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L’interpretazione e l’analisi dei cambiamenti dell’impresa costituiscono un obiettivo primario nell’universo conoscitivo esplorato dagli studi d’impresa

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Academic year: 2021

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I Introduzione

Le imprese si trovano ad operare in un contesto caratterizzato da cambiamenti intensi e discontinui; simili mutamenti, direttamente o indirettamente, sono tali da influenzare in modo deciso il loro destino.

Pertanto, la loro vita si svolge con un’alternanza di periodi di successi e di insuccessi, o se vogliamo di fasi positive e negative .

Tutto ciò è determinato da diversi fattori, fra cui: il cambiamento dei prezzi, la disponibilità dei fattori produttivi, il cambiamento degli atteggiamenti dei consumatori, l’andamento della domanda, il cambiamento dell’ambiente politico, sociale e tecnologico.

L’interpretazione e l’analisi dei cambiamenti dell’impresa costituiscono un obiettivo primario nell’universo conoscitivo esplorato dagli studi d’impresa;

in questo ambito, tuttavia, l’attenzione è focalizzata sui processi evolutivi in cui il cambiamento assume connotati innovativi e positivi che portano le imprese a conseguire posizioni di successo e di leadership.

Con questo lavoro vogliamo analizzare l’altro cambiamento, quello nel quale il circolo virtuoso dei processi di sviluppo e consolidamento si interrompe per il progressivo prevalere di condizioni di anomalia che conducono l’impresa verso il dissesto, fornendo un quadro completo della crisi d’impresa, nonché un impianto metodologico per il processo di diagnosi della stessa ed infine un’analisi del percorso di ristrutturazione e risanamento dell’impresa, con riferimento alle possibilità offerte dalle novità introdotte dal legislatore, con il c.d. “Decreto Competitività”, nelle disposizioni che disciplinano la crisi all’interno della legge fallimentare.

Il fenomeno delle crisi aziendali ha subito, nel corso degli ultimi anni, in tutte le economie avanzate una rilevante accentuazione. Il carattere distintivo delle crisi aziendali dei nostri tempi non è costituito solo dalla loro diffusione, ma esse si rivelano anche più complesse nei tempi, nei modi di manifestazione e nelle soluzioni adottate per il loro fronteggiamento.

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II Data la loro diffusione, certamente, si può sostenere che l’indagine sui fenomeni di crisi è di particolare attualità; tuttavia il primo problema incontrato nella stesura di questa opera è stato capire che cosa fosse la crisi d’impresa.

Trovare una risposta è stato più tortuoso di quanto si potesse prevedere all’inizio di questo lavoro. Si potrebbe pensare alla crisi d’impresa come ad uno stato dalla definizione ben circoscritta, dal contenuto certo, ma si cadrebbe in errore.

Durante le letture dei testi necessari, effettuate per tale lavoro, le conoscenze aumentavano, le certezze si attenuavano e definire il concetto di crisi di un’impresa diveniva sempre più arduo, in quanto, nonostante l’argomento sia stato oggetto di numerosi studi, ogni crisi presenta elementi che la differenzi ano da quelle precedenti e la distingueranno da quelle future; si è ritenuto pertanto opportuno, nella parte iniziale del primo capitolo, analizzare i quattro stadi che normalmente compongono il percorso della crisi dal sorgere di squilibri ed inefficienze, al successivo riscontro di perdite economiche, all’insolvenza fino al dissesto dell’attività produttiva, mettendo in evidenza le possibilità di recupero dell’equilibrio economico che caratterizza ogni fase.

Nel prosieguo del capitolo, una volta presa coscienza che la crisi non è semplicemente un fenomeno patologico dell’impresa che ne caratterizza la fase terminale, quando sulle manifeste situazioni di disfunzione (disgregazione del sistema, insolvenza) non si è più in grado di intervenire, ma che questa è un concetto più ampio che non esamina solo le sue manifestazioni evidenti, ma anche le sue origini fino a concepire la crisi come fenomeno fisiologico che si sviluppa su più stadi , che trae la sua origine da fenomeni interni ed esterni all’impresa ed è, quindi , un problema o un opportunità quotidiana delle imprese, si è proceduto alla distinzione tra cause generatrici di squilibri ed inefficienze esterne (legate a fatti esterni più o meno controllabili) ed interne (legate ad errori di natura strategica ed organizzativa effettuati sia nella fase istituzionale che in quella dinamica), e tra cause soggettive (attribuibili alla responsabilità del management, per scelte di loro competenza rivelatesi sbagliate, ovvero per trascuratezza, per incompetenza a ricoprire determinati ruoli, o ancora per cattivo

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III uso delle risorse a disposizione) ed oggettive (prendendo in considerazione le disfunzioni che si verificano sia all’interno che all’esterno dell’azienda con la consapevolezza che non sempre dipende solo dagli uomini d’impresa l’insuccesso dell’attività, anche se bisogna tenere sempre in considerazione la capacità di fronteggiare i cambiamenti da parte di chi tiene le redini dell’impresa).

