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Inquadramento della mediazione nell’ambito delle Alternative Dispute Resolutions - Judicium

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FRANCESCA SACCARO – RACHELE POLIDORI

Inquadramento della mediazione nell’ambito delle Alternative Dispute Resolutions

SOMMARIO: 1. Premessa. Origine degli strumenti Alternative Dispute Resolutions (“A.D.R.”): prospettive Oltreoceano e sovranazionali europee. – 2. Attuazione delle A.D.R. nell’ordinamento giuridico italiano:

evoluzione giurisprudenziale e legislativa. – 3. “Mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali”. – 4. Aspetti procedurali dello strumento di mediazione finalizzato alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali. – 5. Vantaggi e svantaggi della procedura di risoluzione autonoma delle controversie. – 6. Considerazioni finali.

1. Premessa. Origine degli strumenti Alternative Dispute Resolutions (“A.D.R.”): prospettive Oltreoceano e sovranazionali europee.

La tematica inerente agli strumenti alternativi1 di risoluzione delle controversie civili ha avuto sviluppo in particolar modo dagli Anni ’70 del XX secolo, nell’ambito dell’ordinamento giuridico statunitense, ivi pervenendo infine all’approvazione dell’Alternative Dispute Resolution Act, datato 19982.

Grande attenzione alle procedure definite Alternative Dispute Resolutions (o “A.D.R.”) è stata dedicata anche a livello sovranazionale europeo3: i riferimenti normativi sono rinvenibili all’interno del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (T.F.U.E.) ex artt. 114 e 169, impegnanti l’Unione ad assicurare un livello elevato di protezione ai consumatori, nonché nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ex artt. 7, 8, 38 e 47.

Quanto ai principali provvedimenti legislativi, in siffatto contesto, si ricordano i seguenti:

– Raccomandazione 98/257/CE della Commissione, datata 30 marzo 1998, riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo4;

– Risoluzione “EEJ-Net” del Consiglio, datata 25 maggio 2000, relativa ad una rete comunitaria di organi nazionali per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumi5;

– Libro Verde presentato dalla Commissione delle Comunità Europee, del 19 aprile 2002, sui modi alternativi di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale6;

– Direttiva 2008/52/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio, datata 21 maggio 2008, relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, cui in Italia ha fatto seguito la Legge delega 18 giugno 2009, n. 6978.

Con la introduzione della moneta euro e l’avvento del commercio elettronico, avutosi in conseguenza del progressivo diffondersi dell’ausilio tecnologico, gli scambi tra i Paesi membri sono risultati sempre più frequenti, comportando la trasformazione dei consumatori nazionali in “transfrontalieri”.

Costoro devono quindi poter confidare in un sistema che, nell’ambito di controversie con il prestatore del bene o del servizio richiesto, consenta di ottenere tutela per le proprie ragioni in modo semplice ed efficace.

1 F. P. LUISO, Giustizia alternativa o alternativa alla Giustizia?, su www.judicium.it, ove si afferma: “Gli strumenti contrattuali di risoluzione delle controversie sono di solito definiti come strumenti ‘alternativi’. E ciò fa sorgere spontanee alcune domande: strumenti alternativi rispetto a cosa? e poi: in che senso essi sono alternativi? ed infine: questi strumenti realizzano una giustizia alternativa o sono piuttosto alternativi alla giustizia?”.

2 J. RESNIK, Risoluzione alternativa delle controversie e processo: uno sguardo alla situazione nordamericana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1997, p. 699, fasc. 3.

3 F. P. LUISO, Giustizia alternativa o alternativa alla Giustizia?, cit..

4 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31998H0257&from=IT.

5 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=URISERV:l32043&from=IT.

6 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52002DC0196&from=IT.

7 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=URISERV:l33251&from=IT.

8 F. P. LUISO, La delega in materia di mediazione e conciliazione, in Riv. dir. proc., 2009, p. 1257; R. CAPONI, Delega in materia di conciliazione delle controversie, in Foro italiano, 2009, V, p. 354.

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I metodi di risoluzione alternativa delle controversie sono considerati strumenti atti a rendere concreto l’esercizio del fondamentale diritto alla libera circolazione di beni e servizi all’interno dell’ente Unione Europea.

Pertanto, affrontare il dibattito sulla mediazione presuppone necessariamente la previa considerazione di atti di diritto derivato, quali:

1)la Direttiva 2013/11/UE, del Parlamento Europeo e del Consiglio, datata 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (che modifica il Regolamento (CE) n. 2006/2004 e la Direttiva 2009/22/CE), attuata in Italia con il Decreto legislativo 6 agosto 2015, n. 1309, varata unitamente al

3)Regolamento (UE) n. 524/2013, del Parlamento Europeo e del Consiglio, datato 21 maggio 2013, quanto alla risoluzione delle controversie online dei consumatori10.

