III
Sarvodaya: un'economia per il benessere di tutti
I mezzi possono essere paragonati a un seme, il fine ad un albero; e lo stesso inviolabile legame che c'è tra il seme e l'albero esiste anche tra il fine e i mezzi1.
M. K. Gandhi
Tutto il pensiero filosofico ed economico di Gandhi è legato a due principi interconnessi tra loro: verità e nonviolenza. Egli li mise in pratica attraverso il satyagraha "ferma adesione della verità" con cui organizzò la lotta nonviolenta in Sud Africa.
Siamo nati per provare che verità e nonviolenza non sono solo norme per la condotta personale. Esse possono divenire la politica di un gruppo, una comunità, una nazione. Non abbiamo ancora provato ciò, ma questo solo può essere lo scopo della nostra vita. ... La nonviolenza è destinata a tutti, è per tutti i tempi e per tutti i luoghi. ... Oggi si dice che la verità non può essere di alcun aiuto nell'economia e in politica. E allora in quale campo può esserlo? La verità non vale nulla se non può essere di aiuto in ogni ambito della vita, in ogni affare del mondo. Altrimenti qualche altro uso avrebbe nella vita? Vedo ogni giorno che la verità può essere applicata in ogni aspetto pratico della vita2.
1 M. K. Gandhi, Hind Swaraj, Pisa Centro Gandhi, 2009, p. 86.
2 M. K. Gandhi, “Speech at Gandhi Seva Sangh Meeting”, 22 febbraio 1940, in CWMG, vol. LXXI, p. 264.
La parola sanscrita satya (verità) contiene la radice sat che è l'essere. La conoscenza dell'essere, cioè della realtà effettuale, si realizza nella ricerca della verità. Nella filosofia di Gandhi, quindi, la verità è una ricerca e non un dogma da imporre. Il suo è un metodo sperimentale non dissimile da quello proposto da Popper3 che teorizzava il progresso scientifico come continua approssimazione di "congetture e confutazioni"4.
Avvicinandosi all'opera di Gandhi senza pregiudizi, si resta stupiti di come il suo pensiero sia alieno da ogni metafisica. La sua religiosità pratica si sposa in pieno il criticismo kantiano.
Per Kant tutto ciò che riguardava la morale, se affermato nella teoria, doveva valere necessariamente anche nella pratica:
... la morale ... non ci insegna come diventare felici, bensì come dobbiamo diventar degni di felicità5. ... Infatti io devo prima esser sicuro di non agire contro il mio dovere; e solo dopo mi è permesso di ricercare la felicità, per quanto posso armonizzare (lo stato) di questa con quel mio stato moralmente (e non fisicamente) buono6.
C'è, nel proposito riformatore di Gandhi, un costante sforzo di comprendere e trasformare la realtà attraverso la ragione. Si può affermare che questa sua razionalità critica emerga con grande evidenza proprio nell'analisi dei modelli economici dominanti. Nel ritenere che l'economia debba avere un fondamento etico, dimostra in modo non confutabile che questo è il solo modo per scongiurare all'umanità la catastrofe dell'autodistruzione: "Le leggi della natura sono espressioni di verità e le virtù sono una forma di verità così come i vizzi
3 Karl Popper (1902 – 1994) è stato tra i maggiori filosofi della scienza del XX secolo, ha esercitato grande influenza per la sua concezione fallibilistica della conoscenza e del metodo scientifico.
4 Cfr. K. Popper, Congetture e confutazioni, Bologna, il Mulino, 2009.
5 I. Kant, “Sul detto comune: questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica”, in
Sette scritti politici, a cura di Maria Chiara Pievatolo, Firenze, University Press, 2011, p. 94.
sono una forma di falsità. ... La verità è ciò che è, la falsità è ciò che non è"7.
Noi crediamo - e credo che sia vero - che Dio abbia tanti nomi quante sono le creature e, pertanto, noi diciamo anche che Dio è ignoto, e siccome Dio ha tante forme noi lo consideriamo anche amorfo, e poiché egli ci parla attraverso diverse lingue noi lo consideriamo essere inesprimibile e così via... Vorrei dire a coloro i quali ritengono che Dio sia Amore che Dio è Amore. Ma nel mio profondo sento che se Dio è amore, Dio è anche verità sopra ogni cosa... Ma due anni fa quando ho fatto un passo avanti ho compreso che la verità è Dio. Vedrete questa fine distinzione tra le due affermazioni: Dio è verità e Verità è Dio8.
La verità è il concetto chiave del pensiero di Gandhi, che attraversa tutti i campi del sapere, da quello filosofico teologico a quello economico politico.
Nicola Abbagnano distingue nella storia della filosofia cinque concetti fondamentali della verità9. Il primo è quello della verità come "corrispondenza", la cui prima formulazione risale a Platone che nel Cratilo dà la definizione di verità: "vero è il discorso che dice le cose come sono, falso è quello che le dice come non sono"10.
La seconda concezione fondamentale è quella che considera la verità come "rivelazione". Essa si manifesta in due forme fondamentali. Quella empirica coglie la verità come sensazione, intuizione o fenomeno. Quella metafisica o teologica si rivela attraverso la manifestazione dell'essere supremo.
La terza concezione intende la verità come conformità con una regola o con un concetto. Anche questa nozione fu per la prima volta enunciata da Platone nel Fedone: "Prendendo a fondamento il concetto che io giudico il più saldo, tutto ciò che mi sembra in accordo con esso lo pongo come vero"11. Sant'Agostino, riprendendo questa concezione, affermava che "c'è sopra la nostra mente una
7 CWMG, vol. IV, pp. 392 -393.
8 M. K. Gandhi, cit. in A. Naess, Gandhi and Group Conflict. An Exploration of Satyagraha, Oslo, Univeritetsfolaget, 1974, p. 26.
