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315 Conclusioni

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Academic year: 2021

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315 Conclusioni

Dopo poi che continuando con tanta ostinazione nel greco, mi son visto, o creduto vedere, in un certo modo padrone di interpretare da per tutto a prima rivista, sì Pindaro, che i tragici, e più di tutti il divino Omero, sì in traduzione letterale latina, che in traduzione sensata italiana, son entrato in un certo orgoglio di me di una sì fatta vittoria riportata dai quarantasette ai cinquantaquattro anni. Onde mi venne in capo, che ogni fatica meritando premio, io me la dovea dare da me, e questo dovea essere decoro, ed onore, non lucro. Inventai dunque una collana, col nome incisovi di ventitré poeti sì antichi che moderni, pendente da essa un cammeo rappresentante Omero, e dietrovi inciso (ridi o lettore) un mio distico greco; […]. Quanto poi alla collana effettiva, l’eseguirò quanto prima, e la farò il più ricca che potrò, sì in gioielli, che in oro, e in pietre dure. E così affibbiatomi questo nuovo ordine, che meritatolmi o no, sarà a ogni modo l’invenzione ben mia, s’egli non ispetterà a me, l’imparziale posterità lo assegnerà poi ad altri che più di me se lo sia meritato. A rivederci, o lettore, se pur ci rivedremo, quando io barbogio, sragionerò anche meglio, che fatto non ho in questo capitolo ultimo della mia agonizzante virilità.

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Scopo di questo lavoro era tentare di dimostrare l’importanza di un’educazione al progetto di sé che, sebbene inserito tradizionalmente nell’ambito della formazione degli adulti, sia da incentivare sin dai primi anni di vita, da quando cioè un individuo, iniziando a differenziarsi, rielabora le proprie esperienze per orientarsi nel mondo circostante e per definirsi.

Ci siamo soffermati in apertura sui diversi fattori sociali e culturali che in qualche modo hanno favorito lo sviluppo e la diffusione delle pratiche autobiografiche come dispositivi di cura del sé nella società attuale: la perdita di riferimenti valoriali stabili per l’identificazione (nazionalità, etnia, religione, sesso) in un mondo iperconnesso ridotto a paese, seppur con numerose e vistose contraddizioni e conflittualità, dove le persone spesso sono costrette a lasciare la propria terra d’origine in cerca di fortuna;

motivo per cui alcuni teorici postmoderni rivendicano la necessità di cavalcare e non farsi travolgere da tale onda, ravvisando in essa l’opportunità di abbandonare schemi rigidi di appartenenza per riconoscere nella fluidità esistenziale l’unico modello

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V. ALFIERI, Vita, Arnoldo Mondadori S.p.A, Milano, 1987, pp.349-350

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316 adeguato per riuscire ad affrontare le continue sfide e per porsi in relazioni costruttive con gli altri.

Il soggetto nomade di Braidotti è l’antitesi del soggetto monolitico; per Lacan il termine dislocazione è in grado sia di descrivere la drammatica realtà in cui si trova il soggetto che l’opportunità di avere molti luoghi di posizionamento; lo stesso vale per l’utilizzo teorico del concetto di diaspora da parte di Gilroy.

Hostert prende a prestito il termine passing dal romanzo omonimo della scrittrice afroamericana Larsen per affermare che il rifiuto di schemi rigidi deve implicare anche la dimensione del gioco, della beffa e dell’ironia per abbracciare definitivamente la condizione di irriducibilità esistenziale.

La decostruzione del soggetto deve essere accompagnata però, come sostiene Galanti, da un’educazione all’accettazione della propria fragilità e delle proprie ansie, che non può essere separata dalla garanzia da parte degli adulti educatori della sicurezza affettiva.

La deflagrazione del soggetto moderno e post-moderno è da attribuire anche all’emersione dell’Altro: Altro sessuale e Altro etnico, principalmente, che insieme alla complessa e vasta produzione femminista hanno contribuito a smantellare il modello identitario fondato sull’uomo bianco occidentale.

Ma anche la scoperta dell’inconscio e della corrispondente zona opaca della psiche, con il suo carico di pulsioni, emozioni e tensioni ha fatto da contraltare al tentativo della concomitante emergente nuova disciplina della sessuologia di ridurre nuovamente gli individui ad una sessualità fondata sulla biologia.

Le politiche di cura del corpo, che includono anche quelle chirurgiche per modificare il proprio aspetto, impediscono in definitiva di trovare in esso un appiglio oggettivo e fermo alla definizione del sé.

Contemporaneamente alla perdita di riferimenti stabili in cui rispecchiarsi si è

assistito negli ultimi anni alla crescita di una nuova fascia sociale a rischio di

emarginazione ed alienazione: la schiera degli anziani, la cui vita media è

notevolmente aumentata, necessita di attenzioni formative specifiche; in questa

prospettiva la teoria evolutiva del life-span (arco di vita) che fa riferimento

principalmente ad Erikson, a partire dagli anni Settanta ha ipotizzato nell’età senile

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317 un vero e proprio stadio evolutivo, con i suoi specifici compiti, rinnegando la visione precedente che vedeva nell’età adulta la conclusione dello sviluppo.

