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Academic year: 2021

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[...] in pro del mondo che mal vive (Purg. XXXII 103)

La disamina del ms. Egerton 943 è stata condotta esplorando più campi d’indagine: si potranno ora sottolineare alcuni punti emersi nei capitoli precedenti. Innanzitutto, il manoscritto presenta diversi elementi che ne per-mettono la collocazione in ambito padano: emiliano-romagnoli possono dirsi i copisti e nettamente settentrionali gli autori dei commenti; il testo del poema non si distacca da questa collocazione geografica. Per quanto non si possa affermare nulla di certo sulla città in cui avvenne l’allestimento, sappiamo senza dubbio che il Maestro miniatore fu attivo sia a Bologna che a Padova, e che si mosse all’interno di quel nutrito movimento di scambio che i due centri instaurarono a più riprese fra Due e Trecento. Tenendo presente la probabile provenienza emiliana dei copisti, anche Eg andrà immaginato in questo contesto storico-sociale movimentato e in fermento, accantonando – fino a che non emergano documenti nuovi – la pretesa di assegnarlo ad un centro preciso, bloccandolo in una fissità che forse mal rispecchia la mossa realtà dei centri dell’Italia padana di primo Trecento.

La solidarietà con altri codici, vicini per tradizione testuale e di commento, e ancor più per la tipologia miniatoria seguita, è stata confermata soprattutto per Fi, che condivide con Eg una notevole vicinanza nel testo del poema, una parte – anche se minima – delle chiose e un corredo iconografico vicino in alcune

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impostazioni fondamentali. Il medesimo discorso si è rivelato maggiormente articolato per Bud e Po, in definitiva non così vicini al Dante Egerton.

Per quanto riguarda la datazione, alcuni elementi congiurano a favore della fine del quarto decennio del Trecento: da un lato pesano infatti la precoce collocazione unanimemente proposta dagli storici dell’arte, l’inizio dell’attività del Maestro degli Antifonari padovani alla fine del primo decennio del secolo e una certa incomprensione della geografia del regno intermedio sanata a pochi anni di distanza dal codice Filippino, indizio di un’ancora precoce lettura del testo, avvenuta in tempi in cui il modello dell’oltremondo dantesco non si era ancora imposto. Dall’altro lato, l’apparato di rubriche ed explicit si distingue per una correttezza nell’uso delle terminologie tecniche di ‘canto’, ‘cantica’, ‘Comedia’ attestata in generale solo ad alcuni anni di distanza dalla morte del poeta; le tempistiche cui sembra obbedire il commento dell’Anonimo teologo, inoltre, annullano la possibilità che Eg risalga al 1330. Si tenga presente che il codice è uscito dalla bottega che lo ha realizzato sostanzialmente com’è oggi, tranne qualche intervento correttorio e integrativo di scarso rilievo: esso, inoltre, è interamente frutto di copia e di un lavoro durato verosimilmente molti mesi. Questi dati permettono di collocare Eg in anni e luoghi estremamente vicini alla prima stesura del commento teologico, come la stratificazione delle chiose sembra far pensare; d’altra parte, però, è la stessa fisionomia del corpus esegetico a far emergere un complesso lavoro comune che costringe ad ipotizzare tempi di diffusione ed elaborazione collettiva adeguati. Se dunque possiamo immaginare, sulla base di un’indagine storiografica e dei dati in nostro possesso riguardanti la ricezione di Dante in ambito domenicano, che il lavoro di At si attesti tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del secolo, dovremo a seguito immaginare una sua pur minima diffusione fra i confratelli, che hanno anche provveduto ad integrarlo, e quindi il suo imporsi all’attenzione dell’auctor intellectualis del codice.

La forte presenza domenicana attestata nelle glosse tràdite da Eg, ha innescato una serie di riflessioni sul rapporto fra Dante e l’ordine dei Predicatori. Non è possibile affermare con sicurezza che il Dante Egerton esca da un ambiente domenicano: è certo, però, che esso rappresenta, almeno

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indirettamente, una delle tappe più precoci ed eloquenti dell’attenzione che la Commedia ricevette all’interno dell’Ordine. L’importanza e il costo stesso del codice mal si conciliano con la scelta – peraltro non casuale – del commento in definitiva povero e comunque incompleto degli Anonimi; una scelta che si giustifica solo se compresa nella sua esplicita volontà di dare del poema una lettura a senso unico, che chiarisca dati spiccioli quali questioni mitologiche o storiche, e indirizzi verso un’interpretazione di tipo teologico, ma soprattutto morale. L’apparato iconografico, pur non essendo strettamente e puntualmente legato al commento verbale, ne condivide appieno l’impostazione, proponendo una galleria di immagini di dannati e beati del tutto anonimi, distinti solo dalla loro pena o luogo di beatitudine; non si mancherà di vedere come questa sia già una proposta esegetica di base, che interpreta Dante pellegrino come un Everyman e i personaggi come imagines esemplari di una casistica morale, in sostanziale accordo con tutta la prima esegesi del poema. Non si può dunque che riconoscere di trovarsi di fronte a quella «istanza pragmatica, che marca nel profondo i testi religiosi» medievali, la quale, se oggi è un fattore di «esclusione dalle storie letterarie»1, costituiva all’epoca la condizione stessa per l’ammissibilità di testi letterari quali la Commedia. Non si trascurerà di notare come l’attenzione quasi esclusiva a questo risvolto risponda a pieno all’attenzione prestata dalla predicazione trecentesca alla «tematica morale, quasi casuistica, che risponde punto per punto alle domande di una società opulenta, preoccupata di amministrare saggiamente la propria vita morale»2. La capacità narrativa che contraddistingue il Maestro miniatore, d’altra parte, arricchisce il corpus di immagini in quantità e qualità, amplificando in modo inusuale l’illustrazione del Purgatorio e dando vivacità a gesti ed espressioni che seguono con fedeltà assoluta ogni piega del testo di Dante. Tutta la lunga serie di vignette crea infatti con il poema un discorso coeso e quasi cinematografico, che aiuta il lettore a seguire la narrazione e a memorizzarne i passaggi.