9 N. Abbagnano, Dizionario di Filosofia, III ed. a cura di Giovanni Fornero, Novara, De Agostini Libri, 2013, pp. 1148-57.
10 Platone, Cratilo, 385b cit. in Abbagnano, cit., p. 1148. 11 Platone, Fedone, 100a cit. in Abbagnano, cit., p. 1151.
legge che si chiama verità e che noi possiamo giudicare tutte le cose in conformità di questa legge, che tuttavia sfugge a qualsiasi giudizio"12.
La quarta concezione intende la verità come "coerenza" e compare nella filosofia idealistica inglese con F. H. Bradley13. Ammettendo che la Verità o realtà è coerenza perfetta, la coerenza è attribuibile solo alla realtà ultima, cioè alla coscienza infinita o assoluta. I gradi di verità raggiungibili dal pensiero umano, secondo Bradley, si possono graduare in base al livello di coerenza che essi raggiungono. Spinoza la chiamava il "terzo genere di conoscenza" ovvero "amore intellettuale di Dio, "cioè la conoscenza dell'ordine totale e necessario delle cose che Spinoza identificava con Dio stesso"14.
Infine, la quinta definizione è quella della verità come "utilità". È questa la concezione propria della filosofia del pragmatismo di William James e John Dewey, che enfatizza la strumentalità di ogni procedura conoscitiva ai fini del perfezionamento della vita umana nel mondo e che trova la sua validità nella relazione tra mezzi e fini.
Nella filosofia di Gandhi ritroviamo tutte e cinque queste dimensioni della verità.
Arne Naess15, nel suo libro Gandhi and Group Conflict individua le cinque componenti esplicative della concezione gandhiana di "verità".
La prima è di tipo ontologico e deriva dalla conoscenza metafisica della "verità", individuabile con "ciò che realmente è".
La seconda è epistemologica e definisce un'opinione o un'affermazione come vera in quanto corrisponde alla realtà dei fatti.
La terza componente è logico-personale, vede nella parola "vero" lo stesso significato di sincero, onesto, genuino e fedele, così come viene inteso dalla gente. Questa componente comprende la conoscenza delle caratteristiche umane come veridicità, genuinità, autenticità e apertura nella sua importanza sia psicologica che metafisica. In questi termini Gandhi attribuisce un significato di genuino o
12 Sant'Agostino, De vera religione, 30-1, in Abbagnano, cit., p. 1151.
13 F. H. Bradley, Appeareance and Reality, 1893, ed. it. Apparenza e realtà, Rusconi, Milano, 1984.
14 Spinoza, Etica, V, 25 cit. in Abbagnano, cit., p. 1151.
15 Arne Naess (1912–2009) è stato il più grande filosofo norvegese del ventesimo secolo, fondatore dell'ecologia profonda, ha coniato il termine ecosofia.
sano alla parola verità, lo fa ad esempio quando afferma :"That economics is untrue which ignores or disregards moral values"16.
La quarta componente è pragmatica. La ricerca della verità consiste nell'agire costantemente in modo disinteressato e nonviolento, conforme con l'ahimsa.
Infine, la quinta è la componente religiosa, dove la "verità" è intesa come autentica fede.
Queste componenti sono intercorrelate tra loro e ciò deve essere tenuto sempre presente nell'interpretazione degli scritti di Gandhi.
È di norma discutere su cosa sia corretto fare o quale sia la decisione giusta da prendere, mentre per Gandhi sarebbe più opportuno discutere in termini di verità. Nella scelta va preferita sempre la decisione che più si avvicina alla verità. Ma una tale posizione potrebbe far sorgere il dubbio su che cosa può essere vero, ciò che può esserlo per uno può non esserlo necessariamente per un altro, ma ciò varrebbe anche se si parlasse in termini di correttezza, ciò che può sembrare giusto per qualcuno per altri può non esserlo. Non esiste un criterio infallibile che garantisca di arrivare alla verità in ogni questione. Ma sicuramente la ricerca disinteressata della verità farà sì che coloro che la ricercano siano meno esposti a cadere in errore, conducendoli più vicino alla verità.
Gandhi applica un significato epistemologico al concetto di verità in riferimento a norme, prescrizioni e imperativi di tipo etico.
Egli sostiene che la verità è ciò che la voce interiore ci dice in coerenza con la nostra coscienza. Certo è che la differenza nel modo in cui la coscienza viene costruita e allenata è fondamentale. Infatti, la "coscienza non è la stessa per tutti. Mentre, potrebbe essere una buona guida per la condotta individuale, l'imposizione di una condotta valida per tutti sarebbe un'interferenza insopportabile per libertà di coscienza di ciascuno"17. Come stabilire allora se la condotta è coerente con una coscienza giusta? Gandhi risponde:
Ora il significato etimologico della parola coscienza è «vera conoscenza». Il significato dato nel dizionario è «la facoltà di distinguere tra giusto e
16 CWMG vol. XXV, cit., p. 475. 17 CWMG, vol. XXXI, cit., pp. 441.
sbagliato e comportarsi di conseguenza». Avere una tale capacità è possibile solo per quelle persone allenate, cioè coloro che ha intrapreso una disciplina e ha imparato ad ascoltare la voce interiore. Ma anche fra le più coscienziose persone ci sarebbe spazio sufficiente per delle diverse opinioni oneste. L'unica regola di condotta possibile di ogni società civilizzata sarà dunque la mutua tolleranza18.
Gandhi crede nella pluralità piuttosto che nella relatività della coscienza. Egli definisce le verità di ciascuno come le diverse foglie di uno stesso albero. Questa concezione è racchiusa nella parola anekantavadin, che indica l'esistenza di una pluralità di verità che si oppone al dvatism, una visione dualistica che riconosce una sola verità ed esclude tutte le altre.
