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L’ordinanza di assegnazione del credito nella procedura espropriativa presso terzi. Il Consiglio di Stato ne riconosce la stabilità che nega la Corte di cassazione. - Judicium

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ROBERTA TISCINI

L’ordinanza di assegnazione del credito nella procedura espropriativa presso terzi. Il Consiglio di Stato ne riconosce la stabilità che nega la Corte di cassazione.

1.- A componimento di un precedente contrasto – che vedeva contrapposti Consiglio di Stato1 e Tar2 – l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato3 ammette l’ottemperanza in esecuzione di una ordinanza di assegnazione del credito emessa in una espropriazione presso terzi a carico della P.A.

I passaggi logici della motivazione sono sinteticamente divisibili in due parti: a) da un lato, la qualificazione dell’ordinanza di assegnazione come provvedimento decisorio ed idoneo al giudicato (perciò passibile di esecuzione mediante ottemperanza); b) da un altro, la possibilità che essa sia ritenuta fonte di un obbligo di conformazione della P.A.

Il primo (sub a). Dal momento che in sede di assegnazione il giudice dell’esecuzione controlla, anche d’ufficio, la corrispondenza del credito del preteso creditore alle indicazioni del titolo esecutivo, nonché esercita poteri di valutazione e/o riduzione del quantum domandato, afferma l’Adunanza Plenaria che l’ordinanza di assegnazione accerta esistenza ed ammontare del credito.

Trattandosi dunque di ordinanza dotata di “portata di accertamento e pertanto decisoria”, essa è suscettibile di divenire definitiva in quanto idonea al giudicato. Sicché, per l’ipotesi di persistente inadempienza della P.A., sono vie percorribili, “sia un nuovo giudizio esecutivo civile sia il giudizio di ottemperanza”.

Il secondo (b). Premesso – argomenta la sentenza – che non vi sono ostacoli ad ottenere, per le vie dell’ottemperanza, l’esecuzione di un giudicato civile, neppure vi sono ostacoli nel fatto che, ammettendo l’ottemperanza in relazione all’ordinanza di assegnazione, si avrebbe una “esecuzione dell’esecuzione”. Nulla esclude infatti che la procedura esecutiva (che l’ordinanza di assegnazione chiude) necessiti di altro provvedimento giurisdizionale, in ragione delle “esigenze di pienezza e effettività della tutela” che impongono rimedi efficaci quando la P.A. resta inerte.

2. – Costituisce un dato difficilmente confutabile oggi la qualificazione dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c. come titolo esecutivo spendibile nei confronti del terzo4 (per l’eventualità in cui dovesse intraprendersi una diversa ed autonoma azione esecutiva in caso di

1 Il Consiglio di Stato era orientato ad ammettere l’ottemperanza nel caso considerato (Cons. Stato, sez. IV, 1° aprile 1992, n.

352, in Giust. civ., 1992, I,1950; Cons. Stato, sez. IV, 6 novembre 2008, n. 5485, in Foro amm. CDS 2008, 11, 2986; Cons.

Stato, sez. V, 12 ottobre 2009, n. 6241, ivi, 2009, 10, 2326; Cons. Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7463, ivi, 2010, 10, 2129.

Minoritaria era tale posizione nei tribunali di primo grado (in questo senso, Tar Campania – Napoli, 20 gennaio 2005, n. 247, in Foro amm. TAR, 2005, 1, 203).

2 I Tar propendevano per la soluzione restrittiva (Tar Campania – Napoli, 10 ottobre 2008, n. 14692, ivi, 2008, 10, 2827; Tar Campania – Napoli, 13 novembre 2009, n. 7373; Tar Lazio – Roma, 8 luglio 2009, n. 6667; Tar Sicilia – Palermo, 5 luglio 2006, n. 1575, ivi, 2006, 7-8, 2695; Tar Sicilia – Catania, 30 giugno 2009, n. 1202, ivi, 2009, 6, 1910). Nello stesso senso, Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 14-6-1999, n. 262, CS, 1999, I,1037.

