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Nuove tecnologie per la rilevazione di specifici biomarkers come indicatori di stati patologici stanno ricoprendo un’importanza sempre maggiore nel mondo della moderna medicina [Petricoin et al., 2002].

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I.

INTRODUZIONE

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Nuove tecnologie per la rilevazione di specifici biomarkers come indicatori di stati patologici stanno ricoprendo un’importanza sempre maggiore nel mondo della moderna medicina [Petricoin et al., 2002].

Questo approccio innovativo potrebbe avere molteplici applicazioni al fine di ottenere informazioni utili sulla fisiopatologia, di inquadrare i vari casi clinici in modo univoco e di arrivare ad una diagnosi precoce per innumerevoli malattie.

In particolare le proteine del siero sono state ampiamente usate come utile campanello d’allarme, tanto che l’alterazione dell’espressione di alcune di esse può esser considerato l’elemento chiave per una diagnosi precoce di determinate patologie [Poon et al., 2001].

Nel caso specifico delle malattie renali è nota l’alterazione del metabolismo delle proteine a basso peso molecolare (Low Molecular Weight Protein) e dei peptidi derivanti dalla frammentazione di proteine più grandi, tra queste si trova l’albumina che è la proteina ad alto peso molecolare più abbondante nel siero ed i cui frammenti vengono trattati a livello renale.

L’associazione tra determinate proteine a basse concentrazioni e

alcune malattie renali viene studiata in laboratorio come metodo

diagnostico attraverso analisi di routine basate su tecniche come il

RIA (Radio Immuno Assay) e l’ELISA (Enzyme-Lynked Immuno

Sorbent Assay). Se da un lato questi tipi di studi possono contare su

una alta sensibilità, dall’altro presentano notevoli svantaggi: esse

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permettono l’analisi di una sola proteina per volta, necessitano anticorpi specifici e hanno costi elevati. Inoltre gli anticorpi possono riconoscere e evidenziare solo ciò che è noto e non permettono l’individuazione di ciò che ancora non è conosciuto. La proteomica ovvia proprio a questa mancanza usando le informazioni derivanti dalla elettroforesi bidimensionali (peso molecolare e punto isoelettrico) e dal confronto le sequenze contenute in banca dati, che permettono una identificazione di tutte, o quasi, le proteine presenti nel campione.

Data la notevole complessità dei caratteri che contraddistinguono una certa patologia, l’identificazione di un solo marker risulta insufficiente ai fini di una corretta diagnosi [Bast et al., 2002].

Attraverso l’uso della proteomica è invece possibile confrontare parallelamente più proteine e disegnare così un quadro più completo dei markers specifici di ogni singola patologia [Daly et al., 2002].

Per questo motivo ci siamo avvalsi di tecniche quali la SDS- PAGE (Sodium Dodecyl Sulphate Poly Acrylamide Gel Electrophoresis), e la 2DE (two-Dimensional Electrophoresis) che consentono di mettere in evidenza variazioni del pattern proteico del siero di pazienti con insufficienza renale cronica sottoposti a dialisi.

Questa introduzione vuole quindi illustrare le tecniche

proteomiche che hanno permesso la stesura del presente lavoro,

fornire informazioni su struttura, metabolismo e funzioni

dell’albumina, nonché chiarire la responsabilità del rene nella

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manipolazione di proteine sieriche attraverso l’analisi dei loro peptidi a basso peso molecolare.

1. LA PROTEOMICA

Con il Progetto Genoma si è potuta costruire la mappa dei circa 30000 geni che compongono il DNA umano. La complessità dei meccanismi che regolano l’espressione di tali geni è, però, oscura.

Proprio per far luce su questo punto è nata la proteomica che si può definire come l’insieme di tutte quelle tecnologie che portano alla determinazione di interi “pattern proteici” espressi in un certo tipo di tessuto e in un determinato momento. Infatti le molteplici cellule appartenenti a un singolo organismo, e perfino lo stesso tipo cellulare, esprimono proteine diverse a seconda delle condizioni (età, ambiente, patologia…), e questo può dar luogo a pattern proteici ben differenti.

Le fasi essenziali dell’analisi proteomica prevedono la

preparazione del campione, la separazione delle proteine, per pI

(punto isoelettrico) e PM (peso molecolare) attraverso elettroforesi

bidimensionale, l’acquisizione e lo studio delle immagini dei gel, la

reazione con opportuni anticorpi, la digestione dei gel, la spettrometria

di massa, ed infine la ricerca delle sequenze nelle banche dati per

identificare la proteina che stiamo analizzando [Bakhtiar et al., 2001].

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I progressi fatti nel campo della proteomica permettono oggi un approccio strutturale preciso. Il potenziale di questa nuova tecnologia può consentire una nuova visione delle nostre conoscenze sulla configurazione di importanti proteine plasmatiche, tra cui l’albumina, in condizioni di sindrome nefrotica.