In questo senso la filosofia di Gandhi si colloca sul versante del cosiddetto pensiero "forte", che si contrappone al pensiero "debole"19 di autori come Derrida, Lyotard, Rorty, Vattimo, e di ogni ermeneutica nichilistica che nega alla verità una struttura trascendentale di tipo kantiano e annunciano la fine della verità.
Gandhi, da parte sua, fu un fermo sostenitore del sapere come scienza della verità, identificando la verità con la struttura eterna e immutabile dell'Essere, cioè con la necessità logico-ontologica dell'Assoluto.
3.1 Gli assiomi fondanti della filosofia gandhiana
Riprendendo la ricerca della Verità così essenziale nell'esperienza di Gandhi, R. Diwan e M. Lutz hanno individuato quattro principi costitutivi del pensiero filosofico-sociale di Gandhi 20.
Tutti e quattro si ricollegano al concetto di verità. Essa non viene intesa
18 Ibid., p. 442.
19 Cfr., N. Abbagnano, Concezioni forti e concezioni deboli della verità in Dizionario di Filosofia, cit., p. 1156. Cfr., E. Severino, Essenza del Nichilismo, Milano, Adelphi, 1982. Nicola Abbagnano ha osservato che: "Nell'ambito della filosofia contemporanea le teorie "forti" della verità costituiscono una minoranza".
20 R. Diwan e M. Lutz, Essays in Gandhian Economics, New Delhi, Gandhi Peace Foundation, 1985, p. 38.
come un dogma da imporre, ma come una ricerca verso l'autenticità dell'Essere. Come ha scritto Gandhi:
La verità non può essere trovata nei libri. La verità risiede in ogni cuore umano ed è lì che bisogna cercarla, facendosi guidare dalla verità, come ognuno la vede. Ma nessuno ha il diritto di costringere gli altri ad agire secondo la propria personale visione della verità21.
In risposta ad alcuni corrispondenti che gli chiedevano cosa intendesse per "voce interiore", scrisse:
Credo che la voce interiore sia la perfetta conoscenza o consapevolezza della Verità. E siccome non vediamo la perfetta Verità, siccome la verità che vediamo è imperfetta, guardiamo ai profeti di questo mondo come le nostre guide e li seguiamo. Sono state definite regole per aiutarci a comprendere la verità e possiamo conoscerla seguendole. Tuttavia, proprio come non possiamo conoscere la geometria senza studiarla, così non è possibile udire la voce interiore senza lo sforzo e l'allenamento necessario22.
Il primo assioma è satya (verità). La verità esiste nell'uomo e attraverso l'uomo nella sua essenza assoluta, eterna e benefica. Nessun'altra cosa può essere comparata ad essa. La verità e non l'uomo è la misura di tutte le cose.
Il secondo è la realizzazione della verità come scopo della vita. Per l'umanità ciò si traduce nella necessità biologica di realizzare e conoscere se stessi.
Il terzo sostiene che finché la verità è il fine, ahimsa, i.e., l'amore verso se stessi è il mezzo. L'amore e la verità sono due parti di una stessa medaglia. Una implica l'altra. La purezza, la realizzazione di se stessi e l'amore non conoscono distinzione tra fini e mezzi. Per Gandhi il raggiungimento di uno scopo è esattamente proporzionale ai mezzi che si usano per raggiungerlo, senza eccezione alcuna: "I mezzi per essere tali devono necessariamente essere
21 CWMG, vol. LVI, cit., p. 216. 22 Ibid., p. 182.
accessibili.... l'ahimsa è il nostro dovere supremo. Se noi ci curiamo dei mezzi, siamo destinati a raggiungere il fine, prima o poi"23.
Il quarto assioma è che la verità umana è sempre relativa. Noi abbiamo un innato bisogno di migliorarci, nessun uomo è perfetto. La verità è sempre personale, soggettiva e relativa al contesto storico e culturale dove uno vive. Ciò che può essere valido in una determinata circostanza, può non essere vera in un'altra. Tutto ciò che dobbiamo fare è servire la Verità ultima, rimanendo sinceri, tolleranti e con la mente aperta.
3. 2 Premesse al pensiero socio-economico di Gandhi
Sulla base dei quattro assiomi che costituiscono la base filosofica di Gandhi, dove l'amore verso l'altro è inteso come la più prossima realizzazione della verità, si possono comprendere le premesse che costituisco il pensiero economico.
I: Economia, etica, politica e religione costituisco un tutt'uno indivisibile24.
Gandhi riconosce questi elementi come l'insieme che deve muovere le relazioni umane, economiche e politiche. La società gandhiana si basa su due principi intercorrelati: la nonviolenza e la verità. Questi principi costituiscono un sistema sociale che rifiuta ogni forma di violenza culturale, strutturale e diretta. Rifiuta ogni forma di sfruttamento e mette l'uomo al centro di ogni cosa, come fine e mai come mezzo, basandosi su un principio di uguaglianza. Perciò non vi può essere un'economia che escluda l'etica dai suoi principi. Applicare la legge della nonviolenza all'economia significa introdurre le leggi morali a sostegno di quelle economiche.
