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Capitolo 4 Modello strutturale

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Academic year: 2021

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Capitolo 4

Modello strutturale

4.1 Premessa

La modellazione strutturale è il complesso di operazioni che permettono di trasformare il problema fisico reale in un problema matematico, la cui risoluzione consente di avere informazioni sul comportamento reale della struttura. Il risultato della modellazione è la definizione di uno schema strutturale che semplifica la complessità della struttura reale. La definizione di uno schema appropriato, che sia al tempo stesso abbastanza semplice da essere agevolmente calcolabile e sufficientemente complesso da mettere in conto l'effetto delle variabili più importanti, è un altro problema cruciale dell’analisi strutturale, poiché da tale definizione dipende, più ancora che l'esattezza numerica dell'analisi, l'attendibilità dei risultati.

Per determinare la capacità ultima della struttura è necessario considerare tutti gli aspetti che caratterizzano il comportamento non lineare di questa.

I fenomeni che contribuiscono al comportamento globalmente non lineare di una struttura sono di due tipi:

 Non linearità geometrica dovuta a grandi rotazioni/spostamenti ed effetti del secondo ordine. Questa entra in gioco quando la risposta sismica della struttura porta al raggiungimento di livelli di spostamento molto elevati (figura 1), i quali non variano più in modo proporzionale ai carichi, rendendo non più valida l’ipotesi della teoria dell’ elasticità lineare secondo la quale è possibile, in un processo de formativo, confondere configurazione iniziale e finale;

(2)

 Non linearità di materiale dovuta a deformazioni irreversibili, comportamento ciclico, formazioni delle fessure, ecc. (figura 2) Questa viene introdotta quando la risposta sismica della struttura porta i suoi materiali costituenti a superare i limiti di comportamento elastico.

Figura 1: Esempio di non linearità geometriche

Figura 2: Esempio di non linearità del materiale

Il modello di calcolo utilizzato nell’analisi è stato generato e calcolato utilizzando il software di cacolo Midas Gen.

4.2 Modello meccanico delle murature portanti

La muratura è un materiale composito ottenuto mediante l’unione di due materiali, dei quali di solito uno molto resistente (pietre naturali, mattoni, blocchi artificiali) e da un secondo materiale di solito meno resistente (malte di calce idraulica, malta cementizia, ecc.). La malta ha la funzione di riempire i vuoti tra gli elementi lapidei

(3)

e di collegamento degli stessi, al fine di realizzare un sistema unico compatto e ridistribuire le tensioni trasmesse dall’elemento più resistente.

Le caratteristiche comportamentali di tale materiale possono essere così riassunte:  Disomogeneità: questo è dovuto principalmente al fatto che nella muratura

esistono materiale di diversa natura e comportamento, come malta e blocco;  Anisotropia: questa è legata alla direzionalità intrinseca di tale materiale

(forma e dimensione degli elementi, presenza dei fori nei blocchi e loro disposizione, giunti orizzontali continui e verticali interrotti;

 Non linearità del legame sforzi deformazioni.

Anche se la muratura è un materiale tradizionale usato fin dai tempi più antichi, il suo comportamento è molto complesso ed influenzato da molti fattori. In passato il calcolo delle strutture in murature veniva effettuato attraverso la teoria elastica, considerando moduli elastici e tensioni di rottura piuttosto arbitrari. Tale modo di procedere, a volte, può restituire dei risultati sbagliati e fuorvianti.

In questo studio verrà utilizzata una procedura di calcolo dello stato tensionale, all’interno della muratura, che utilizza una tecnica di omogeneizzazione. In pratica attraverso le caratteristiche geometriche e meccaniche dei componenti della muratura, siamo in grado di risalire ad un solido omogeneo anisotropo. Trovato, in questo, lo stato tensionale relativo ad una generica condizione di carico e vincolo siamo in grado, attraverso un procedimento inverso, di ricavarci lo stato tensionale all’interno dei giunti di malta e dei blocchi.

Le basi teoriche del modello utilizzato per la muratura sono quelle descritte nella teoria di J.S. Lee, G. N. Pande e J. Middleton.

4.2.1 Solido elastico equivalente ortotropo

La muratura ha un comportamento fortemente anisotropo a causa di notevoli fattori tra cui la forma e la dimensione degli elementi, presenza di fori nei blocchi e loro disposizione e la presenza di giunti orizzontali continui e verticali discontinui.

(4)

Per poter affrontare uno studio analitico per il calcolo dello stato tensionale è opportuno apportare delle semplificazioni. Queste si hanno considerando, nello studio delle murature, un materiale omogeneo equivalente ortotropo che riassume in se le proprietà elastiche del pannello murario (modello stacked brick-mortar).

Le proprietà elastiche del materiale equivalente verranno determinate a partire dai valori delle caratteristiche meccaniche e geometriche dei materiali costituenti la muratura. In particolare utilizzando i moduli di elasticità di malta e blocco, i relativi spessori e le dimensioni del blocco.

Le ipotesi alla base di questo metodo sono due:  Perfetta aderenza tra malta e blocco;  Giunti di malta verticali continui.

Come si vedrà in seguito il fatto di considerare i giunti continui non influisce sui risultati finali.

4.2.1.1 Proprietà equivalenti del modello

stacked brick-mortar

con

giunti orizzontali

Consideriamo un sistema (figura 3) costituito da strati alternati di materiale omogeneo isotropo di spessore rispettivamente t1 e t2, paralleli tra di loro e perpendicolari all’asse z (stacked brick-mortar).