In un lavoro precedente [Dott. Francesco Piccolomini: Tesi di Laurea della Facoltà di Scienza Biologiche, anno 2006] l’applicazione di queste tecniche ha permesso la visualizzazione di frammenti di albumina nel siero di un paziente in insufficienza renale cronica considerato all’interno del range di pH tra 3 e 5,6.

2. L’ALBUMINA

2.1 GENERALITA’

La siero albumina umana (HSA) è una proteina presente in grande concentrazione nel plasma di tutti i mammiferi (circa 0,6 mM ovvero circa 3,5-4,5 g/dl) e rappresenta circa il 50% delle proteine totali del siero umano.

L’HSA viene sintetizzata nel fegato (circa 9-12 g/die) come

proalbumina ed il peptide segnale (18 aminoacidi) viene tagliato

quando il precursore entra nel lume del reticolo endoplasmatico

[Peters, 1987]. Questa forma non è sottoposta a ulteriori modifiche

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albumina-convertasi (un enzima di membrana), si verifica la rimozione all’estremità ammino terminale del pro-peptide Arg-Gly- Val-Phe-Arg-Arg [Judah et al. 1978]. Il prodotto di questi processi maturativi ha una sequenza N-terminale Asp-Ala-His-Lys. Dal momento che non ne esiste una riserva viene costitutivamente immesso in circolo, dove ha un tempo di emivita di circa 19 giorni [Brennan et al., 1990].

La molecola di albumina può presentare delle mutazioni dovute o a variazioni della sequenza aminoacidica durante i processi maturativi o di origine genica. Questo ultimo tipo di mutazioni può essere dovuto a sostituzioni di singole basi, frameshift e mutazioni introniche. Attualmente ne sono state identificate più di 40 tipi ma molte di loro sembrano avere poca o nessuna influenza sulla funzione fisiologica della proteina [Helms et al., 1997]. Alcune sembra avere effetti minimi sui ligandi ma nessuna è nota essere causa di disturbi.

L’elettroforesi di campioni sierici solitamente mostra una singola banda rappresentante l’albumina. Occasionalmente però possono essere viste due (o più) bande, e mentre una mostra la stessa mobilità dell’albumina wilde-type, le altre corrono più lentamente o più velocemente. Questo comportamento elettroforetico è causato dalla contemporanea presenza di componenti albuminiche normali e varianti [Galliano et al., 1999].

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2.2 STRUTTURA

L’albumina è una proteina semplice costituita da circa 580 aminoacidi e dal peso molecolare di circa 66000 Da.

La peculiarità della composizione aminoacidica dell’albumina è costituita dal bassissimo contenuto di triptofano (un solo residuo nell’albumina umana in posizione 214) (Fig. 1) [Gonzàlez-Jimènez &

Cortijo, 2002]. Anche metionina, glicina ed isoleucina sono presenti in basse quantità. Al contrario abbondano cisteina, leucina e gli aminoacidi ionici come acido glutammico e lisina.

L’albumina umana ha 35 cisteine che formano 17 ponti disolfuro

(in giallo in Fig. 1), Cys-34 (in arancione in Fig. 1) non partecipa mai

alla formazione di ponti. Un così alto numero di legami covalenti

garantisce il mantenimento della struttura nativa sotto diverse

condizioni di pH, forza ionica e flusso circolatorio. Lungo la catena

polipeptidica i residui di sedici Cys si trovano a coppie in posizione

adiacente (Fig. 1) ma non possono formare ponti disolfuro tra loro in

quanto è lo stesso legame peptidico ad impedirlo [Mariani et al.,

1982]. Ogni Cys quindi interagisce con un'altra Cys che si trova in un

altro punto della catena e questo ha come conseguenza un

ripiegamento caratteristico della proteina (Fig. 1).

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Fig.1 Sequenza aminoacidica dell’albumina con distinzione dei tre domini. In giallo sono indicati i residui di Cys e i loro ponti disolfuro. In arancione viene evidenziata la Cys-34 che non partecipa al mantenimento della struttura terziaria dell’albumina ma reagisce con ligandi vari attraverso disolfuri misti.

La diffrazione a raggi X ha dimostrato che il 67% dei residui della HSA cristallina formano strutture ad α-elica, il 23%

compongono segmenti proteici non strutturati e il 10% formano β-

turn, inoltre non si osservano foglietti β [Carter e Ho, 1994]. Le

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connessioni tra un dominio e l’altro non sono elicoidali [Kragh- Hansen et al., 2001].

Una caratteristica nella struttura dell’albumina è la presenza di un “motivo a tre” ricorrente. Infatti la catena è formata da tre domini omologhi numerati a partire dall’estremità amminica (I, II, III) (Fig. 1) e costituiti ciascuno da tre anse (lunga-corta-lunga) secondo lo schema riportato in Fig. 2.

