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3.1 Il fenomeno della diffusione

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C APITOLO 3

MRI , DWI E D IFFUSION T ENSOR I MAGING

C

on il termine MRI (Magnetic Resonance Imaging) si allude a tutte le tecniche di imaging tramite Risonanza Magnetica Nucleare (NMR), caratterizzate dalla perturbazione di un sistema di interesse (un tessuto, in ambito biologico) rispetto alla posizione di equilibrio e dalla misura del segnale emesso in risposta dagli spin protonici durante la successiva fase di rilassamento [33]. I vantaggi del MRI rispetto all’imaging tradizionale sono l’utilizzo di radiazioni non ionizzanti, la multiplanarità e soprattutto la multiparametricità: quest’ultimo aspetto è legato ad una caratteristica intrinseca delle metodiche NMR, in cui il segnale misurato risulta dipendere da più parametri come la densità protonica, i tempi di rilassamento (T1, T2) e la diffusione. Il contrasto dell’immagine finale che si ottiene risulta, quindi, essere espressione di tali parametri. La possibilità di pesare maggiormente un’immagine rispetto a ciascuno dei singoli parametri funzionali, inoltre, consente di ottenere immagini con un’ampia gamma di contrasto, rendendo tale metodica quella principalmente adatta ad indagini per quanto concerne i tessuti molli ed il sistema nervoso centrale, nonché l’unico mezzo di indagine non invasivo per lo studio di processi di diffusione in vivo sull’uomo.

Uno dei più recenti ed interessanti campi di indagine della RM, infatti, è rappresentato dalla possibilità di misurare, in vivo, il grado di diffusione delle molecole dell’acqua nei tessuti biologici.

La “diffusione”, infatti, rappresenta il moto caotico e disordinato delle molecole di un mezzo dovuto all’agitazione termica. Poiché l’acqua comprende il 65%-90% in volume dei tessuti biologici, fungendo da mezzo di trasporto dei composti biochimici e rappresentando l’elemento fondamentale di molte reazioni chimiche, risulta chiaro come assumano importanza studi e analisi volti a determinarne i meccanismi di interazione con i tessuti biologici. Studi di diffusione protonica permettono di valutare l’integrità e la funzionalità cellulare sia in condizioni normali che patologiche, offrendo ampie

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potenzialità per indagini anatomico-funzionali soprattutto a livello cerebrale: tali studi, ad esempio, hanno evidenziato alcune rilevanti applicazioni cliniche [34] come la diagnosi dell’ischemia cerebrale in fase iperacuta e lo studio di alcune patologie a carico dei fasci di fibre di sostanza bianca (FSB).

A tal proposito hanno preso piede nuove tecniche per lo studio della diffusione molecolare in Risonanza Magnetica (Diffusion MRI). Tra queste, la DWI (Diffusion Weighted Imaging) e la DTI (Diffusion Tensor Imaging) sfruttano l’effetto IVIM (Intra Voxel Incoherent Motion) generando sequenze EPI (Echo Planar Imaging) veloci pesate in diffusione, mediante l’applicazione di un gradiente bipolare di Stejskal- Tanner [35]: l’effetto della pesatura in diffusione è un’attenuazione del segnale nelle regioni a maggiore diffusione, in seguito allo sfasamento dei singoli spin elementari durante il loro moto in presenza del gradiente di diffusione.

Il potere delle tecniche di Diffusion MRI risiede nel fatto che permettono una misura mediata sul voxel degli effetti di collisione delle molecole con le membrane cellulari, sebbene la diffusione delle molecole di acqua sia un fenomeno che a livello strutturale avviene in scala molto più piccola della risoluzione del voxel stesso. Nei tessuti a struttura fibrosa, come la sostanza bianca e i muscoli, in cui la diffusione è anisotropa (varia con la direzione) e raggiunge la sua massima velocità direzionandosi parallelamente ai fasci fibrosi, le tecniche di Diffusion MRI sono le uniche in grado di ottenere in vivo misure accurate sull’orientazione dei fenomeni diffusivi, nonché le uniche ad offrire la possibilità di ricostruirne modelli 3D (trattografia) in grado di visualizzarne i percorsi preferenziali all’interno delle fibre stesse.

DWI e DTI differiscono, inoltre, dalle tecniche standard strutturali, che misurano quantità relative alla composizione del tessuto (i tempi di rilassamento T1 e T2 dipendono dal contenuto di grasso e acqua), concentrandosi sull’organizzazione tridimensionale del tessuto.

Scopo di questo capitolo è, perciò, presentare uno spaccato esauriente riguardo le ultime tecniche sviluppate, la visualizzazione delle immagini RM così ottenute e lo stato dell’arte dei principali metodi di analisi.

3.1 Il fenomeno della diffusione

La diffusione delle molecole d’acqua è un parametro biofisico che correla con le caratteristiche strutturali dei tessuti sia in condizioni fisiologiche che patologiche. Le molecole di acqua nei tessuti sono soggette a due tipi di movimenti, a livello microscopico: “coerenti” (per esempio il movimento del sangue all’interno di un vaso) ed “incoerenti”. Questi ultimi sono quelli che riguardano il processo di diffusione e sono legati all’energia termica posseduta dal campione: ogni particella, muovendosi, viene

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urtata da quelle vicine e si sposta compiendo percorsi tortuosi; questo moto casuale, noto anche col nome di moto Browniano, è alla base dei fenomeni di diffusione [36]. A livello macroscopico, il processo viene generalmente descritto tramite la prima legge di Fick [37], adatta a descrivere il comportamento di un soluto che si muove lungo un gradiente di concentrazione  : in altre parole, in

come un flusso di particelle j dalla regione a più alta concentrazione a quella a concentrazione minore.

Si può, in questi casi, definire un coefficiente di diffusione d, una grandezza macroscopica che rappresenta la costante di proporzionalità che lega il flusso di particelle al gradiente di concentrazione, secondo la relazione:

questi sistemi dove la concentrazione non è uniforme, la diffusione si manifesta, macroscopicamente,

[3.1]

Per un materiale anisotropo, invece, il vettore di

[3.2]