3 Per un commento alla sentenza, vd. Storto, E’ ottempera bile innanzi al g.a. l’ordinanza di assegnazione di crediti ex art. 553 c.p.c., in Corr. merito, 2012, 629 ss.

4 L’opinione è pacifica tanto in giurisprudenza (Cass. 5 febbraio 1968, n. 394, in Riv. dir. comm., 1969, II, 91, con nota di Monteleone; in Giur. it.1969, I, 1, 126, con nota di Colesanti; Cass. 18 marzo 2003, n. 3976; Cass. 7 ottobre 2005, n. 19652), quanto in dottrina (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, Napoli, 1957, vol. III, 214; Vaccarella, voce Espropriazione presso terzi, in Digesto, disc. priv. sez. civ., 2001, vol. VIII, 94 ss., spec. 107; Bonsignori, Assegnazione forzata e distribuzione del ricavato, Milano, 1962, 127; Sparano, L’espropriazione forzata e i diritti di credito, Napoli, 1958, 216; De Rosa, Sull’ordinanza che ha disposto l’assegnazione dei beni nell’espropriazione forzata, in Giust. civ., 1953, 2, 1980; Tesoriere, A proposito di debitore e di espropriazione di crediti, ivi, 1969, I, 957. In senso contrario D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, Torino, II, 1957, 133;

Colesanti, Il terzo debitore nel pignoramento di crediti, Milano, 1967, II, 386; Cordopatri, Posizione e tutela del debitor debitoris nel processo di espropriazione, in Riv. dir. proc., 1976, 834).

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mancato adempimento spontaneo di quest’ultimo5); conclusione a cui si giunge non già in virtù del dato testuale della norma (che in astratto offre l’immagine di un provvedimento meramente esecutivo), bensì in ragione della lettura evolutiva6 che ne offre la prassi applicativa, attribuendo al giudice dell’esecuzione ampi poteri valutativi – anche ufficiosi – nel determinare an e quantum dell’assegnazione7.

E’ poi opinione dominante nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui l’ordinanza di assegnazione, pur costituendo titolo esecutivo, ed essendo resa all’esito di un giudizio lato sensu cognitivo, non contiene alcun accertamento. Il potere valutativo del giudice dell’esecuzione consiste in una delibazione sommaria di fondatezza delle pretese creditorie8; sicché, l’ordinanza è inidonea a “fare stato” (a formare la cosa giudicata), in quanto non resa nel corso di un processo di cognizione bensì solo funzionale all’emissione dell’atto esecutivo9. Con la conseguenza che l’assegnazione, in quanto atto dell’esecuzione e più precisamente ultimo atto della procedura espropriativa presso terzi, sarebbe contestabile esclusivamente10 con l’opposizione agli atti esecutivi11 (rimedio utilizzabile, sempre secondo la giurisprudenza, anche per contestare la quantificazione delle somme assegnate in ordinanza).

Fermando l’attenzione sulla asserita (in)stabilità dell’ordinanza12, non convincono siffatte ragioni13 su cui si vuole fondare la sua inattitudine al giudicato. Non è rilevante il fatto che essa non sia resa in un giudizio “pienamente cognitivo”: in quanto ordinanza emessa dal giudice nel corso di un procedimento – giurisdizionale – e resa all’esito di una indagine, seppure sommaria, di fondatezza dei presupposti (in punto di sussistenza e quantificazione del credito), non vi sono ostacoli a che essa venga ricostruita quale atto conclusivo di un procedimento contenzioso e perciò dotata della forza dell’accertamento14. Né è dirimente in senso contrario il fatto che il provvedimento è reso in

5 A fondamento dell’assunto si collocano argomenti vari (su cui vd. Soldi, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2012, 662;

Capponi, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 260): il richiamo analogico agli artt. 590 e 586 c.p.c. che attribuiscono la medesima efficacia al decreto di trasferimento o di assegnazione di beni mobili o immobili, l’esistenza di un ordine al terzo-debitore in ragione della sua previa nomina a custode ex art. 546 c.p.c., l’esistenza di un generico atteggiamento confessorio del terzo (ovvero reso in sede di accertamento giudiziale). Da ultimo, si invocano più generiche ragioni logico-sistematiche, non essendo né possibile né coerente che un procedimento espropriativo si concluda con un provvedimento a contenuto dichiarativo.