In seguito si è dedicata l’ultima parte del capitolo all’analisi di alcuni tra i principali fattori di crisi:

• errori durante la fase istituzionale;

• inefficienza (produttiva, commerciale, amministrativa, organizzativa, attività finanziaria);

• sovracapacità/rigidità;

• decadimento dei prodotti;

• carenza di programmazione/innovazione;

• squilibrio patrimoniale/finanziario.

Nel secondo capitolo, il lavoro viene proseguito compiendo un’analisi sulle metodologie di previsione e diagnosi dello stato di crisi.

In particolare, la trattazione di questo capitolo inizia facendo notare l’importanza per le imprese d’imparare a convivere con il rischio di crisi. Visto che nell’economia dei nostri tempi, caratterizzata da cambiamenti intensi e discontinui, in cui la diffusione della crisi in realtà apparentemente sane si manifesta sempre con maggior frequenza, l’impresa è costretta, se vuole prosperare, a fronteggiare il declino sin dagli stadi iniziali della sua vita.

Tuttavia, pur essendo vero che la crisi è una realtà sempre più ricorrente, essa è caratterizzata da fenomeni in buona parte prevedi bili che se tempestivamente affrontati non recano danni difficilmente riparabili.

Da ciò discende che l’individuazione della condizione di crisi rappresenta un aspetto cruciale della vita aziendale, infatti, da essa dipende la tempestività e l’efficacia de gli interventi di risanamento.

Purtroppo l’individuazione diretta delle cause generatrici di squilibri e inefficienze è poco agevole in quanto durante le fasi centrali e finali la crisi ha

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IV manifestazioni evidenti, mentre durante le fasi iniziali, quando no n si può ancora parlare compiutamente di crisi, le manifestazioni sono appena accennate e di difficile interpretazione.

Per riuscire a palesare la crisi anche nelle fasi iniziali, la dottrina e la pratica hanno sviluppato un approccio indiretto di tipo sintomatologico che ricorre, appunto, a determinati sintomi, rappresentati da dati, informazioni, notizie, risultati ed indici rappresentativi di particolari andamenti ambientali ed aziendali che, usati singolarmente o congiuntamente, permettono di conoscere per riflesso i fenomeni da cui derivano.

Com’è comprensibile, nelle attività in cui bisogna prendere decisioni ha carattere fondamentale la raccolta, l’elaborazione e l’interpretazione delle informazioni, quindi il secondo capitolo prosegue individuando le fonti da cui attingere le informazioni che, in seguito, saranno elaborate attraverso i modelli di previsione e daranno così la possibilità di conoscere le condizioni della realtà investigata tramite un’interpretazione puntuale e sistematica dei risultati ottenuti.

Successivamente, si è provveduto ad effettuare una classificazione dei modelli, che la dottrina e la pratica operativa hanno sviluppato nel corso degli anni; essi possono essere anzitutto distinti in teorici ed empirici e quest’ultimi ancora, in base al grado di complessità che li contraddistingue partendo dai più semplici per arrivare ai più complessi; infatti, le analisi sommarie sono molto semplici e non richiedono competenze tecniche specifiche, l’analisi di bilancio invece richiede un’adeguata conoscenza delle tecniche ragionieristiche, l’analisi discriminante necessita oltre alle conoscenze ragionieristiche anche di competenze di tipo statistico ed infine i modelli innovativi richiedono conoscenze tecniche ancora più variegate e complesse.

Questa parte ha uno scopo prettamente preparatorio all’oggetto centrale del capitolo in quanto vuole essere una panoramica dei vari modelli di previsione che verranno analizzati nella parte finale che è il cuore del capitolo; in particolar modo verranno trattati separatamente:

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• i modelli tradizionali semplici (basati sull’individuazione ed interpretazione di una serie di segnali intuitivi e non sempre quantificabili e qualificabili);

• i modelli tradizionali complessi (analisi per indici e flussi e misura del valore economico);

• i modelli evoluti (analisi univariata e analisi multivariata);

• i modelli innovativi (questi si basano alternativamente sulla tecnica:

delle componenti principali; delle analisi non parametriche; delle reti neurali; degli algoritmi genetici e degli insiemi sfocati).

