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Ricordo  di  Aldo  Sardoni

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Academic year: 2022

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Ricordo  di  Aldo  Sardoni    

Ho  incontrato  Aldo,  per  la  prima  volta,  in  un  congresso  di  oncologia.  Dopo  alcune  relazioni  di   dotti  scienziati  che  riferivano  in  tono  monocorde  le  meraviglie  della  medicina  che  trionfa,  fu   data  la  parola  a  un  ingegnere,  presidente  dell’associazione  Bianco  Airone  Pazienti  onlus.  

Esordì  pacatamente:  “Sono  un  paziente  DOC…”.  Poi,  mentre  raccontava,  iniziò  ad  animarsi,  a   muoversi,  il  suo  tono  di  voce  variava,  aumentava,  incalzava.  Le  sue  immagini,  proiettate  sul   grande  schermo,  erano  provocatorie.  

Convincente  l’ingegnere!  Non  si  trattava  di  un  paziente  che  raccontava  la  sua  battaglia,  ma  di   un  malato  che  raccoglieva  le  pene  di  tutti  quelli  come  lui  e  che  chiedeva  (pretendeva)  di  stare   insieme  agli  operatori,  per  lavorare  alla  pari  su  obiettivi  comuni.  

Lo  avvicinai  durante  la  pausa.  “Buongiorno,  ho  apprezzato  la  sua  relazione  e  accolgo  l’invito!”  

Fu  un  amore  a  prima  vista.  Cominciammo  a  scriverci,  lo  invitai  a  Biella  diverse  volte  e  

iniziammo  a  organizzare,  insieme,  CONTACI,  una  sorta  di  forum,  dove  operatori  e  pazienti  si   incontrano  per  riflettere.  La  prima  edizione  fu  nel  2010.  Così  scriveva  Aldo  nella  

presentazione  del  convegno:  “Per  Bianco  Airone  Pazienti  onlus,  associazione  di  promozione   sociale  costituita  da  pazienti  per  pazienti  oncoematologici  ed  oncologici,  questo  evento  ha   significato  il  “debutto”  ufficiale  in  “società”,  quella  dell’oncologia  italiana,  del  Paziente  come   Soggetto,  ovvero  come  Persona  nella  sua  dimensione  olistica  a  360  gradi.  Per  la  prima  volta,   nella  storia  della  convegnistica  oncologica  italiana,  curanti  e  pazienti,  insieme  e  

pariteticamente,  hanno  organizzato  un  evento  così  complesso  ed  ambizioso.”  

 

Il  suo  entusiasmo  e  la  sua  ansia  di  fare  erano  travolgenti  e  contagiose  .  Diceva:  “Ho  una  certa   età,  sono  malato,  ma  ho  troppe  cose  da  fare,  non  posso  perdere  tempo!”.  

 

Quando  veniva  a  Biella,  amava  venire  a  casa  nostra,  nella  “camera  della  nonna”.  Si  è  

autonominato  “prozio”  dei  nostri  figli.  Apprezzava  le  colazioni  e  i  manicaretti  preparati  da   Luisa,  ma  brontolava  per  le  basse  temperature  o  per  la  mancanza  di  scendiletto.  Per  questo   motivo  era  stato  soprannominato  “vecchio  brontolone  insopportabile”,  soprattutto  quando  “si   faceva  le  pere”  (il  suo  modo  di  descrivere  l’autosomministrazione  di  insulina)  a  metà  pranzo,   senza  alzarsi  da  tavola.  Non  rinunciava  a  nulla,  a  tavola,  nonostante  il  diabete.  Da  bravo   ingegnere,  calcolava  quante  unità  d’insulina  iniettarsi,  in  base  alle  libagioni  in  corso.  

 

Sempre  propositivo,  è  entrato  nel  mondo  dell’oncologia  e  del  CIPOMO  (Collegio  Italiano  dei   Primari  Oncologi  Medici  Ospedalieri)  diventando  presto  un  riferimento  per  il  programma  di   accreditamento  all’eccellenza  delle  oncologie  italiane.  La  sua  professione  di  certificatore  della   qualità,  insieme  all’esperienza  di  malattia,  sono  state  importanti  per  condividere  i  criteri   necessari  per  soddisfare  le  buone  pratiche  cliniche.  

Ha  poi  partecipato  direttamente  a  numerose  visite  di  accreditamento,  in  giro  per  l’Italia,   facendosi  conoscere  e  amare  da  tutti.  Ogni  incontro  con  lui  produceva  nuovi  programmi,   incontri,  collaborazioni,  articoli  e  libri.  

 

Il  16  febbraio,  domenica,  all’alba,  scriveva  una  mail  ad  un  oncologo,  chiedendo  la  sua  

collaborazione  per  un  progetto  che  stava  organizzando  insieme  all’associazione  Vivere  Senza   Dolore.  

Quella  stessa  mattina,  in  silenzio,  se  n’è  andato.  

 

Ci  ha  lasciato  il  suo  Testamento  Biologico,  scritto  qualche  anno  prima:  

 

“Per me etico è innanzitutto il rispetto della dignità e della volontà del malato, specie se terminale;

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etico è il non infierire con accanimento terapeutico e continuare a mantenere in non-vita la persona malata che non è più in grado di autogestirsi, a cominciare dall’alimentazione forzata quando questa non sia finalizzata ad una terapia per la guarigione.

Etico è il non consentire ai parenti od assimilabili, che per un senso di pietà e/o di falso amore e/o di egoismo, di decidere per conto della persona malata non sapendo quanta sofferenza, sia fisica che morale, inespressa ed inesprimibile, procurano al malato terminale, quando non c’è più niente da fare.

Etico è evitare inutili sofferenze senza falsi moralismi e/o per un rispetto umano, quando questo incide sulla pelle di chi soffre.

Etico è l’uso di ogni terapia del dolore che operi per la sua sedazione con le cure palliative, indipendentemente che sia un oppiaceo od altra sostanza.

Etico è quel medico che non si pone il problema se la sedazione faccia male alla salute ma solo se sollevi il malato dalla sofferenza.

Etico è spendere i soldi per i miglioramenti delle terapie del dolore piuttosto che non buttarli per l’accanimento terapeutico.

Etico è amare la Persona malata terminale nella sua identità di essere umano!!

Etico è il non lasciare il morituro, come spesso accade ancora in alcuni ospedali, in ambienti a più letti, insieme ad altri nelle sue condizioni facendolo partecipare alle altrui morti come segnale inequivocabile della sua.

Etico è evitare la processione di quelle persone distanti da anni che, per scaricare la loro cattiva coscienza, nel visitare il malato grave, portano con la loro presenza il segnale anticipato di morte.

Etico è porre al centro dell’attenzione, senza se e senza ma, la dignità della persona malata”.  

   

Caro  Aldo,  come  promesso,  continueremo  il  tuo  lavoro.  

 

Mario  Clerico    

 

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