(5)

Gli spessori relativi si ricavano dalle seguenti relazioni: 2 1 1 ' 1 t t t p + = 2 1 2 ' 2 t t t p + = (1)

Le relazioni sforzo-deformazione che caratterizzano gli strati sono:

(

)

(

)

(

)

                   = = = + − − = − + − = − − = i yzi yzi i xzi xzi i xyi xyi z yi xi i zi zi yi xi i yi zi yi xi i xi G G G E E E τ γ τ γ τ γ σ νσ νσ ε νσ σ νσ ε νσ νσ σ ε 1 1 1 (2)

nelle quali l’indice i può assumere il valore di 1, se riferito ai mattoni, 2 se riferito ai giunti di malta.

Dal solido visto prima possiamo estrarre un volumetto e per questo definire una tensione e deformazione media, riferita al solido equivalente avente stesse dimensioni geometriche, attraverso le seguenti relazioni:

Σ = i V xi x dV V σ σ_ 1 (3a)

Σ = i V xi x dV V ε ε_ 1 (3b)

dove Vi rappresenta il volume del generico volumetto e V il volume del solido

equivalente.

L’energia di deformazione elastica del generico volume che compone il corpo reale è:

(

)

+ + + + +

Σ

= dV

U xi xi yi yi zi zi xyi xyi xzi xzi yzi yzi i

re σ ε σ ε σ ε τ γ τ γ τ γ

2 1

(6)

Mentre l’energia di deformazione del solido equivalente è:

      + + + + + = dV Ue x x y y z z xy xy xz xz yz yz _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ 2 1 σ ε σ ε σ ε τ γ τ γ τ γ (5)

Allora per definizione, affinché i due corpi siano equivalenti devono avere la stessa energia di deformazione:

e re U

U = (6)

Introducendo quantità ausiliarie di tensioni (Axi,Ayi,Axyi) e di deformazione

(ezi,exzi,eyzi), le componenti di tensione e di deformazione per il corpo reale

diventano:               = = + = = + = + = _ _ _ _ _ _ yz yzi xz xzi xyi xy xyi z zi yi y yi xi x xi A A A τ τ τ τ τ τ σ σ σ σ σ σ (7)               + = + = = + = = = yzi yz yzi xzi xz xzi xy xyi zi z zi y yi x xi e e e _ _ _ _ _ _ γ γ γ γ γ γ ε ε ε ε ε ε (8)

Combinando le equazioni (7), (8) e (3) e considerando che Σpi' =1si ha:

0 ' = ΣpiAxi 0 ' = ΣpiAyi 0 ' = ΣpiAxyi (9a) 0 ' = Σpiezi 0 ' = Σpiexzi 0 ' = Σpieyzi (9b)

(7)

Con queste si è dimostrato, in accordo con le relazioni (4), (5), (7), ed (8), che

e re U

U = per cui per il modello stacked brick-mortar valgono le seguenti relazioni:

(10)

4.2.1.2 Proprietà equivalenti del modello

stacked brick-mortar

con

giunti orizzontali e verticali

Nel paragrafo precedente abbiamo determinato le proprietà elastiche equivalenti di un modello composto da strati orizzontali alterni paralleli di materiale omogeneo ed isotropo. Di seguito, invece determineremo le proprietà equivalenti di un sistema stacked brick mortar composto da due ordini di giunti di malta, verticali ed orizzontali.

( )

( )

( )

                         = = − +       − − = − − = − − = − − =

i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i i G p G G p G E E p E E p E E p E p E p ' ' 2 ' ' 1 1 ' 1 2 ' 2 2 ' ' 2 2 ' 2 ' 1 ' 1 ' ' 1 ' 2 2 ' 2 ' ' 1 1 1 2 1 2 1 1 1 1 1 1 1 1 ν ν ν ν ν ν ν ν ν ν ν ν ν

(8)

Figura 4: Sistema stacked brick mortar con due ordini di giunti

Consideriamo una stilata composta da strati alterni di malta e mattoni come mostrato in figura 4b. Per questa possono essere determinate le proprietà elastiche del solido equivalente attraverso le relazioni (10), utilizzando le proprietà geometriche e meccaniche dei materiali componenti il corpo reale.

Successivamente si può considerare un sistema a strati orizzontali in cui si alternano materiale avente le caratteristiche meccaniche e geometriche del solido elastico equivalente prima determinate e materiale avente le proprietà dei giunti di malta orizzontali.(figura 4c). Per questo sistema le proprietà elastiche possono essere così determinate:

(9)

dove α ,β,ζ ,ηkk,η e λ sono date da:

(12)

In cui il pedice k si riferisce, quando assume il valore 1, ai letti di malta orizzontali, mentre quando assume il valore 2 si riferisce alla stilata composta da malta e mattoni.

(13)

(10)

(15)

4.2.1.3 Proprietà del solido equivalente nel caso di stato tensionale

piano

Rispetto al caso generale si ha una riduzione del numero delle costanti elastiche. Infatti si passa dalla determinazione di 9 costanti elastiche equivalenti, per il caso generale, a 6 per il caso piano. Usando lo stesso procedimento di omogeneizzazione si ricavano le costanti elastiche del solido ortotropo equivalente. Le equazioni che esprimono il legame costitutivo nello stato tensionale biassiale sono:            =       + − =       − = 13 _ _ _ _ 31 3 _ _ 13 _ 1 _ 1 1 G E E xy z x z z x x τ γ σ σ ν ε σ ν σ ε (16)

(11)

(17)

per k=1 si ha:

(18)

per k=2:

(12)

(19)

4.2.1.4 Calcolo delle tensione all’interno degli elementi costituenti

Una volta determinate le proprietà elastiche del solido omogeneo equivalente siamo in grado di calcolarci, per questo, lo stato tensionale relativo ad una generica configurazione di carico e di vincolo. Le relazioni che ci permettono di eseguire il calcolo sono:

