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La norma ISO 22000:2005 in Italia e nel mondo 5.1

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CAPITOLO 5

La norma ISO 22000:2005 in Italia e nel mondo

5.1

Il contesto italiano

Più di 4 milioni di famiglie italiane dubitano della reale qualità dei prodotti alimentari acquistati abitualmente; si tratta del 16% delle famiglie, che sempre più spesso si pongono domande sulla qualità dei prodotti al momento dell’acquisto. Il restante 84% si suddivide in un 53% che nutre perplessità solamente per alcune categorie di prodotti e un 31% che si dice pienamente sicuro di ciò che consuma.

È questo il quadro generale che emerge dall'indagine effettuata nel 2013 su un campione di 1200 famiglie dal Centro Studi Investimenti Sociali (CENSIS) in collaborazione con ACCREDIA, l'ente nazionale di accreditamento – legittimato dal Governo il 22 dicembre 2009 – nato come associazione senza scopo di lucro dalla fusione di SINAL (Sistema Nazionale per l'Accreditamento dei Laboratori) e

SINCERT (Sistema Nazionale per l'Accreditamento degli Organismi di

Certificazione); compito di ACCREDIA è attestare che gli organismi di certificazione ed ispezione e i laboratori di prova e quelli di taratura abbiano le competenze per valutare la conformità dei prodotti, dei processi e dei sistemi agli standard di riferimento. Esso opera sotto la vigilanza del Ministero dello Sviluppo Economico e la sua autorevolezza è fuori discussione, dato l'importante servizio di pubblico interesse orientato alla qualificazione dei prodotti e dei servizi che circolano su tutti i mercati. Con ACCREDIA l'Italia si è adeguata al Regolamento Ce n. 765/2008, volto a fornire il quadro per una comune gestione delle infrastrutture d'accreditamento dell'intera UE, a garantire il controllo di tutti gli organismi europei di valutazione della conformità, ad assicurare la vigilanza dei prodotti e degli operatori economici presenti sul mercato comunitario e – in ultima analisi – a migliorare la circolazione delle merci tra i Paesi membri.

ACCREDIA opera in conformità agli standard internazionali della serie ISO 17000 e alle guide e alla serie armonizzata delle norme europee EN 45000, e la sua attività si articola in quattro dipartimenti:

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• Laboratori di prova;

• Laboratori di prova per la sicurezza degli alimenti;

• Laboratori di taratura.

In un Paese dove i controlli sono tra i più rigorosi d'Europa (e quindi del mondo!) e dove l'agroalimentare – con un fatturato di 130 miliardi di euro l'anno – rappresenta la seconda industria dopo il settore metalmeccanico, tanta sfiducia appare contraddittoria, d'altra parte solo nel 2013 più di 7 milioni di famiglie si sono trovate nella propria spesa almeno un prodotto confezionato avariato; il 17% delle famiglie ha smesso di acquistare diverse categorie di latticini, quasi il 10% non compera più alcune tipologie di frutta e verdura, e il 7% evita determinati prodotti da forno per il timore che siano preparati con ingredienti poco sani o con farine di dubbia provenienza.

Nei confronti dei prodotti provenienti dall’estero, la diffidenza sale ulteriormente: quasi il 40% delle famiglie contattate ha infatti affermato di evitare l’acquisto di alcuni prodotti in scatola importati.

È innegabile che il susseguirsi di episodi di cronaca sul ritiro di merci avariate, adulterate o contraffatte, accresca lo scetticismo, il quale arriva a sfociare perfino nei riguardi di alimenti a regime regolamentato, se è vero che il 16% dei consumatori italiani di ortofrutta biologica non crede che essa sia stata prodotta seguendo rigorosamente i dettami della normativa europea, analogamente al 12,2% di chi acquista prodotti DOP o IGP; per di più, tale scetticismo ha andamento trasversale, e abbraccia tutti gli attori della filiera fino al commercio al dettaglio: più del 25% di chi abitualmente fa la spesa negli hard discount (discount a dimensioni più contenute che non vendono prodotti di marca) vi ritiene possibile la presenza di prodotti di non buona qualità o mal conservati, il 22% esprime questa opinione nei confronti dei venditori ambulanti, il 17,2% nei confronti dei prodotti acquistati presso un mercato rionale, il 14,1% nei confronti dei supermercati tradizionali.