6 Vd. le opportune osservazioni di Della Pietra, Le vicende del pignoramento e dell’assegnazione di crediti, in Le espropriazioni presso terzi, a cura di Auletta, Bologna, 2011, 37 ss., spec., 46-47; Id, Il frastagliato profilo dell’espropriazione presso terzi, in www.judicium.it e in Riv. esec. forz., 2012, in corso di pubblicazione.

7 Trattasi di un provvedimento con cui il giudice dell’esecuzione, lungi dal limitarsi ad assegnare gli importi precettati, verifica discrezionalmente – anche d’ufficio - i presupposti dell’assegnazione, l’idoneità del titolo esecutivo del creditore pignorante, la correttezza della quantificazione del credito operata nel precetto, riduce l’importo delle somme da assegnare, accerta ed offre una propria valutazione della dichiarazione del terzo (Cass. 16 maggio 2005, n. 10180; Cass. 8 aprile 2003, n.

5510; Cass. 16 febbraio 2000, n. 1728, in Riv. esec. forz., 2000, 353; Cass. 10 settembre 1996, n. 8215; Trib. Benevento 20 marzo 2012, in Riv. esec. forz., in corso di pubblicazione, con nota di Majorano).

8 Cass. 8 aprile 2003, n. 5510, cit.; Cass. 16 febbraio 2000, n. 1728, cit.; Cass. 10 marzo 1996, n. 8215, cit.

9 Cass. 18 maggio 2009, n. 11404, cit.

10 L’ordinanza non è dunque modificabile o revocabile (Cass. 20 febbraio 2007, n. 3958; Cass. 13 giugno 1992, n. 7248; contra Cass. 24 novembre 1980, n. 6245, cit.). Il che però non ben si addice all’asserita sua inattitudine alla stabilizzazione degli effetti. Sul tema, cfr. Bove, Dell’espropriazione, cit., 387. Conferma la immodificabilità/irrevocabilità la sentenza in commento;

lettura questa che però meglio si cala nella riconosciuta stabilità del provvedimento.

11 Cass. 9 marzo 2011, n. 5529; Cass. 22 febbraio 2008, n. 4578; Cass. 22 giugno 2007, n. 14574; Cass. 8 marzo 2003, n. 5510, cit.

12 Sul problema dei rimedi esperibili avverso l’ordinanza di assegnazione, sia consentito rinviare a Tiscini, Considerazioni intorno a natura, effetti e regime dell’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., in www.judicium.it e in Riv. esec. forz., in corso di pubblicazione.

13 Altri ed assorbenti motivi possono giustificare la linea attualmente dominante nella giurisprudenza di legittimità. Su di essi, vd. amplius infra § 5.

14 La logica è quella di estendere la capacità decisoria (e di riflesso l’attitudine al giudicato) a provvedimenti emessi in forma diversa dalla sentenza, ma a quest’ultima equivalenti per sostanza. Logica corrispondente a quella che ha guidato il nuovo

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giudizio sommario: l’esperienza legislativa conosce plurimi esempi di titoli esecutivi giudiziali pronunciati in cognizione sommaria, ma al contempo dotati della “forza dell’accertamento” (non ultima l’ordinanza dell’art. 702 quater c.p.c.).

Verso l’attitudine alla stabilizzazione degli effetti militerebbero invece gli ampi poteri di cui oggi gode il giudice dell’esecuzione nell’assegnare il credito. Seppure l’indagine sommaria sui presupposti dell’assegnazione si rivela talora superflua (ad esempio, quando l’accertamento dell’obbligo del terzo è reso nel giudizio contenzioso dell’art. 548 c.p.c. e l’ordinanza di assegnazione si limita a recepirne i contenuti), non mancano casi in cui nella sede sommaria dell’art.