(

)

(

)

               = = = = + + = + + = _ _ 12 12 _ _ 2 1 21 _ 2 12 1 _ yz yzi xz xzi i xy xyi z zi i i i i i i y yi i i i i i i x xi G G B E A E C B E A E C τ τ τ τ τ τ σ σ ν σ σ ν σ σ (20)

(13)

dove i valori di Ai, Bi, e Ci sono dati da:

(21)

In forma matriciale le possiamo scrivere come segue:

(22)

Scrivendo le (22) in forma compatta:

[ ]

_

σ α

σi = i (23)

Nella (23) con σiindichiamo le tensioni all’interno del materiale muratura, con

_

σ

quelle all’interno del materiale equivalente, mentre

[ ]

α iè la matrice strutturale e i

suoi componenti dipendono dalle caratteristiche meccaniche e geometriche dei materiali costituenti, e sono calcolate attraverso le seguenti relazioni:

(14)

(24)

Nel caso piano le relazioni (20) si riducono in:

(

)

        = = + = _ _ 1 _ xz xzi z zi i i x xi E A τ τ σ σ σ σ (25) dove: _ 13 1 13 _ 1 1 1 1 z i i x i i E E E E A σ ν ν σ      − −       − = (26)

4.2.1.5 Modello propagazione della fessura

Il fenomeno della formazione della fessura è una delle cause principali del comportamento non lineare dei pannelli in muratura (oltre al comportamento reologico dei materiali che la costituiscono). Nei paragrafi precedenti abbiamo visto come calcolare la tensione nei diversi strati della muratura utilizzando la tecnica della omogeneizzazione. Nota questa possiamo effettuare una verifica puntuale a rottura imponendo un limite di tensione che il materiale è in grado di sopportare.

(15)

Una volta che nel punto si è raggiunto tale limite si ha il collasso puntuale del materiale e l’innesco della della fessura. La propagazione della fessura viene trattata sempre attraverso un processo di omogeneizzazione tra i punti in cui si è superata la soglia di resistenza ed il materiale limitrofo. Tale tecnica è trattata nello studio di Pietruszczak and Niu.

Figura 5: Volume solido elementare contenente una fessura

Il processo di omogeneizzazione si basa sul fatto che dopo la rottura la velocità di migrazione delle tensioni/deformazioni è rappresentata dai seguenti vettori:

T yz xz xy zz yy xx       = . . . . . ; ; ; ; ;σ σ τ τ τ σ σ (27) T yz xz xy zz yy xx       = . . . . . ; ; ; ; ;ε ε ε ε ε ε ε

Le componenti della velocità di migrazione delle tensioni e deformazioni rappresentate nelle relazioni (27) sono composte da due aliquote, una che riguarda il materiale integro e l’altra quello fessurato (si presuppone che tale materiale continua ad avere delle caratteristiche meccaniche e geometriche). In particolare: . . . j j i iσ µ σ µ σ = + (28) . . . j j i iε µ ε µ ε = +

(16)

dove: V bwt i =1− µ (29) V bwt j = µ (30)

Nelle relazioni (28), (29) e (30) l’indice/pedice i è usato per indicare il materiale non fessurato, mentre j indica il “materiale” della fessura. Le equazioni (28) vengono chiamate average rule o mixture rule. Supponendo la perfetta solidarietà, tra il materiale integro e quello rappresentante la fessura, le condizioni di equilibrio locale possono essere scritte come segue:

yy j yy i yy . . . σ σ σ = = xy j xy i xy . . . τ τ τ = = (31) yz j yz i yz . . . τ τ τ = =

Analogamente per le deformazioni si ha:

xx j xx i xx . . . σ σ ε = = zz j zz i zz . . . ε ε ε = = (32) xz j xz i xz . . . γ γ γ = =

Lo spessore della fessura è trascurabile rispetto a quello del solido elementare, quindi, per questo motivo, occorre apportare degli affinamenti alle relazioni precedenti attraverso l’introduzione della discontinuità g. che rappresenta una funzione del campo di deformazione relativa alla fessura:

T z x y g g g g       = . . . . ; ; (33)

Quindi le equazioni (32) possono essere scritte nel modo seguente:

[ ] [ ]

. . . g i µ ε δ ε δ ≈ + (34)

(17)

dove:           = 0 1 0 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 1 0 δ (35) V bw = µ (36) Le relazioni costitutive dei materiali sono:

[ ]

. . i i D ε σ = (37)

[ ]

. * . g K j = σ

dove i componenti della matrice

[ ]

D si possono ricavare attraverso il processo di omogeneizzazione visto per il sistema stacked brick mortar, mentre i componenti della matrice

[ ]

*

K :

(38)

L’equazione di legame (37) riferita alla fessura può essere scritta come segue:

[ ]

.

[ ]

. g K j = σ δ (39) In cui

[ ]

K è rappresentata, in campo elastico, da:

(40)

in campo post-elastico:

(18)

in cui:

(42)

Nelle relazioni (42) i valori di KN,KT, λo, µosono rispettivamente la rigidezza

assiale, di taglio e le costanti di Lamé del materiale fessura. Al momento della formazione della fessure, campo plastico, le componenti della matrice

[ ]

K

assumono valori molto piccoli Kij ≈0. Dall’equazioni (28), (31) e (32) si ottiene:

[ ]

.

[ ] [ ]

. . g B A i + = ε ε δ (43) dove: (44)

La relazione (43) può essere ulteriormente scritta:

[ ]

[ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

      − + = + = A B g A B i i . . . . . . 1 ε δ ε δ µ ε ε ε δ (45)

(19)

Riassumendo si ha:

[ ]

.