Se invece la concentrazione è la stessa in tut

continuino a diffondere, non si osserva più un flusso macroscopico e non è dunque più possibile flusso non segue il gradiente di concentrazione direttamente, poiché le proprietà stesse del materiale inficiano il fenomeno. Di conseguenza viene introdotto nel modello matematico un tensore di diffusione, D, che modellizzi tale caratteristica:

ti i punti (mezzo omogeneo), sebbene le particelle

definire un coefficiente di diffusione come visto in precedenza. In questo caso non possono essere utilizzate le leggi di Fick, ma occorre far riferimento ad un modello probabilistico per descrivere gli spostamenti delle molecole: ciò vuol dire che, invece di conoscere con esattezza la posizione di una particella, si descrive il fenomeno mediante una funzione che indica la probabilità che una particella percorra una certa distanza in un determinato tempo. La funzione di probabilità che descrive questa situazione per un mezzo isotropo ha una distribuzione gaussiana con media nulla (perché la probabilità che una particella si muova in una direzione o in quella opposta sono uguali) ed una varianza (pari alla metà della larghezza della curva) proporzionale alla durata del tempo di osservazione t ed al coefficiente di diffusione D. In pratica significa che, in uno stesso materiale, fissato il tempo di osservazione, è molto più probabile che una particella si trovi nelle vicinanze del punto iniziale piuttosto che lontano da esso. Poiché in un mezzo omogeneo ed isotropo tutte le direzioni si equivalgono, una particella ha la stessa probabilità di trovarsi in uno qualunque dei punti che giacciono sulla superficie di una sfera centrata nel punto di partenza. Il coefficiente di diffusione caratterizza la mobilità delle molecole di un dato fluido e dipende dalla temperatura del campione. Più precisamente la larghezza r della distribuzione di probabilità, deducibile dalla distribuzione di Einstein, è data da:

2

(4)

6 [3.3]

dove la prima relazione vale nel caso di una dimensione, mentre la seconda nel caso di tre. Il coefficiente di diffusione descrive lo spazio percorso da u

di tempo, ed ha le dimensioni di mm2/sec.

vero: questo è il principale motivo per cui si

ffusione apparente

onoscere come le molecole d’acqua si muovano all’interno dei tessuti può fornire utilissime o.

Lo studio di questi fenomeni è possibile utilizzando le potenzialità della RM nell’evidenziare fenomeni

precessione, γ è la costante giromagnetica specifica per ciascuna specie nucleare e B0 è l’intensità del campo magnetico statico. Se il campo magnetico fosse uniforme, tutti gli spin avrebbero la stessa frequenza di precessione. In p

(applicato per esempio lungo l’asse x), la frequenza di precessione dipende invece dalla posizione degli na molecola nel suo moto stocastico nell’unità

È esattamente tale coefficiente, anche noto come coefficiente di auto-diffusione dell’acqua, che viene misurato in Diffusion MRI, facendo particolare attenzione al fatto che, non essendo l’acqua pura, il valore misurato non corrisponderà esattamente a quello

parla più spesso di “coefficiente di auto-diffusione apparente” or ADC, funzione del tempo di diffusione e della geometria del volume del distretto sotto indagine [38].

3.1.1 Descrizione matematica del coefficiente di di

C

informazioni riguardanti la struttura microscopica dei tessuti stessi ed i processi che in essa avvengon

che coinvolgono il movimento. Infatti, come è noto, in presenza di un gradiente di campo magnetico gli spin accumulano, a causa del moto di diffusione (e dunque della diversa posizione nello spazio), sfasamenti diversi che inducono una riduzione del segnale RM. Nella pratica però, questo effetto è estremamente piccolo e perciò misurabile solo se si aggiunge alla sequenza di impulsi un forte gradiente di campo magnetico amplificando così, in maniera considerevole, la sensibilità della RM a questo fenomeno. Qui di seguito è riportata una versione semplificata dell’esperimento di diffusione di Stejskal-Tanner che mostra, per un semplice sistema di spin che diffondono, la relazione esistente tra sfasamento e gradiente di campo magnetico. Per comprendere come sia possibile misurare il coefficiente di diffusione dell’acqua all’interno di un tessuto consideriamo il caso semplice di un mezzo omogeneo ed isotropo. La frequenza di precessione degli spin sottoposti a un campo magnetico è data dalla legge di Larmor:

  [3.4]

dove f è la frequenza di

resenza di un gradiente di campo magnetico

spin ed è descritta da:

(5)

    [3.5]

con Gx gradiente di campo magnetico sull’asse x ed x la posizione dello spin lungo lo stesso asse.

Applicando un gradiente costante Gx per un tempo pari a δ gli spin accumuleranno una fase:

 

si deve a Stejskal e Tanner [35] l’applicazione di due gradienti di breve durata, piuttosto che uno soltanto costante nel tempo. Come schematizzato (Fig. 3.1

uguale intensità e durata (δ), separati da un intervallo di tempo Δ (con δ<< Δ), la fase accumulata dagli

Fig. 3.1 - Schema della sequenza di Stejskal e Tanner. Si tratta di una sequenza SE in cui all’impulso a 180° sono fatti precedere e seguire due gradienti pulsati di durata δ e intervallati da un tempo Δ per sensibilizzare la sequenza alla diffusione.

La fase dipende quindi dal movimento degli spin , che avviene nell’intervallo di tempo tra l’applicazione del primo e del secondo gradiente. Se gli spin sono stazionari ( 0, pertanto anche la fase sarà 0. Se gli spin si muovono in modo coerente e si spostano alla stessa velocità, come avviene all’interno di un vaso, si osserva una identica variazione di fase, misurabile. Se invece lo

[3.6]

La chiave per sensibilizzare alla diffusione le sequenze di RM, così da rendere il fenomeno della diffusione evidente e misurabile, è stata storicamente l’introduzione dei gradienti pulsati:

), se applichiamo due gradienti di segno opposto, di

spin sarà:

       [3.7]

dove  è la posizione degli spin al momento dell’applicazione del primo gradiente, mentre è la posizione degli spin al momento dell’applicazione del secondo gradiente.

(6)

spostamento avviene in maniera casuale, come appunto per il moto Browniano, i diversi spin acquistano differenti variazioni di fase, con risultante perdita della coerenza e conseguente diminuzione

[3.8]

Dove S e sono rispettivamente le intensità di segnale con e senza la sensibilizzazione alla diffusione

uenza. Si capisce perciò come sia possibile ottenere delle immagini «pesate» in diffusione, nelle quali il segnale, oltre che dal T1 e dal T2, sia nettamente influenzato dal grado

corrisponde quindi a poca perdita di segnale, alta diffusione corrisponde a grande perdita di segnale.

verse immagini pesate per la diffusione (al minimo due), ottenute per

ota

Tabella 3.1 - Coefficienti di diffusione per alcune sostanze.

di segnale. La perdita di segnale dovuta alla sola diffusione è descritta dalla equazione:

e D il coefficiente di diffusione.