All’interno di ogni dominio le prime due anse (anse 1-2 nel dominio I, anse 4-5 nel dominio II, anse 7-8 nel dominio III) costituiscono i sottodomini IA, IIA e IIIA. Allo stesso modo le anse 3 nel dominio I, 6 nel dominio II e 9 nel dominio III costituiscono i sottodomini IB, IIB e IIIB (Fig. 2).

All’interno di ciascun dominio la distribuzione delle 10 eliche è ricorrente: 6 α-eliche antiparallele nel sottodominio A (h1, h2, h3, h4, h5, h6) e 4 α-eliche antiparallele nel sottodominio B (h7, h8, h9, h10) come illustrato nello schema di Fig. 2 [Pepiptas et al. 2001].

All’inizio di ogni ansa lunga (anse 1 e 3 nel dominio I; anse 4 e 6

nel dominio II; anse 7 e 9 nel dominio III) c’è un breve segmento

elicale (h1 nel sottodominio A e h7 nel sottodominio B) che

comprende la cisteina del primo ponte disolfuro (eccezion fatta per

l’α-elica h1 del sottodominio IA, che manca di questo residuo).

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Fig. 2 Struttura dei domini II e III dell’albumina. Il dominio I differisce solo per l’assenza del primo ponte disolfuro dovuto alla mancanza della prima Cys nella α-elica h1. In rosso sono state evidenziate le anse lunghe del sottodominio A, in blu le anse corte del sottodominio A e in verde le anse lunghe del sottodominio B. All’apice di ciascuna ansa lunga si trova un residuo di prolina (Pro) che rende possibile il ripiegamento della sequenza aminoacidica.

Nel punto apicale di ogni ansa lunga si trova un residuo di

prolina che permette l’orientameno antiparallelo dell’elica successiva

che corre lungo il braccio ascendente (h3 nel sottodominio A e h9 nel

sottodominio B). La presenza di una prolina e di un legame S-S

stabilizzante fa proseguire la catena proteica in direzione antiparallela

nella successiva elica (h4 nel sottodominio A e h10 nel sottodominio

B). Due corte eliche antiparallele all’interno del sottodominio A (h5 e

h6) formano l’ansa breve che è collegata alla successiva ansa lunga

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del sottodominio B (Fig. 2) attraverso una sequenza aminoacidica che costituisce il collegamento tra i sottodomini A e B.

L’omologia di sequenza tra i domini raggiunge il 18-25%, ed è più marcata tra le anse lunghe 3 (nel sottodominio IB), 6 (nel sottodominio IIB) e 9 (nel sottodominio IIIB). I tre domini, sebbene omologhi, hanno diverse specificità di legame coi ligandi.

L’ampio numero di residui idrofilici carichi sia positivamente che negativamente (più di 200) conferisce all’albumina una alta carica totale. A pH 7 ha carica netta oscillante tra –12 e –18 e questo aumenta la sua solubilità in ambiente acquoso. Tuttavia la distribuzione delle cariche nette mostra un gradiente lungo la molecola: il dominio I ha carica netta –9, il dominio II –8, mentre il dominio III risulta praticamente neutro (+2).

2.3 FUNZIONI

L’albumina umana possiede un ampia gamma di funzioni tra cui:

♦ trasporto di acidi grassi;

♦ mantenimento della pressione colloide osmotica del plasma:

da sola contribuisce per l’80% alla pressione totale;

♦ chelante di residui tossici come la bilirubina (prelevata dai siti

di degradazione dell’emoglobina e trasferita al fegato per la

coniugazione e l’escrezione biliare) [Khan & Tayyab, 2001],

l’ematina (legata e veicolata al fegato quando il suo

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trasportatore principale, emopexina, si satura) e altre tossine esogene;

♦ serbatoio per il monossido di azoto (NO), importante vasodilatatore che regola il tono vascolare [Stamler et al., 1992];

♦ regolazione della permeabilità transendoteliale [Lum et al., 1991] e delle membrane [Soni e Margarson, 2004];

♦ trasportatore di ormoni steroidei ed ormone tiroideo;

♦ inibitore della proliferazione delle cellule sensibili agli estrogeni [Sonnenschein et al., 1996];

♦ interazione con farmaci (penicillina, warfarina, ibuprofene e altri antiinfiammatori), di cui controlla la disponibilità e la concentrazione attiva e di cui costituisce delle riserve per una azione più prolungata [Pepiptas et al., 2001], e xenobiotici anche potenzialmente pericolosi [Carter e Ho, 1994; Frank et al., 1998];

♦ legame con ioni come Cu 2+ , Ni 2+ , Zn 2+ e Ca 2+ . Il legame con quest’ultimo è particolarmente rilevante perché costituisce una scorta rapidamente disponibile di questo importante ione;

♦ azione anticoagulante attraverso l’inibizione dell’aggregazione piastrinica [Mulvihill et al. 1991];

♦ riserva di amminoacidi oltre che loro trasportatore;

♦ il più grande sistema antiossidante a disposizione

dell’organismo;

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♦ ulteriori funzioni non ancora del tutto conosciute.