[ ]

. ε ε δ i S i = (46) o

[ ]

. 1 . ε ε i S i = (47) dove: (48) (49) Dalle (34) e (46) si ottiene: (50) dove:

[ ]

j

(

[ ]

[ ]

i

)

S S = δ − µ 1 1 (51) Le matrici

[ ]

j S1 e

[ ]

i

S vengono chiamate matrici strutturali e caratterizzano il legame costitutivo del materiale equivalente. Le equazioni di tale legame costitutivo, considerando le (28), sono:

(20)

[ ]

[ ]

. 1 . . . . ε σ σ µ σ µ σ j i i j i i + ≈ = D S = (52)

Tutte le relazioni trovata finora valgono con riferimento al sistema di riferimento locale X,Y, e Z (figura 5), mentre riferendoci al sistema di riferimento globale,

_ X , _ Y, e _ Z, si ha:

[ ]

_ . . σ σ = T (53)

[ ]

_ . 1 . ε ε = T (54)

[ ][ ]

[ ]

. _ _. 1 1 _ . _ ε ε σ       = = − eq eq D T D T (55)

Dove

[ ]

T e

[ ]

T1 sono le matrice di trasformazione contenenti i coseni direttori.

4.2.2 Proprietà meccaniche e geometriche considerate nel modello

Come detto nel capitolo riguardante la descrizione strutturale dell’edificio, le conoscenze sulla reale composizione delle murature è molto ridotta a causa dell’impossibilità di effettuare indagini più approfondite ed invasive. Questo è dovuto al fatto che la struttura ospedaliera è in pieno esercizio.

Dalle informazioni ricavate dall’immagini termografiche abbiamo individuato 3 diverse tipologie murarie tra le quali: muratura formata da pietre di pezzatura regolare ben intessute e miste a laterizio con ricorsi in mattoni pieni, muratura di mattoni pieni e murature di blocchi di laterizio semipieni.

Come prescritto dalla NTC 2008, visto che il livello di conoscenza della struttura è LC1 e visto che la muratura presenta delle caratteristiche migliori rispetto a quelle a cui si riferiscono i valori più bassi della tabella C8A.2.1, possiamo considerare un FC=1,35 ed un coefficiente correttivo CC=1.1 (tabella C8A.2.2, appendice alla circolare del cap.8 delle NTC 2008). In definitiva i valori delle caratteristiche meccaniche riportate nella tabella C8A.2.1 devono essere moltiplicate per

815 , 0 = FC CC .

(21)

All’interno dell’ambiente Midas Gen, attraverso le finestre di comando mostrate in figg. 6 e 7 abbiamo inserito i parametri meccanici e geometrici delle diverse murature.

Figura 6:Proprietà meccaniche blocco a) e giunti orizzontali b)

(22)

4.3 Modello meccanico elementi in cemento armato

Tutte le principali teorie strutturali si basano sull’ipotesi di piccoli spostamenti e di piccole deformazioni. Queste ipotesi, ragionevoli per la comprensione della risposta in condizione di carico ordinarie, permettono sia di considerare che, ai fini della scrittura delle equazioni di equilibrio, la configurazione deformata coincida con la configurazione reale, sia di considerare che il comportamento reologico del materiale sia di tipo elastico lineare. Tuttavia, in condizioni di carico estreme, ad esempio quelle del sisma di progetto, le ipotesi introdotte perdono del riscontro fisico, come risulta evidente dall’analisi del danno di strutture soggette a sismi violenti. Per questo motivo è opportuno considerare nell’analisi il comportamento non lineare di tali elementi.

4.3.1 Comportamento non lineare degli elementi

Al fine di comprendere l’influenza del comportamento delle non linearità geometriche sul comportamento strutturale si consideri il semplice sistema strutturale mostrato in figura 8, costituito da un’asta rigida vincolata con un incastro cedevole elasticamente.

Figura 8: Asta rigida vincolata elasticamente

L’equazione di equilibrio alla rotazione scritta con riferimento alla configurazione deformata è:

ϕ ϕ

ϕ Qlcos Plsin

k = + (56)

Dal quale si evince che il legame forze spostamenti non è lineare. Se si suppone che la rotazioneϕ sia piccola (ma comunque finita) la relazione (56) può essere linearizzata, ovvero:

(23)

ϕ ϕ Ql Pl

k = + (57)

la quale mostra che, anche in piccoli spostamenti, può non essere lecita la scrittura delle equazioni di equilibrio sulla struttura indeformata. La liceità o meno è direttamente funzione dello sforzo normale agente, come mostrato dall’equazione (57). Inoltre all’aumentare dello sforzo normale si possono verificare fenomeni di biforcazione dell’equilibrio, in altre parole l’asta può manifestare collasso per instabilità, ossia per perdita dell’unicità della soluzione di equilibrio. Se, anziché un sistema a elasticità concentrata, si considera un sistema a elasticità distribuita, è necessario introdurre un sistema di riferimento locale rispetto al quale valutare l’equilibrio sezione per sezione. La figura 9 mostra il comportamento di una mensola in grandi spostamenti con materiale elastico lineare, mentre la figura 10 riporta il confronto il confronto numerico tra la soluzione attesa in piccoli spostamenti e quella in spostamenti moderatamente grandi.

Figura 9:Comportamento in grandi spostamenti di una mensola

(24)

Dalla figura 10 si evince che come il comportamento flessionale e assiale non siano disaccoppiati.