Il terzo e il quarto capitolo sono dedicati ai nuovi istituti delineati dalla Legge Fallimentare, quali strumenti legislativi per la gestione delle crisi aziendali.

Nel precedente contesto normativo , vista la vocazione prettamente sanzionatoria e le finalità liquidatorie delle procedure concorsuali, gli uomini d’impresa per salvaguardare il valore dell’azienda preferivano ricorrere, quando i creditori dimostravano fiducia nelle possibilità dell’impresa, alla composizione stragiudiziale della crisi.

Tale procedura altro non è che un complesso negoziato tra l’impresa in crisi ed i suoi creditori, finalizzato all’abbattimento delle posizioni debitorie, e s’inquadra in una generale tendenza del sistema capitalistico alla privatizzazione dell’istituto del fallimento.

Questo fenomeno ha trovato la sua ratio nel fatto che la legge fallimentare prevede va, a protezione del credito, procedure concorsuali fondate su un modello d’impresa remoto dalla realtà attuale.

Infatti, il disegno complessivo perseguito dal legislatore del ‘42 si fondava sul principio ispiratore della tutela dei creditori attraverso la liquidazione del patrimonio dell’imprenditore e la distribuzione del ricavato. Tale modalità satisfattiva era stata ritenuta la più idonea a soddisfare l’interesse sociale, in quanto avrebbe dovuto consentire di liberare le risorse finanziarie aggregate nell’azienda inefficiente rimettendole in circolazione affinché potessero affluire

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VI verso impieghi più efficienti e produttivi, a vantaggio del sistema economico nel suo complesso e, quindi, dell’intera collettività.

I termini di questa valutazione si sono rivelati, ad oggi, largamente inesatti, perché non coerenti con la struttura economica e finanziaria dell’impresa attuale.

Il legislatore del ‘42 si è basato, infatti, su un modello d’impresa in cui il presumibile valore di realizzo tende a coincidere con l’esposizione debitoria, in quanto solo in una siffatta situazione è legittimo pensare che attraverso la liquidazione del patrimonio si possa giungere ad una soddisfacente copertura del passivo.

Nell’impresa attuale, invece, il capitale di credito è preminente rispetto capitale di rischio e, conseguentemente, in caso di fallimento il costo dell’attività d’impresa ricade prevalentemente sul capitale di credito.

La composizione del patrimonio destinato all’esercizio dell’impresa è, infatti, notevolmente mutata nel tempo.

I beni materiali rivestono ormai una funzione sempre meno rilevante, mentre peso crescente assumono i beni immateriali ed inoltre il progresso tecnologico ha fatto assumere un’importanza sempre maggiore all’organizzazione del complesso produttivo ed alle capacità tecniche acquisite.

Deve , poi, sottolinearsi che l’imprenditore sempre più spesso ha soltanto la disponibilità, e non la proprietà, degli strumenti della produzione. Spesso, inoltre, i fattori di produzione impiegati nell’impresa non sono disgregabili in quanto conservano il loro valore finché utilizzati in una specifica attività produttiva, ma non sono suscettibili di essere rimossi e spostati ad attività diversa.

È evidente, allora, che le usuali liquidazioni nell’ambito della procedura fallimentare difficilmente possono riuscire nell’intento di salvaguardare i valori dell’impresa, in particolare quello dei beni immateriali, in quanto, nell’attuale modello d’impresa la tutela più efficace degli interessi coinvolti nella crisi risulta realizzata proprio dalla riorganizzazione dell’azienda stessa, allorché siano ancora ipotizzabili possibilità di recupero di redditività, oppure, quando questa

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VII possibilità più non sussiste, da una liquidazione avviata nel perdurare dell’attività economica.