553 c.p.c. il giudice è chiamato, non solo a verificare che il creditore assegnatario disponga di un valido titolo esecutivo, ma pure a fornire nuove quantificazioni del credito da assegnare.

In altri termini, la fase conclusiva dell’espropriazione presso terzi accoglie di fatto contestazioni astrattamente destinate a trovare collocazione in altre parentesi contenziose interne all’esecuzione, ma che per diverse ragioni non sono state attivate al momento e nella sede dovute. E’ quasi a dire che l’ultima fase della procedura costituisce il redde rationem, sicché, se per un qualsiasi mal funzionamento di quelle precedenti, restano aperte questioni controverse sull’an o il quantum del credito (per cui si procede, oltre che da assegnare), tali questioni non possono che essere risolte dal giudice dell’esecuzione prima di chiudere la procedura (al momento e nella prospettiva dell’assegnazione).

Rebus sic stantibus, non sarebbe astrattamente impossibile riconoscere carattere cognitivo e di accertamento al giudizio che si conclude con l’assegnazione (nella sua versione attuale, alla prova della giurisprudenza). Pur non offrendo l’art. 553 c.p.c. elementi testuali per ritenere che l’assegnazione costituisca l’ennesima “parentesi cognitiva” interna all’esecuzione, in svariati casi le necessità concrete della procedura possono imporre al giudice dell’esecuzione di “accertare”- pure nel contraddittorio delle parti - la sussistenza del “diritto all’assegnazione”.

3.- Volendo – per il momento - restare fedeli alla lettura che attualmente domina la giurisprudenza di legittimità (ed alla quale si contrappone quella del Consiglio di Stato), che vede nell’ordinanza di assegnazione un provvedimento (giudiziale) esecutivo, ma inidoneo al giudicato, occorre ricostruirne il regime alla luce di tali condizioni.

L’idea che un provvedimento emesso dal giudice, ancorché esecutivo, in ogni caso con qualche profilo di decisorietà, non sia idoneo a fare stato non è nuova nel nostro ordinamento, ma neppure è in fase di espansione. In altra sede ci siamo occupati della casistica e della disciplina dei cd.

“provvedimenti decisori senza accertamento”, in cui alla attitudine a decidere su diritti – proprio nella prospettiva di precostituire un titolo esecutivo – non si accompagna la stabilizzazione degli effetti15. Fenomeno, questo che – se ha avuto la sua massima espressione nell’ordinanza sommaria per le controversie societarie dell’art. 19 d.lgs. n. 5/2003, oggi abrogato – è stato presto rinnegato con l’attribuzione della forza del giudicato alla (gemella seppure nelle profonde differenze) ordinanza sommaria dell’art. 702 quater c.p.c. Non che non sia un fenomeno ancora vitale16; il fatto è che ad esso la legge ha sempre faticato ad adattarsi ed al suo cospetto anche l’esperienza pratica dimostra una certa ostilità, tenuto conto della dominante tendenza ad assimilare la funzione giurisdizionale decisoria al giudicato (nel senso che la prima non può non accompagnarsi al secondo17).

testo dell’art. 112 c.p.a. (amplius infra § 6) ed a quella che ha condotto alla elaborazione della cd. sentenza in senso sostanziale intorno all’art. 111 comma 7 cost. (su cui, si vis, Tiscini, Il ricorso straordinario in cassazione, Torino, 2005, passim).

15 Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, passim.

16 Sugli istituti attualmente vigenti, Tiscini, I provvedimenti, cit., 72 ss.

17 Vd. in questo senso Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2011, IV, 180.

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Il modello ricostruito per via pretoria intorno all’art. 553 c.p.c. sembra riconoscere quella

“decisorietà senza accertamento” che a stento affiora talvolta nelle scelte legislative. Un riconoscimento forse inconsapevole ed involontario, ma pur sempre tale18.