23 CWMG, vol.VI, cit., p. 219.
24 R. Diwan e M. Lutz, Essays in Gandhian Economics, New Delhi, Gandhi Peace Foundation, 1985, p. 39.
II. L'economia è la scienza del benessere umano. Il suo obiettivo dovrebbe essere il sarvodaya, il benessere di tutti25.
La vera economia realizza la giustizia sociale e promuove il soddisfacimento dei bisogni essenziali in modo equo per tutti, anche per i poveri. Il sarvodaya comprende il riconoscimento di uguale rispetto e dignità per il benessere e la vita di ogni individuo. Il criterio che muove la politica economica del sarvodaya è la regola per cui è necessario soddisfare i bisogni fondamentali di tutti gli uomini, prima di investire risorse per la produzione di beni secondari. Con l'espressione il "benessere di tutti" si intende il soddisfacimento dei bisogni materiali, sociali e spirituali dei più poveri fra i poveri. Gandhi contrappone questo principio all'idea di Bentham "the greatest good for the greatest nember", ritenendola una dottrina crudele che ha più danneggiato che recato beneficio all'umanità.
III. Massima considerazione deve essere data all'uomo.
Le teorie economiche che ignorano i comportamenti umani, spinti dagli affetti sociali, sono inutili all'uomo.
IV. L'economia del benessere umano si fonda su i bisogni umani e deve necessariamente realizzarsi in un'economia sociale decentrata.
Una comunità economica deve reggersi sulla collaborazione volontaria di tutti i suoi membri, che partecipano e cooperano insieme. Uniti da un legame di mutua cooperazione e interdipendenza, si realizza un processo di coesione sociale che equivale a un elemento fondante per la realizzazione di una comunità universale fondata sulla verità. Il potere decisionale spetta alla comunità locale. Infatti, le leggi di cooperazione economica devono rispondere alle necessità della gente.
V. L'economia deve rispettare la legge dello swadeshi.
Lo swadeshi è uno dei più importanti principi di base dell'organizzazione politica degli uomini, che consiste nella necessità di ognuno di esprimere l'ahimsa, la verità. Gandhi applica questo principio direttamente all'economia politica, ritenendo che la realizzazione del benessere di una nazione sta nella capacità di produrre e distribuire tutto ciò che la sua popolazione ha bisogno per vivere in dignità. Così le fabbriche dovrebbero produrre pensando in primo luogo ai bisogni del proprio Paese e allo stesso modo nei consumi ognuno dovrebbe usare i beni che vengono prodotti dalle imprese locali, rendendole efficienti e aiutandole là dove si trovino in difficoltà. Lo swadeshi racchiude in sé l'importanza dell'identità culturale del lavoro, dei prodotti e del consumo che, attraverso la fiducia in se stessi, rende efficace la realizzazione di un'equa economia nazionale, capace di soddisfare i bisogni dell'uomo, evitando quegli effetti negativi derivanti dalle importazioni di inutili.
Questi principi sono irrealizzabili in un'economia competitiva di mercato. Essi sono realizzabili solo in una comunità economica dove il potere decisionale è decentrato e si realizza con una progettazione comunitaria.
VI. Il concetto di razionalità in economia non viene inteso unicamente come l'insieme di calcoli cognitivi dei mezzi da utilizzare, ma gli viene dato una visione più ampia che comprende l'insieme armonioso di azioni del corpo, della mente e dell'anima.
Le azioni razionali sono guidate dalla capacità interiore della coscienza, che Gandhi chiama "voce interiore". La coscienza è molto più razionale quanto più è critica. Per cui un'azione messa in essere nella persuasione di valutare le conseguenze solo per se stessi non è puramente razionale, se manca di una critica sulle conseguenze che le nostre azioni possono avere sugli altri, in modo da modificarle e adattarle ai valori della coscienza.
Quando un'azione, prima di essere compiuta, viene discussa razionalmente e valutata dalla coscienza, non ci può essere più spazio per atti compiuti
considerando ogni cosa e ogni persona come meri oggetti o mezzi, col solo scopo di raggiungere il benessere personale. Il rapporto mezzi-fini, così come viene concepito convenzionalmente, non solo è lontano dall'essere vero, ma è in contrapposizione al principio gandhiano per cui tale relazione è fortemente interconnessa e l'uno direttamente proporzionale all'altro. Ogni obiettivo può essere raggiunto solo utilizzando i giusti mezzi: così come non si può ottenere una rosa piantando della gramigna allo stesso modo non si può pensare di raggiungere il benessere delle persone se si semina ingiustizia, miseria e violenza. Questo modo di pensare è irrazionale e con il tempo si negherà da sé.
3.3 I principi di economia gandhiana
Romesh Diwan26 e Sushila Gidwani27 nel loro scritto: The Indian Economy in the 1970s: Papers and Proceedings of the Second Conference of the Association of Indian Economic Studies, hanno individuato sette principi di economia gandhiana fortemente intercorrelati tra loro e visti su un piano di piena uguaglianza.
I sette principi fondamentali dell'economia gandhiana, diversamente dall'economia classica, non sono concetti indipendenti e astratti da ogni spazio o luogo. Essi sono sempre correlati a ciascuno dei quattro assiomi annunciati nel suo pensiero filosofico-sociale e in stretta interconnessione con le sei premesse della sua dottrina dell'economia sociale. L'idea è quella di realizzare un'economia che rifiuta ogni forma di violenza e realizzi una società le cui relazioni umane si muovino su principi di lealtà e giustizia.
L'economia di un paese è la struttura portante della società, in quanto definisce le interazioni umane e il suo benessere. Quando le leggi dell'economia ignorano i principi etici e si fondano su idee di egoismo e disuguaglianza il risultato sarà la formazione di una cultura violenta. Questo tipo di cultura diventa la base di una società strutturalmente violenta, determinando comportamenti e
26 Romesh Diwan è stato professore di economia e direttore del dipartimento di economia al Renseelaer Polytechnic Institute di Troy a New York.
relazioni umane distruttive. Il progetto gandhiano di sostituire i principi economici astratti dell'economia moderna con nuovi criteri di scelta razionale che mettono al centro l'etica e la giustizia permette il realizzarsi del vero benessere di un paese.