Eppure, come già sottolineato, in Italia i controlli funzionano: nel 2012, l'attività d'ispezione svolta dai carabinieri del NAS ha portato al sequestro di 20 mila tonnellate di derrate contraffatte, soprattutto pasta e farine (16%), seguite dalla carne (11%), latte e latticini (8%), vini e alcolici in genere (5%); nel mese di Settembre

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2013, nel Mezzogiorno si sono riscontrate irregolarità per un totale di 280 tonnellate di prodotti agroalimentari in cattivo stato di conservazione o prive dei dovuti requisiti igienici o della obbligatoria documentazione per la rintracciabilità, mentre – sempre nel mese di Settembre – nella sola città di Forlì sono venute a galla 30 tonnellate di cibo avariato.

Numeri che danno la cifra dell'impegno costante e serrato dei nostri organi di vigilanza, ma che d'altronde non placano le ansie di quei consumatori che, guardando al bicchiere mezzo vuoto, si chiedono quanta merce “non sicura” riesca a passare tra le maglie dei controlli, e che vanno a costituire quel 70% del campione intervistato che ha poca o nessuna fiducia sulla loro reale efficacia.

Al di là dei dati, dall'inchiesta congiunta ACCREDIA-CENSIS emergono tre solidi spunti di riflessione:

• si rivela estremamente ampio il numero di consumatori influenzabili o influenzati dalle notizie concernenti casi di sofisticazione o di frode alimentare.

• cresce l’idea che chi acquista prodotti alimentari deve essere consapevole di ciò che consuma; oltre 18 milioni di consumatori italiani vogliono essere messi in grado di capire quale sia la provenienza dei prodotti acquistati e cercano di leggere attentamente le etichette e di selezionare in base agli ingredienti presenti nei prodotti confezionati;

• per contro, risulta piuttosto basso il livello di conoscenza del sistema di allerta e del sistema dei controlli che le Autorità pubbliche attualmente mettono in campo per garantire elevati livelli di sicurezza.

A corollario, seguono i principali fattori sui quali si orientano le scelte del cittadino-consumatore italiano:

• la trasparenza e la leggibilità delle informazioni in materia di igiene dei prodotti e sul rispetto delle norme di sicurezza; poter capire con esattezza e semplicità se, ad esempio, su un prodotto vegetale sono stati utilizzati anticrittogamici o essere certi che i controlli di routine sono stati effettuati, vale molto di più di pubblicità accattivanti, di offerte o di prezzi scontati, che al contrario non possono che contribuire a suscitare ulteriore diffidenza;

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• sapere che si tratta di un prodotto tipico, con uno specifico legame con uno dei territori italiani, preparato secondo processi specifici che rendono unico l'alimento.

Una prima risposta consiste nell'intensificare la comunicazione circa le campagne di controllo sugli alimenti effettuati dai Ministeri competenti e i risultati raggiunti, grazie anche alle attività svolte dalla fitta rete di laboratori per l’autocontrollo alimentare che operano con marchio ACCREDIA, e dai molteplici organismi di certificazione chiamati a verificare la corretta implementazione dei sistemi di gestione per la qualità e dei disciplinari di prodotto presenti nel settore agroindustriale.

Come in altri Paesi europei, anche in Italia la sicurezza alimentare poggia su quattro pilastri, diversi per finalità, per contenuti ed anche per gli attori coinvolti, ma tutti ugualmente determinati (e determinanti) al suo mantenimento su livelli elevati:

• i sistemi ispettivi, di controllo e di contrasto alle sofisticazioni e contraffazioni che fanno riferimento sia al Ministero della Salute che al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali;

• le certificazioni d’origine (DOP, IGP, STG) che, imponendo disciplinari di comportamento e standard qualitativi elevati, spingono al rispetto di norme precise;

• una rete fitta e complessa di laboratori di prova accreditati, oggi attivi, in particolare, nell’ambito dell’autocontrollo alimentare;

• l’azione di organismi di certificazione abilitati a certificare la corretta adozione e implementazione, da parte delle aziende, di sistemi per la gestione della qualità e della sicurezza dei prodotti alimentari, sia in ambito regolamentato (Produzione Biologica, DOP, IGP, DOCG), che in ambito volontario (GLOBALGAP, BRC, IFS).

