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obiettivo primario dello studio, a due mesi la percentuale di pazienti liberi da progressione

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Academic year: 2021

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11.0 DISCUSSIONE

L’ obiettivo primario del nostro studio è valutare se un trattamento chemioterapico metronomico con UFT e CTX in associazione a celecoxib determini un aumento della sopravvivenza libera da progressione a due mesi in un setting di pazienti con diagnosi di carcinoma del tratto gastroenterico in stadio avanzato, pazienti già sottoposti a dei precedenti trattamenti chemioterapici per la malattia metastatica, dove non vi sia un’ulteriore indicazione a terapie specifiche standard. Obiettivi secondari dello studio sono stati: la valutazione della sopravvivenza libera da progressione globale, l’ attività antitumorale, la tollerabilità, le eventuali variazioni dei livelli plasmatici di alcuni mediatori del processo angiogenetico quali la TSP-1, il VEGF e il sVEGFR-2 a seguito del trattamento e una analisi farmacogenomica dei geni di TSP-1 e di VEGF. Infine è stata eseguita una analisi farmacocinetica dei metaboliti dell’ UFT e del 5-FU. Nel nostro studio sono stati inseriti al momento 27 pazienti (previsti 36). I risultati preliminari osservati su questo gruppo di pazienti confermano la buona tollerabilità del trattamento chemioterapico metronomico. In nessuno dei 27 pazienti trattati abbiamo infatti osservato tossicità di grado superiore al I secondo la scala NCI, tranne una ipertransaminasemia transitoria di grado 2 che non ha comportato interruzioni del trattamento o riduzioni di dosi. L’ aggiunta dell’

UFT e del celecoxib non ha quindi comportato un aumento delle tossicità già descritte con l’

utilizzo della CTX somministrata in modalità metronomica (29). Per quanto riguarda l’

obiettivo primario dello studio, a due mesi la percentuale di pazienti liberi da progressione

di malattia è risultata essere del 45 % con una sopravvivenza libera da progressione (PFS)

mediana di 3.85 mesi (range 2.1 - 8.52+). Da un punto di vista di attività antitumorale non

sono state osservate risposte obiettive (20 pazienti valutabili) con una stabilità di malattia

(SD) nel 45% dei pazienti; la durata mediana della SD è stata di 5.06 mesi (range 2.07+ -

8.52+). In particolare, delle 9 stazionarietà osservate 7 erano pazienti con diagnosi di

carcinoma colon-rettale (su un totale di 15 pazienti valutabili) e 2 erano pazienti con

diagnosi di carcinoma pancreatico (entrambi ancora in SD). Benché lo studio sia ancora in

corso, i risultati in termini di efficacia sembrerebbero in linea con quanto osservato nello

stesso setting di pazienti ottenuti con altri trattamenti chemioterapici di terza linea o con la

targeted therapy. Ad esempio, due studi clinici di fase II e III hanno appunto valutato il

ruolo della targeted therapy con gli anticorpi monoclonali bevacizumab e cetuximab in un

(2)

setting di pazienti con diagnosi di carcinoma colon-rettale metastatico pretrattati con tutti i farmaci chemioterapici più attivi (fluoropirimidine, oxaliplatino, irinotecano) riportando una PFS mediana rispettivamente di 3.5 mesi e di circa 2 mesi con almeno un episodio di tossicità di grado 3-4 della scala NCI rispettivamente nel 47% e nel 78% dei pazienti (8, 59). I risultati osservati fin qui nel nostro studio risultano quindi particolarmente promettenti in quanto ottenuti in assenza di tossicità.

Un’analisi dei parametri di farmacodinamica è stata eseguita al momento su 11 pazienti.

Sono state confrontate le differenze delle concentrazioni basali del recettore solubile del Vascular Endothelial Growth Factor (sVEGFR-2) e del VEGF tra 6 pazienti con stabilità di malattia (SD) e 5 pazienti in progressione di malattia (PD). I risultati estremamente preliminari del nostro studio evidenziano al momento una differenza statisticamente significativa nelle concentrazioni basali del sVEGFR-2 con una ridotta concentrazione nel gruppo dei pazienti con SD rispetto al gruppo dei pazienti in PD (rispettivamente 1671 pg/ml ±110 vs 2058 pg/ml ±113, p=0.038), mentre la differenza tra i livelli di concentrazione basale del VEGF è risultata essere non statisticamente significativa tra i due gruppi (rispettivamente 82 pg/ml ±17 vs 75 pg/ml ±5, p>0.05). Al momento sono in corso le determinazioni dei valori plasmatici del sVEGFR-2 e del VEGF dei pazienti in studio al 28°

e al 56° giorno per valutare come le concentrazioni di questi mediatori dell’ angiogenesi si

modifichino in corso di trattamento. Il VEGF è una potente proteina pro-angiogenetica in

grado di attivare il recettore ad attività tirosino-chinasica (VEGFR) espresso sulla superficie

delle cellule dell’endotelio vascolare. Il sVEGFR-2 è una forma solubile troncata di questo

recettore che può essere dosata nel plasma e che ha un ruolo importante nel processo di

angiogenesi tumorale (60). Studi sperimentali hanno dimostrato come l’ attività

antitumorale di alcuni dei farmaci ad attività antiangiogenetica oggi disponibili come gli

anticorpi monoclonali diretti contro il VEGFR si associ ad un decremento dei valori del

sVEGFR-2 (61). Studi clinici sembrano confermare come anche farmaci a bersaglio

molecolare come il sunitinib e il sorafenib determinino una diminuzione dei livelli

plasmatici del sVEGFR-2 nei pazienti in trattamento, suggerendo un possibile ruolo futuro

di marker surrogato di risposta al trattamento antiangiogenetico del sVEGFR-2 mentre al

momento non sono noti studi che abbiano valutato se la concentrazione basale di sVEGFR-