4. - Ben diversa – rispetto alla ricostruzione prospettata nel § precedente – è quella offerta dal Consiglio di Stato.

Nell’affermare che l’ordinanza di assegnazione dell’art. 553 c.p.c. costituisce provvedimento

“ottemperabile”, il massimo Consesso della giustizia amministrativa ne riconosce, non solo carattere decisorio, ma anche l’attitudine al giudicato.

Che si tratti di provvedimento in cui il giudice dell’esecuzione non si limita ad “eseguire”, bensì esercita poteri cognitivi è un dato certo (come riconosce lo stesso Consiglio di Stato) che ci trasmette la prassi applicativa e dunque inconfutabile.

Il salto che compie il Consiglio di Stato – e che la Corte di cassazione si astiene dal fare – è nell’ammettere che si tratti anche di provvedimento “idoneo al giudicato”. Sul punto la sentenza in commento non offre grandi spunti argomentativi, ponendo la regola come un assioma non dimostrato perché non bisognoso di dimostrazione. Premesso che si tratta di ordinanza dotata di

“portata di accertamento e pertanto decisoria”, l’Adunanza Plenaria afferma che essa “è suscettibile di divenire definitiva se non impugnata con i rimedi per essa previsti e tale definitività è equiparabile al giudicato, atteso che l’ordinanza inoppugnata non può essere ulteriormente contestata”.

A ben vedere, il fatto che l’ordinanza possa diventare inoppugnabile non è argomento a tenuta stagna e la categoria dei provvedimenti decisori senza accertamento lo dimostra. L’instabilità che comporta l’inattitudine al giudicato deriva non tanto (e non solo) dalla irrilevanza di rimedi impugnatori, quanto dal fatto che si tratta di provvedimenti a cui la legge non riconduce gli effetti (sostanziali) dell’art. 2909 c.c.: l’elemento differenziale non sta tanto (e solo) nell’inattitudine al giudicato formale, quanto nell’incapacità di produrre quello sostanziale19.

Sicché, pur restando la denuncia delle invalidità assoggettata a specifici mezzi di impugnazione (la consumazione dei quali “sana” tali vizi che non avranno altra sede per essere denunciati), è la contestazione della relativa “ingiustizia” (l’erronea decisione del caso concreto) a non subire l’effetto preclusivo delle impugnazioni (potendosi l’ingiustizia invocare in qualsiasi sede senza preclusioni processuali).

Si può allora dire che l’ordinanza di assegnazione è stabile perché è bene che sia così (nel pensiero del Consiglio di Stato), a prescindere da argomenti tecnico giuridici che non potrebbero valere più del loro contrario.

5. - Resta da chiedersi se la decisione del Consiglio di Stato (che riconosce il giudicato, oltre che la decisorietà) possa in qualche modo influire sulla granitica giurisprudenza di legittimità, ferma, di contro, nel negare stabilità all’ordinanza dell’art. 553 c.p.c.

La logica sottesa alla pronuncia in commento è comprensibile e condivisibile: per ammettere (come era opportuno ammettere) l’uso dell’ottemperanza in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione emessa nei confronti della P.A., unica strada possibile era riconoscere al provvedimento da eseguire l’attitudine al giudicato. Così impone da sempre la disciplina del giudizio di ottemperanza, e così conferma oggi il codice del processo amministrativo, laddove (art. 112 comma 3 lett. c) c.p.a.) lo ammette in attuazione non solo delle sentenze del giudice ordinario, ma anche dei “provvedimenti

18 Che un provvedimento a contenuto decisorio possa svincolarsi dalla forza dell’accertamento è risultato senz’altro realizzabile per legge (non avendo la stabilità del giudicato alcuna copertura costituzionale). Più complesso è capire se – in un ordinamento come il nostro in cui la forza del giudicato vive da sempre come protagonista – al medesimo risultato si possa giungere per via di interpretazione giurisprudenziale (vd. ancora Tiscini, I provvedimento decisori, cit., 72 ss.).