2. Attuazione delle A.D.R. nell’ordinamento giuridico italiano: evoluzione giurisprudenziale e legislativa.

Attualmente, in Italia, l’esigenza di deflazione del contenzioso civile tramite il ricorso a mezzi esperibili in via stragiudiziale costituisce un interesse generale dello Stato, finalizzato al perseguimento del “giusto processo”.

“Mezzi stragiudiziali” è espressione generica ed imprecisa che allude alla procedura scelta da due o più soggetti i quali contendano per una lite, intendano prevenirla o abbiano in essere un rapporto contrattuale, oppure ancora intendano costituirlo e formarlo in via progressiva, rivolgendosi ad uno o più terzi per decidere la controversia, dirimerla ovvero completare la fattispecie negoziale.

Tali terzi non sono Giudici togati bensì prestano la propria attività quali semplici privati.

Nel sistema italiano lo step fondamentale su nascita e diffusione dei rimedi A.D.R. è stato conseguito in primo luogo mediante il Libro Verde del 2002, ove la Commissione Europea ha esaminato, per ciascuno Stato membro, le procedure giudiziarie applicabili alle controversie in materia di consumo; ed altresì con la Direttiva 2008/52/CE, che al Libro Verde sopra citato ha fatto seguito, facilitante il ricorso alla mediazione quale metodo di risoluzione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale.

La caratteristica peculiare delle A.D.R., nel nostro ordinamento giuridico, è appunto la alternatività (come la denominazione “Alternative Dispute Resolutions” stessa suggerisce) rispetto al sistema giurisdizionale di risoluzione delle liti.

Quantità, complessità e natura tecnica dei testi legislativi hanno contribuito, e tuttora contribuiscono, a rendere maggiormente difficile l’accesso alla Giustizia.

Se, in virtù dell’art. 24 comma 1, Cost., lo Stato ha indubbiamente l’obbligo di approntare tutela giurisdizionale alle situazioni giuridiche soggettive (l’ordinamento non si limita a riconoscere sul piano sostanziale dette posizioni ma appronta meccanismi per la loro tutela laddove poste in crisi), è anche vero che in capo ai singoli individui non sussista l’obbligo di servirsi del pur (necessariamente) disponibile apparato della giurisdizione statale11.

Ciò è vero benché unicamente nel rispetto di due limiti:

1) i privati non possono ricorrere a strumenti alternativi quando la tipologia di funzione giurisdizionale domandata inerisce alla volontaria giurisdizione ovvero quando si domanda tutela esecutiva;

2) inoltre, è impossibile evitare il ricorso alla Giustizia statale ove siano in contestazione diritti indisponibili.

Con specifico riguardo alla procedura di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali in Italia, il Governo ha provveduto alla “Attuazione dell’articolo 60 della Legge 18 giugno 2009, n. 69 (..)”

con il Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, modificato dal Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 98.

Si tratta di un provvedimento che ha avuto il pregio di dettare per la prima volta una disciplina omogenea nel settore A.D.R., in precedenza regolato in modo frammentario.

9 http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32013L0011&from=IT.

10 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:165:0001:0012:IT:PDF.

11 M. BOVE, La conciliazione nel sistema dei mezzi di risoluzione delle controversie civili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 04, p. 1065.

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Al fine di recepire i contenuti della Direttiva 2008/52/CE in materia di mediazione civile e commerciale, infatti, il Legislatore italiano ha posto i seguenti obiettivi: alleggerire il carico di lavoro degli organismi giudiziari;

contribuire alla diffusione della cultura della mediazione; valorizzare le esperienze di conciliazione stragiudiziale già esistenti, ed altresì minimizzare l’intervento statale nel settore.

La ratio dell’atto con forza di legge in esame è consistito nell’introdurre un’ipotesi di giurisdizione “condizionata”:

l’accesso alla Giustizia non è quindi precluso ma gli interessati, a tal fine, hanno l’onere di tentare previamente una conciliazione tramite mediazione.

Tale procedura sembra esprimere al meglio la concezione di “Giustizia alternativa”, secondo cui i conflitti possono essere definiti attraverso un approccio consensuale senza che un terzo soggetto necessariamente imponga la soluzione.

L’accordo è frutto delle trattative svolte tra le parti con l’aiuto del mediatore ed il suo contenuto deve corrispondere esclusivamente alla loro volontà, senza che il mediatore possa in alcun modo interferirvi12.