Il termine b, ottenuto dalla relazione b = γ2 G2 δ2 (Δ - δ/3), esprime il grado di sensibilizzazione alla diffusione della sequenza, che dipende dalla distanza (Δ), dall’ intensità (G) e dalla durata (δ) dei due gradienti. In altre parole al crescere di b aumenta la «pesatura» in diffusione della seq

di diffusione dell’ acqua: bassa diffusione

Nel caso di un mezzo omogeneo isotropo, in cui la mobilità non mostra alcuna dipendenza dalla direzione, è possibile, usando di

diversi valori di b, calcolare la mappa del coefficiente di diffusione. Effettuando la stessa misura sui tessuti biologici si osserverebbe un coefficiente di diffusione 2-3 volte inferiore a quello dall’acqua libera in relazione agli ostacoli rappresentati alla libera diffusione da strutture quali ad esempio le membrane cellulari, gli organuli intracellulari (mitocondri, ecc.) e le fibre mieliniche. In quest’ultimo caso e nelle altre strutture anisotrope è da tenere conto anche delle direzioni lungo le quali sono applicati i gradienti di sensibilizzazione alla diffusione. Occorre ricordare, inoltre, che esiste una qu di acqua legata alle macromolecole tissutali (principalmente proteine) che è caratterizzata da ridotta mobilità, in grado di influenzare la diffusione dell’acqua: nel sistema nervoso centrale, a tal proposito, la misura del coefficiente di diffusione varia al variare dell’orientamento del gradiente rispetto alla direzione delle fibre della sostanza bianca (Tab. 3.1).

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È evidente che la relazione che descrive il decadimento del segnale non è adeguata a descrivere una situazione in cui il coefficiente di diffusione varia al variare dell’orientamento dei gradienti. Per tenere conto debitamente di tale effetto si sostituisce al coefficiente di diffusione D un coefficiente di diffusione apparente (Apparent Diffusion Coefficient, ADC) e l’espressione che descrive la perdita del segnale diventa:

[3.9]

L’ADC ha questo nome proprio per ricordare che la gr

evento più complesso. L’ADC caratterizza gli spostamenti molecolari in un’unica direzione e non è,

tutte le situazioni.

Fig. 3.2 - In un mezzo isotropo il coefficiente di diffusione apparente (ADC) non varia al variare della direzione del gradiente di campo applicato e la diffusione è ben descritta da questa grandezza scalare coincidente con il coefficiente di diffusione. Nel mezzo anisotropo i valori dell’ADC variano al variare dell’orientamento del campo magnetico rispetto alla direzione delle fibre. In questo caso né una grandezza scalare né una vettoriale possono descrivere il fenomeno osservato.

Neanche una grandezza vettoriale (caratterizzata da tre componenti nello spazio) risolverebbe il problema: anche misurando gli ADC lungo tre direzioni ortogonali e combinando le tre componenti, si otterrebbe un risultato dipendente dalla scelta del sistema di assi ortogonali. Questo accade perché nei sistemi anisotropi i moti di diffusione in direzioni ortogonali sono tra loro correlati.

Volendo descrivere il fenomeno da un punto di vista matematico, quindi, è indispensabile ricorrere ad andezza misurata descrive solo parzialmente un

perciò, in grado di descrivere gli spostamenti tridimensionali delle molecole nei sistemi non isotropi:

esso coincide con il coefficiente di diffusione nei mezzi omogenei ed isotropi, ma non è in grado di descrivere compiutamente il fenomeno della diffusione nei mezzi anisotropi (Fig. 3.2). Non è, quindi, possibile utilizzare una grandezza scalare, come l’ADC, per descrivere in maniera completa il fenomeno della diffusione in

un tensore, un operatore capace di tenere conto delle correlazioni esistenti tra direzioni ortogonali.

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3.1.2 Descrizione matematica del tensore di diffusione

Nel tensore di diffusione, descritto dalla seguente matrice:

[3.10]

gli elementi diagonali Dxx, Dyy, Dzz rappresentano l’entità delle correlazioni tra gli spostamenti molecolari che avvengono lungo le stesse direzioni, mentre gli altri rappresentano quelle relative agli spostamenti che avvengono in direzioni ortogonali. Poiché si può dimostrare che il tensore di diffusione è

immetrico, ovvero Dij=Dji (cioè Dxy=Dyx, Dxz=Dzx, ecc.), l’espressione che descrive la riduzione del ce prodotto di b per il coefficiente di diffusione, assume, nei sistemi anisotropi, la seguente forma:

[3.11]

Questo significa che per descrivere la diffusione è necessario conoscere i sei termini indipendenti del tensore, i quali possono essere estratti da una serie di misure effettuate applicando i gradienti di diffusione lungo direzioni non collineari: in pratica sono necessarie al minimo 7 misure (una per

nti del tensore, che non è quindi descrivibile in maniera univoca.

dell’applicazione dei gradienti secondo direzioni prestabilite (es. due gradienti lungo l’asse x per la prima immagine in alto a sinistra, uno lungo x e l’altro lungo y per l’immagine adiacente). Lo stesso elemento, evidenziato nelle nove immagini, è rappresentativo di ciascuna delle nove componenti del tensore di diffusione.

s

segnale a seguito dei fenomeni di diffusione, invece che dipendere dal sempli

misurare So e 6 con i gradienti applicati in direzioni non collineari).

Il tensore di diffusione varia, come l’ADC, da regione a regione: per poterlo descrivere abbiamo, quindi, bisogno di associare a ciascuna regione analizzata 9 numeri (6 diversi tra di loro) (Fig. 3.3). Il valore associato alle componenti del tensore dipende dall’orientamento del campione in esame rispetto al sistema di riferimento del laboratorio, definito dalle direzioni dei gradienti di selezione dello strato, di codifica di fase e di lettura: rotazioni del campione cambiano le compone

Fig. 3.3 - Il tensore di diffusione descrive la diffusione che avviene nella piccola regione evidenziata. Le nove immagini raffigurano l’effetto

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Esiste però una grandezza che, indipendentemente dal sistema di riferimento, rimane costante: la traccia del tensore, ovvero la somma degli elementi diagonali Traced=Dxx+Dyy+Dzz ([3.12]). Questa grandezza, proprio perché definibile in maniera univoca, viene in genere utilizzata per caratterizzare la diffusività media del campione ( = Traced/3).