3.4 Proprietà nonviolenta e amministrazione fiduciaria
Gandhi sosteneva che ogni società ha da una doppia identità. La popolazione è formata da una spaccatura tra le élite e le masse, dove generalmente le prime sfruttano le seconde.
In conseguenza a questa divisione, ogni società è formata da due sub-società. Una è costituita da una piccola parte di popolazione, i cui membri sono élite politicamente influenti, economicamente ricche e per la maggior parte urbanizzate. L'altra parte della società, composta dalla maggioranza della popolazione, viene sfruttata materialmente, ignorata politicamente, impoverita economicamente.
Esiste una minima interazione tra le due sub-società, unite in un'unica nazione. È comunque l'élite che in nome della nazione, cura i suoi interessi ed esercita un potere decisionale nell'economia, decide quali beni produrre e quali consumare, le leggi da promulgare, gli investimenti da fare, le tasse da imporre e gli incentivi da erogare. Allo stesso tempo si preservano il diritto di controllare le strutture di potere per esercitare tutta la loro influenza, altrimenti impossibile.
Ciò che distingue l'élite dalle masse è tutta la serie di privilegi di cui queste godono. Questi privilegi sono ottenuti a scapito degli altri membri della società.
Il concetto di privilegio ha una triplice dimensione, sociologica, psicologica ed economica. Nella sua accezione sociologica il privilegio è definito in termini di non-responsabilità per le decisioni prese sul resto della popolazione, questo è possibile per l'implicita esistenza di gerarchia tra chi decide e chi ubbidisce. Dal punto di vista psicologico, è definito in termini di prestigio, cioè "la capacità di ottenere ammirazione" derivante da tutta una serie di vantaggi
associati alle alte cariche che i membri dell'élite detengono. Anche nel prestigio esiste gerarchia, maggiore è la carica ricoperta e più forte è il prestigio che viene riconosciuto. Il privilegio in senso economico, infine, è definito in termini di reddito. Il reddito della popolazione viene misurato per capita. Da questa analisi si evince facilmente che esiste un'enorme differenza di reddito e di consumo tra i membri appartenenti all'élite rispetto al resto della popolazione. L'obiettivo dell'élite è di mantenere e migliorare la propria posizione di privilegio. Questa viene rafforzata tanto più è diffusa l'aspirazione tra la popolazione all'elitarismo e tanto più aumenta il desiderio di beni di lusso.
L'uguaglianza nella distribuzione della ricchezza e la parità nella crescita di benessere di tutta la popolazione sono misure essenziali per stabilire un sistema economico fondato sulla giustizia. La teoria di Gandhi per l'attuazione di una giusta distribuzione della ricchezza si fonda sul principio dell'amministrazione fiduciaria.
Per amministrazione fiduciaria si intende il principio per cui "l'uomo ricco manterrà il possesso delle sue ricchezze delle quali tratterrà per sé solo ciò che ragionevolmente necessita per i suoi bisogni personali e agirà da fiduciario per la rimanenza da utilizzare per il resto della società"28. Gandhi vedeva nella nonviolenza l'unico strumento per una trasformazione sociale verso un socialismo nonviolento. Egli non mirava all'abolizione della proprietà privata ma chiedeva la trasformazione dei proprietari in amministratori fiduciari:
Supponendo che io fossi venuto in possesso di una discreta quantità di ricchezza - sia a titolo di eredità sia per mezzo del commercio e dell'industria - devo sapere che tutta questa ricchezza non mi appartiene; ciò che mi spetta è il diritto ad avere una vita onorevole, non migliore di quella che spetta a milioni di altre persone. Il resto della mia ricchezza appartiene alla comunità e deve essere utilizzato per il benessere della comunità29.
L'espropriazione della ricchezza con la forza, infatti, costringerebbe
28 M. K. Gandhi cit. in T. Unnithan, Gandhi and social change, Jaipur, Rawat Publications, 1979, p.86.
29 M. K. Gandhi, Trusteeship, (a cura di Ravindra Kelekar) Navajivan Mudranalaya (Ahemadabad), Navajivan Trust, 1960, p. 4.
all'uso della violenza e ciò sarebbe fallimentare per il realizzarsi di una società nonviolenta.
Io ritengo che in un certo senso noi siamo ladri. Se prendo qualche cosa di cui non ho bisogno per il mio uso immediato, e lo tengo, significa che lo sottraggo a qualcun altro. Mi permetto di suggerire che questa è una legge fondamentale della natura, senza eccezioni, che la natura produce abbastanza per i nostri bisogni giorno per giorno, e solo se ognuno prende per sé ciò di cui ha bisogno, allora non vi sarebbe più alcuna miseria in questo mondo e nessuno morirebbe di fame. Ma finché noi manteniamo questa disuguaglianza continuiamo a essere ladri. Io non sono un socialista e non voglio espropriare coloro che hanno delle proprietà; ma sostengo che, personalmente, quelli di noi che vogliono vedere la luce fuori dalle tenebre devono seguire questa regola. Io non voglio espropriare nessuno.
Dovrei allora partire dalla regola dell'Ahimsa. Se qualcun altro possiede più di me, glielo lascio. Ma nella misura in cui la mia vita deve essere regolata, io dico che non oso possedere nulla di cui non ho bisogno. In India ci sono tre milioni di persone che vivono con un pasto al giorno, e quel pasto è costituito da un chapati senza grassi e un pizzico di sale. Voi ed io non abbiamo diritto a tutto ciò che abbiamo finché quei tre milioni siano vestiti e nutriti meglio. Voi ed io dovremmo essere più consapevoli e regolare meglio i nostri bisogni, sopportando anche la fame volontariamente per permettere anche a costoro di essere curati, nutriti e vestiti30.