Figura 11:Mensola caricata di punta

La figura 11 mostra come, anche nel caso di elasticità distribuita, lo sforzo normale sia responsabile dell’incremento delle sollecitazioni. Nelle strutture a telaio la principale fonte di non linearità geometrica è da ricercarsi nell’effetto trave-colonna. La colonna è, difatti, generalmente soggette a due momenti di

estremità e uno sforzo normale. Con riferimento alla figura 12 si può notare che il considerare nulla l’interazione tra momento flettente e azione assiale comporta diagrammi di sforzi e deformazioni costanti lungo l’elemento. Se invece, com’è anche intuibile fisicamente, si considera che, a causa dell’inflessione indotta dal momento, l’elemento ha cambiato configurazione rispetto a quella iniziale, risulterà una interazione fra deformazione trasversale indotta dal momento flettente ed azione assiale cui corrisponde un comportamento strutturale sostanzialmente differente da quello prevedibili con un’analisi lineare.

La possibilità di trascurare o meno gli effetti dovuti alle non linearità geometriche dipende essenzialmente da due fattori. In primo luogo l’entità degli spostamenti, seppur geometricamente piccoli, può risultare tale da innescare effetti dovuti alle non linearità geometriche, detti del secondo ordine. Secondariamente l’entità stessa dello sforzo normale presente rende più o meno importanti gli spostamenti. Da quanto esposto, è chiaro che il modello strutturale di un edificio nuovo potrebbe non portarli in conto, in quanto esso è generalmente soggetto ad una adeguata

(25)

progettazione per carichi laterali e a rigide limitazioni sugli spostamenti. Lo stesso non può essere fatto per un edificio esistente sia per probabile inadeguatezza dell’azione sismica di progetto, incrementata dalle recenti normative per rispecchiare i risultati degli studi più recenti, sia perché potrebbe essere stato progettato per soli carichi verticali.

Figura 12: Effetto trave colonna

Per tener conto di tali non linearità si può considerare la matrice di rigidezza totale composta da due contributi:

G el K K

K = + (59)

in cui Kelè la matrice di rigidezza propria dell’elemento, KG è la matrice di rigidezza

geometrica dell’elemento. Limitando la trattazione ai gradi di libertà traslazionali e rotazionali di un elemento beam compresso tra i nodi i e j, essa assume la forma:

(60)

e la relazione è:

q K

(26)

dove:

[

]

T J j i i G V M V M Q = ; ; ; (62)

vettore che rappresenta le forze agli estremi dell’asta e q gli spostamenti omologhi. Alternativamente alla matrice di rigidezza modificata, nelle applicazioni di ingegneria strutturale, ci si può riferire ad un modello più semplice basato su considerazioni fisiche del problema.

È facilmente intuibile come uno spostamento laterale dell’impalcato, generando delle eccentricità tra il piede delle colonne rispetto alla testa, provochi il nascere di momenti addizionali. Il computo degli effetti del secondo ordine, quando sia rilevante, è nominato effetto P-∆, poiché l’incremento totale di momento al piede delle colonne, tra un piano e il successivo, si ottiene moltiplicando il carico gravitazionale al piano superiore P per lo spostamento laterale di piano ∆.

In questo modo si vede che la risposta sia non lineare, giacché i momenti aggiuntivi provocano a loro volta ulteriori spostamenti e quindi determinano un nuovo incremento di momento. Il computo degli effetti del secondo ordine, quindi, richiede l’utilizzo di tecniche, proprie dell’analisi numerica, per la risoluzione di sistemi non lineari. Tuttavia, nel caso degli edifici con impalcato rigido, il computo degli effetti del secondo ordine può essere compiuto, in maniera esatta, con un sistema di equazioni lineari come mostrato da Rutenberg (1982). La semplificazione risiede nella considerazione che lo sforzo normale all’interno dei pilastri vari poco (per geometrie usuali e con un rapporto altezza-larghezza non troppo elevato). Esso può essere determinato staticamente computando il peso di tutti i piani superiori. Risulta, quindi, immediato valutare per ogni piano il momento addizionale ed esso può essere applicato mediante due forze laterali come mostrato in figura 13 in cui w è il peso dell’impalcato e hi l’altezza del piano.

La relazione può essere espressa in forma matriciale come segue:

i i i i i u h w f f       − + =       + 1 1 1 (63)

(27)

L’espressione (63) può essere facilmente estesa a tutta la struttura componendo così la matrice L di modo che il problema strutturale possa scriversi nel modo seguente:

Lu F

Ku= + (64)

In cui K è la matrice di rigidezza della struttura, u gli spostamenti incogniti ed F sono le forze note. L’equazione (64) può essere scritta in maniera più conveniente come:

(

K L

)

u F u

K* = − = (65)

E può essere risolta direttamente. Resta il problema che la matrice K* non è simmetrica, ciò richiederebbe tecniche di soluzione differenti da quelle comunemente adottate nell’inversione della matrice di rigidezza. Tuttavia, essa può essere resa simmetrica sostituendo i carichi laterali di figura 13 con un sistema staticamente equivalente. Da semplici considerazioni statiche, il contributo totale di momento addizionale, e quindi di forze, dovuto allo spostamento relativo d’interpiano uiui+1, può essere scritto come:

            − − =       + +1 1 1 1 1 1 i i i i i i u u h W f f (66)

in cui Wi è il peso gravitazionale totale fino al piano i. la matrice L è adesso simmetrica, per cui la (64) può essere risolta con tecniche usuali.

(28)

La risposta non lineare di una struttura è dovuta anche ad un altro tipo di non linearità e cioè alla non linearità di materiale (figura14). I programmi di calcolo, attualmente disponibili, in grado di considerare la non linearità del materiale utilizzano due diversi approcci: una modellazione tramite cerniere plastiche, detti “a plasticità concentrata”, ed una tramite fibre, “modelli a plasticità diffusa”.