La mediazione finalizzata alla conciliazione non tende ad attribuire ragione o torto ad una delle parti in base all’applicazione del diritto, ma è diretta a fornire una prospettiva compositiva ai soggetti confliggenti tramite analisi dei rispettivi interessi coinvolti.

Incertezze sulla previsione dell’obbligatorietà della procedura erano state evidenziate in merito al sostanziale snaturamento della mediazione, nata come strumento di A.D.R. su base squisitamente volontaria, e trasformata in strumento ex lege imposto.

In particolare, si era sottolineato il problema della compatibilità tra mediazione obbligatoria ed i principi tanto rilevanti a livello tanto costituzionale quanto sovranazionale.

La Corte Costituzionale è stata investita – con otto ordinanze di rimessione – della questione di legittimità costituzionale relativa alla mediazione obbligatoria introdotta dal D.lgs. n. 28/10.

Il Giudice delle leggi, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, ha riconosciuto e dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 5 comma 1, D.lgs. n. 28/10, per eccesso di delega, assorbendo tutti gli altri lamentati profili di incostituzionalità, ossia:

violazione del diritto di azione di cui all’art. 24 Cost., in quanto il ricorso al Giudice risultava eccessivamente procrastinato dalla previsione dell’obbligatorietà del previo tentativo di mediazione;

violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., dal momento che il solo chiamato in mediazione avrebbe potuto sottrarsi al pagamento delle spese, non partecipando alla stessa;

violazione degli artt. 101 e 102 Cost. per “intralcio” all’esercizio della funzione giurisdizionale; e

violazione del principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost..

La Corte, per ragioni di ordine logico, si è concentrata su un unico profilo, ossia sulla violazione degli artt. 76 e 77 Cost., esclusivamente in relazione al comma 1 dell’art. 5, D.lgs. n. 28/10, del quale ha indagato la legittimità costituzionale, verificando se la stessa potesse essere ricavata dalla normativa dell’Unione europea – cui fanno riferimento sia la Legge delega sia il preambolo del Decreto – ovvero direttamente nei principi dettati dalla Legge medesima.

La risposta della Corte è stata negativa, in quanto la Direttiva 2008/52/CE non consiglia, né tantomeno impone il modello della mediazione obbligatoria; ed inoltre la Legge delega non solo è muta al riguardo, ma addirittura contiene elementi a favore dell’esclusiva facoltatività.

Il Giudice delle leggi, quindi, ha dichiarato la illegittimità costituzionale tanto dell’art. 5 comma 1 del Decreto legislativo in commento, per eccesso di delega, quanto, in via conseguenziale, di una serie di altre norme del medesimo atto con forza di legge, strettamente correlate e logicamente dipendenti dalla norma contenuta nel comma costituzionalmente illegittimo.

Oltre a dubbi di legittimità costituzionale, successivamente all’entrata in vigore della disciplina relativa alla mediazione obbligatoria, erano sorte perplessità circa la conformità di tale istituto alle previsioni comunitarie.

12 R. TISCINI, Vantaggi e svantaggi della nuova mediazione finalizzata alla conciliazione: accordo e sentenza a confronto, in Giust. civ., 2010, p. 489, fasc. 10.

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Infatti il 21 settembre 2011 (prima dell’intervento della Corte Costituzionale in materia) il Giudice di Pace di Mercato San Severino aveva investito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea della relativa questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., con riferimento all’interpretazione della Direttiva 2008/52/CE.

Tale domanda era stata presentata nell’ambito di una controversia in merito al risarcimento del danno causato all’autoveicolo del ricorrente, e rispetto al quale il G.d.P. di Mercato San Severino intendeva applicare il procedimento di mediazione obbligatoria.

La causa dinanzi alla Corte di Giustizia (C-492/11) era stata instaurata nel 2011, quando appunto la mediazione era prevista quale condizione di procedibilità in determinate e tassative materie.

La Corte, tuttavia, si è pronunciata nel giugno 2013, in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell’art. 5 comma 1, D.lgs. n. 28/10, che ha travolto l’istituto della mediazione di tipo obbligatorio.

L’intervento de quo si è avuto quando la normativa nazionale applicabile alla controversia principale non era più quella presa in considerazione nell’ambito della domanda di pronuncia pregiudiziale, posto che la sentenza della Consulta, “dichiarando che alcune disposizioni del decreto legislativo n. 28/2010 non sono conformi alla Costituzione, ha per effetto di escluderle dall’ordinamento giuridico nazionale”13.