19 Cfr, si vis, Tiscini, I provvedimenti decisori senza accertamento, cit., 118 ss.

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ad esso equiparati”20. L’inattitudine al giudicato avrebbe a priori tolto spazio all’ottemperanza;

sicché, essendo ben possibile argomentare la stabilità del provvedimento (per le ragioni di cui si è detto) il passo è stato breve nel riconoscere tale stabilità alla decisione.

Ben diverso il contesto in cui opera il giudice ordinario. Qui non vi è alcun interesse concreto a dare la forza del giudicato all’ordinanza di assegnazione per favorirne l’eseguibilità nei confronti del terzo assegnato: all’uopo, basta ammettere - come fa la giurisprudenza da tempo - che il provvedimento costituisce titolo esecutivo per assicurare all’assegnatario ogni garanzia di tutela di fronte alla persistente inerzia dell’assegnato21.

Per questa ragione la Corte di cassazione (ma anche i giudici di merito) resistono a riconoscere stabilità all’ordinanza di assegnazione. E’ ormai innegabile che al momento di assegnare il credito il giudice disponga di poteri in qualche modo cognitivi (poteri che nascono dal basso, più che trovare conferma in un chiaro testo di legge). Tuttavia, ammettere che tali poteri siano accompagnati da decisioni potenzialmente definitive significa ammettere che nel corso dell’esecuzione siano esercitate funzioni decisorie al di fuori delle parentesi cognitive che il sistema esecutivo offre ex lege. Il che contraddice la tradizionale attitudine (meramente esecutiva) del giudice dell’esecuzione.

In altre parole, la ritrosia della giurisprudenza (e tanto più della dottrina) ad ammettere un giudicato non imposto per legge trova fondamento nel disegno astratto del processo esecutivo quale processo inidoneo ad accogliere attività cognitive. Il fatto è che la realtà concreta è ben lontana dal confermare questo disegno astratto.

6. - Veniamo ora alla seconda parte della motivazione (sub b, § 1), riassumibile nella questione circa l’utilizzabilità dell’ottemperanza avverso l’inerzia della P.A.

Un primo ostacolo a che ciò avvenga è agevolmente superato dall’Adunanza Plenaria. Attribuendo attitudine al giudicato all’ordinanza dell’art. 553 c.p.c., il Consiglio di Stato riconosce attuazione concreta alle modifiche normative che hanno interessato l’ambito di applicazione dell’ottemperanza con il passaggio al codice del processo amministrativo (e l’abbandono del vecchio testo dell’art. 27 r.d. n. 1054/1924). Come noto, il nuovo art. 112 cit. affianca alle sentenze passate in giudicato (la cui ottemperabilità non è mai stata discussa) l’uso del rimedio anche contro i “provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario”22. Logica della riforma è assicurare la massima estensione all’ottemperanza anche in contesti estranei all’ordinario giudizio di cognizione; in contesti cioè di pronunce rese nel corso di procedimenti speciali, la cui decisorietà e stabilità è comunque indiscussa23.

Né degna di particolare considerazione è la questione – che pure affronta incidentalmente la sentenza – circa l’utilizzabilità dell’ottemperanza per dare esecuzione ad un giudicato civile. Basta ripercorrere la genesi del giudizio di ottemperanza e negli anni la sua storia, per accorgersi come esso nasca proprio quale rimedio per ottenere coattivamente l’adempimento della P.A. a pronunce del giudice civile (costituendo l’ottemperanza al giudicato amministrativo un mero derivato di tale primigenia funzione)24.

Qualche considerazione in più (e finale) merita la questione della utilizzabilità dell’ottemperanza per dare esecuzione ad un provvedimento che già di per sé è conclusione di un processo esecutivo.

20 Sul punto amplius infra § successivo.

21 In effetti non è del tutto uguale riconoscere ad un atto efficacia di titolo esecutivo “stabile”, ovvero “instabile”, perché ciò incide sulla “forza di resistenza” del titolo in sede esecutiva. Sul punto sia consentito rinviare a Tiscini, Considerazioni, cit., § 10.