2.4 MODIFICHE CONFORMAZIONALI DETERMINATE DAI LIGANDI

La flessibilità della struttura dell’albumina si adatta prontamente ai suoi ligandi e il disegno dei suoi tre domini offre un’ampia varietà di siti di riconoscimento. In realtà la specificità di legame è determinata dall’assetto conformazionale della proteina al momento in cui questa si unisce al suo ligando. Questa visione dinamica dell’albumina rende conto della facilità di legame ad alta affinità, nella stessa regione, con composti dalla struttura chimica molto diversa. I domini II e III sono i siti in cui avviene la maggior parte delle reazioni coi ligandi, costituiti principalmente da acidi grassi, bilirubina, farmaci e varie sostanze chimiche. Fra i pochi composti che, invece, interagiscono coi residui del dominio I ci sono Ca 2+ , Cu 2+

e NO.

Dopo che Davis, negli anni ’40, riconobbe la responsabilità

dell’albumina nel modulare l’attività di certe sostanze a lei legate, si

iniziò a studiare molto attentamente l’interazione della proteina coi

suoi vari ligandi. Proprio da qui si riconobbe all’albumina non solo la

funzione di trasporto ma anche di modulazione, di inattivazione di

metaboliti e farmaci, di protezione contro sostanze tossiche e di difesa

da stress ossidativi.

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L’HSA è capace di interagire attraverso interazioni elettrostatiche, legami a idrogeno e legami idrofobici.

Il gruppo più importante di ligandi è rappresentato dagli anioni endogeni o fisiologici. Questi generalmente si legano ai residui di Lys e Arg presenti in una tasca idrofobica.

Fig. 3 Sito di legame per gli acidi Grassi. Coinvolgimento dei residui di Lys e Arg attraverso interazioni elettrostatiche.

Gli elementi più caratteristici di questa categoria sono gli acidi

grassi a catena lunga (Long Chain Fatty Acid). Ogni molecola di

albumina lega da 2 a 4 molecole di LCFA. I siti primari per il legame

con gli LCFA si trovano nel dominio III e nel dominio I [Hamilton et

al., 1991]; siti secondari coinvolgono la Lys-351 nell’elica h9 del

dominio IIB e siti terziari comprendono Arg-117 e His-145 del

dominio I [Brown and Shockley, 1982] (Fig. 4).

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Fig. 4 Figura schematica dei siti di legame sulla molecola di albumina. ASA: Acetilsalicilato.

PLP: piridossalfosfato (vitamina B

B6

). LCFA-1, -2, -3: siti di legame per acidi grassi a catena lunga in ordine decrescente di specificità. RSH: sito di formazione di disolfuri misti costituito dalla Cys-34.

La bilirubina è il ligando dell’albumina più studiato. La forma di bilirubina prevalente è una sostanza idrofobica: per questo motivo essa necessita dell’albumina per diventare solubile. La reazione di legame, come anche per i LCFA, è altamente idrofobica ma è associata a valori negativi di ΔS (= -8,4 cal mol -1 ) e ΔH (= -13,5 kcal mol -1 ) tali da indicare il coinvolgimento di legami idrogeno e di ponti salini. Inoltre questi ultimi risultano essere particolarmente importanti per l’orientamento della molecola del ligando [Lightner et al., 1988]. Il sito principale di legame si trova nel sottodominio IIA e comprende i residui cationici Arg-222, Lys-199 and Arg-257 (Fig. 4) [Reed e Mc Kay, 1985].

Tra i vari ligandi anche i cationi rivestono una notevole

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Il 10% del Cu 2+ presente nel plasma si presenta legato all’albumina. Il legame si ha in un singolo sito all’estremità N- terminale della proteina e coinvolge la Lys-4 per la quale ha una costante di affinità talmente alta da non poter essere calcolata facilmente [Sadler et al. 1994]. Il Ni 2+ si lega all’estremità amminica in modo simile; però, dal momento che l’atomo è leggermente più grande del Cu 2+ , il complesso Ni-albumina è debole e gradualmente viene rimpiazzato dal Cu 2+ [Glennon e Sarkar, 1982]. Ogni molecola di albumina lega solo 1-2 ioni Ca 2+ , ma questa interazione è molto significativa da un punto di vista clinico e fisiologico. La pK a per la associazione Ca 2+ -albumina non risente molto delle variazioni di temperatura, ma è sensibile alle oscillazioni di pH e forza ionica [Pedersen 1972]; per questo motivo la K a può aumentare fino a tre volte e le conseguenti variazioni di calcio libero contribuiscono all’abbassamento dell’acidosi e all’aumento dell’alcalosi. Il sito di legame del calcio si trova nell’estremità N-terminale (Fig. 4) [Kragh- Hansen et al., 1994].

Studi svolti da Sudlow e collaboratori (Fig. 5) hanno svelato la presenza di due siti di legame per i farmaci. Tali siti sono uno di fronte all’altro e competono per il legame con determinati agenti terapeutici (Fig. 5).