5.2 La norma ISO 22000:2005 in Italia

Il dato sulla diffusione in Italia della ISO 22000:2005 fotografa un leggero predominio del Nord, seguito da una sostanziale parità fra Centro e Sud Italia, e da ultimo le isole fra le quali, se la Sicilia arriva a metà della media nazionale pari a 24 certificazioni per regione, la Sardegna registra 2 sole certificazioni.

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L'area col più alto tasso di certificazioni rilasciate è senz'altro il Nord Est, caratterizzato peraltro dalla situazione assai anomala di 2 regioni ultra virtuose quali Emilia Romagna – prima in Italia con 75 certificazioni – e Veneto (quarta con 62), e Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige con 1 sola certificazione ciascuna, e ultime in graduatoria insieme a Basilicata, Molise e Valle d'Aosta.

Non dissimile è la situazione al Nord Ovest, dove a fronte di Lombardia e Piemonte – che occupano il 3° e il 6° posto del ranking nazionale, con 67 e 55 certificazioni rispettivamente – si trovano la Liguria con 8 e la già citata Valle d'Aosta. Scendendo verso il Centro, attira l'attenzione la regione Lazio che, con le sue 73 organizzazioni certificate occupa la prima posizione dietro alle spalle dell'Emilia Romagna delle regioni col più alto numero di certificazioni, e stacca di gran lunga la Toscana con 19, le Marche con 8 e l'Umbria con 3; è importante sottolineare fin da ora che tale cospicuo numero è formato soprattutto dai 41 siti produttivi del colosso della ristorazione collettiva Bioristoro Italia S.r.l. – sita a Roma nei pressi del quartiere Ardeatino – che ricopre ogni branca del settore, dalla refezione scolastica a quella sanitaria, dalla ristorazione aziendale a quella militare.

Scendendo ancora più a Sud, spicca la regione Campania che con 60 aziende certificate, si piazza al 5° posto della graduatori a, e che assieme alla Puglia con 23 e alla Calabria con 10, “tira il carro” del trend certificativo del Mezzogiorno; per la Campania – anche se in misura più contenuta – vale lo stesso inciso fatto per il Lazio: delle 60 aziende certificate, 13 sono stabilimenti della compagnia Mediterranean Shipping Company S.r.l. con sede a Sorrento; trattasi di una compagnia privata di linee cargo a livello mondiale, tra le cui attività rientra anche quella oggetto di certificazione ovvero la gestione di processi ausiliari e di supporto all'erogazione di servizi di catering a bordo di navi da crociera.

A tal proposito, riguardo alla grande impresa alimentare certificata ISO 22000 che opera con molteplici realtà produttive, è giusto fare menzione di almeno altre 2 aziende le quali, a differenza di Bioristoro e MSC, sono presenti in più regioni: IVS Italia S.p.a e CIR FOOD S.C.; la prima è il gruppo leader in Italia, per fatturato e copertura del territorio, di distributori di bevande calde e fredde e alimenti confezionati a t° ambiente o congelati, la seconda è una cooperativa adibita alla preparazione, confezionamento e trasporto di pasti per scuole, aziende private e

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aziende sanitarie; stando ai dati di ACCREDIA, IVS si fregia della certificazione ISO 22000 per 33 siti produttivi sparsi in Lombardia (11), Lazio (4), Piemonte, Toscana, Emilia Romagna, Puglia (3), Veneto e Sardegna (2), Liguria e Campania (1) e per 2 siti produttivi a nome IVS Sicilia, mentre – in dimensioni assai più ridotte – CIR FOOD opera con 6 stabilimenti certificati sparsi in Emilia Romagna (2), Toscana (2), Lazio (1), Abruzzo (1) oltre ad essere presente in altre regioni con siti produttivi evidentemente non certificati.

Spostando l'attenzione sui dati relativi all'anno di rilascio della certificazione, ad una prima analisi si osserva un andamento privo di particolari moti di tendenza, nel quale le certificazioni compaiono nelle varie regioni secondo leggi che hanno essenzialmente a che fare con la risultanza tra quelle che sono gli obiettivi strategici di marketing di ogni singola realtà produttiva e le sue concrete possibilità; a ben guardare tuttavia, si nota un aspetto significativo che ad una prima lettura può sfuggire ma che si rivela (e si è rivelato) determinante per l'espansione della Norma: il numero delle certificazioni rilasciate prima del 2010 è minore del numero di quelle rilasciate dopo, e questo in tutte le Macroaree. In altri termini, dal 2010 la diffusione della norma ISO 22000:2005 ha subìto una spinta, ma data da chi o da cosa?