Essendo, quindi, mutato il contesto normativo nazionale in cui si inseriva la controversia principale, la Corte di Giustizia ha dichiarato che “non vi è più luogo a rispondere alle questioni sollevate in via pregiudiziale dal Giudice di pace di Mercato San Severino con ordinanza del 21 settembre 2011 nella causa C-492/11”.

Per vero, la Corte non ha esplicitato se la mediazione obbligatoria fosse “euro-compatibile”; tuttavia, ha evidenziato che, in base alle norme comunitarie, per “mediazione” si intendesse far riferimento ad un procedimento strutturato, indipendentemente dalla denominazione, connotato dal tentativo operato da due o più parti coinvolte in una controversia di raggiungere, su base volontaria, un accordo sulla risoluzione della medesima tramite assistenza di un mediatore. “Tale procedimento può essere avviato dalle parti, suggerito od ordinato da un organo giurisdizionale o prescritto dal diritto di uno Stato membro”.

La pronuncia prosegue ritenendo che “il Legislatore nazionale ben può rendere il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzioni, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”.

3. “Mediazione finalizzata alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali”.

Nel linguaggio comune “mediazione” e “conciliazione” sono impiegati quali sinonimi14; in ambito giuridico, e specificamente all’interno del D.lgs. n. 28/10, invece, tali termini sono intesi come differenti tra loro, l’uno in funzione dell’altro.

Attraverso la mediazione, nella sua struttura procedurale, si tende a pervenire alla conciliazione di interessi confliggenti.

L’esperienza giuridica italiana, ante riforma del 2010, aveva variamente previsto la “conciliazione”:

-endoprocessuale, ex artt. 185, 185 bis, 420 e 696 bis c.p.c.;

-stragiudiziale (ne è un esempio l’art. 410 c.p.c.), strumento di autocomposizione della controversia mediante cui le parti risolvono la divergenza con l’ausilio del terzo;

-giudiziale in sede non contenziosa, art. 322 c.p.c.;

-nella Legge 29 dicembre 1993, n. 580;

-nella Legge 14 novembre 1995, n. 481;

-nella Legge 18 giugno 1998, n. 192;

-infine, nel Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206: nei rapporti tra consumatore e professionista le parti possono avviare una procedura di composizione extragiudiziale, anche in via telematica, per la risoluzione delle controversie in materia di consumo.

13 Cfr. Sentenza Corte di giustizia dell’Unione europea 27 giugno 2013, C-492/11.

14 C. MANDRIOLI, Diritto processuale civile, vol. III, 2014, Torino, p. 496, in particolare note 3) e 5).

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Con riferimento all’ambito di applicazione si chiarisce come le controversie interessate dalla suddetta procedura siano soltanto quelle civili e commerciali aventi ad oggetto diritti di cui le parti possano disporre (secondo quanto fin dalla Direttiva 2008/52).

Ciò detto, ne risulta estranea la materia tributaria, essendo vigente il principio della tendenziale indisponibilità dell’obbligazione di pagamento del tributo.

Lo scopo di estendere il più possibile il ricorso alla procedura di mediazione, anche grazie al contributo degli Avvocati, ha determinato l’insorgenza di un obbligo per questi ultimi di informare gli assistiti in modo chiaro e scritto fin dall’atto del conferimento dell’incarico, quanto alla possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione, ai casi in cui l’esperimento della mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale nonché alle agevolazioni fiscali ex artt. 17 e 20 del D.lgs. n. 28/10.

L’informazione in questione deve essere fornita a pena di annullabilità del contratto d’opera concluso con l’assistito15; il documento che la contiene è sottoscritto da costui ed, in caso di negativo esperimento della procedura di mediazione, allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio successivamente instaurato.

Gli incentivi fiscali all’utilizzo della conciliazione stragiudiziale sono i seguenti:

–esenzione dall’imposta di bollo;

–esenzione parziale dall’imposta di registro, fino al limite di valore di euro 50.000,00;

–credito di imposta per chi abbia versato l’indennità per il mediatore, commisurata alla stessa ma solo per l’eventualità che la mediazione abbia esito positivo. Altrimenti, tale credito d’imposta è ridotto alla metà e fino alla concorrenza di euro 500,00.

A seguito degli sviluppi giurisprudenziali cui si è previamente accennato, è risultata nuovamente attuale la discussione sul ruolo della mediazione nel nostro ordinamento.

Il Legislatore – tra istanze deflative (di provenienza governativa) ed esigenze di rispetto dei principi di difesa e rappresentanza (di matrice forense) – con il Decreto legge 21 giugno 2013, n. 69 (“Decreto Fare”), ha nuovamente previsto come obbligatoria la mediazione finalizzata alla conciliazione tra le parti, per un periodo di tempo limitato, ossia per i quattro anni successivi alla sua entrata in vigore (dopo due anni è stata invece prevista l’attivazione, su iniziativa del Ministero della Giustizia, del “monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione”).