Il sito I si trova nel sottodominio IIA e coinvolge i residui delle

eliche h1, h2, h3, h4 e h6 in particolare Lys-199, Trp-214, Arg-257 e

Glu-292. I ligandi tipici sono anioni eterociclici con la carica situata in

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una posizione piuttosto centrale della molecola: tipici esempi sono la warfarina, la bilirubina e i salicilati. La competizione tra i vari ligandi nel legame al sito I ha dimostrato la presenza di 3 sottositi di legame:

uno per bilirubina e rosso fenolo, uno per warfarina e fenilbutazone e uno per digitossina e salicilati [Kragh-Hansen, 1990].

Fig. 5 Localizzazione, all’interno della struttura della molecola di albumina, dei due sottodomini IIIA e IIA che contengono i siti di legame per i principali farmaci. Nel sottodominio IIIA ha sede il sito II che lega farmaci aromatici e neutri come diazepam e L- triptofano. Nel sottodominio IIA si trova il sito I, sensibile a warfarina, fenilbutazone e bilirubina.

Il sito II si trova nel sottodominio IIIA e coinvolge i residui delle

eliche h1, h2, h3, h4 e h6 in particolare Tyr-411 e Glu-450. I ligandi

tipici sono aromatici e neutri; se presente, la carica è anionica e

localizzata più perifericamente nella molecola. Ligandi che rientrano

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in questa classe di composti sono L-triptofano, diazepam, benzodiazepine e farmaci anti-infiammatori non steroidei come ibuprofene e naproxene.

Pare che l’accesso al sito II sia bloccato dalla dimerizzazione della molecola di albumina [Sollenne et al., 1981]; da questo fatto si deduce che durante questa reazione i sottodomini IIIA delle due molecole si avvicinano.

L’albumina è, per di più, un buon antigene. Esperimenti di titolazione hanno dimostrato che al punto di equivalenza si ha un rapporto di 4:1 tra BSA (Bovine Serum Albumin) e anticorpi (IgG).

Con l’avvento degli anticorpi monoclonali si sono potuti riconoscere 13 epitopi sulla BSA, ma anche sulla HSA [Doyen et al., 1985];

questo risultato suggerisce che circa un terzo della superficie della molecola di albumina è antigenica.

2.5 MODIFICHE POST-TRADUZIONALI NON ENZIMATICHE DELL’ALBUMINA

Tra le reazioni più comuni a cui l’HSA è sottoposta ci sono la

glicosilazione, l’acetilazione e l’ossidazione della Cys-34. La

glicosilazione non enzimatica riscontrata in pazienti diabetici altera le

capacità di legare molecole fisiologiche e farmacologiche [Zoellner et

al., 2001] portando ad un aumento della tossicità o ad una

diminuzione della loro efficacia.

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La glicosilazione è una reazione che avviene comunemente per molte proteine arrivate alla fine della loro “esistenza” e quindi rappresenta una fase della loro degradazione. Ma la glicosilazione più importante è quella che avviene in condizioni patologiche (come nel diabete appunto), dove alte concentrazioni di zuccheri circolanti (soprattutto glucosio) alterano le proprietà delle proteine funzionali.

Nel caso dell’HSA la reazione consiste in un legame covalente di una singola molecola di glucosio, nella sua forma aperta, con il residuo N- terminale o con un ε-amminogruppo di una o più Lys per formare una base di Schiff. In 25 ore circa la base di Schiff si riarrangia formando il prodotto di Amadori che rimane all’equilibrio nelle due forme β−furanosilammina e β-piranosilammina [Harding, 1985]. Dopo alcune settimane ambedue le forme interagiscono con altre proteine dando luogo a legami crociati tra le catene e generando aggregati ad avanzata glicosilazione (AGEs).

L’acido acetil salicilico, un anti-infiammatorio comunemente conosciuto col nome di aspirina, agisce acetilando irreversibilmente un sito della ciclo-ossigenasi, inibendo la sintesi delle prostaglandine.

Oltre a questo specifico sito d’azione, l’aspirina acetila molte altre proteine plasmatiche, tra cui l’albumina a livello della Lys-199.

Questo processo sembra inibire la glicosilazione.

L’acetilazione dell’estremità N-terminale è un normale processo

co- e post-traduzionale dove un gruppo acetile viene trasferito

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dall’Acetil-CoA all’α-aminoacido N-terminale della proteina [Polevoda e Sherman, 2003].

Un’altra reazione covalente è l’attacco dell’anello alifatico β- lattamico delle penicilline a gruppi α e ε-amminici o al gruppo imidazolico delle His: i siti di modifica sembrano essere principalmente le Lys 432, 541 e 545 nel terzo dominio, più altri 3 residui non ben identificati. Le Lys reattive si trovano principalmente in sequenze del tipo Lys-X-X-Ser e Ser-X-X-Lys; ciò suggerisce che il legame delle penicilline all’HSA richieda specifici siti tridimensionali. Da un punto di vista clinico, queste forme modificate hanno perso l’attività antibatterica ma possiedono carattere immunogenico e sono considerate una delle cause principali delle reazioni allergiche verso le penicilline.