2 possa in qualche modo predire la risposta al trattamento (4, 62). Benché interessanti, le

differenze osservate tra le concentrazioni plasmatiche basali del sVEGFR-2 tra i pazienti

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con SD rispetto ai pazienti con PD sono quindi al momento estremamente preliminari e non supportate da risultati di altri studi. Le analisi sono in corso e possibili ipotesi per queste differenze saranno eventualmente da valutare se i risultati finali confermeranno questi dati.

Per quanto riguarda i dati di farmacocinetica, un’analisi preliminare eseguita su 11 pazienti, 6 pazienti con SD e 5 pazienti con PD, ha evidenziato una differenza statisticamente significativa nei valori dell’AUC, della C

max

e del T

max

del FT al giorno 1 che risultano essere maggiori nei pazienti con SD vs i pazienti con PD (rispettivamente 8.970 h

.µg/ml ±

1.188, 3.080 µg/ml ± 0.436, 0.857 h ± 0.143 vs 4.622 h

.µg/ml ± 1.174, 1.433 µg/ml

± 0.361, 3.100 h ± 0.872) e del T

1/2

al giorno 28 che risulta essere maggiore nei pazienti con SD vs i pazienti con PD (rispettivamente 3.998 h ± 0.823 vs 1.937 h ± 0.549). Anche la differenza dell’AUC del 5-FU tra gruppo di pazienti con SD e gruppo di pazienti con PD è risultata essere statisticamente significativa (rispettivamente 3.448 h

.µg/ml ± 0.465 vs 1.747

h

.µg/ml ± 0.603). Sono state inoltre osservate delle differenze statisticamente significative

nei valori della AUC del FT nei pazienti con SD al giorno 28 vs il giorno 1 (rispettivamente 12.85 h

.µg/ml ± 1.084 vs 8.970 h.µg/ml ± 1.188) e nei valori della Cmax

del FT nei pazienti con PD al giorno 28 vs il giorno 1 (rispettivamente 2.808 µg/ml ± 0.575 vs 1.433 µg/ml ± 0.361). Questi dati sollevano alcune considerazioni riguardo a possibili meccanismi d’

azione dell’ UFT diversi da quello della citotossicità che giustifichino queste differenze farmacocinetiche tra i due gruppi di pazienti con SD e con PD. In particolare i pazienti con diagnosi di carcinoma colon-rettale e i due pazienti con carcinoma del pancreas erano già stati tutti pretrattati con fluoropirimidine e presentavano al momento dell’ inserimento in studio una malattia clinicamente resistente alle fluoropirimidine stesse. Improbabile quindi che fosse ancora presente una certa chemiosensibilità dei pazienti a questa classe di farmaci.

Altri aspetti infine supportano l’ esistenza di meccanismi diversi da quello citotossico.

Come già descritto, studi sperimentali hanno confermato come il trattamento

chemioterapico metronomico con UFT + CTX produca un’ attività antineoplastica di tipo

sinergico rispetto ai singoli farmaci, che questa attività è sostenuta da una azione di tipo

inibitoria sulla neoangiogenesi tumorale e che uno dei metaboliti dell’ UFT, l’ acido gamma

idrossibutirrico (GHB), ha una azione specifica di tipo antiangiogenetica (56). In particolare

studi condotti in vitro hanno dimostrato come la 50% inibitory concentration (IC50) del

GHB su cellule endoteliali sia di 0.0258 µg/ml. Emi e coll. hanno osservato quindi come la

somministrazione di UFT alla dose di 200 mg x 2/die produca una C

max

del FT di 14.7

(4)

µg/ml ± 5.2 a cui corrisponde una concentrazione di GHB di 0.147 µg/ml ± 0.0573, concentrazioni quindi superiori di circa 6 volte rispetto a quelle osservate in vitro per ottenere l’ effetto antiangiogenetico confermando come il GHB possa contribuire all’effetto antitumorale del trattamento con UFT anche quando l’ UFT è somministrato a dosi più basse (63). Le analisi di farmacocinetica che sono in corso andranno quindi a valutare se anche nel nostro studio sono state raggiunte delle concentrazioni plasmatiche attive del GHB. In caso affermativo questo potrebbe rafforzare maggiormente l’ ipotesi di un meccanismo d’ azione diverso da quello citotossico della combinazione in studio.

In conclusione, i risultati preliminari dello studio sembrano supportare l’ ipotesi che il trattamento chemioterapico metronomico in studio possa determinare un certo beneficio clinico in una popolazione di pazienti con diagnosi di carcinoma del tratto gastroenterico già pesantemente pretrattata.

Se questi risultati verranno quindi confermati, un ulteriore studio potrebbe essere quello di

andare a valutare nella stessa popolazione di pazienti l’ associazione UFT + CTX

metronomica con il bevacizumab, anticorpo monoclonale diretto contro il VEGF e registrato

per l’ utilizzo in vari tumori solidi tra cui il carcinoma colon-rettale. Diversi studi

sperimentali dimostrano infatti come la migliore attività antitumorale si osservi quando la

chemioterapia metronomica è associata a degli antiangiogenetici specifici (32).

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