alla successione. Luigi XIII e il suo Primo ministro, il cardinale Richelieu, rimangono molto colpiti dalla bravura dell’italiano e lo invitano a Parigi per rin- graziarlo. Nel 1639 Richelieu – che sa riconoscere e valorizzare il talento – decide di prenderlo direttamente con sé quale se- gretario personale, al posto dell’inquietante cappuccino Père Joseph, che è mancato. Oltre a sostituire il vecchio ‘consi- gliori’, Mazzarino riceve il cappello cardinalizio, che sarebbe destinato al cappuccino ma cambia destinatario a seguito della morte di questi. Quando nel 1642 muore Richelieu – che molti francesi, fra cui Alexandre Dumas, chiameranno le grand cardinal per distinguerlo dall’altro, di cui non avranno mai troppa stima – egli viene designato quale suo successore, su esplicita indicazione di questi. Mazzarino, inoltre, è il padrino del giovanissimo delfino Luigi Dieudonné («donato da Dio»), nato il 5 settembre 1638 dal re di Francia Luigi XIII e da sua moglie Anna d’Austria, figlia del re di Spagna. Il matrimonio fra i due – raccontato da Dumas nel celebre I tre moschettieri –
Quello sul momento più noto e importante si chiama Nicolas Fouquet e viene da una famiglia arricchitasi col commercio, poi entrata a far parte della cosiddetta noblesse de robe, la nobiltà di toga, che comprende molti consiglieri del Parlamento (non sono parlamentari, sia chiaro, ma magistrati in possesso di una carica onerosa, che si acquista). L’uomo è intelligentissimo, brillante, colto, veloce, generoso, gran mecenate, amante delle arti, del bello e del fasto. Ha una buona e motivata concezione di sé e nutre elevate ambizioni, tanto che nel suo stemma c’è uno scoiattolo – Fouquet in dialetto vuol dire proprio «scoiat- tolo» – con la divisa «Quo non ascendet?» («Fino a dove non salirà?»). Suo padre era un fedele di Richelieu, lui si è schierato con Mazzarino e con il re, e in breve tempo si è affermato come grand commis della pubblica amministrazione, giungendo quasi al vertice delle Finanze: nei duri anni della Fronda è rimasto dalla parte del cardinale, diventando il trait-d’union, lo stru- mento indispensabile per le trattative col Parlamento e i nobili.
Non a caso, lo storico Jean-Christian Petitfils scriverà in una biografia che «Fouquet è stato lo strumento indispensabile del- l’assoggettamento e dell’umiliazione del Parlamento, frantu- mato nella sua ambizione di divenire un organo politico».
L’altro è un piccolo contabile apparso al fianco di Mazzarino nel 1651. Dumas lo descrive in modo feroce nel Visconte di Bra- gelonne, riprendendo il ritratto fatto da Choisy: «Di statura me- diocre, più magro che grasso, l’occhio incavato, l’aspetto umile, i capelli grossi, neri, radi... Uno sguardo pieno di seve- rità, una sorta di rigidità che per gli inferiori era sinonimo di fierezza, per i superiori un’affettazione di degna virtù: la boria che mette in ogni cosa, anche quando è solo a guardarsi allo specchio... un fattorino». Rincarerà la dose Paul Morand nel libro Fouquet o Il Sole offuscato, definendolo «un malvagio uomo dabbene». Dotato di uno smodato gusto dell’intrigo, appas- sionato del segreto e dei dossier, interessato ai conti, ai bilanci e alla contabilità, amante del dettaglio e dell’ordine, avaro, freddissimo, Colbert sulle prime è solo un ingranaggio alla corte del cardinale. Poi, però, riesce a rendersi indispensabile, soprattutto perché mette le mani sull’intricata gestione delle finanze di Mazzarino e comincia a manovrarne i fili. Marc Fu- maroli lo chiamerà «il complice» in senso finanziario e affari- stico di Sua Eminenza, nonché il suo «favorito», a cui viene data ‘delega in bianco’ per gestirne gli affari.
scalità, e si sente messo in discussione dalla reggente e dal cardinale; poi, quella dei nobili, i facinorosi Grandi di Francia, sempre pronti a prendere le armi per difendere i propri privi- legi, anche a costo di scontrarsi con il legittimo sovrano. Il ber- saglio più evidente di queste ribellioni è il detestato italiano, bersagliato da feroci satire e libelli detti appunto mazarinades.