A dispetto degli entusiasmi che avevano accompagnato la sua pubblicazione, nei primi anni la ISO 22000 ha trovato riscontri assai al di sotto delle aspettative, e questo – molto sinteticamente – a causa di un solo motivo: un po' ovunque l'industria alimentare, inizialmente interessata alla Norma, si è trovata ben presto a fare i conti con la sua genericità in merito ai PRP, citati ma non specificati.

In effetti, lo Standard lascia mano libera alla singola azienda implementante di decidere quali e quanti prerequisiti analizzare; da qui, l'impossibilità di uniformarli in prerequisiti standard (e quindi adattabili sempre e per qualsiasi organizzazione) in linea con le Buone Pratiche di Lavorazione (GMP) e con le Buone Pratiche Igieniche (GHP). Lo stesso GFSI, nella sua gap analysis riconosceva l'organica funzionalità del SGSA proposto dalla ISO 22000, una funzionalità, tuttavia, condizionata dalla mancanza di omogeneità tra gli attori della filiera a riconoscere i reciproci PRP.

La carenza è stata colmata il 15 Dicembre 2009, con la pubblicazione della norma ISO 22002-1:2009 – “Prerequisite programmes on food safety – Part 1: Food manufacturing” già citata nel precedente capitolo, la specifica tecnica (elaborata dal

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sottocomitato tecnico ISO/TC 34 “Food products SC 17 Management systems for food safety”) che, in termini di PRP, integrando la ISO 22000:2005 per gli aspetti trasversali all’attività produttiva di ogni organizzazione della fiiliera (infrastrutturali, di pulizia e di sanificazione), ha eliminato molti ostacoli tecnici all'affermazione dello Standard.

A fini meramente statistici è interessante l'analisi dei dati sulla diffusione della ISO 22000:2005 in italia relativa agli Organismi di Certificazione coinvolti e al numero di certificazioni rilasciate da ognuno di essi fin dal 2006.

Con 168 riconoscimenti rilasciati, CSQA è l'ente primo in Italia, seguito da Bureau Veritas con 147; solo questi due insieme rappresentano il 64.7% dell'intero volume di certificazioni rilasciate in Italia, tant'è che Certiquality si aggiudica il terzo gradino del podio con 53 certificati emessi.

Se si escludono le 46 certificazioni presenti nel Lazio – 41 delle quali rigurdano tutti e 41 i siti produttivi di Biorostoro – la regione con la maggior concentrazione di certificazioni CSQA è il Veneto, e ciò non colpisce dal momento che Vicenza è la sede principale dell'azienda, un'azienda peraltro presente anche in Polonia, Croazia, Turchia e Inghilterra. La competenza di CSQA nel settore food è totale, essendo accreditato al rilascio di certificazioni per la sicurezza e la qualità alimentare, l'export, il food packaging, la tracciabilità, la sostenibilità ambientale nelle produzioni alimentari e i materiali a contatto con alimenti.

Con la sede generale a Neuilly-sur-Seine in Francia, Bureau Veritas è uno degli organismi di certificazione leader nel mondo con uffici sparsi in 140 Paesi; in Italia le sedi principali sono a Milano, dove si trova la sede centrale, e poi Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Augusta. Bureau Veritas Certification, in particolare, è la divisione che si occupa dei servizi legati alla certificazione e opera per più di 80000 aziende sparse sui cinque continenti; la sua autorevolezza è acclarata in tutto il mondo e in Italia ne sono la riprova il 30% delle imprese agroindustriali che l'hanno scelta come ente di certificazione a cui sottoporre il giudizio sul proprio operato.

L'ultimo parametro preso a riferimento nell'analisi della presenza in Italia della ISO 22000:2005, è quello che mette a confronto le differenti tipologie di organizzazioni certificate.