Tra i tanti possibili sistemi di riferimento ne esiste uno, proprio del campione, in cui gli spostamenti lungo le tre direzioni ortogonali appaiono scorrelati: in questo sistema di riferimento (chiamato degli assi principali) il tensore assume una forma particolarmente semplice perché si riduce ai tre soli elementi diagonali. Si sottolinea che gli “assi principali” associati al campione (inteso come voxel o insieme di voxel) possono variare in funzione della sede del campionamento e, quindi, non coincidere

sieme dei punti in cui, fissato il tempo di diffusione, è ugualmente probabile trovare

affermazioni precedenti. Consideriamo una goccia di otropo e l’altro anisotropo: nel primo caso, la forma

ere in maniera completa gli con le direzioni dei gradienti di selezione della scansione e/o di codifica di fase/lettura. In un mezzo isotropo, per intendersi, la diffusione è descritta, come già visto, mediante delle superfici sferiche che

appresentano l’in r

delle particelle. Se invece il mezzo è anisotropo (come per il caso di fasci mielinici nel sistema nervoso centrale) le superfici a probabilità costante sono degli ellissoidi (Fig. 3.4), i cui assi principali sono gli spostamenti medi di diffusione lungo le direzioni degli assi principali. Una semplice analogia può aiutarci a comprendere meglio il significato delle

inchiostro che diffonde in due mezzi diversi, uno is

assunta dalla goccia è sferica mentre, nel secondo, la dispersione spaziale dell’inchiostro è condizionata a seguire direzioni ben precise assumendo così la forma di un ellissoide.

Fig. 3.4 - Forma delle superfici a probabilità di diffusione costante rispettivamente in un mezzo anisotropo ed isotropo. Come si può osservare se il mezzo è anisotropo il sistema di riferimento degli assi principali ADC1, ADC2, ADC3 non è coincidente con il sistema di riferimento del laboratorio x, y, z.

Poiché la diffusione delle molecole d’acqua nella maggior parte dei tessuti biologici è anisotropa, la misura del coefficiente di diffusione apparente non aiuta a descriv

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spostamenti tridimensionali che caratterizzano la diffusione nei mezzi anisotropi, che sono, invece, interamente descritti dal tensore di diffusione.

3.1.3 Diffusione nel cervello: diffusione anisotropa nella materia bianca

I fasci di fibre di sostanza bianca (FSB) rivestono un ruolo fondamentale in ambito neurofisiologico in quanto connettono i centri funzionali del sistema nervoso centrale e possono essere coinvolti nella

essi la diffusione dell’acqua, come precedentemente detto, è anisotropa, con direzione

ere fortemente la diffusione nei tessuti, fatto che si percuote sui valori dei coefficienti di diffusione, misurati voxel per voxel, che dipendono dall’orientazione relativa delle fibre e dei gradienti di campo magnetico applicati.

sate” diversamente in ermini di orientazione delle fibre e di gradienti applicati (immagini DWI): si è notato come i valori dei coefficienti D misurati tendono a decrescere quando i tratti di fibre mieliniche sono perpendicolari alla direzione di applicazione del gradiente di campo usato per indurre lo spostamento molecolare.

In Fig. 3.6 sono modellizzate alcune fibre mieliniche adiacenti ed il meccanismo di diffusione attraverso di esse: il coefficiente di diffusione misurato in direzione parallela all’asse delle fibre D risulta essere maggior parte dei quadri patologici dell’encefalo.

ll’interno di A

preferenziale coincidente all’asse delle fibre mieliniche (come visibile anche in Fig. 3.5, per il caso ideale di tessuto fibroso uniformemente orientato), principalmente a causa di fattori, quali membrane cellulari, grado di mielinazione, densità delle fibre e packing degli assoni [39, 40].

Tali fattori, infatti, contribuiscono a restring ri

Fig. 3.5 – Diffusione anisotropa nelle fibre mieliniche del sistema nervoso centrale.

Al contrario della materia grigia, in cui l’acqua non esibisce particolari “comportamenti” anisotropi dovuti a ostacoli impermeabili, la materia bianca viene studiata in Diffusion MR, proprio a causa dell’anisotropia che la contraddistingue, ricorrendo ad una serie di immagini “pe

t

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circa tre volte maggio endicolare D (0.4 * 10-3 mm2/sec).

Fig. 3.6 – Diffusione nelle fibre mieliniche.

Ciò significa, in termini di immagini DWI (Diffusion-Weighted Image), che i tratti di fibra bianca paralleli alla direzione del gradiente applicato appariranno più scuri nella relativa immagine generata, come mostrato a titolo esemplificativo in Fig. 3.7.

Ripetendo l’esperimento in più direzioni, variando eventualmente tempi di diffusione e forza dei gradienti magnetici, ciò che si ottiene è una mappa tridimensionale del tensore di diffusione, per ogni voxel, della regione anatomica analizzata.

ifferenti orientazioni del gradiente di campo magnetico, applicato per sensibilizzare iale.

3.2 sono presenti alcune quantità rilevanti, quali numero di neuroni presenti nel cervello (1011) e distanza che percorre l’acqua durante un esperimento di imaging (1-15 µm, pari al diametro di un assone).

re (1.2 * 10-3 mm2/sec) di quello misurato in direzione perp

Fig. 3.7 – Esempio di sette immagini DWI (minimo per il calcolo del tensore), relative ad una fetta di cervello: la prima è l’immagine baseline prelevata con segnale nullo S0, le altre sei corrispondono a sei d

l’immagine alla diffusione in una particolare direzione preferenz

Per dare un’idea della complessità di un esperimento di Diffusion MR per il distretto cerebrale umano, in termini di scale di tempi e dimensioni, in tabella

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Quantità Misura

Densità di packing Assoni (tratto piramidale) Densità di packing Assoni (corpo calloso)

60.000 – 70.000/mm2 338.000/mm2

Diametro Assone (tratto piramidale) 26 µm

Diametro Assone SNC 0.2 – 20 µm

Diametro Corpo Cellulare Neurone 50 µm o più

Dimensione Voxel in Diffusion MRI Tempo di Diffusione in MRI

Distanza di diffusione media dell’acqua

2.5 x 2.5 x 2.5 mm 30 – 100 msec

1 - 15 µm (in 50 – 100 msec)

Numero di Neuroni nel SNC

Connessioni Sinaptiche per Assone 1011

Numero di Più di 1000

Tabella 3.2 – Cervello e DTI: scale di

3.1.4 Immagini pesate in diffusione ( DW

Utilizzando la sequenza EPI (Echo Planar Imaging) per l’acquisizione di MRI, come precedentemente

detto, si ottengono im chima ce

.8 – Immagine anatomica (b value = 0). (TR = 6000 ms, FOV =24x24 cm, matrice 128x128, spessore slice 4 mm, spaziatura tra slice 1 mm, 24 slice, 1 acquisizione).

L’immagine in Fig. 3.8 fa riferimento ad un’unica slice di acquisizione di uno stesso paziente: la parte

e, le immagini DWI relative a tale

tempi e dimensioni.

I )

magini DWI relative al paren rebrale.

Fig. 3

centrale molto luminosa rappresenta il liquor, mentre il contorno è formato da sostanza grigia e sostanza bianca. Scelta una direzione di applicazione dei gradienti di diffusion

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slice vengono raccolte ripetendo il procedimento di acquisizione per alcuni valori di b-value differenti (vedi Fig. 3.9-3.10).