Al cardinale vengono contestati la politica finanziaria e fiscale (cioè l’aumento delle tasse), l’accentramento dei poteri, le guerre, le scelte in politica estera, ma anche e soprattutto il fatto di essere straniero e troppo vicino alla regina. Gli esiti di questa lotta intestina sono alterni, tanto che per due volte Mazzarino sarà costretto all’esilio all’estero, mentre sulla sua testa viene posta una taglia, il suo palazzo saccheggiato e le sue ricchezze in parte disperse. Nonostante le difficili contin- genze, quel finissimo temporeggiatore – ha come motto «Le Temps et moi» – non si scoraggia, utilizza il tempo a suo van- taggio, mantiene stretti rapporti con la sovrana e con la corte, divide il fronte degli avversari grazie al denaro, alle prebende e alle promesse, impone un rigoroso blocco economico che crea altri problemi ai frondisti, trova sostenitori in patria e al- l’estero Fra l’altro, il 24 ottobre 1648 vengono firmati i Trattati di Westfalia, che chiudono la Guerra dei Trent’Anni e in virtù dei quali la Francia riceve grandi soddisfazioni economiche e territoriali. Mazzarino – continuatore della politica di Richelieu – ne è uno degli artefici morali, anche se resta ancora da risol- vere la spinosa situazione con la Spagna, che non ha aderito ai patti. C’è dunque un primo ritorno di Sua Eminenza in Fran- cia e una seconda fuga, finché giunge il momento della revanche definitiva. Mazzarino viene richiamato dal sovrano a Parigi e vi rientra il 3 febbraio 1653 fra gli applausi, tanto che in giro si dice: «Il re lo accolse come un padre, il popolo come un pa- drone». Per riuscire in questo definitivo colpo da maestro, dut- tilità e astuzia sono state fondamentali, ma il cardinale si è avvalso anche dell’appoggio di due personaggi fuori dal co- mune. La loro posizione, per il momento, è molto diversa: se uno è l’astro sfolgorante della corte, l’altro è ancora un oscuro contabile, promesso però a inimmaginabili fortune. Il primo ha giocato e gioca un ruolo di tutto rispetto per tutelare il car- dinale e il suo destino politico ed economico, nonché scon- figgere i frondisti, l’altro si è affacciato appena sulla scena ma svolge con zelo il suo ruolo di controllore e informatore.
Se pure ha tenuto per sé le leve del comando, Mazzarino (con Anna d’Austria) ha formato il futuro sovrano e, nell’ultimo in- contro, gli offre un consiglio fondamentale: «Sire, non prendete mai un Primo ministro. Voi solo, il padrone». E poi aggiunge:
«Io vi devo tutto, ma credo di sdebitarmi lasciandovi Colbert».
Mentre su Fouquet, che tanto lo ha aiutato, lancia una frecciata:
«Se si potessero togliergli dalla testa le donne e le costruzioni, potrebbe fare grandi cose», e poi raccomanda a Luigi di sorve- gliarlo strettamente. Si arriva al 9 marzo 1661. Per il giovane re – che non è noto per la capacità di provare riconoscenza e gra- titudine – è una liberazione. Il monarca si sente finalmente svin- colato da quell’opprimente tutela, anche se si fa vedere tutto in lacrime dai cortigiani. A quel punto, può dominare, governare, avere in mano ‘le chiavi del regno’. E lo fa con un velocissimo, inaspettato colpo di mano, che si consuma immediatamente dopo la dipartita del padrino. Il corpo di Mazzarino è ancora caldo, quando l’arcivescovo di Rouen – presidente dell’assem- blea del clero – chiede: «Sire, d’ora in poi, a chi dovremo rivol- gerci?» (la domanda sottintesa è: «Chi sarà il nuovo Primo ministro?»). E la risposta, inimmaginabile, secca e inattesa è:
«A me». Con queste parole, a ben vedere, è detto tutto. Il Grand Siècle – e l’assolutismo – può iniziare. Ma Luigi XIV vuole essere ancora più esplicito. È il 10 marzo 1661: il regista Roberto Ros- sellini racconterà questo snodo cruciale in un film dal titolo La presa di potere di Luigi XIV, basato soprattutto sugli scritti di Lo- ménie de Brienne. Brienne scrive infatti: «Alle sette precise del mattino, entrai dal re secondo i suoi ordini. Dissi a Sua Maestà che il signor Cancelliere era arrivato e anche i miei colleghi.
“Fate entrare il mio Consiglio”, disse il re. Eravamo otto in tutto:
il Signor Cancelliere, il Signor Sovrintendente, mio padre, il si- gnor de Lionne, il signor de La Vallière, il signor Duplessis-Gué- négaud, il signor Le Tellier e io. Il re si scoprì il capo, poi si rimise il cappello e, in piedi di fronte alla sua sedia, rivolse la parola al Guardasigilli: “Signore, vi ho fatto chiamare insieme ai miei mi- nistri e ai miei segretari di stato per dirvi che sino a ora ho vo- luto lasciare governare i miei affari al defunto signor Cardinale.