La nuova disciplina ha operato attraverso lo strumento della legge formale, sanando così il vizio di eccesso di delega rilevato nella normativa precedente dalla Corte Costituzionale.

Se da un lato è risultata confermata l’obbligatorietà dello strumento, dall’altro sono stati al contempo ridotti il perimetro, la durata ed il costo di esso.

La novella si caratterizza, infatti, per numerosi elementi di continuità e novità rispetto al precedente modello di mediazione obbligatoria.

Quanto ai primi, il Legislatore ha replicato l’elencazione delle materie per le quali l’introduzione del relativo giudizio dovrebbe essere preceduta – a pena di improcedibilità dell’azione – dall’esperimento del procedimento di mediazione. Tale elenco riproduce in termini esatti il precedente, come originariamente previsto, con le uniche eccezioni dell’esclusione delle cause per risarcimento dei danni derivanti da circolazione di veicoli e natanti nonché dell’inserimento della fattispecie di responsabilità sanitaria oltre che medica16.

È stato inoltre reintrodotto il medesimo meccanismo della rilevazione d’ufficio o su eccezione di parte della improcedibilità per mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, entro e non oltre la prima udienza, a pena di decadenza, con possibilità di sanare il difetto di detto presupposto processuale con efficacia retroattiva.

Per quanto riguarda, invece, gli elementi innovativi, questi riguardano in particolar modo il ruolo – potenziato – del Giudice.

All’art. 5 comma 2, D.lgs. n. 28/10, infatti, non si menziona più la mera possibilità da parte dell’Autorità giurisdizionale competente di invitare le parti a ricorrere alla mediazione bensì il potere di

15 Trib. Varese 1 marzo 2011, in Giur. it., 2012, p. 657, con nota di M. RUSSO.

16 Siffatta procedura, quindi, è attualmente una condizione di procedibilità per attivare il giudizio in Tribunale unicamente per determinate materie, quali: condominio; diritti reali; divisione; successioni ereditarie; patti di famiglia; locazione; affitto di aziende; contratti assicurativi, bancari e finanziari; comodato; responsabilità medica e sanitaria; diffamazione.

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disporre tale procedimento quale condizione di procedibilità, a prescindere dai casi indicati ex comma 1

bis.

Tanto si aggiunge all’ultima novità introdotta dal Decreto de quo nel codice di diritto processuale civile, e precisamente all’art. 185 bis, rubricato “Proposta di conciliazione del Giudice”.

Siffatto sistema, in cui l’Organo giurisdizionale devia taluni procedimenti verso la mediazione, è ormai noto in diversi Stati europei: si tratta dell’istituto della Court Annexed Mediation, ove la volontà delle parti in lite di rivolgersi al mediatore si forma dopo l’attivazione del procedimento giurisdizionale, in conseguenza del sollecito del Magistrato che formula una sorta di “giudizio di mediabilità” della lite e dispone l’esperimento di un tentativo di conciliazione.

L’art. 185 bis c.p.c. prevede infatti che “il Giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l'istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del Giudice”.

L’istituto così regolato fa riferimento ad una mera conciliazione giudiziale, da non confondere quindi con la mediazione delegata dal Giudice contenuta nell’art. 5 comma 2, D.lgs. n. 28/10.

In tal modo si riconosce, nonostante emergano dubbi di legittimità costituzionale (ex artt. 24-111 Cost.) e di conformità alla disciplina europea (di cui alla Direttiva 2008/52), la possibilità che sia introdotta d’ufficio, in corso di causa, una condizione di procedibilità della domanda giudiziale (pure non espressamente prevista dal Legislatore).

Rispetto a quanto nel D.lgs. n. 28/10, quindi, la prospettazione di soluzioni conciliative ad opera del Giudice si articola all’interno di un giudizio già pendente.

Ancora, sotto altra angolazione, il passaggio dall’art. 185 c.p.c. all’art. 185 bis, stesso codice, ed il loro uso in sequenza ovvero integrato nell’ambito dello stesso contenzioso, parrebbe favorito dall’approccio con cui il Legislatore negli ultimi tempi ha trattato una pluralità di sistemi conciliativi, pur avvalendosi di interventi normativi ispirati a principi non sempre uniformi, anche oltre e prima della novella della L. n. 69/09.

Coscienti delle peculiarità proprie di ogni strumento conciliativo, si è suggerita la lettura delle due norme (assai vicine) in una prospettiva non di concorrenzialità ma di compatibilità e di uso combinato.