La modellazione a plasticità concentrata prevede che tutti gli elementi costituenti la struttura rimangano sempre in campo elastico e che vengano introdotti, in prossimità delle estremità di questi, elementi cerniera con comportamento anelastico laddove si prevede la formazione di una cerniera plastica. La non linearità rimane quindi concentrata in pochi elementi.

Figura 14:Non linearità di materiale

Il vantaggio principale di questa modellazione è che permette di lavorare principalmente con elementi elastici, computazionalmente meno onerosi, lasciando a pochi punti della struttura la concentrazione delle non linearità del materiale. Inoltre, essa è estremamente versatile in quanto permette, con una opportuna scelta del legame costitutivo della cerniera, di descrivere diversi fenomeni, oltre al comportamento flessionale, che possono influenzare la risposta strutturale, quali la deformabilità a taglio, lo scorrimento dell’armatura, la flessibilità del nodo trave colonna, l’interazione tra telaio e tamponamenti.

(29)

Il limite di questa modellazione risiede nella necessaria esperienza dell’operatore per stabilire dove distribuire gli elementi non lineari e per scegliere lunghezze e curve caratteristiche che permettano di cogliere il reale comportamento delle cerniere plastiche. Infatti, l’accuratezza dell’intera analisi può essere compromessa qualora si sbagli la calibrazione delle curve di risposta disponibili per gli elementi cerniera e la loro estensione. Per poter utilizzare correttamente i codici di calcolo con elementi a plasticità concentrata nello studio di strutture a comportamento non lineare sotto carichi ciclici, è opportuno:

 Stimare in maniera adeguata nella sezione critica il diagramma momento curvatura (M-Φ) in presenza di azione assiale e degrado nel tempo, causato dall’azione ciclica del sisma, per scegliere con cognizione fra i vari modelli di interazione M-N e di isteresi proposti in letteratura ed implementati nei codici;

 Prevedere una lunghezza di cerniera plastica equivalente tale per cui il prodotto di questa per la curvatura, derivante dal modello scelto, definisca una rotazione prossima a quella reale.

(30)

Oltre ai diagrammi di interazioni mostrati in figura15 in letteratura esistono diversi tipi di interazioni. In particolare nella nostra modellazione faremo riferimento ai diagrammi di figura15.

Nel caso di modellazione a plasticità diffusa si considerano elementi di tipo trave con comportamento anelastico: l’anelasticità è distribuita in tutto l’elemento strutturale, sia longitudinalmente sia trasversalmente, attraverso l’utilizzo di elementi a fibre. Lo stato di sforzo e deformazione di una sezione del generico elemento è ottenuta mediante l’integrazione della risposta uni assiale non lineare sforzo-deformazione di ciascuna delle fibre in cui è suddivisa la sezione. Se si utilizza un numero sufficiente di fibre (100-300) in un’analisi tridimensionale, la distribuzione delle non linearità del materiale può essere modellata accuratamente anche in condizioni di elevata anelasticità. La sezione è rappresentata dalla somma delle fibre del calcestruzzo confinato e delle fibre delle armature longitudinali. Lo stato di sforzo e deformazione longitudinale dell’elemento è calcolato mediante l’integrazione numerica di un numero appropriato di sezioni (sezioni Gauss).

(31)

Se, da un punto di vista computazionale, un modello a plasticità diffusa, utilizzando legami costitutivi non lineari per l’intero elemento trave, risulta essere più oneroso rispetto ad un modello a plasticità concentrata, d’altra parte, da un punto di vista operativo, non necessita di una particolare esperienza di modellazione dell’operatore: tutto ciò che è richiesto all’operatore è la definizione delle caratteristiche geometriche della sezione e la descrizione del comportamento dei materiali.

Poiché, generalmente, una modellazione a fibre considera soltanto la componente flessionale della deformazione, per poter descrivere i fenomeni prima ricordati, quali il taglio, lo scorrimento delle barre, la deformabilità del nodo e l’interazione con tamponamenti è necessario introdurre ulteriori elementi nel modello di calcolo, ad esempio cerniere parziali o elementi biella.

4.3.2 Modellazione travi e pilastri

Per carpire il comportamento in campo non lineare degli elementi in cemento armato abbiamo utilizzato un modello composto da elementi solidi a 8 nodi che rappresentano il calcestruzzo, ed elementi “truss” che riproducono il comportamento dell’armatura longitudinale (figura 17).

(32)

Gli elementi solidi sono composti da calcestruzzo di classe C25/30 caratterizzato dal modello di rottura di Drucker-Prager, mentre alle barre di armatura longitudinale, composte da acciaio, S235 è stato assegnato il criterio di plasticità di Von Mises.

4.3.2.1 Criterio di Tresca e Von Mises

Il criterio di Tresca, criterio del massimo sforzo di taglio, implica che lo snervamento del materiale sia raggiunto quando lo sforzo di taglio raggiunge il valore critico.