Fig. 3.9 – Immagini pesate in diffusione lungo la direzione 1 con vari b-value. (TR = 6000 ms, FOV =24x24 cm, matrice 128x128, spessore slice 4 mm, spaziatura tra slice 1 mm, 24 slice, 1 acquisizione, Gd=20 mT/m).

In DWI le zone in cui si ha una prevalenza di moti diffusivi appaiono ipointense, mentre quelle a minor diffusione risultano iperintense: tutto ciò trova conferma nella notevole ipointensità del liquor, dove si è in presenza di diffusione libera. La sostanza grigia appare anch’essa ipointensa, seppur in modo molto meno marcato: ciò è dovuto alla presenza di barriere cellulari che ostacolano i moti diffusivi in tale ambiente. La sostanza bianca, invece, costituita dai fasci di fibre, risulta più o meno ipointensa o iperintensa a seconda della direzione di applicazione dei gradienti di diffusione: se questi sono paralleli ai fasci, essa apparirà ipointensa nelle immagini; viceversa in caso di direzione di applicazione ortogonale alle fibre. Questo è dovuto al fatto che il rivestimento mielinico dei fasci di sostanza bianca rende molto più ristretti i moti molecolari in direzione perpendicolare al fascio stesso, con l’aggiunta della presenza di numerosi ostacoli conseguenti alla struttura fortemente direzionale delle fibre.

la direzione di applicazione dei gradienti di Tutto ciò risulta essere più evidente se si prova a cambiare

diffusione, notando che per direzioni che si avvicinano a quelle dei fasci, questi ultimi risulteranno meno intensi.

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Fig. 3.10 – Immagini pesate in diffusione lungo la direzione 2 con vari b-value. (TR = 6000 ms, FOV =24x24 cm, matrice 128x128, spessore slice 4 mm, spaziatura tra slice 1 mm, 24 slice, 1 acquisizione, Gd=20 mT/m).

Come già detto in precedenza, tramite le immagini DWI è possibile studiare l’andamento dei fasci di fibre di sostanza bianca: il metodo prevede di confrontare immagini di una stessa slice acquisite con lo stesso b-value lungo direzioni diverse. Il problema rimane nella scelta del valore di b-value ideale per il confronto: immagini ad alti valori di b (da 2000 sec/mm2 in poi) consentono un’ottima pesatura in diffusione di tutte le strutture del parenchima cerebrale, includendo il percorso dei grandi fasci di fibre di sostanza bianca. Come svantaggio, però, queste risultano essere molto più rumorose. In genere, quindi, si utilizzano valori di b intermedi (1000-1500 sec/mm2).

Fig. 3.11 – Immagini pesate in diffusione lungo 3 direzioni con b-value pari a 1000 sec/mm2 (riga in alto) e a 1500 sec/mm2 (riga in basso) (TR = 6000 ms, FOV =24x24 cm, matrice 128x128, spessore slice 4 mm, spaziatura tra slice 1 mm, 24 slice, 1 acquisizione, Gd=20 mT/m).

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E’ importante sottolineare come mediante immagini pesate in diffusione sia possibile evidenziare alcune patologie in fase acuta (periodo di insorgenza di 6-48 ore) o iperacuta (periodo di insorgenza di 0-6 ore), ciò che era improponibile utilizzando tecniche tradizionali come la TAC o la MRI pesata in T1o T2.

Una diagnosi precoce di ischemia cerebrale, ad esempio, è fondamentale per l’applicazione di una corretta terapia e per aumentare le possibilità di recupero del paziente. L’elevata sensibilità che la DWI offre in tal senso è dovuta all’alterazione dei processi diffusivi molecolari durante l’evoluzione temporale del fenomeno ischemico: in seguito al mancato afflusso di sangue nella regione anatomica colpita, il ridotto apporto energetico e di ossigeno va ad interrompere il normale funzionamento della pompa sodio-potassio, con la comparsa dell’edema citotossico che fa sì che le cellule si rigonfino di

al rigonfiamento della cellula. Tutto ciò si ripercuote nelle immagini DWI in zone di iperintensità in

Allo stesso modo immagini pesate in diffusione consentono di avere informazioni migliori di quelle

ssuti: ognuna di queste tecniche si differenzia, poi, acqua a scapito del liquido interstiziale. L’effetto prodotto nei fenomeni diffusivi è una riduzione dei coefficienti ADC nella zona ischemica: la diffusione intracellulare, infatti, è più ristretta ed ostacolata d

corrispondenza della regione colpita da ischemia in fase iperacuta. A partire dalla fase acuta si ha, poi, lo sviluppo dell’edema vasogenico, con conseguente aumento del liquido extracellulare e possibilità di rivelare la patologia anche tramite MRI tradizionale.

ottenute in MRI tradizionale riguardo l’insorgenza di traumi cranici in fase acuta o subacuta (si riescono a rivelare meglio lesioni di minore entità), tumori (si riescono a distinguere, in caso di lesioni neoplastiche, le componenti cistiche e/o necrotiche da quelle solide), sclerosi multipla (si riescono ad evidenziare aspetti particolari della malattia), processi di mielinizzazione (è possibile una diagnosi differenziale tra Sindrome di Pelizaeus-Merzbacher, Sindrome di Krabbe e Sindrome di Alexander).

3.2 Diffusion Tensor MRI

Diffusion MRI è un nome generico per riferirsi a tutta quella serie di tecniche di misura MRI utilizzate per valutare i fenomeni di diffusione dell’acqua nei te

in base al modo in cui le informazioni di diffusione possono essere ricostruite e rappresentate per ogni voxel in un’immagine 3D.

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La più semplice di queste rappresentazioni è quella che sfrutta il modello di una matrice simmetrica 3x3, definita positiva, denominata tensore di diffusione, introdotta per la prima volta da Peter Basser nel

994 [41], e che prende il nome di Diffusion Tensor MRI (DTI o DT-MRI).

uesta modalità di imaging parte dall’ipotesi semplificativa che il profilo di diffusione delle molecole di acqua nei tessuti possa essere modellizzato come una Gaussiana1, come descritto in [41]:

1 Q

| ,   exp [3.13]

olecola diffondente e x0 la posizione iniziale. Per semplicità, ci si riferisce al

ando l’equazione [3.13] con

2               [3.14]

Partendo, a questo punto, dalla definizione matematica del tensore in termini di m

D, come visto in §3.1.2, si può ottenere una sua decomposizione in autovalori e autovettori (il tensore

0 0 3.17]

dove Deff è il tensore di auto-diffusione efficace (il significato del termine “efficace” è analogo a quello di “apparente” utilizzato per indicare il coefficiente di diffusione standard), τ è il tempo di diffusione, x è la posizione finale della m

tensore di auto-diffusione efficace, Deff(τ), come tensore di diffusione, D.