L'amministrazione fiduciaria riconosce il diritto della produzione ai privati che hanno la responsabilità di soddisfare i bisogni della comunità. Così il concetto di sarvodaya viene esteso anche alle imprese. La proprietà privata, la produzione e gli investimenti che violano i principi dello swadeshi (produzione locale per i bisogni locali), e che mirano a eccessivi profitti non sono coerenti con la gestione fiduciaria. Chi si presta a questi comportamenti sarà sottoposto alla pressione dell'opinione pubblica e alla fine sarà espropriato da una legislazione appropriata, quella che riconosce la gestione fiduciaria. Di conseguenza anche i lavoratori si autogestiranno purché agiscono come amministratori fiduciari. "Non appena un
uomo guarderà a se stesso come un servitore della società, guadagnerà per il suo bene, spenderà per il suo interesse, poi la purezza entrerà nei suoi guadagni e vi sarà l'ahimsa nella sua impresa. Oltretutto se le menti degli uomini cambiano verso questo stile di vita, vi sarà una rivoluzione pacifica nella società e ciò senza nessun rancore"31.
L'onestà è elemento essenziale per il fiduciario. L'intera idea dell'amministrazione fiduciaria si basa sull'assunzione dell'onestà come elemento costitutivo.
Questa trasformazione deve partire da una rivoluzione interiore all'individuo. Il capitalista rinuncerebbe volontariamente all'accumulo di beni superflui per dare parte della propria ricchezza alla società. Gandhi suggeriva anche quali strumenti utilizzare nel caso la conversione da parte dei capitalisti non avvenisse e questi non accettassero di divenire custodi della ricchezza. La nonviolenza, la non-cooperazione e la disubbidienza civile sono gli strumenti per sollecitare il processo di trasformazione. "Il ricco non può accumulare ricchezza senza la cooperazione del povero. Se questa consapevolezza fosse capita e diffusa tra i poveri essi diventerebbero forti e imparerebbero come liberarsi, con i mezzi della nonviolenza, dalla devastante disuguaglianza che li ha portati al limite della sopravivenza"32.
Gandhi riteneva che fosse più efficiente un'amministrazione fiduciaria regolata dallo Stato. È sicuramente necessario uno Stato che dia incentivi non per l'accumulo di ricchezza dei privati, ma miri, con un'apposita legislazione, a riconoscere il titolo di fiduciari a chi mette la propria ricchezza al servizio della società. Inoltre lo Stato deve investire nei servizi sociali e nell'adozione di misure per il benessere dei meno abbienti per realizzare un'economia più equa e sostenibile.
3.5 Produzione nonviolenta e tecnologia appropriata
31 Ivi. 32 Ibid., p. 89.
Con produzione appropriata s'intende la capacità delle imprese di produrre beni necessari a soddisfare i bisogni umani. In una comunità economica giusta, nessuna macchina deve essere utilizzata per sostituire il lavoro dell'uomo al fine di economizzare i costi del lavoro generando disoccupazione. Questo avviene in quelle società dove l'economia è riconosciuta come strumento per l'accumulo di ricchezza da parte di una piccola parte della popolazione. Il sarvodaya di Gandhi prevedeva, invece, che l'economia fosse uno strumento per mantenere le relazioni umane su sentimenti di amore e fiducia al fine di soddisfare i bisogni di tutta la popolazione che partecipa direttamente per realizzarla.
Nelle società industrializzate c'è una maggior produzione di beni non essenziali perché i margini di guadagno sono superiori e i costi di produzione minori, poiché molte di queste attività sono sovvenzionate dallo stato sotto forma di infrastrutture e agevolazioni fiscali. Nella società gandhiana, invece, l'enfasi viene data alla produzione di beni fondamentali, non esclusi quei beni culturali che possono soddisfare la creatività, l'auto-realizzazione e la conservazione sociale.
Le principali sovvenzioni offerte nella società capitalistica o in quella marxista mirano a incoraggiare la produzione intensiva e lo sviluppo tecnologico. Il sistema intensivo di lavoro è stato istituzionalizzato sotto forma di tecnologia. Viene richiesto un alto livello di specializzazione tecnologica che rende il lavoro alienante e pone le condizioni per lo sfruttamento della manodopera.
Nel sistema gandhiano la tecnologia deve essere utilizzata per favorire il lavoro dell'uomo e non per sostituirsi a esso. Bisogna utilizzare macchine adatte all'uomo dove egli ha il pieno controllo su di esse. Le tecnologie non devono danneggiare la salute dell'uomo, né la sua mente né la sua anima, conducendolo alla follia. Da queste affermazioni si potrebbe pensare che Gandhi fosse a priori contro ogni forma di industria e di tecnologie avanzate e che il suo modello riproducesse il modello feudale, basato sull'agricoltura tradizionale, rudimentale e essenzialmente statica. In realtà, il modello economico gandhiano non vuole in nessun modo riproporre il modello feudale in quanto esso era costituito da una struttura piramidale e si basava sullo sfruttamento del lavoro servile. Tutto ciò non
sarebbe compatibile con i principi gandhiani di nonviolenza, autosufficienza e decentralizzazione.
Gandhi si opponeva fermamente allo sviluppo industriale dell'India a imitazione delle società occidentali.
Viene riportato di seguito il confronto tra i due sistemi di produzione quello capitalistico e quello nonviolento elaborato da Diwan e Gidwani33.
Produzione
Economia capitalistica Economia nonviolenta
Gli obietti dell'attività economica:
Moltiplicare e aumentare la produzione di beni materiali.