Tuttavia sino all’entrata in vigore del c.d. Decreto Competitività questa tipologia di risoluzione della crisi, perseguibile esclusivamente tramite gli accordi stragiudiziali, presentava la caratteristica di costituire un espedeiente molto rischioso sia per il debitore, il quale poteva trovarsi esposto al rischio, nell’ipotesi di successiva dichiarazione d’insolvenza, di una contestazione per bancarotta preferenziale, sia per i creditori, che potevano essere evocati in giudizio con azioni revocatorie esperite dalla curatela fallimentare oppure, nell’ipotesi di apporto di c.d. nuova finanza, poteva essere contestata la concessione abusiva di credito; la composizione stragiudiziale ha, infatti, il limite di non consentire alcuna protezione ai soggetti aderenti all’accordo né dalle pretese dei soggetti terzi né dalle eventuali responsabilità in cui gli amministratori incorrono, a causa dei comportamenti posti in essere in esecuzione dell’accordo, nel caso di successivo fallimento.

L’impianto della Legge Fallimentare, rimasto sostanzialmente invariato per circa sessant’anni, è stato sottoposto a modifica solo nel dicembre del 2005, una vera e propria rivoluzione copernicana, nata dall’esigenza di adeguare la normativa ai bisogni e alle necessità dell’economia contemporanea permettendo finalmente anche nel nostro Paese all’imprenditore in crisi e ai suoi creditori di poter determinare privatamente le regole che disciplineranno la composizione dei loro interessi all’interno delle procedure concorsuali, a tal fine il legislatore ha modificato la normativa che regolamenta il Concordato Preventivo , ha inserito tra le procedure di regolazione concorsuale della crisi gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti ed ha previsto la possibilità per l’imprenditore di far predisporre un piano attestato di risanamento (in base all’art. 67. terzo comma, lett. d), legge fallimentare) al fine di esentare dall’eventuale revocatoria fallimentare gli atti, i pagamenti e le garanzie poste in essere in esecuzione del piano.

Tale ammodernamento della legge fallimentare si è reso necessario dall’esigenza di restituire appeal alla composizione giudiziaria della crisi, tuttavia

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VIII occorre rilevare che al momento i nuovi istituti non hanno riscosso il successo che meritano soprattutto a causa dell’incertezza interpretativa che hanno ingenerato le norme così come codificate; ciò è dovuto al fatto che, non sono stati seguiti dal legislatore i principi fondamentali di qualsiasi riforma, vale a dire non solo il profondo rinnovamento, ma anche l’omogeneità e la completezza dei contenuti da un lato e la sistematicità delle norme dall’altro, il che ha creato una disciplina profondamente disomogenea e disarticolata, qual è quella oramai ampiamente criticata dalla dottrina.

Per questi motivi, ai fini del presente lavoro, è parso opportuno focalizzare i nostri sforzi sull’analisi delle nuove procedure certi delle possibilità di sviluppo di tali metodologie che danno finalmente la possibilità di affrontare la crisi d’impresa con l’obbiettivo di conservare le componenti positive dell’azienda (beni, know how, livelli occupazionali, ecc), gestendo la crisi non in termini meramente liquidatori e sanzionatori, ma prevalentemente recuperatori e che, per raggiungere lo scopo, non subordinano l’accesso alla procedura alla manifestazione dell’insolvenza ma anticipano la possibilità di accesso già in presenza dello stato di crisi.

Il terzo capitolo, nella parte iniziale, introduce le circostanze che portano dalla crisi alle procedure concorsuali, per poi analizzare il nuovo Concordato Preventivo sin dai requisiti per l’ammissione alla procedura, in tale contesto si è provveduto ad analizzare le caratteristiche soggettive dell’imprenditore (commerciale non piccolo) e la concezione del requisito oggettivo dello stato crisi (chiarito nella sua portata solamente in seguito all’intervento del c.d Decreto Mille Proroghe).

Nella seconda parte del terzo capitolo si è entrati nel merito del piano previsto dall’art. 160 chiarendo i limiti e definendo le opportunità di utilizzo del nuovo strumento di ristrutturazione dei debiti finalizzato al conseguimento della soddisfazione dei creditori. Si è proseguita l’opera trattando e commentando compiutamente la documentazione da allegare al ricorso ai sensi dell’art. 161 l.fall., soffermandosi in particolar modo sulla relazione del professionista prevista dal 3° comma di detto articolo, infine, sono stati analizzati i limiti e le

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IX possibilità di modificare la proposta in senso peggiorativo in seguito all’ammissione alla procedura.