Questo, come si può vedere in [3.13], è proporzionale alla matrice di covarianza degli spostamenti delle molecole di acqua durante il tempo in cui avviene il fenomeno. Paragon

quella standard per descrivere distribuzioni normali multivariate con covarianza , si ottiene che la costante di proporzionalità è pari a due volte il tempo di diffusione:

atrice simmetrica 3x3

viene ridotto agli assi principali), semplicemente risolvendo:

  [3.15]

oppure

0 [3.16]

e cioè diagonalizzando la matrice, che può essere riscritta come:

0 0

0 0 [

  1

| | 2

1 L’equazione per una distribuzione normale multivariata standard (Gaussiana) in n dimensioni è:

exp 1

2 .

(17)

dove E è la matrice degli autovettori, che corrispondono ai tre assi principali dell’ellissoide che modellizza l’autosistema del tensore (Fig. 3.12), e λi sono gli autovalori corrispondenti ad ogni autovettore, che rappresentano la diffusività lungo ogni asse.

L’autovettore principale λ1 del tensore di diffusione

definendo, perciò, nei tessuti anisotropi, l’asse del tratto di fibra analizzato, e, di conseguenza, un i coordinate locali. Come precedentemente detto, nella rappresentazione 3D, l’isosuperficie di probabilità di diffusione (Gaussiana) viene rappresentata come un ellissoide, i cui assi sono allineati con gli autovettori e sono di lunghezza pari a 2

punta nella direzione principale di diffusione,

sistema d

[41].

apparente lungo le tre direzioni assiali principali ed hanno come unità di misura mm2/sec.

Il coefficiente di diffusione apparente dg in ogni direzione viene, quindi, calcolato dal modello del

[3.18]

n termini semplificati, la DTI lavora introducendo gradienti ad impulsi, il cui effetto causa uno shift di fase random delle molecole d’acqua diffondenti, che provoca una perdita del segnale da queste

o delle regioni esaminate: il segnale Sk prelevato, comparato al segnale originale S0, viene utilizzato per calcolare il coefficiente di diffusione o il tensore.

In DTI, nella pratica, il tensore di diffusione viene c

“pesate” in diffusione (§3.1.3) risolvendo l’equazione [3.19] (derivata da [3.8]), che descrive di quanto si riduca, in presenza di diffusione, l’intensità del segnale per ciascun voxel:

[3.19]

Gli autovalori, quindi, corrispondono ai coefficienti di diffusione

tensore usando la formula:

=

Fig. 3.12 – Illustrazione dell’autosistema dei tensori in una regione di diffusione anisotropa: l’ellissi rappresenta il fenomeno in 2D; l’ellissoide in 3D.

I

prodotto, in modo che il contrasto generato nell’immagine risultante riveli qualitativamente l’entità dei processi diffusivi all’intern

alcolato a partire da un set di immagini DWI

(18)

dove S0 è l’intensità del segnale per ciascun voxel misurata in assenza di gradienti di sensibilizzazione, e Sk la stessa intensità misurata dopo l’applicazione di un numero k di gradienti pulsati. Il fattore b, o fattore di LeBihan’s (vedi §3.1.1), che determina il grado di “pesatura” delle immagini e definito come b = γ2 G2 δ2 (Δ - δ/3) per gradienti di impulsi rettangolari, tiene conto della forza dei gradienti, della sequenza di impulsi applicata e della loro durata, di costanti fisiche, quali il rapporto giromagnetico γ

immagini DTI (Sk).

irezionalità di DWI e

iffusione applicato (fatto da prendere in considerazione quando sono esaminate strutture caratterizzate da processi di diffusione anisotropa, come i fasci di fibre di sostanza bianca).

i analisi DTI sfruttando l’ipotesi semplificativa, tuttora privilegiata in campo

ano.

funzione di densità di probabilità nota come funzione di distribuzione dell’orientazione delle fibre (42 MHz/Tesla) [42]: il suo valore è vicino a 0 per l’immagine S0 T2-pesata, e vicino a 1000 per tutte le altre

L’equazione [3.19] può essere risolta applicando, voxel per voxel, metodi analitici o di regressione multipla (metodo dei minimi quadrati): per ottenere 6 elementi indipendenti, necessari a riempire la matrice simmetrica D 3x3, è essenziale acquisire almeno 7 immagini DWI (6 per le 6 direzioni non collineari dei gradienti applicati e una baseline a b-value nullo) [42].

La conoscenza del tensore di diffusione ottenuto consente di superare i limiti di d

mappe ADC: sebbene le mappe ADC, al contrario delle DWI, non risentano di alcuna pesatura T2 residua e contengano una precisa informazione quantitativa relativa ai processi diffusivi, hanno un pesante limite legato alla dipendenza dalla direzione del gradiente di d

Al contrario, le informazioni contenute in D possono essere “visualizzate” mediante la realizzazione di mappe di opportuni indici di diffusione invarianti per rotazione, quali traccia (vedi §3.1.2), diffusività media (MD), modo, anisotropia frazionaria (FA), coefficiente lineare (Cl), …, di cui si parlerà nei paragrafi successivi.

3.2.1 Modelli di diffusione alternativi

Finora abbiamo parlato d

clinico e di ricerca, di un modello di diffusione delle molecole di acqua nei tessuti di tipo Gaussiano:

tale modello, infatti, permette di trattare i dati e i calcoli con estrema facilità, ma non permette di rappresentare con esattezza nei voxel la complicata geometria che caratterizza i tessuti esaminati, come i tratti di fasci di fibre di sostanza bianca che si intersecano o si diram

Risulta, quindi, quantomeno doveroso, per una maggiore completezza di trattazione, citare l’esistenza di modelli più complessi, in grado di superare tali limiti: a tale proposito, si parla di tecniche di ricostruzione q-ball [43] e HARDI (High Angular Resolution Diffusion Imaging) [44].

Quest’ultima, in particolare, sfrutta, come modello del fenomeno di diffusione per ogni voxel, una

(19)

(FODF – Fiber Orientation Distribution Function), che prevede l’utilizzo di un multitensore in grado di rivelare e ricostruire percorsi multipli e intersecati di fibre all’interno dello stesso voxel mediante la

ath principali di fasci di fibre di materia bianca (trattografia). Il modello presentato in §3.2, perciò, risulta essere adeguato alle esigenze di ricerca.

é indipendenti dal sistema di

re di diffusione D, come λ1≥ λ2≥ λ3≥ 0: di conseguenza, λ1 rappresenterà

sione

li indici scalari più utilizzati in pratica clinica per misurare quantitativamente la rilevanza dei fenomeni di diffusione esaminati, sono la traccia (vedi §3.1.2), la diffusività media MD e le mappeADC. somma di più Gaussiane.