La sottoposizione alle parti di ipotesi di definizione bonaria della causa non integrerà mai un’anticipazione del giudizio ove il Giudice non manifesti il proprio convincimento sui fatti della causa.

4. Aspetti procedurali dello strumento di mediazione finalizzato alla conciliazione nelle controversie civili e commerciali17.

Attualmente il procedimento di mediazione, ex art. 6, D.lgs. n. 28/2010, prevede una durata non superiore a tre mesi.

Tuttavia, con sentenza datata ottobre 2014, il Tribunale di Roma ha ritenuto che l’accordo raggiunto successivamente alla scadenza del termine massimo di durata della mediazione, come prima indicato, sia comunque valido ed efficace.

Infatti, scopo di siffatta regola è evitare che le parti risultino assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all'Autorità giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione.

Il periodo di svolgimento della procedura di mediazione (e dell’eventuale rinvio disposto dal Giudice) non si computa per determinare la ragionevole durata del processo e dunque per l’applicazione dell’art. 2, Legge 24 marzo 2001, n. 89 (“Legge Pinto”).

La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’art. 2, D.lgs. n. 28/10 è presentata tramite deposito di apposita istanza presso un organismo ad hoc predisposto nel luogo in cui ha sede il Giudice territorialmente competente.

17 C. MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, vol. III, Torino, 2015, pp. 409 ss..

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In caso di più domande sulla stessa controversia la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso cui è stata depositata la prima domanda.

Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data di deposito dell’istanza ovvero alla scadenza del termine fissato dal Giudice per il relativo deposito (peraltro non soggetto a sospensione feriale).

L’istanza in questione dovrà indicare l’organismo, le parti, l’oggetto ed anche le ragioni della pretesa.

Inoltre, circa gli effetti della domanda di mediazione il comma 6 dell’art. 5, D.lgs. n. 28/10 stabilisce che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’art. 11 [di mancata conciliazione]

presso la segreteria dell’organismo”. Ne consegue che con la comunicazione alla controparte della domanda di mediazione si realizza l’impedimento dell’eventuale decadenza per l’esercizio del diritto fatto valere e, con riferimento alla prescrizione dello stesso, tanto l’effetto interruttivo, ai sensi dell’art. 2943 comma 2, c.c., quanto l’effetto sospensivo, ai sensi dell’art. 2945 comma 2, stesso codice.

Gli effetti sostanziali della domanda di mediazione si producono solo nel momento in cui la controparte riceve la comunicazione della domanda di mediazione e della data del primo incontro, mentre qualora l’istante volesse anticipare la produzione di questi effetti dovrebbe provvedere a depositare presso l’organismo la domanda nonché a comunicarla direttamente alla controparte.

Al primo incontro ed agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’Avvocato.

I difensori legali, mediatori di diritto (con relativi obblighi di formazione), rivestono un ruolo peculiare nell’ambito della gestione dei conflitti, essendo stata introdotta l’assistenza obbligatoria per tutta la durata del procedimento.

Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Costui, sempre nello stesso primo incontro, invita le parti ed i loro legali ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, se l’esito è positivo, procede con lo svolgimento di essa. In caso contrario, qualora le parti dovessero decidere di chiudere l’incontro senza accordo ed altresì laddove l’esperimento della mediazione fosse condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si avrebbe per avverata, e nessun compenso sarebbe dovuto all’organismo di mediazione.

Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.

Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.

Il mediatore può anche avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Tribunali. Il regolamento di procedura dell'organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.

Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il Giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell'art. 116 comma 2, c.p.c..

La parte costituita che, nei casi previsti dall'art. 5, non abbia partecipato al procedimento senza giustificato motivo è condannata al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il relativo giudizio.

In sede di mediazione l’accordo è suscettibile di acquistare efficacia esecutiva o di costituire titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale: se l’esito è positivo il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo.

Il Presidente del Tribunale cui è richiesta l’omologazione del verbale de quo deve verificare, oltre alla sua regolarità formale, anche l’assenza in esso di qualsivoglia contrasto rispetto all’ordine pubblico ed alle norme imperative.

Tale controllo è invece demandato agli Avvocati delle parti che abbiano raggiunto l’accordo laddove queste siano tutte assistite da un legale.

Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la trascrizione della domanda giudiziale né la concessione di provvedimenti urgenti e cautelari.

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Una volta ottenuto il provvedimento cautelare, la procedura di mediazione dovrebbe essere esperita prima dell’instaurazione del giudizio di merito ma i termini di cui all’art. 669 octies, comma 1, c.p.c. sono inferiori al termine di durata della procedura di mediazione, e quindi la fase di merito potrebbe instaurarsi prima ovvero durante la procedura di mediazione.