In una società precaria e che non offre più modelli statici di definizione, in cui gli individui sono destinati a vivere molto più a lungo, diviene quindi necessario che l’apprendimento passi dal vissuto dell’individuo incarnato, poiché è solo attraverso la propria memoria che può provvisoriamente definirsi e orientarsi nel presente per progettare il futuro.

I ricordi personali, che sono quelli che possono essere richiamati e contestualizzati volontariamente, sono quelli che principalmente vengono utilizzati nel processo di narrazione di sé.

Grazie all’approccio ecologico in ambito psicologico si è quindi passati da uno studio sperimentale concentrato sui processi della memoria ad uno più connesso alla quotidianità in cui i ricordi emergono spontaneamente; dunque maggiormente sugli effetti.

È stato possibile affermare che la memoria è sempre un processo attivo, in cui agiscono degli schemi formatisi dalle esperienze precedenti che incidono sia in fase di codifica che in fase di richiamo.

I ricordi sarebbero quindi già delle narrazioni che risponderebbero a diversi criteri, quali le aspettative e la necessità di coerenza, che possono incidere sull’integrità dei ricordi stessi.

Ma pare che sia più importante la plausibilità per il soggetto impegnato a ricordare, piuttosto che la verificabilità.

Inoltre nel corso del tempo i ricordi continuerebbero a subire modificazioni, in base alle istanze attuali per cui i ricordi vengono richiamati.

Oltre all’impossibilità dunque di accedere ad un materiale integro (sensazione che talvolta può sopraggiungere in caso di ricordi involontari o nel caso dei Flashbulb memories) anche il necessario oblio contribuisce, per sottrazione, a tessere la tela di ricordi significativi per un soggetto.

L’amnesia infantile può essere spiegata con la scarsa consapevolezza di sé e la non

padronanza della lingua, per cui la memoria dei primi anni sarebbe più orientata sul

fare, una memoria procedurale piuttosto che episodica.

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318 Ricordi troppo dolorosi possono essere provvisoriamente rimossi per garantire la salvezza psichica laddove non sia possibile una rielaborazione costruttiva del dolore.

Inoltre la valenza emotiva al momento della codifica o a quella del richiamo possono incidere sull’esito mnestico.

La memoria appare come un fatto molto complesso, sempre in evoluzione e confermerebbe la natura narrativa della mente; dai ricordi personali i soggetti traggono gli strumenti principali per definirsi rispetto a sé e agli altri, ma anche per condividere storie comuni attraverso cui sentirsi parte di una comunità.

Ed è così importante che sin dai primi anni di vita il bambino viene coinvolto in conversazioni famigliari che riguardano i fatti vissuti durante la giornata: già da questa prima attività di ricordo condiviso un soggetto inizia ad acquisire i canovacci narrativi della propria cultura attraverso cui poi sempre più in modo autonomo riferire le proprie esperienze.

La memoria consente di poter abbracciare tutto l’arco temporale: il passato che non è più, ma che fu, sottoforma di ricordo; il presente, punto di osservazione da cui si snoda l’attività di significazione del ricordare; ed il futuro che ancora non c’è, immaginabile solo a partire dalla certezza che diventerà presente per poi passare, e grazie anche alle esperienze passate che permettono di fare ipotesi ragionevoli.

Da questi assunti si può comprendere l’importanza di educare i soggetti alla narrazione di sé, ed in particolar modo alla scrittura della propria storia: la necessaria organizzazione discorsiva e ricerca stilistica; lo sdoppiamento narrativo tra soggetto narrante e personaggio narrato; la possibilità di rileggere ciò che sia stato scritto;

tutto ciò rende infatti la scrittura il dispositivo ideale per trasformare il rimuginare interiore in una storia dotata di senso.

La scrittura autobiografica è un dispositivo autoformativo, in quanto il soggetto indaga con impegno sincero il proprio passato per legarlo al presente (per questo motivo si parla di teleologia retrospettiva) e nel farlo è costretto a ritagliarsi del tempo per sé, per voltarsi a guardare indietro (retrospezione) ed ascoltare le voci multiple dell’interiorità (introspezione).

Sforzandosi di ricordare sempre più, anche con l’ausilio di oggetti significativi, e

soprattutto di tessere una storia in cui gli avvenimenti siano tra loro collegati

causalmente, l’individuo si assume la responsabilità della propria esistenza e questo

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319 dà luogo ad una vera e propria tregua con se stessi, con gli altri e con il passato in generale.