Il metodo presentato in questo lavoro di tesi, tuttavia, non dipende dalla tipologia di imaging di diffusione impiegata, poiché non determinante ai fini dello scopo ultimo, che consiste nello stimare i p

3.2.2 Misure scalari invarianti in DTI

Come precedentemente introdotto (§3.2), per visualizzare informazioni quantitative riguardo il meccanismo di diffusione, risulta conveniente utilizzare misure scalari invarianti, derivate matematicamente dal tensore di diffusione e definite tali proprio perch

coordinate cui fanno riferimento: gli indici definiti come scalari invarianti, infatti, risultano essere indipendenti da rotazione del tessuto esaminato rispetto al campo magnetico applicato, poiché espressi in funzione degli autovalori del tensore, per definizione invarianti per rotazione.

In questa sezione verranno descritte alcune delle quantità scalari invarianti tra le più comunemente utilizzate nella pratica clinica, distinguendole, in base all’informazione quantitativa che permettono di

“visualizzare”, in due categorie: misure di ampiezza di diffusione e misure di anisotropia.

Da tenere presente che, nella trattazione, si farà riferimento agli autovalori della matrice simmetrica definita positiva del tenso

l’autovalore principale.

3.2.2.1 Misure di Ampiezza di Diffu G

In particolare, la traccia del tensore, definita come:

    

[3.20]

(20)

viene utilizzata per derivare la diffusività media MD, che risulta non essere altro che la media degli autovalori ([3.12]): queste due grandezze misurano la diffusione in termini di quantità di acqua

el liquido cerebrospinale (circa 9.6 * 10-3 mm2/sec) e relativamente costante nel cervello, inteso come sostanza

, calcolate a partire dalla conoscenza delle direzioni dei gradienti applicati, come descritto in §3.1.1 e §3.1.2, e che appaiono qualitativamente come il negativo delle immagini DWI,

DWI a b-value differenti e sfruttando la relazione:

ln / [3.21]

ativo

3.2.2.2 Misure di Anisotropia

Le misure di anisotropia, usate per quantificare la forma del profilo

troviamo: le misure lineari (CL), planari (CP),

nta la parte antisimmetrica del tensore di diffusione, mentre l’LI è un ind

coerenza direzionale dell’ellissoide di rotazione di un voxel di riferimento rispetto a quello dei voxel vicini. L’FA sfrutta solo le informazioni espresse dagli autovalori del tensore, mentre l’LI sfrutta anche contenuta nello spazio extracellulare per ciascun voxel. La traccia è un indice clinicamente utile nella rilevazione preventiva degli ictus, a causa della sensibilità al rigonfiamento che le cellule subiscono in fase iniziale (edema citotossico) che ne restringe la diffusione: il suo valore è elevato n

bianca e sostanza grigia (tra 1.95 * 10-3 e 2.2 * 10-3 mm2/sec).

Le mappe ADC, invece

possono essere ottenute acquisendo due immagini 1/

Esse, in particolare, si distinguono in tre differenti quantità, ognuna riferita alla direzione dell’autovettore relativo ad ognuno dei tre autovalori principali: ADC_I, relativo a λ1, ADC_II, rel a λ2, e ADC_III, relativo a λ3.

di diffusione e utili a descrivere l’organizzazione funzionale dei tessuti e la localizzazione dei voxel contenenti singoli tratti di fibra nervosa, sono definite come rapporti di autovalori: tramite mappe di indici di diffusione anisotropa, invarianti per rotazione, è possibile evidenziare le diramazioni dei singoli fasci e misurare quantitativamente il grado di anisotropia delle fibre.

Tali indici sono adimensionali e hanno un valore normalizzato che varia fra 0 (isotropia) e 1 (anisotropia), ad eccezione del modo, che possiede un range variabile tra -1 e +1.

Tra quelli più utilizzati, che verranno qui di seguito descritti,

sferiche (CS), l’anisotropia frazionaria (FA), l’anisotropia relativa (RA), il modo, l’indice di reticolo (LI)…

Essi offrono un’ampia gamma di variabilità, sia dal punto di vista della definizione che del significato biologico ad essi associato. Da sottolineare, ad esempio, che l’FA è un indice intra voxel che rapprese

ice inter voxel che misura il grado di

(21)

quelle relative agli autovettori, comportando un maggiore SNR nelle mappe da esso ricavate, rispetto a quelle ottenute dai valori di FA.

Misure lineari, planari e sferiche

guere se la forma del profilo di diffusione sia a sigaro (lineare), a

      [3.22]

iano spazzato dai due autovettori relativi ai due autovalori principali. In tal caso:

[3.23]

nte al valore del principale autovalore del tensore, si possono ottenere definizioni dei tre indici CL, CP e CS, indicativi del grado di vicinanza della forma del profilo di diffusione ai casi lineare, planare e sferico:

Gli indici più intuitivi, in grado di distin

ellisse (planare) o a sfera (sferica), sono rispettivamente CL, CP e CS: essi si ottengono per decomposizione, in base alla dimensione del rango della matrice del tensore.

A tal proposito, infatti, nel caso in cui λ1 >> λ2 ≈ λ3, la diffusione è principalmente nella direzione dell’autovettore relativo all’autovalore principale, determinando che:

Nel caso in cui λ1≈ λ2 >> λ3, invece, la diffusione è principalmente nel p

  2  

Nel caso in cui λ1≈ λ2 ≈ λ3, infine, si ottiene diffusione isotropa in tutte le direzioni, per cui:

  3   [3.24]

Il tensore di diffusione D generale si ottiene, poi, da una combinazione di tutti e tre questi termini:

[3.25]

Utilizzando, a questo punto, le nuove basi del vettore così ottenute (Dl, Dp e Ds), e normalizzando per un termine generico corrisponde

le

[3.26]

[3.27]

[3.28]

con C + C + C = 1. L P S

In tutti i voxel con misura planare e sferica elevate, l’

determinare in maniera univoca la direzione preferenziale di una singola fibra nervosa, poiché con autovalore principale non è in grado di

(22)

molta probabilità più tratti tendono ad intersecarsi al suo interno; se l’autovalore principale è di valore molto superiore agli altri due, invece, la misura lineare sarà maggiore, dando prova della presenza di un singolo tratto di fibra.

Anisotropia Frazionaria e Modo

L’anisotropia frazionaria (FA), misura di anisotropia più utilizzata in pratica clinica al punto da divenire la misura standard negli studi di integrità della so

che indica la frazione del tensore D di diffusione anisotropa [45].