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Per cominciare, è interessante notare lo scarso interesse a certificarsi da parte della produzione primaria animale, e ancor meno di quella vegetale; analogamente, all'altro capo della filiera, trasporti e logistica sono certificati in sole 2 aziende, lo 0,4% del totale, e stando ad ACCREDIA non risulta certificata alcuna azienda dedita alla fabbricazione di macchinari e/o apparecchiature per l'industria alimentare e zootecnica. Piuttosto – volendo rimanere in un ambito non strettamente legato alla produzione alimentare – risultano certificate 16 aziende finalizzate alla fabbricazione di prodotti chimici e biologici e 10 aziende deputate alla produzione di materiale da imballaggi destinato al contatto con alimenti; delle prime, 12 operano nel Nord Ovest (7 in Lombardia e 5 in Piemonte), una si trova in Emilia Romagna, una nel Lazio e 2 in Toscana; delle seconde, 5 sono in Lombardia, 2 si trovano in Veneto, una in Piemonte, Emilia Romagna e Campania.

Naturalmente, trovano assai più larga diffusione le certificazioni rilasciate a quelle aziende che sono direttamente coinvolte nelle fasi di produzione, soprattutto di prodotti freschi di origine animale (categoria C); anche qui “la parte del leone” la fa il Nord, e in particolar modo, il Nord Est con ben 47 organizzazioni che vanno a costituire il 34% di tutte le certificazioni della Macroarea: Trentino e Friuli Venezia Giulia non pervenuti ma Emilia Romagna con 37 e Veneto con 10, sono il riflesso dell'intensa attività agrozootecnica della pianura Padana di cui le due regioni (Emilia Romagna soprattutto) fanno parte. La Macroarea nordoccidentale vede la prevalenza del Piemonte con 11 aziende, seguito dalla Lombardia con 4 e Valle d'Aosta con 1.

Al Centro la situazione cambia radicalmente, con sole 4 imprese dedite alla produzione di alimenti freschi d'origine animale certificate, a malapena il 4%; di poco migliore la situazione al Sud, dove con 9 aziende di categoria C certificate, si raggiunge all'incirca il 9% del totale per area di riferimento. Molto più autorevole in tal senso il 23% delle Isole, raggiunto grazie alle uniche due certificazioni della Sardegna sulle 13 totali.

Per quel che riguarda la Macroarea del Centro, apparentemente più preponderante risulta la presenza di certificazioni che rientrano in quella che, non a caso, è la categoria col più alto numero di certificazioni rilasciate in Italia – la G – che ingloba tutte quelle aziende che si occupano di servizi di catering e gastronomia: ben 67 nel solo Centro, delle quali una si trova in Umbria, 9 in Toscana e 53 nel Lazio; in

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realtà il dato del Lazio è – se così si può dire – “falsato” dai 41 siti produttivi di Bioristoro, ma ai fini statistici, esso è indiscutibile.

Dove di sicuro non c'è niente di falsato è al Nord, che con le sue 70 organizzazioni certificate, ribadisce il proprio predominio anche nella categoria G; equamente distribuite in 35 aziende nell'area Nord Ovest e 35 nell'area Nord Est, si contano 18 organizzazioni in Lombardia, seguita dal Piemonte con 11 e dalla Liguria con 6, mentre nel versante orientale primeggia il Veneto con 24 che stacca l'Emilia Romagna – in questo caso in leggera flessione rispetto al solito – a sole 9 aziende. Rientrano nella categoria G anche le uniche certificazioni rilasciate a Trentino e Friuli.

Da ultimo il Sud, al quale – volendo accreditare una sola certificazione a Bioristoro – spetta il primato tra le Macroaree col più alto tasso di certificazioni ad aziende di categoria G, con 37 riconoscimenti, 22 dei quali nella sola Campania, seguita dalla Calabria con 4 e dalla Puglia con 3.

Un'altra categoria per la quale 95 aziende italiane risultano essere certificate ISO 22000 è la E, la categoria della quale fanno parte tutte le organizzazioni coinvolte nella produzione di alimenti a lunga conservazione; fra le categorie di più larga diffusione, la E rappresenta quella con la distribuzione più omogenea su tutta la penisola con 27 aziende nel Nord Ovest, 24 nel Nord Est, 14 nel Centro, 27 nel Sud e 3 nelle Isole. In particolare, 16 sono site in Piemonte e 11 in Lombardia, 13 in Emilia Romagna e 11 nel Veneto, dati questi che confermano tendenze ormai già riscontrate nei precedenti campi d'indagine, ossia che la fetta più grossa dell'intero settore agroalimentare del Nord Italia è in mano a queste 4 regioni; nel Centro Italia, la situazione vede una quasi parità tra Lazio in cui risiedono 7 organizzazioni di categoria E e Toscana con 5, seguite da Marche e Umbria con una sola azienda ciascuna, mentre nel Sud è di nuovo la Campania tirare a il carro con 13 aziende e la Puglia con 12, seguite dall'Abruzzo con 2.