È tempo che li governi io stesso. Mi aiuterete con i vostri consi- gli quando ve li chiederò”... E, dopo altre precisazioni, Luigi ag- giunge perentorio: “Signori, la faccia del teatro cambia. Avrò altri princìpi nel governo del mio Stato, nella regia delle mie finanze e nelle negoziazioni all’estero, rispetto a quelli che aveva il de- funto Cardinale”».
Pur essendo diversissimi per carattere, capacità e posizioni, Fouquet e Colbert sono fra i pochi rimasti leali verso Mazzarino in esilio, ne hanno protetto la posizione e soprattutto la fortuna, o almeno quello che ne è rimasto. Lo aiuteranno in seguito a crearsene una assai più ampia. Dopo la rentrée a Parigi, Mazzarino decide, infatti, che la sua priorità personale (oltre al potere) è quella di ammassare molto de- naro – e anche pietre preziose, quadri, statue, opere d’arte, palazzi – per offrire a se stesso e alla propria dispendiosa famiglia una garanzia imperitura. Il favore dei re, si sa, è effimero e già da giovane il cardinale soleva dire: «Quanto è sciocco l’uomo senza soldi!...». È innanzitutto a Fouquet – e a Colbert in minor misura – che dovrà il raggiungimento di questo risultato, per arrivare al quale ogni mezzo sarà lecito. Una volta tranquillizzatosi su questo punto, l’avarissimo Primo ministro deve concedere qualcosa al suo più fedele servitore, per cui il 7 feb- braio 1653 nomina lo «scoiattolo» Sovrintendente delle Finanze, che è una sorta di ministro dell’epoca. Sempre diffidente, poco tempo dopo gli mette Colbert alle costole per controllarlo. Gli anni che se- guono sono ‘barocchi’ nel senso più profondo del termine, con un Primo ministro onnipotente, abile, astuto, dissimulatore e avaro, che si preoccupa sia di gestire la Francia sia di ammassare tutte le risorse possibili per sé; un giovane re che scalpita celatamente ma è in con- dizioni di totale subalternità; una regina autoritaria e infatuata; una corte grondante intrighi di ogni sorta. Mazzarino, in ogni caso, mette a segno due ottimi colpi con il matrimonio fra Luigi XIV e l’infanta di Spagna Maria Teresa nell’estate 1660, e poi quello di Monsieur, fratello del re, con la sorella del re d’Inghilterra Henriette. La pace su quei due turbolenti versanti pare finalmente assicurata.
Ormai, per il grande temporeggiatore il tempo sta per scadere, e la vita di quello che il cardinale de Retz aveva definito – sottovalutan- dolo gravemente – un «saltimbanco italiano», sta per giungere al ter- mine. Gli ultimi mesi sono pieni di cospirazioni, complotti e manovre:
un regno è al tramonto, un altro sta per sorgere. Quasi nessuno, tut- tavia, capisce chi ne sarà il dominus, anche perché Luigi XIV ha dis- simulato le sue brame di potere ed è molto poco considerato. Solo il cardinale non si inganna sul suo figlioccio, che ha formato, tanto da dirgli: «Se vorrete, sarete il più grande monarca che ci sia mai stato».
«Mai – riferirà Voltaire nei suoi scritti – ci furono più intrighi che du- rante l’agonia di Mazzarino... I cortigiani erano convinti di rinnovare il regime dei favoriti. Ogni ministro ambiva al primo posto. Nessuno di loro credeva che un re educato al distacco dalle cose di stato avesse la forza di prendere su di sé gli affari di governo. Mazzarino aveva prolungato quanto poteva l’infanzia del monarca».
Addirittura, lascia che Fouquet organizzi, nel meraviglioso castello di Vaux-le-Vicomte, la più straordinaria delle feste in suo onore, il 17 agosto 1661, a cui partecipa tutta la Francia che conta. Sotto sotto schiuma di invidia e di rabbia repressa, ma dissimula: tanto, in cuor suo, ne ha deciso la caduta. Voltaire dichiarerà, a proposito di quella serata, «Alle sei di sera Fouquet era il re di Francia, alle due del mat- tino non era più nulla».
E poi, dopo altri sotterfugi, il 5 settembre 1661 lo fa arrestare da d’Ar- tagnan, che è veramente esistito. È l’inizio della fine. Passa da un car- cere all’altro per due anni, senza nemmeno sapere da chi è accusato, poi inizia il processo, nel quale a stento gli viene dato diritto di di- fendersi. Tutti gli abusi, tutti i falsi e le malversazioni sono stati com- messi per condannarlo, compresi documenti grossolanamente falsificati da Colbert. Le accuse principali sono di lesa maestà e pe- culato. Il futuro Grande ministro delle Finanze non trascura nulla per farlo condannare e designa un tribunale composto da nemici di Fou- quet. Eppure, l’incredibile avviene. L’imputato è così bravo, si difende così bene, anche in quelle drammatiche condizioni, che in buona parte i giudici si ricredono e alla fine, invece di condannarlo a morte, fanno cadere gran parte delle accuse e optano per il solo bando a vita.