Provvedere al lavoro fisico e soddisfare i bisogni della società in modo che i suoi membri possano realizzarsi all'interno di una società armoniosa. In altre parole l'obiettivo è il progresso morale, come elemento permanente in noi. Il progresso materiale è contenuto all'interno del progresso morale ma il contrario non sarebbe possibile. Misure del successo: PIL e crescita infinita del
tenore di vita
La mancanza tra le masse di privazioni e di fame
Incentivi: Produzione per amore del
profitto
Produrre abbastanza per soddisfare i bisogni di ognuno allo scopo di educare e allenare la mente alla crescita armoniosa.
Cosa produrre? Prodotti che danno il massimo
profitto. L'utile è direttamente relazionato al prezzo.
Beni che soddisfano i bisogni di base. Essendo il consumo e la produzione locale il valore dei prodotti viene definito dal valore del lavoro piuttosto che
dal valore di scambio; assenza di profitto.
Come produrre? Al minimo costo possibile. Pieno occupazione del lavoro.
Per chi produrre? Per coloro che possono
pagare.
Per se stessi. Quanto produrre? Il limite è posto dalla capacità
di produzione.
Il limite è vincolato delle necessità individuali e del livello socialmente desiderabile che non ostacolerebbero la
crescita complessiva
dell'individuo.
Industrializzazione: È un vantaggio. È una maledizione.
Capitale: Essenziale Solo se aiuta l'essere umano.
Tecnologia: Essenziale Solo se è semplice e utilizzabile
dalle masse.
Lavoro: Una merce da sfruttare. Una risorsa del potere umano
che deve essere utilizzata per beneficiare il suo proprietario. La legge fondamentale del nostro essere è di lavorare per il nostro pane con il sudore della nostra fronte; è volontario e non sfruttabile.
Il valore del lavoro: Tutto il lavoro ha un valore di scambio che deriva dalla legge di domanda e di offerta dei prodotti e dai mercati delle risorse.
Solo il lavoro del pane ha valore, il quale deriva dal
bisogno individuale di
mantenere in salute il corpo, la mente e l'anima. Il lavoro intellettuale serve alla realizzazione personale e non ha valore di scambio. Essendo la realizzazione personale incompleta senza un'utilità sociale il lavoro intellettuale
dovrebbe essere reso
liberamente alla società.
Costo marginale è uguale alla produzione marginale
indipendentemente dal costo. Poiché la maggior parte del lavoro è lavoro autonomo, la questione del costo del lavoro diventa irrilevante.
Occupazioni che richiedono lavoro produttivo:
Tutti i tipi di professione. Solo quelle professioni che riguardano il lavoro del pane, l'agricoltura, la stampa, la
carpenteria, il lavoro
calzaturiero, il giardinaggio, la muratura, l'artigianato, la tessitura e la filatura. La produzione di tutti i beni devono soddisfare i bisogni umani fondamentali, così tutte le professioni valgono come il lavoro del pane. Anche l'obiettivo dell' educazione e la formazione relativa a qualsiasi occupazione che richiede il lavoro del pane è lavoro produttivo e intelligente. Lavoro intellettuale: Non prevede tale occupazione Certe materie che sono
essenziali per la società, come la medicina, la legge, la sociologia, pedagogia e la religione, etc.
3.6 Consumo nonviolento e non-possesso
Il non-possesso, aparigraha, deriva rigorosamente dall'ahimsa, nonviolenza. Ahimsa è una parola sanscrita che significa non recare offesa o danno agli altri. Applicata all'economia questo significa che ognuno deve soddisfare i propri bisogni fondamentali rifiutando di consumare tutto ciò che altre persone non possono avere, perché privandosene subirebbero sofferenza.
importante dovere o osservanza religiosa e morale, si potesse maturare il principio di consumo nonviolento e non-possesso, realizzando un pensiero economico sociale nonviolento.
Per osservare l'impegno del non possesso la principale cosa da ricordare è di non accumulare niente di ciò che non abbiamo bisogno. ... Se la mente continua a muoversi verso la rinuncia dal desiderio di accumulare e se nella pratica smettiamo di accumulare tanto quanto sia fisicamente possibile, noi dovremmo fare voto di non possesso.
Lo stesso vale per il principio di non rubare. Non accumulare si riferisce all'accumulo di cose non necessarie. Se io necessito solo di una camicia per coprirmi e ne uso due, sono colpevole di averne rubata una a qualcun altro. Quella camicia, che potrebbe essere usata da qualcun altro, non mi appartiene. Se cinque banane sono sufficienti a sfamarmi, la sesta che mangio è una forma di furto. ... Un così inutile consumo è anche una violazione del voto di nonviolenza. Se tenendo presente il principio di non rubare, noi riduciamo il nostro consumo di beni, cresceremmo in generosità. Se facessimo ciò, spinti dall'ideale della nonviolenza, cresceremmo più in compassione34.
L'idea di non-possesso in Gandhi mostra la sua totale opposizione alla dottrina dell'economia moderna che mira alla proliferazione di infiniti e molteplici desideri umani, indotti artificialmente al fine di accrescere i consumi e aumentare la produzione e le vendite. L'insaziabile ambizione materiale mostra il fallimento dell'attuale sistema economico concepito su un modello di sviluppo lineare, con una crescita infinita che non considera gli effetti collaterali del sistema industriale sull'ambiente. Tale consumo è giustificato dalle teorie economiche come prerequisito per la crescita economica delle società del benessere. Per Gandhi il problema del consumo oltre a essere una questione economica è legato alla morale e al senso di giustizia nell'uso che si fa delle risorse. Quindi etica ed economia
non sono separabili. "Egli ritiene che il possesso di beni, oltre il limite del necessario, per bisogno o per pretesa, è una forma di furto, quindi, immorale"35.