L’HSA è, infine, il più grande sistema antiossidante dell’organismo, capace, ad esempio, di reagire con i radicali perossilici, HO 2 · e NO 2 ·. Proprio per questa sua ultima proprietà l’albumina è stata messa in relazione con alcuni stati patologici. I potenziali siti di ossidazione sono Met-123, Met-298, Met-446 e Met-548 [Era et al., 1995] ma la più importante è di gran lunga la Cys-34 presente nella elica h2 del dominio IA.

Lo stato ridotto o ossidato della Cys-34 gioca un ruolo chiave nel

riconoscimento di varie sostanze. Infatti il legame con tioli a basso

peso molecolare, quali glutatione e cisteina, possono far aumentare

l’affinità della proteina plasmatica per PSP (Fenil-sulfon-ftaleina) e

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Cu 2+ . Una sostanza che reagisce facilmente con tutti i tioli, compresa quindi la Cys-34 dell’albumina, è il monossido di azoto (NO), un radicale altamente reattivo ubiquitario nei tessuti dei mammiferi, che dà luogo a derivati S-nitrosilici. Il legame di questo radicale con la Cys-34 provoca un abbassamento di affinità per PSP e Cu 2+ : quindi modificazioni reversibili della Cys-34 da parte di NO e stress ossidativo possono interferire a maggior ragione col legame e trasporto di anioni organici e metalli pesanti [Misato et al., 1997] i quali reagiscono con sequenze del sottodominio IA in cui si trova la Cys presa in causa.

In seguito a esposizione del plasma a specie reattive dell’ossigeno, come i perossidi, si è osservato una dimerizzazione della HSA dovuta all’ossidazione di due Cys-34 appartenenti a due diverse molecole di albumina. Tale dimerizzazione è stata diagnosticata anche in pazienti in trattamento emodialitico. Il rinvenimento di dimeri di albumina è, quindi, considerato un marker per la presenza di stress ossidativo [Yuki et al., 2006].

2.6 CATABOLISMO

L’albumina ha un tempo di emivita di circa 19 giorni [Peters,

1997]. Ogni giorno in un adulto di 70 kg ne viene degradata una

quantità fissa di circa 13,3 g/die. Tuttavia la concentrazione di

albumina nel siero esercita un controllo sia della sua sintesi che della

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sua degradazione: infatti ad alte concentrazioni plasmatiche viene inibita la sintesi e stimolata la demolizione.

Nel ricercare i siti di degradazione si è scoperto che circa il 15%

dell’albumina circolante viene rimossa dal fegato [Katz et al, 1961], 10% dal rene [Bent-Hansen et al., 1993], 10% dal tratto gastro- intestinale [Jeffries et al, 1962]. Ma esperimenti utilizzanti marcatori radioattivi (residualizing labels), hanno dimostrato che il muscolo e la pelle catabolizzano da soli una quantità che si aggira tra il 40 e il 60%

dell’albumina circolante [Baynes e Thorpe, 1981; Yedgar et al, 1983].

Generalmente le proteine plasmatiche sono degradate in seguito ad assorbimento in vescicole endocitotiche che si fondono coi lisosomi per formare lisosomi secondari. L’albumina entra nel sistema endosomiale-lisosomiale delle cellule endoteliali attraverso vescicole ricoperte di clatrina [De Bruyn et al, 1985].

L’albumina viene assimilata e degradata molto più efficientemente se è denaturata o alterata, soprattutto da composti che si legano agli ε-amino-gruppi della proteina [Schnitzer e Bravo, 1993].

L’albumina nativa non subisce alcun processo degradativo

all’interno delle cellule, mentre l’albumina modificata viene degradata

efficientemente. Le alterazioni che permettono la degradazione della

molecola sono dovute a reazioni di varia natura come l’ossidazione,

l’addizione e gli interscambi di ponti S-S [Bocci 1967; Jansen et al.,

1991].

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Un altro fatto che può influenzare la degradazione dell’albumina è l’effetto protettivo dei ligandi idrofobici sulla sua conformazione.

Tra questi gli acidi grassi a catena lunga (LCFA) sono i più importanti. Infatti le molecole di albumina completamente prive di LCFA sono più suscettibili alla proteolisi rispetto a quelle che ne legano uno o due. [Peters, 1997].

Il prodotto finale della degradazione dell’albumina sono i singoli aminoacidi. I frammenti o i peptidi risultanti da una degradazione parziale probabilmente vengono usati direttamente nella sintesi di nuova albumina [Goldsworthy and Volwiler, 1958]. Tuttavia solo pochi frammenti di albumina sono stati rinvenuti nel sangue di persone sane e di emodializzati (Kshirsagar et al., 1984; Kausler e Spiteller, 1991) ed il significato della loro presenza è tuttora non chiaro.