La mediazione obbligatoria non si applica:

1)nei procedimenti per ingiunzione, esclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. In tal senso si è recentemente espresso il Tribunale di Firenze (21 aprile 2015): laddove manchi il tentativo di mediazione finalizzato alla conciliazione nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo, è prevista la sanzione di improcedibilità, che colpisce non la pretesa creditoria azionata in via monitoria bensì l’opposizione, rendendo conseguentemente irrevocabile il decreto ingiuntivo;

2)nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito ex art. 667 c.p.c.;

3)nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva per la composizione della lite, ex art. 696 bis c.p.c.;

4)nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti ex art. 703, comma 3, c.p.c.;

5)nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

6)nei procedimenti in camera di consiglio;

7)nell’azione civile esercitata nel processo penale.

Recentemente, in sede di merito, è stato affermato che la mediazione obbligatoria trovi applicazione anche nel processo sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c., non essendo il rito a determinare l’obbligatorietà del procedimento di mediazione bensì la natura della controversia.

5. Vantaggi e svantaggi della procedura di risoluzione autonoma delle controversie.

L’obiettivo del Legislatore era, e continua ad essere, favorire le soluzioni negoziali stragiudiziali delle controversie, al fine di ridurre il carico di lavoro dell’apparato giurisdizionale.

Per raggiungere tale scopo è stato impiegato l’istituto ivi in commento, di natura eminentemente volontaria, trasformandolo in una fase pre-processuale obbligatoria, condizione di procedibilità per tutte le controversie (relative a diritti disponibili) a più alta litigiosità.

Tuttavia, siffatta scelta si è scontrata con una scarsa cultura della mediazione che, almeno inizialmente, ha impedito un’ampia diffusione dell’istituto com’era stato invece auspicato dal Legislatore.

Proprio a causa di tale insufficienza culturale l’effetto deflativo della mediazione è stato alquanto limitato nei primi anni di applicazione della normativa: si registrava grande diffidenza da parte degli operatori del diritto nei confronti della mediazione, tanto per la novità dell’istituto quanto per i relativi costi.

Elevata è infatti la percentuale delle mediazioni concluse fin dal primo incontro-filtro.

La ragione può forse rinvenirsi nella “convenienza” lato sensu di tale atteggiamento: laddove le parti non raggiungano l’accordo a tale primo incontro nessun compenso è dovuto all’organismo, e la condizione di procedibilità si ha comunque per soddisfatta.

Statisticamente è alta anche la percentuale di mediazioni esperite nei casi in cui le parti, superando il filtro del primo incontro, si siano effettivamente affidate ad un mediatore per dialogare e tentare di raggiungere una soluzione pur non (necessariamente) giusta bensì condivisa e negoziata.

Come sopra accennato, il problema dello scarso successo della mediazione deriva dalla mancanza di una “cultura della mediazione” che evidentemente richiede tempo prima di poter essere acquisita e diffusa.

In Italia sicuramente più conosciuta ed accettata è l’opposta cultura del conflitto.

Da quanto premesso è possibile constatare come l’accesso alle soluzioni non giurisdizionali di componimento dei conflitti debba essere autonomo e non invece giustificarsi in base all’esigenza di porre un freno al carico eccessivo di contenzioso dei Tribunali civili.

La scelta dovrebbe quindi essere libera da condizionamenti e giustificata soltanto in ragione dei vantaggi assicurati rispetto al giudizio di natura statuale.

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In tema di “strumenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie” il riferimento è agli istituti che permettono di pervenire ad un risultato e ad effetti analoghi a quelli del processo di cognizione e della conseguente sentenza a definizione dell’iter.

Ai fini dell’evoluzione della scienza giuridica è di rilievo essenziale la diversità di opinioni con riferimento all’espressione “controversia giuridica”, in particolare rispetto alle controversie inerenti al diritto sostanziale.

Infatti, almeno originariamente, il concetto di controversia giuridica rivelava un’accezione positiva, alludendo ad un confronto dialettico tra parti portatrici di interessi diversificati e non necessariamente contrastanti.

L’espressione, tuttavia, assume un’accezione negativa nel momento in cui i destinatari della regola di condotta risultino in disaccordo sui comportamenti leciti e doverosi da tenere quanto ad un determinato bene della vita giuridicamente protetto. In tali casi, ove si assiste al cosiddetto “fallimento del diritto sostanziale”, occorre intervenire per far fronte alla crisi del diritto sostanziale all’uopo preposto.