Nella parte centrale del terzo capitolo si prosegue l’iter logico, che porta il concordato all’omologazione da parte del Tribunale analizzando la fase prettamente giudiziale della procedura delineata dalle norme che regolano il Concordato Preventivo ; inizialmente si è provveduto a delineare il ruolo del Tribunale in sede di ammissione alla procedura e le possibilità di questo, in seguito alla riforma, di intervenire in caso di rigetto del ricorso presentato dal debitore, in seguito si sono analizzati gli effetti dall’ammissione alla procedura, per proseguire il lavoro occupandosi del procedimento di approvazione del Concordato, prestando particolare attenzione alla disciplina delle maggioranze previste per l’approvazione da parte dei creditori e delle modalità di espressione del voto.

Si è provveduto, inoltre, a commentare i poteri del Tribunale in fase di omologazione, sia in presenza di uguale trattamento dei creditori che di previsione di differenti classi di creditori; in quest’ultimo caso si è distinta l’ipotesi di voto dissenziente di una o più classi da quella di unanimità dell’espressione di volontà delle classi. In seguito si è delineato il sistema e le modalità previste dal legislatore per consentire agli interessati di opporsi all’omologa, quando non ritengano sufficientemente tutelati i propri interessi.

L’opera prosegue trattando l’esecuzione, la risoluzione e l’annullamento del concordato. Infine il capitolo si conclude commentando alcuni aspetti che sono parsi di particolare interesse, quale il fallimento consecutivo nella nuova procedura, i compiti del Commissario Giudiziale, gli obblighi civilistici degli organi della procedura, le disposizioni in materia fiscale e tributaria. e la possibilità di derogare al principio dell’integrale pagamento dei crediti muniti di privilegio attraverso l’istituto della transazione fiscale.

Il quarto capitolo è dedicato agli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti e al Piano Attestato di Risanamento.

Nella prima parte del capitolo vengono trattati gli Accordi di Ristrutturazione dei Debiti, inizialmente si provvede a delineare i tratti

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X caratterizzanti del nuovo istituto, per poi soffermarsi sulla dichiarazione e la documentazione da allegare all’accordo al momento della presentazione del ricorso, e sul contenuto dell’accordo medesimo. In un secondo momento, viene trattata la fase giudiziale della procedura analizzando e commentando la procedura di de posito dell’accordo e la fase finale dell’omologazione.

La seconda parte del capitolo è dedicata al Piano Attestato di Risanamento, in tal contesto vengono delineati i caratteri distintivi di questa non procedura che una volta attuata a come unica finalità il risanamento dell’impresa e, al fine di raggiungere questo scopo, prevede semplicemente l’esenzione dalla eventuale revocatoria fallimentare degli atti, dei pagamenti e delle garanzie poste in essere in esecuzione del piano di risanamento.

Si può concludere affermando che il debitore ha oggi un ampia gamma di strumenti, al confine tra la regolazione stragiudiziale e giudiziale, finalizzati alla regolamentazione della crisi d’impresa e può, quindi, scegliere la procedura più adatta in base alle proprie esigenze e a quelle dei propri creditori; infatti, potrà usare alternativamente o congiuntamente i piani/accordo di ristrutturazione previsti dagli art. 160 e 182 bis. o il piano di risanamento previsto dal terzo comma, lett. d), dell’art. 67 l.fall., asseconda della composizione del ceto creditorio e degli obiettivi che si vogliono raggiungere, in quanto, bisognerà tenere sempre presente che il piano/accordo di ristrutturazione prevede come finalità minima la riprogrammazione dei debiti, quanto alla loro entità e alla loro scadenza, che si rende necessaria a causa del deteriorarsi delle condizioni economico – finanziarie del soggetto debitore, tant’è che il piano/accordo in esame può assumere i connotati di una ristrutturazione sia di natura remissoria che di natura dilatoria, fino ad arrivare anche alla cessione o alla liquidazione dell’attività in favore di terzi o degli stessi creditori al fine di soddisfare le pretese dei creditori concorsuali nel concordato e dei non aderenti nell’accordo, mentre il risanamento dei debiti consiste nel ritorno, attraverso una riduzione dell’esposizione debitoria, ovvero una rinegoziazione delle relative scadenze, a quell’equilibrio finanziario a breve e a medio/lungo termine, caratterizzato da una pressoché perfetta contrapposizione tra i flussi finanziari dove, in un

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XI determinato arco temporale, le entrate monetarie sono in grado di fronteggiare le corrispondenti uscite, con la conseguenza che il più delle volte l’attività di ristrutturazione dei debiti dovrà essere propedeutica al risanamento dell’equilibrio economico e finanziario.

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