Per Luigi XIV e Colbert è un affronto, un’onta, uno shock. Il re Sole, allora, commette un gesto gravissimo, che toglie qualunque certezza di diritto. Avoca a sé la sentenza e la trasforma in carcere a vita. È una delle poche volte, nella storia, nelle quali un monarca, sia pure asso- luto, delega un tribunale e poi ne muta le decisioni non per concedere la grazia ma per aggravare la sentenza. Quindi, lui e Colbert prendono tutto all’ex Sovrintendente, compresi i palazzi, gli artisti, i libri, i mo- bili, i quadri, gli aranceti, gli amici... Nonostante i moltissimi inter- venti in suo favore, lo «scoiattolo» morirà nella prigione di Pinerolo nel 1680. Commenta Saint-Simon: «Monsieur Fouquet... pagò i mi- lioni che il cardinale Mazzarino aveva preso, l’invidia dei signori Le Tellier e Colbert, un po’ troppa galanteria e un po’ troppo splendore con 34 anni di carcere a Pinerolo (in realtà 19), perché non avevano potuto fargli di peggio utilizzando il credito dei ministri e l’autorità del re, di cui abusarono fino a farlo perire»
«La faccia del teatro cambia», eppure sono in pochi ad aver compreso che si tratta di un mutamento definitivo.
Fra quei pochi c’è Colbert, e questa comprensione è al- l’origine delle sue fortune. Non lo ha capito, invece, il ge- neroso, ingenuo, rutilante, affaccendato Fouquet, il quale pensa ancora di succedere a Mazzarino come Primo mi- nistro. Ma la sua vita, quella continua ‘corsa in avanti’, sta per chiudersi drammaticamente e anzitempo. Luigi XIV, infatti, non ha nessuna intenzione di metterlo al posto del suo padrino, anzi se ne vuole disfare perché lo teme, lo ritiene troppo abile, troppo ricco (e non è vero), troppo munifico, troppo pericoloso, troppo capace di vi- sione e progetto politico. Ha in fastidio estremo quell’in- dividuo che tutti omaggiano, legato ai grandi artisti e letterati, amato dalle donne, gran signore che tiene fra le mani le leve del credito finanziario e ha in mente grandi progetti per la Francia, fra cui la colonizzazione di nuove terre e il rilancio della Marina. In un certo senso, Fouquet è quello che il sovrano vorrebbe essere, senza esserci an- cora riuscito e, come dice Paul Morand, il futuro re Sole non gli perdona di essere stato, anche per un momento,
«il suo chiaro di luna». Così, inizia a ordire con Colbert la terribile trama per perderlo. Non è abbastanza forte per affrontarlo faccia a faccia, magari chiudendolo a marcire alla Bastiglia, e dunque fa preparare in gran segreto una Camera di Giustizia (l’idea è sempre di Colbert, che odia il sovrintendente e vuole farlo cadere per invidia e per prenderne il posto), condanna a morte finanzieri vicini allo «scoiattolo», fa preparare dossier di presunti ladro- cini. Peggio ancora, convince Fouquet – sempre tramite l’altro – a vendere la carica di procuratore in Parlamento, che gli conferisce una sorta di ‘immunità’ e gli consente di essere giudicato, in caso di processo, solo da altri par- lamentari. Il milione che il povero «scoiattolo» intasca con quella vendita andrà nelle casse del re il quale, a sen- tire Colbert, ha tanto bisogno di soldi. Dichiara Sainte Beuve: «Per perdere Fouquet, Luigi XIV aveva utilizzato un artificio di cui ci fa pena sopportare l’idea». Conti- nuando, tuttavia, a tenere un comportamento amiche- vole, quasi affettuoso, facendogli intravedere l’ipotesi che sta davvero per nominarlo Primo ministro.
BIBLIOGRAFIA
D. DESSERT, Fouquet, Fayard, Paris 1987.
G. MONGREDIEN, L’affaire Fouquet, Hachette, Paris 1956.
P. MORAND, Fouquet ou Le Soleil offusqué, Gallimard, Paris 1961.
A. NECCI, Re Sole e lo Scoiattolo, «Gli Specchi», Marsilio, Venezia 2013.
J.C. PETITFILS, Fouquet, Perrin, Paris 1998.