Tra gli strumenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie è il contratto a possedere, inequivocabilmente, il primo dei requisiti necessari a svolgere la funzione di risoluzione delle liti, ossia la vincolatività, stabilita ex art. 1372 c.c. (“il contratto ha forza di legge tra le parti”).

Non è sufficiente constatare che un atto sia vincolante al fine di concludere che sia idoneo alla risoluzione di un conflitto. Tutti gli atti autoritativi dello Stato sono vincolanti per definizione, poiché autoritativi, ma risultano idonei a produrre il risultato desiderato unicamente quelli finalizzati alla risoluzione delle controversie.

Il contratto ben può avere come scopo/causa la risoluzione delle controversie ed infatti l’art. 1965 comma 1, c.c.

conferma quanto appena detto.

La transazione ha l’obiettivo di porre fine ad una lite già iniziata ovvero di prevenire un conflitto futuro.

Attraverso tale contratto le parti possono realizzare un accertamento prescrittivo del futuro (“sollen”), differente dal tipo di accertamento invece descrittivo, sui fatti del passato (“sein”).

Il primo e costante vantaggio della risoluzione autonoma risiede nell’atipicità del contenuto del contratto rispetto alla tipicità del contenuto della sentenza (e del lodo).

Siffatta atipicità è ben delineata dal Legislatore nell’art. 1965 comma 2, c.c., ove si prevede che, con le reciproche concessioni, si possano creare, modificare oppure estinguere anche rapporti diversi da quello oggetto della controversia.

La risoluzione negoziale della controversia può modificare il rapporto oggetto della lite (differentemente dalla sentenza), estinguendolo ed altresì creandone uno nuovo e diverso, financo coinvolgendo terzi consenzienti nell’assetto negoziale stabilito dalle parti.

Ancora. L’accordo che risolve la controversia è abilitato a realizzare lo stesso risultato di un comune contratto di scambio, quindi rendendo le parti soddisfatte all’esito della procedura.

La situazione sostanziale protetta è destinata a soddisfare bisogni ed interessi ma la valutazione a riguardo può essere effettuata unicamente dal titolare del diritto.

Bisogni ed interessi de quibus sono inaccessibili tanto ai terzi quanto a coloro che dovranno decidere la controversia avente ad oggetto quel dato diritto.

Per vero, occorre ribadire che il meccanismo della risoluzione negoziale non è sempre attingibile poiché gli interessi delle parti potrebbero risultare incompatibili tra loro.

Infine, quanto agli svantaggi della risoluzione negoziale, è necessario ricordare come essa necessiti del consenso di tutti i soggetti coinvolti sicché se la negoziazione non presentasse esito positivo l’attività svolta sarebbe sprecata.

Siffatto ragionamento non è applicabile agli strumenti eteronomi, i quali garantiscono comunque una risoluzione della controversia. Tuttavia, i vantaggi potenzialmente conseguibili attraverso la risoluzione negoziale fanno sì che il tentativo di soluzione in via consensuale sia normalmente opportuno, considerando poi il fatto che, se anche tale via non portasse ad un risultato positivo, resterebbe in ogni caso aperto l’eventuale iter della risoluzione eteronoma.

6. Considerazioni finali.

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La differenza più importante che sussiste tra la risoluzione negoziale (risoluzione autonoma) e gli altri strumenti (eteronomi) di risoluzione delle controversie non consiste nella relativa efficacia quanto invece nella modalità di determinazione del contenuto dell’atto risolutivo, che ha luogo secondo opportunità nel primo caso, secondo Giustizia negli altri.

La risoluzione negoziale delle controversie, specialmente nella forma della transazione, è stata disciplinata, praticata e studiata anche in passato mentre la mediazione è divenuta oggetto di studio nella scienza giuridica, nonché di interventi normativi, soltanto in epoca recente.

Attraverso la mediazione si attingono risultati qualitativamente migliori ed invece irraggiungibili con strumenti eteronomi di risoluzione delle controversie.

Affinché tutto ciò si realizzi è senz’altro utile l’intervento dello Stato, risultando però necessario un intervento

“misurato” che non abbia quale obiettivo primario (quando non esclusivo) rendere più efficiente il sistema- Giustizia.

Pertanto, cercare di recuperare una insufficienza culturale attraverso l’imposizione ex lege probabilmente non rappresenta il metodo migliore per ottenere il successo dell’istituto ivi in commento.

Purtuttavia è condivisibile l’affermazione secondo cui laddove in futuro si ottenesse l’auspicato successo della procedura di mediazione sarebbe infine operata la più grande privatizzazione mai tentata nell’ambito della Giustizia civile.

Francesca Saccaro – Rachele Polidori

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