L’io tessitore-mediatore (come ha definito Demetrio uno dei multipli io che affollano l’essere umano) delinea un percorso dotato di senso, selezionando, collegando, generalizzando; è un’attività prettamente filosofica che riguarda il perché incarnato dell’essere al mondo.

Spesso al termine della scrittura autobiografica può insorgere l’esigenza di continuare la ricerca di sé, e sempre l’accettazione di sé apre alla dimensione dell’accettazione dell’altro e della sua storia.

L’egotismo solidale, altra definizione di Demetrio, intrinseco alla scrittura autobiografica comprende dunque sia un rinnovato narcisismo positivo che si traduce in amore per la propria vicenda, che nella capacità di accogliere, ascoltare e comprendere l’altro.

Ma è un processo autoformativo anche perché la strada dell’introspezione passa necessariamente dalla solitudine, ricercata e difesa con passione, che permette di sospendere la quotidiana e pressante dimensione sociale, per poi tornarvi più liberi e più consapevoli.

Proprio per la sua capacità di rispondere alle esigenze introspettive e autoformative l’autobiografia ha radici storiche ben consolidate e lontane nel tempo.

Si può affermare che sia Agostino ad aver per primo ed in maniera esemplare connesso lo scrivere di sé alla confessione, il tutto volto ad un nuovo sguardo sulla vita stessa.

Nel corso dei secoli successivi la scrittura autobiografica è stata declinata in modi molto eterogenei, in base al gusto dell’autore e dell’epoca storica di appartenenza:

dalla narrazione lineare della propria maturazione intellettuale (Alfieri, Vico, Croce) alla volontà di rivelare il proprio dissidio interiore (Papini ad esempio), o a quella di dare voce ad un intero mondo ormai andato (Yourcenar); un’opera cruciale che narra anche della memoria e del tempo è la Ricerca proustiana…

Sono numerose le prospettive attraverso cui, nei secoli, i grandi maestri della

narrazione di sé hanno offerto modelli interessanti e coinvolgenti, da cui poter

prendere spunto per iniziare la propria avventura.

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320 L’idea che il benessere psichico passi dal racconto delle proprie esperienze non è prettamente ed esclusivamente pedagogica e letteraria: Hillman attribuisce alla psicoterapia la definizione ‛storie che curano’, poiché sin dai tempi di Freud, nella relazione terapeutica, la base, il punto di partenza, è sempre stato il racconto del paziente/cliente.

Nella visione rogersiana l’idea di verità è completamente soppiantata dalla fede nell’intrinseca tensione di qualunque forma vivente verso la crescita, dunque il benessere: la terapia centrata sul cliente ha come assunto fondamentale che metro e giudice del progresso in atto durante le sedute sia il cliente stesso.

Nei casi in cui non sia necessario il ricorso al terapeuta, ma allo stesso tempo risulti difficile approcciare la pagina bianca, può essere d’aiuto partecipare ai sempre più numerosi gruppi di scrittura assistita, con formatori competenti che abbiano vissuto l’esperienza in prima persona della scrittura autobiografica.

Infatti ormai da numerosi anni l’approccio autobiografico è utilizzato sia in situazioni di disagio (carcere, emarginazione sociale, adolescenza, disabilità) che in dimensioni alla cui base ci sia il semplice desiderio di scoprirsi narrativamente.

Due esempi nazionali storici e pregnanti sono l’Archivio di Pieve di Santo Stefano e la Libera Università dell’Autobiografia, che da anni raccolgono scritti, formano autobiografi in erba, offrono incontri con pensatori importanti, organizzano convegni e manifestazioni aperte al territorio, riuscendo così a spargere il seme dell’importanza dell’autoformazione.

E, in conclusione, se si accetta l’ipotesi affermata lungo tutto questo lavoro, che l’apprendimento debba passare dall’esperienza individuale di un soggetto non più astratto, ma incarnato, in una società complessa e non più in grado di offrire saldi punti di riferimento identitari; se si concorda sull’ipotesi che la narrazione di sé, soprattutto in forma scritta, sia lo strumento autoformativo ideale per tale scopo, allora non si può non introdurre tale approccio nella didattica scolastica, tanto più che da diversi anni i documenti ufficiali inerenti la scuola insistono sulla necessità di valorizzare la persona, con le sue specificità e peculiarità, e di mirare al successo scolastico.

Concludiamo con un brano in grado di sintetizzare egregiamente quanto tentato di

esprimere sin qui:

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321 La narrazione non rappresenta solo un tentativo di dotare di senso la

propria vita, ma serve anche per poterla trasformare attraverso una particolare esperienza di sollecitudine; quella del prendersi cura di sé proprio in virtù della costruzione narrativa, in perenne trasformazione, della propria identità che permette di tradirsi restando paradossalmente fedeli a se stessi.

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M.A. GALANTI, Smarrimenti del Sé – Educazione e perdita tra normalità e patologia, Edizioni

ETS, Pisa, 2012, p.126

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