Nel caso di σ1 >σ2 >σ3 il criterio può essere scritto con riferimento al piano di Mohr (figura 18 a)):

K = − ) ( 2 1 3 1 σ σ (67)

Dove K =τmax è la tensione di taglio massima determinata attraverso condizioni di snervamento uniassiale. Nello spazio σ1 −σ2 −σ3 il criterio è rappresentato da un cilindro con le generatrici parallele all’asse idrostatico (σ123)e l’intersezione con il piano π ottaedrico (di equazione σ123 =0) è un esagono regolare. Il criterio di Von Mises consiste nel considerare l’inizio dello snervamento quando l’invariante '

2

J delle tensioni deviatoriche raggiunge il valore critico:

K J 2 = 1 ' 2) ( (68)

Nello spazio delle tensioni principali il criterio è rappresentato da un cilindro con le generatrici parallele all’asse idrostatico (σ123)e l’intersezione con il piano

(33)

Figura 18: Criterio di Tresca e Von Mises

4.3.2.2 Criterio di Mohr-Coulomb e Drucker-Prager

Questi criteri includono gli effetti della pressione idrostatica è sono più idonei ad interpretare il comportamento dei materiali quali calcestruzzo, rocce e terreni che presentano deformazioni plastiche volumetriche.

Il criterio di Mohr-Coulomb considera che inizi la crisi quando la tensione tangenziale massima soddisfa la relazione seguente:

φ σ

τ =cntg (69)

Dove c e φ sono rispettivamente la coesione e l’angolo di attrito interno e σn è la

tensione normale al piano contenente la tensione tangenziale τ . Nel piano di Mohr il criterio è rappresentato dalla figura seguente:

(34)

Figura 19: Criterio di Mohr-Coulomb

La relazione (69) con riferimento alla figura 19 può essere scritta:

(

σ σ

)

(

σ σ

)

sinφ cosφ 2 1 2 1 3 1 3 1− = + +c⋅ (70) se φ =0 l’espressione si riduce a:

(

σ1 −σ3

)

=2c (71) che coincide con il criterio di Tresca.

Nello spazio delle tensioni principali il criterio è rappresentato da una piramide con asse coincidente con l’asse delle tensioni idrostatiche e l’intersezione con il piano π è un esagono irregolare (figura 20).

(35)

Figura 20: Criterio di Mohr-Coulomb nello spazio delle tensioni principali

Il criterio di Drucker-Prager è un approssimazione del criterio di Mohr-Coulomb per il quale la regola del flusso plastico risulta di difficile applicazione numerica data l’angolosità della superficie di snervamento. Il modello di Drucker-Prager è considerato un estensione del modello di Von Mises, poiché consiste nel modificare la relazione di snervamento di questo criterio attraverso un termine addizionale per introdurre l’influenza della pressione idrostatica, il criterio consiste nella relazione: ' 2 1 ' 2 1 (J ) K J + = α (72)

dove la costanti α e K vengono relazionate alle costanti del materiale c e φ del criterio di Mohr-Coulomb tramite delle espressioni. Se φ=0 implica α=0 e il criterio si riduce a quello di Von Mises per i metalli. Nello spazio delle tensioni principali il criterio è rappresentato da un cono con asse coincidente con l’asse idrostatico e l’intersezione con il piano π è una circonferenza.

Con riferimento alla figura 21, per avere coincidenza tra i vertici esterni dell’esagono di Mohr-Colulomb e il cerchio di Drucker-Prager, le costanti valgono:

(36)

(

φ

)

φ α sin 3 3 sin 2 − = (73)

(

φ

)

φ sin 3 3 cos 6 − ⋅ = c K (74)

Figura 21:Criterio di Mohr-Coulomb e Drucker-Prager sul piano ππππ

4.4 Soluzione numerica dei problemi non lineari

In questo paragrafo vengono riportati i due schemi risolutivi maggiormente impiegati quando nella modellazione numerica agli elementi finiti si introduce il comportamento non lineare del materiale e cioè il Metodo incrementale e il Metodo iterativo Newton-Raphson.

Il sistema di equazioni da risolvere è del tipo:

( )a+ f =0

K a (75)

dove a è il vettore degli spostamenti, K è la matrice di rigidezza assemblata ed f è il vettore dei carichi applicati. Introducendo la non linearità del materiale la matrice di rigidezza K non è più costante come nel caso del sistema lineare ma è funzione dello stato di tensione e deformazione.

(37)

4.4.1 Metodo incrementale

La resistenza di un qualunque materiale da costruzione è limitata; ovvero esiste un livello di sforzo che in ogni caso non può essere superato. Di conseguenza ogni struttura ha una limitata capacità portante , ovvero è limitata l’entità dei carichi che essa è in grado di sostenere. La valutazione della capacità portante non può essere compiuta in campo elastico-lineare perché al crescere del livello di carico nessun materiale continua a comportarsi in tal modo.

Nell’analisi incrementale il carico viene incrementato in modo prefissato e la risposta strutturale viene simulata modificando progressivamente la risposta del materiale al variare dello stato di sollecitazione e/o di deformazione.

Come qualsiasi approccio, anche il metodo incrementale presenta pregi e difetti. Vantaggi:

− E’ applicabile in presenza di equazioni costitutive complesse e a tutti i tipi di materiali compresi i conglomerati cementizi;

− E’ applicabile anche in presenza di fenomeni di instabilità dell’equilibrio e di spostamenti tali da rendere necessario valutare l’equilibrio nella configurazione deformata (spostamenti finiti);

− E’ disponibile in moltissimi codici di calcolo tra cui MIDAS Gen utilizzato per questo lavoro.

Svantaggi:

− La risposta strutturale è influenzata dalla presenza di cedimenti vincolari e di stati di coazione, difficilmente valutabili (in particolare questi ultimi);

− La risposta strutturale ed anche la valutazione della capacità portante sono assai sensibili alla variazione sia dei parametri del materiale che dei parametri da cui dipendono gli algoritmi numerici;

(38)

La soluzione dell’equazione (75) viene determinata applicando il carico f per successivi incrementi e seguendo perciò il processo passo - passo (step by step). La matrice di rigidezza relativa all’incremento i-esimo viene assunta costante lungo ogni incremento, ed è calcolata utilizzando lo stato di tensione e deformazione all’inizio dell’incremento stesso. Questa procedura equivale a linearizzare, ad ogni incremento, il comportamento non lineare del materiale.