1

C. DELCORNO, Premessa a La scrittura religiosa: forme letterarie dal Trecento al

Cinquecento, a cura di C. Delcorno e Maria Luisa Doglio, Bologna, il Mulino, 2003, p. 7.

2 I

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Anche l’analisi delle tre immagini a inizio cantica ha rivelato come esse si caratterizzino per una notevole omogeneità d’impianto formale ed esegetico; la cesura fascicolare fra cantiche e la presenza di immagini-soglia all’inizio di ciascuna, indicano anche una notevole consapevolezza della struttura tripartita del poema e della parziale indipendenza di ciascuna macro-partizione, di cui le immagini iniziali del Purgatorio e del Paradiso tendono a mettere in luce caratteristiche peculiari, come l’impegno nella scrittura poetica nel primo caso e la tensione contemplativa nel secondo. Per quanto riguarda la prima e la terza cantica, si è inoltre visto con quanta maestria venga usato l’affrontamento derivante dalla giustapposizione dei fascicoli: frontespizio e diagramma rispettivamente dei cerchi infernali e dei cieli, funzionano come un sistema unitario che da un lato permette un’introduzione alla narrazione prospetticamente aperta sulla sua prosecuzione, dall’altro agisce come dispositivo mnemonico, sia nel senso della memorizzazione della storia, che nella direzione dell’imperativo a ricordarsi dell’inferno e del paradiso.

Sia detto di passaggio che, nonostante la tradizione dei commenti e di questi diagrammi non consenta di trarre conclusioni certe, l’assenza di un disegno schematico del regno intermedio – messa ancor più in risalto dalla posizione codicologicamente prominente degli altri due, collocati alle soglie delle rispettive cantiche – sembra proporsi come un ulteriore indizio di trattazione separata delle cantiche. Il fatto che si sia riconosciuto nelle glosse al Purgatorio l’intervento del solo Al, farebbe pensare ad un’appartenenza dei due diagrammi non tanto all’estensore principale di At, quanto ad una fase successiva ma non troppo lontana per impostazione esegetica. Anch’essi, però, sono gravati da una medesima incomprensione, se non addirittura ignoranza della seconda cantica. Il problema della circolazione separata delle singole cantiche andrà trattato attraverso sondaggi su un numero consistente di testimoni, ma il Dante Egerton sembra recare nella sua stessa strutturazione alcune tracce di questa diversa e individuale trattazione di Inferno, Purgatorio e Paradiso, a dimostrazione della necessità di indagare la materialità dei codici, il loro effettivo, concreto modo di tramandare la tradizione, al fine di acquisire qualche conoscenza in più riguardo alle fasi di divulgazione del

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poema.

Sia infine detto che tutto Eg, nel commento e nell’apparato illustrativo, sembra trascurare un problema essenziale, quello della verità della narrazione dantesca, che viene invece piegata ad un uso didattico-catechetico, trasformata cioè in discorso individualmente e socialmente produttivo3. Il fine della narrazione e della sua presentazione editoriale viene individuato prima di tutto nell’elaborazione di una macchina di memoria che, attraverso il ricordo strutturato e sistematico dell’aldilà, rende presente al lettore/spettatore la logica di colpa/pena e merito/premio che governa la storia personale e collettiva e unisce con legame indissolubile aldiquà e aldilà. La felice inventiva del Maestro miniatore e la scelta del programmatore del ciclo di seguire anche la narrazione in ogni piccola piega, bilanciano questa scelta di fondo, dando una lettura complessiva e al contempo efficace della Commedia.

3 Cfr.C.S. S

INGLETON, L’irriducibile visione cit., p. 530, che, a proposito del fine del poema come espresso nell’Epistola a Cangrande («removere viventes ecc.»), afferma: «scopo del presente saggio è [...] di indicare [...] come questo fine possa essere visto operare entro e attraverso le immagini del poema. In linea generale, tuttavia, è chiaro che ogni studioso d’arte medievale avrebbe indovinato, anche prima di farne diretta esperienza nella Commedia, che tale è l’“estetica” che informa e regola questa rappresentazione medievale del cosmo e del

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