La regione insulare risponde con le 3 certificazioni della Sicilia.

La Categoria H comprende tutte le organizzazioni finalizzate alla distribuzione e commercializzazione di prodotti alimentari; si ricordano a tal proposito i 33 siti produttivi di IVS Italia sparpagliati su tutto il territorio e i 2 di IVS Sicilia che rendono ragione del 64% del totale di certificazioni rilasciate in questa categoria.

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5.3 La norma ISO 22000:2005 nel mondo

I dati forniti da “The ISO Survey of Certifications” sulla diffusione internazionale della ISO 22000 testimoniano che, alla fine di Dicembre 2010, risultano certificate 18630 organizzazioni in 138 Paesi, ossia un aumento di 14498 unità rispetto al 2007, quando erano state rilasciate 4132 certificazioni in 93 Paesi; un'impennata formidabile, alla media di 322 riconoscimenti per ogni Paese newcomer in tre anni.

Capofila tra i Paesi è l'Estremo Oriente dove – a fronte di 22 Paesi in cui lo Standard è implementato – sono ben 8263 le aziende certificate; Cina, India e Giappone occupano rispettivamente il primo, il quarto e l'ottavo posto nella graduatoria dei primi 10 Paesi col maggior numero di certificazioni.

Davvero impressionanti i numeri della Cina che con le sue 5575 organizzazione certificate IS0 22000 (seguita dalla Grecia, con “sole” 1197) copre da sola il 67,5% del totale dell'Estremo Oriente e il 30% del totale mondiale, e che (dato ancor più impressionante) soltanto nel 2010 ha visto salire il numero di tali organizzazioni di ulteriori 2233 unità; per inciso, nella graduatoria dei primi 10 Paesi per incremento annuo di certificazioni del 2010, il Giappone è secondo con 265, poco più del 10% del totale cinese.

Trattandosi di Paesi che attualmente rivestono il ruolo di “motori” dell'economia globale, è lecito supporre che il forte sviluppo economico che li contraddistingue, sia al contempo causa ed effetto della massiccia diffusione dei più svariati standard volontari, visti sostanzialmente come lasciapassare per invadere i mercati occidentali con i propri prodotti competitivi, e da tali standard non sono certo esclusi quelli agroalimentari.

Alle spalle dell'Estremo Oriente, si trova l'Unione Europea con 7083 certificazioni; entrambe le Macroaree, da sole, costituiscono l'82,4% di tutte le certificazioni ISO 22000 del mondo.

Nel vecchio continente, com'è noto, la situazione economica è ben diversa, con più di un Paese – soprattutto dell'area mediterranea – sull'orlo di una paurosa recessione; eppure, stando ai dati dell'ISO Survey OF Certifications, proprio da Paesi come Grecia, Italia e Spagna arrivano segnali incoraggianti circa l'espansione dello Standard: oltre alla già citata Grecia, gli altri due Paesi membri si trovano, difatti, nelle graduatoria dei primi 10 Paesi per incremento annuo della ISO 22000 al settimo

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e ottavo posto con, rispettivamente, 103 e 95 certificazioni rilasciate.

Sebbene attanagliata da una crisi che impone forti regimi di austerità a più di un suo Paese membro, l'UE è pur sempre il maggior produttore di derrate agroalimentari del mondo, e l'ascesa costante sia del numero di certificazioni che di Paesi membri che implementano lo Standard, sono la prova tangibile di quanto essa tenga alla all'affermazione della loro qualità in tutto il mondo, qualità per la quale la sicurezza assicurata dalla ISO 22000 è il necessario prerequisito.

Di fronte a quelli dell'Estremo Oriente e dell'Europa, colpiscono i dati in controtendenza sulla diffusione della ISO 22000 in Paesi quali il Nord America e l'Oceania dove, d'altra parte, il forte potere contrattuale di grandi catene a marchio proprio come Walmart e Foodland, sposta l'interesse verso certificazioni solitamente più diffuse presso la GDO come lo standard BRC.

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