22 Sull’art. 112 c.p.a., vd. delle Donne, L’esecuzione forzata nei confronti della Pubblica amministrazione alla luce del Codice del processo amministrativo e del primo decreto correttivo, in Riv. esec. forz., 2011, § 2, in corso di pubblicazione; Lopilato, Commento all’art. 112, in Il processo amministrativo. Commentario al d.lgs. n. 104/2010, Milano, 2011, 880; Numerico, Introduzione, ivi, 867; Amedeo, Commento all’art. 112, in Codice del nuovo processo amministrativo, Roma, 2010, 960.

23 Plaude a questa soluzione Storto, E’ ottemperabile, cit.

24 Per tutti, Sassani, Dal controllo del potere all’attuazione del rapporto, Milano, 1997, 203.

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Si tratterebbe in altri termini di un “giudizio di ottemperanza come esecuzione dell’esecuzione”, cioè come giudizio di esecuzione ulteriore di un’altra procedura esecutiva che, in quanto definita, non ha più bisogno di alcun provvedimento giurisdizionale25.

Sul punto, argomenta il Consiglio di Stato affermando che “se è vero che l’ordinanza di assegnazione del credito conclude la procedura esecutiva, non è tuttavia dimostrato che tale procedura, in quanto definita, non abbia più bisogno di altro provvedimento giurisdizionale, atteso che le esigenze di pienezza ed effettività della tutela postulano, al contrario, la individuazione di rimedi efficaci quando la pubblica amministrazione, nonostante l’ordine di esecuzione del credito, resti ancora inerte”. Pienamente condivisibile la conclusione: ragioni di effettività della tutela impongono di accedere all’ottemperanza per coartare una P.A. inerte di fronte all’ordine del giudice26. Qualche precisazione intorno alla motivazione.

A ben guardare, nel momento in cui viene posto ad esecuzione (eventualmente in ottemperanza), il provvedimento dell’art. 553 c.p.c. non va considerato come “ultimo atto dell’esecuzione” (quella presso terzi), ma come titolo esecutivo in sé e per sé, a prescindere dalle forme esecutive di cui sia conclusione. Il volo pindarico compiuto dalla giurisprudenza di legittimità nel riconoscere efficacia di titolo esecutivo all’ordinanza di assegnazione sta proprio in questo: aver imposto un titolo esecutivo laddove la legge non lo prevede27, allo scopo (comprensibile, condivisibile e dunque

“opportuno”28) di porre nelle mani dell’assegnatario uno strumento per potersi ugualmente soddisfare nei confronti del terzo inadempiente. Ora, nel contesto civile (quando il terzo è un privato cittadino) unica via per conseguire questo scopo è l’inizio di una nuova e diversa esecuzione forzata (diretta) nei confronti del terzo. Quando il terzo è invece una P.A. vi è uno strumento in più di cui si può giovare l’assegnatario e che deriva dalla natura “pubblicistica” dell’obbligato (l’ottemperanza).

Non si tratta però di una seconda esecuzione da inserire su una esecuzione già in corso (non è almeno questa la prospettiva con cui guardare alla questione), né di uno strumento esecutivo per assicurare la prosecuzione dell’esecuzione nei confronti della P.A. Si tratta (più semplicemente) di utilizzare l’ottemperanza ponendo in esecuzione un titolo: l’ordinanza di assegnazione, da guardare sotto questo profilo, come (nuovo e diverso) titolo esecutivo piuttosto che come ultimo atto dell’espropriazione presso terzi.

25 Queste obiezioni sono di Tar Campania-Napoli, 10 ottobre 2008, n. 14692 cit.; Tar Campania – Napoli, 13 novembre 2009, n. 7373; Tar Lazio Roma, 8 luglio 2009, n. 6667, cit.

26 Conf. Storto, E’ ottemperabile, cit.

27 Con buona pace del principio di tipicità dei titoli esecutivi.

28 Così Vaccarella, voce Espropriazione, cit., 108.

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