Benché le grosse proteine plasmatiche non riescano ad attraversare la barriera di filtrazione glomerulare, una piccola quota comunque ce la fa. Nel caso dell’albumina il livello presente nel filtrato glomerulare è circa lo 0,02% della concentrazione plasmatica.

Tuttavia il tubulo prossimale è in grado di riassorbire l’albumina

filtrata e di degradarla, attraverso gli enzimi lisosomiali, nei suoi

costituenti aminoacidici che vengono poi immessi in circolo [Peters,

1997].

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2.6.1 IL CASO DI INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

Nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica si verifica una riduzione della funzione renale maggiore del 75%. In tali condizioni è richiesta una terapia sostitutiva consistente nella dialisi o nel trapianto [Dubrow e Levin, 1997].

Nei pazienti in dialisi si assiste al progressivo aumento della quantità di Ca 2+ [Tanaka et al., 2007], K + [Musso, 2004] e fosfato [Indridason et al., 2002] ad un abbassamento dei livelli di vitamina D [Cheng et al., 2007] e Insulina e alla comparsa di anuria, anemia [Locatelli et al., 2004] e acidosi [Mehrota et al., 2003]. In queste condizioni la frazione di proteine a basso peso molecolare solitamente escrete con le urine si accumulano nel circolo ematico. Non si dovrebbero, invece, osservare variazioni di concentrazione delle grandi proteine, prima tra tutte l’albumina, che normalmente non vengono espulse con le urine ma vengono catabolizzate dai vari organi competenti. Tuttavia lo stato di acidosi a breve termine stimola il catabolismo proteico del muscolo e inibisce la sintesi di albumina. Per questo motivo si giunge a bassi livelli di albumina circolante, condizione indicata col nome di ipoalbuminemia [Kaysen et al., 2003].

La dialisi garantisce la depurazione del sangue da cataboliti e sostanze tossiche che altrimenti si accumulerebbero nel sangue.

Tuttavia non si può avere la certezza della efficace filtrazione che si

ha nel trattamento emodialitico.

(25)

In questi pazienti lo stress ossidativo risulta aumentato rispetto alle condizioni normali ma il vero motivo è ancora causa di dibattito:

potrebbe, infatti, essere dovuto a fattori legati all’uremia [Martin- Mateo et al., 1999] o anche alle procedure dialitiche [Morena et al., 2000]. L’albumina, con i suoi gruppi tiolici, costituisce la componente più importante del sistema difensivo antiossidante extracellulare [Himmelfarb et al., 2001]. La condizione di ipoalbuminemia può contribuire a ridurre le difese antiossidanti del plasma [Himmelfarb et al., 2001]. Tuttavia nei pazienti in dialisi si osserva un aumento dei gruppi tiolici ridotti [Polañska et al., 2001]. Una possibile causa potrebbe essere la rimozione di alcuni agenti ossidanti da parte del trattamento emodialitico, riduzione dello stress ossidativo e aumento della capacità antiossidante. Inoltre l’aumento dei gruppi -SH può essere il risultato dell’aumento dei gruppi tiolici liberi che si vengono a creare dalla degradazione proteolitica delle proteine durante l’emodialisi. Infatti durante la dialisi i neutrofili attivati rilasciano proteasi che determinano un aumento dell’attività proteasica plasmatica non-specifica. [Polañska et al., 2001].

Il catabolismo dell’albumina in condizioni di IRC non è stato

studiato. È noto solo un aumento di catabolismo a livello muscolare

dato dall’attivazione della caspasi-3 che taglia la complessa struttura

del muscolo per fornire il substrato alla via del Proteasoma-Ubiquitina

[Mitch, 2006].

(26)

3. FUNZIONALITÀ RENALE

3.1 TRATTAMENTO RENALE DELLE PROTEINE

Negli individui sani la quantità di proteine escrete nelle urine durante le 24 ore varia da 40 a 80 mg poichè le piccole quantità che attraversano il filtro glomerulare vengono riassorbite pressoché completamente per pinocitosi nei tubuli renali. Le proteine presenti nelle urine sono un mix tra proteine plasmatiche che superano la barriera di filtrazione e proteine non plasmatiche che derivano dai tubuli e dalla parte terminale del tratto urinario. Tra tutte l’albumina rappresenta circa il 30-40%, le IgG il 5-10% e le IgA il 3%.

Praticamente assenti invece le molecole di grandi dimensioni come le IgD e le IgM.

Il trattamento delle proteine plasmatiche da parte del rene è

alquanto complesso ed è il risultato di due processi fondamentali: la

filtrazione glomerulare e il successivo riassorbimento e metabolismo a

livello delle cellule tubulari prossimali. Le principali difficoltà nella

filtrazione delle proteine plasmatiche sono riconducibili ad

impedimenti di tipo meccanico e di tipo elettrico oltre che a fattori

emodinamici. La dimensione, la configurazione, la deformabilità e la

carica di queste macromolecole sono alla base del loro destino a

livello glomerulare [Kanwar 1984]. Questa considerazione riveste un

valore ancora maggiore nel caso dell’albumina, proteina dalla

(27)

conformazione mutevole in dipendenza della funzione svolta, del ligando trasportato e dello stato ossidativo in cui si trova.