Definendo   come la diffusività media, si può scrive

1

Fig. 3.13 – Spazio baricentrico definito dagli indici di anisotropia CL, CP e CS e corrispondenti forme.

stanza bianca, deriva il proprio nome dal fatto

re l’espressione di FA come:

 √2  √3

√2

   1

3

[3.29]

Il valore dell’indice scalare, che varia in un range compreso tra 0 e 1, cresce tanto più quanto l’anisotropia del tensore tende ad avere forma ellissoidale.

Poiché FA misura quanto il tensore D differisca dal profilo sferico, si necessita di un altro indice per quantificare un’anisotropia di tipo lineare o planare: per questo motivo si è introdotto il modo, uno scalare invariante ortogonale alla misura di FA e legato all’asimmetricità degli autovalori. La sua

(23)

definizione, che comprende il determinante e la norma di Frobenius della parte anisotropa del tensore, può essere semplificata ad ottenere la relazione:

2 2 2

2 2 2 2

3√6 det       1 3 1

3

[3.30]

3.2.3 Visualizzazione delle immagini DTI

Il passo successivo di un esperimento di analisi ed indagine di Diffusion MRI consiste nella

v n i calcoli appena descritti, in mappe bidimensionali o

no collegate al tensore D (struttura tridimensionale) e, per questo, risultano essere quantitativamente variabili in base alla posizione del principali metodi di visualizzazione 3D delle informazioni in questione.

isualizzazione dei dati, ottenuti co

tridimensionali, in grado di veicolare con più facilità le informazioni di interesse clinico.

A parte i dati scalari, che possono essere visualizzati per mezzo di convenzionali immagini MRI in scale di grigio (vedi Fig.3.14), in DTI le informazioni più importanti so

voxel di riferimento: a tal proposito, verranno descritti qui di seguito alcuni dei

Fig. 3.14 – Esempi di mappe 2D di visualizzazione di scalari invarianti: per ogni mappa, ogni pixel corrisponde al valore di indice scalare relativo ad un punto di una specifica slice. Da sinistra: misura lineare (CL), misura sferica (CS), anisotropia frazionaria (FA).

Il tensore di diffusione può essere rappresentato in DTI seguendo due modalità: una visualizzazione planare, cioè mediante sezioni 2D planari raffiguranti i valori slice per slice, e una visualizzazione tridimensionale.

(24)

I metodi di visualizzazione planare sono generalmente voxel-based, cioè l’immagine generata visualizza le informazioni del tensore voxel per voxel per ogni piano (fetta): rappresentazioni di questo tipo sono quelle che sfruttano i valori di indici scalari, quali l’anisotropia frazionaria FA (vedi Fig. 3.14), il modo o la traccia.

Una tipologia più particolare di visualizzazione dei tensori sono le mappe DEC (Directionally Encoded Color Maps), immagini in grado di rappresentare oltre alle informazioni quantitative, quelle direzional ottenute dallo spazio degli autovettori del tensore di diffusione, direttamen

colori in funzione di essi: l’idea di base consiste nell’associare un colore alle fibre in base alla direzione ella diffusione al loro interno (in genere blu per la direzione superiore-inferiore, verde per quella

e la luminosità in maniera proporzionale

dove k, l e m sono parametri che permettono la scalatura di ogni componente in un range comprendente tutta la gamma dei colori in rappresentazioni a 8 bit (range tra 0 e 255).

Gli svantaggi di questo metodo di visualizzazione, molto utile per dare un’idea della qualità e del contenuto di un dataset, risiedono nel fatto che le fibre subiscono in base alla direzione cambiamenti di colore che, per via della codifica, possono essere anche poco eterogenei e falsare la lettura.

Fig. 3.15 – Mappa FA e rispettiva Mappa DEC (Directionally Encoded Color-Map), che mostra le direzioni dei principali autovettori tramite colori differenti: rosso per sinistra-destra, verde per anteriore-superiore, blu per superiore-inferiore.

i te tramite una mappatura dei

d

anteriore-posteriore, rosso per quella sinistra-destra) e variarn

ai valori di anisotropia frazionaria voxel per voxel (vedi Fig. 3.15) [46].

Il metodo standard di mappatura dei colori si basa su una codifica che sfrutta le componenti del primo autovettore principale , e moltiplicate per l’autovalore principale λ1. I valori di rosso, verde e blu (codifica RGB) sono ricodificati, quindi, nella modalità più semplificata, come di seguito:

[3.31]

(25)

Un’altra tipologia di visualizzazione voxel-based dei tensori usa piccoli oggetti tridimensionali, chiamati glyphs, simili a delle frecce orientate in base alla direzione degli autovettori e colorate in funzione dei valori scalari di anisotropia, sovrapposti slice per slice alle mappe di indici scalari (generalmente FA).

particolarmente utile in ambito

seguenti.

Fig. 3.16 – Visualizzazioni DTI voxel-based: a sinistra, porzione di una slice (a) e rispettiva rappresentazione mediante glyphs a “barra” (b); a destra, rappresentazione di una fetta assiale di cervello (dove è riconoscibile il corpo calloso) mediante rappresentazione con utilizzo di glyphs ellissoidali.

Tali oggetti possono essere sia “barre” orientate in base ai principali autovettori (vedi Fig. 3.16, sinistra), sia ellissoidi raffiguranti superfici ad isoprobabilità di diffusione (vedi Fig. 3.16, destra), sia elementi superquadratici tridimensionali (vedi Fig. 3.17).

Per quanto riguarda, invece, le metodiche di visualizzazione tridimensionale, la tecnica preponderante è quella, meglio nota come trattografia (Fiber Tracking), che permette la rappresentazione delle vie nervose stimandone le traiettorie sulla base delle informazioni legate ad autovettori e autovalori (vedi esempio in Fig. 3.18). Di questa tecnica,

chirurgico (per la pianificazione, ad esempio), si parlerà in modo più approfondito nei paragrafi

(26)

Fig. 3.17 – Visualizzazioni DTI voxel-based (tramite software 3D Slicer): in basso, le immagini DWI media (sinistra) e la relativa mappa a colori RGB ricodificati in base all’orientazione posta in semitrasparenza (destra); in alto, la rappresentazione della regione zoomata (in particolare, corpo calloso e ventricolo laterale destro) mediante rappresentazione con l’utilizzo di glyphs superquadratici. Da notare che, in questo caso, il colore rosso indica orientazione sinistra-destra, il blu superiore-inferiore, il verde anteriore-posteriore, in accordo con la mappa DEC.

Fig. 3.18 – Visualizzazioni DTI 3D (tramite software 3D Slicer): in trattografia, la ricostruzione delle vie nervose con rispetto della codifica di colori relativa alle informazioni di anisotropia o del tutto scollegata da esse, risulta essere a discrezione del neurologo analista.

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