Consideriamo un sistema costituito da un asta incastrata ad un estremità di lunghezza L, sezione A e soggetta ad un carico Q assiale. Il sistema è rappresentato nella figura 22 assieme all’andamento della legge costitutiva non lineare del materiale di equazione σ

( ) ( )

ε = f ε a cui corrisponde il modulo elastico tangente:

( )

ε σε

d d

E = (76)

Suddividiamo il carico Q in tre quote ciascuna pari a ∆Q. A ciascuna quota di carico corrisponde uno sforzo normale ∆N =∆Q ed una tensione normale

A N

∆ =

∆σ .

Il modulo elastico iniziale è quello calcolato in ε =0 tramite la (76):

(

ε

)

σε

d d

E0 =0 = (77)

l’incremento di deformazione per il primo step vale:

0 1 1 E σ ε = ∆ ∆ (78)

(39)

l’incremento di spostamento risulta: L ε η 1 1 = ∆ (79)

Il modulo elastico al secondo step per la (76) è calcolato con ε =∆1ε

e risulta:

(

ε ε

)

σε

d d

E1 =∆1 = (80)

l’incremento di deformazione per il secondo step vale:

1 2 2 E σ ε = ∆ ∆ (81) e l’incremento di spostamento: L ε η 2 2 = ∆ (82)

Il modulo elastico per l’ultimo step va calcolato in corrispondenza della sommatoria degli incrementi di deformazione:

∆ε =∆1ε +∆2ε (83)

(

ε ε

)

σε d d E2 =

∆ = (84) 2 3 3 E σ ε = ∆ ∆ (85) L ε η 3 3 =∆ ∆ (86) Lo spostamento complessivo risulta:

= h

(40)

Osservando la figura 22, la rigidezza del sistema si assume in effetti costante lungo ogni incremento ma questa in realtà non lo è, infatti si hanno due percorsi differenti uno approssimato abc ed uno effettivo a*b*c*.

Questo succede perché il modulo elastico viene calcolato per lo stato di deformazione nel punto a anziché in a* e tale procedura si ripete per ogni incremento. L’errore nel calcolo dello spostamento è pari alla distanza aa*, l’errore dipende dalla dimensione degli incrementi di carico.

Il metodo può fornire risultati particolarmente inaccurati quando il comportamento del materiale passa da elastico a plastico (o viceversa). Infatti se all’inizio di un incremento lo stato del materiale è elastico, il metodo assume che il comportamento del materiale rimanga elastico lungo tutto l’incremento.

(41)

4.4.2 Metodo iterativo di Newton-Raphson

Il metodo Newton-Raphson utilizza uno schema iterativo per risolvere l’equazione (75). Viene scelta una soluzione di prima approssimazione e migliorata successivamente fino ad ottenere l’equilibrio, nel caso in questione l’equilibrio viene fatto sui residui. Considerando sempre il sistema introdotto per il metodo di risoluzione precedente con riferimento però alla figura 23. Il carico Q viene ora applicato interamente alla struttura e il modulo iniziale E0 del materiale è scelto superiore a quello tangente in σ= 0.

Si calcola il primo incremento di deformazione:

0 1 E σ ε = ∆

La tensione in corrispondenza della tensione ε =∆1ε :

( )

ε

(

ε ε

)

σ 1

1 = f =∆

E poiché σ1 risulta minore di

A N = σ si ha il residuo: 1 1σ =σ −σ ∆

Il nuovo modulo E1vale:

(

ε ε

)

σε

d d E1 =∆1 =

(42)

Il secondo incremento di deformazione risulta: 2 1 2 E σ ε = ∆ ∆

Il relativo incremento di spostamento vale:

L

ε

η 2

1 =

La tensione in corrispondenza della deformazione ε =

∆ε:

( )

ε =

(

ε =

∆ε

)

σ2 f Il secondo residuo: 2 2σ =σ −σ ∆ Il modulo E2 vale:

(

ε ε

)

σε d d E2 =

∆ =

Il terzo incremento di deformazione risulta:

2 2 3 E σ ε = ∆ ∆

(43)

Il relativo incremento di spostamento vale: L ε η 3 2 =

La tensione in corrispondenza della deformazione ε =

∆ε:

( )

ε =

(

ε =

∆ε

)

σ3 f Il terzo residuo: 3 3σ =σ −σ ∆

Il procedimento iterativo continua fino a che il residuo non risulta minore ad un valore prefissato. Il caso esaminato consiste in un unico elemento ma nel caso generale al variare di E

( )

ε varia la matrice di rigidezza di ciascun elemento e quindi la matrice di rigidezza assemblata.

Nel metodo iterativo descritto la matrice di rigidezza cambia ad ogni iterazione ma è anche possibile impiegare sempre la stessa matrice di rigidezza iniziale in ogni iterazione successiva, in questo caso però aumentano il numero di iterazioni per ottenere la convergenza. Questo metodo è detto Newton-Raphson Modificato ed illustrato nella figura 24. Va aggiunto che a differenza del metodo incrementale nel metodo iterativo i risultati vengono determinati per il carico totale e non vengono fornite informazioni per stadi intermedi.

(44)

Figura 23: Applicazione del metodo iterativo di Newton-Raphson al sistema di figura 22

Figura

Figura 2: Esempio di non linearità del materiale
Figura 3: Sistema  stacked brick-mortar
Figura 4: Sistema stacked brick mortar con due ordini di giunti
Figura 5: Volume solido elementare contenente una fessura
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