Attraverso l’uso di traccianti isotopici e studi di micropuntura si è giunti a dimostrare che la barriera capillare glomerulare è solo parzialmente impermeabile all’albumina in quanto ne vengono trovate tracce anche nel filtrato glomerulare [Mcgarry et al., 1955].

Sembra che il riassorbimento di albumina filtrata sia limitato al tubulo prossimale [Katz et al., 1960] e che una piccola quantità di albumina riassorbita dal tubulo torni in circolo in forma integra. Il sistema vacuolare lisosomiale si è dimostrato responsabile del suo riassorbimento e degradazione. Dopo somministrazione intravenosa o intratubulare di albumina marcata, i vacuoli che si trovano sulla membrana luminale delle cellule all’inizio del tubulo prossimale contengono la forma isotopica [Oliver et al. 1954, Maunsbach 1966].

All’interno delle cellule questi vacuoli si muovono fino a fondersi con i lisosomi i quali, con i loro enzimi proteolitici, degradano l’albumina [Miller e Palede, 1964].

3.1.1 PROTEINE PLASMATICHE DI PICCOLE DIMENSIONI

Le proteine a basso peso molecolare (<25 kDa o 2,3 nm) sono così piccole che la loro carica è ininfluente per la loro filtrazione.

Sono liberamente filtrate dai glomeruli, riassorbite dai tubuli o

degradate dal tubulo prossimale. Le proteine a basso peso molecolare

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biologicamente importanti che vanno incontro a “trattamento” renale sono enzimi (lisozima e ribonucleasi), immunoglobuline (catene leggere e β-microglobulina), prodotti della degradazione del fibrinogeno e ormoni (insulina, GH, ormone paratiroideo). La concentrazione tubulare di queste proteine va dal 50 al 90% della loro concentrazione plasmatica, ma nonostante questa grande quantità nelle urine ne compare solo una piccola parte. Queste proteine vengono infatti riassorbite nel tubulo prossimale, dove in parte vengono idrolizzate in aminoacidi dal sistema lisosomiale vacuolare e in parte rimangono nella loro forma intatta. Per alcune di queste proteine a basso peso molecolare la quantità presente nel tubulo è significativamente più alta della quantità filtrata. Per esempio, quando si inietta lisozima purificato in un rene isolato di ratto, questo enzima compare nelle urine solo quando si arriva ad una concentrazione pari a tre volte quella normale [Maack et al., 1979]. Attraverso i processi essenziali che avvengono tra il glomerulo e il tubulo, il rene influisce per il 30-80 % sulla clearance metabolica delle proteine a basso peso molecolare.

Le catene leggere subiscono un trattamento simile. I monomeri

(PM 22 kDa), liberamente filtrati e successivamente degradati dai

tubuli, appaiono solo in modesta quantità nelle urine. I dimeri (PM

44 kDa, raggio 2,8 nm), invece, vengono filtrati circa per il 10%.

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3.1.2 ALBUMINA

L’albumina, con un peso molecolare di circa 66,4 kDa, normalmente non può essere presente nel filtrato a causa della selettività della barriera glomerulare. In determinate condizioni, però, come un ridotto flusso sanguigno, l’albumina può apparire nelle urine dimostrando che la selettività per dimensione da sola non è sufficiente ad impedirne la filtrazione. Sembra, invece, che la carica negativa presente sulle varie strutture della barriera di filtrazione, prima tra tutte la membrana basale, sia l’ostacolo maggiore che ne impedisce la filtrazione [Deen et al., 1979].

3.2 VARIAZIONI DI PROTEINE A BASSO PESO MOLECOLARE IN INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

Le patologie renale possono manifestarsi in variazioni della capacità detossificante renale, assenza della regolazione nel bilancio idrico-salino e alterate funzioni endocrine [Perco et al., 2006].

L’insufficienza renale cronica è caratterizzata da una riduzione della funzione renale maggiore del 75% che spesso evolve rapidamente verso la completa perdita dell’attività del rene, e quindi all’anuria [Dubrow e Levin, 1997].

Data lo stato di anuria che si viene a instaurare molte piccole proteine non possono essere escrete quindi si accumulano nel circolo.

Le maggiori testimonianze confermano l’aumentata concentrazione di

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PTH (= Para-Thyroid Hormone) [Fukagawa et al., 2006], RBP (=

Retinol Binding Protein) [Yamada et al., 1997], Aptoglobina [Smeets

et al., 2003], Transtiretina [Whittaker, 1968], e β2-microglobulina

[Dubrow e Levin, 1997].

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