La dottrina del non-possesso implica necessariamente la rinuncia volontaria dei beni superflui e alla riduzione dei desideri. In questo modo si attuerebbe in modo auspicabile e nonviolento una diminuzione delle ineguaglianze di reddito e di distribuzione della ricchezza. Mentre un'imposizione coercitiva da parte dello stato violerebbe i principio del non-rubare e della nonviolenza, Gandhi riponeva massima fiducia nella capacità di cambiamento degli individui attraverso il risveglio morale, che indurrebbe a modificare la distribuzione della ricchezza con una maggior condivisione all'interno della società.
La rinuncia volontaria al possesso di beni superflui porterebbe a un cambiamento essenziale nell'orientare la produzione di beni in base ai bisogni e non alla domanda. In ogni società ricca o povera dove la produzione di beni si basa sulla domanda di mercato vi sono moltissimi bisogni sociali che non vengono soddisfatti. Se la produzione, invece, fosse orientata a soddisfare i bisogni economici delle masse, con ogni probabilità ci sarebbe un effetto positivo sulla crescita e l'occupazione. Ciò avverrebbe perché l'economia non sarebbe più centrata sui profitti individuali ma lo sforzo comune andrebbe a vantaggio dell'intera comunità. Questo essenziale cambiamento strutturale dell'economia può essere raggiunto solo con un sistema decisionale decentrato e la ricostruzione delle piccole economie di villaggio come unità economiche autosufficienti e autogovernate.
Il principio del non-possesso è di natura filosofica e non economica. Gandhi è contrario all'interpretazione della filosofia come "... un'avventura della mente. Un'interpretazione intellettuale della realtà"36. Egli ritiene che una filosofia inutile alla vita dell'uomo è inconcludente, così come è inaccettabile una filosofia che sia in contrasto con la ragione e con la coscienza. Per questo egli richiamava un principio della tradizionale filosofia indiana per applicarlo alla realtà economica sociale. Analizzò il significato di artha (utilità di un possesso
35 A. M. Huq, The docrtine of Non-Possession: Its Challenge to an Acquisitive Society, in R. Diwan e M. Lutz, cit., p.77.
materiale) in un'accezione sociale: "Se una persona nutre se stessa, otterrà un certo tipo di utilità, se nutre l'intera famiglia otterrà un più alto tipo di utilità; se riesce a nutrire anche chi è affamato al di fuori della famiglia, otterrà un ancor più alto livello di utilità. Questo è riorganizzare le utilità da un punto di vista qualitativo che si distingue dal concetto ordinario di utilità che è di tipo quantitativo così come viene usato in economia"37. La differenza più significativa è dell'uso sociale che viene fatto dei beni in eccesso. In questo modo la dottrina del non-possesso diventa positiva, in termini di aggiunta e non di privazione.
Il non possesso non è compatibile con l'economia capitalista.
Nell'economia gandhiana il non-possesso non è concepito come la negazione della proprietà privata, ma come un obbligo per chi la detiene di non trattenere solo per sé i suoi benefici ma di condividerli con gli altri. La proprietà diventa, dunque, per chi la detiene, un dovere verso gli altri e non un potere sugli altri.
Sia l'economia neoclassica che quella neoliberiste riconoscono nel consumo una fonte di ricchezza e di benessere per il Paese. La funzione che viene data ai beni di consumo è quella di arrecare comodità al consumatore. Essi vengono distinti in "beni di base" e "beni di lusso". Nel pensiero economico gandhiano questa distinzione è fondamentale: nei beni di base si riconosce una gerarchia dove al primo posto ci sono i beni che soddisfanno bisogni fisiologici e di sicurezza e successivamente quelli utili per l'auto-realizzazione dell'uomo. I primi possono essere determinati socialmente, mentre i secondi rispondono ai bisogni creativi individuali e per riuscire a soddisfare tali bisogni l'uomo deve considerare necessariamente l'amore, il rispetto e il senso di appartenenza alla comunità oltre ai beni materiali che questa gli può offrire.
Un'altra differenza concettuale riguarda il significato attribuito al lavoro e al tempo libero. "Il lavoro nella società gandhiana è considerato nel complesso una fonte di utilità. Nell'economia neoclassica esso è concepito come pieno di disutilità"38.
Questo perché il lavoro nell'economia gandhiana è concepito come
37 A. M. Huq, The docrtine of Non-Possession: Its Challenge to an Acquisitive Society, in R. Diwan e M. Lutz, cit., p.78.
realizzazione dell'uomo, mentre nelle società industriali è concepito solo come un mezzo per ottenere ricchezza e il tempo libero è ritenuto utile e necessario per permettere il consumo di merci. Nel pensiero gandhiano il tempo libero viene definito non solo per quantità ma sopratutto per qualità, perché necessario per la cura di se stessi per realizzare una genuina soddisfazione personale.
Attualmente il modello gandhiano si ripropone come alternativa alla crisi che coinvolge le moderne società occidentali. Se da una parte l'attuale sistema economico ha raggiunto un record impressionante per la sua capacità di produzione, di sviluppo tecnologico e di sfruttamento delle risorse, dall'altra parte la stesso sistema economico ha generato tensione e nevrosi nella vita delle persone, con una forte tendenza verso il degrado umano e ambientale. Sono aumentati il divario tra i ricchi e poveri, la disoccupazione, la miseria e l'ingiustizia. Gandhi aveva seri dubbi sulla capacità dell'attuale sistema economico di continuare a mantenersi in vita.
Il non-possesso delinea una concezione del consumo diversa da quella dell'economia neoclassica. Le principali differenze tra le due visioni del consumo possono essere riassunte come segue.
Consumo39
Pensiero neoclassico Pensiero gandhiano
Le risorse sono limitate mentre i desideri sono illimitati
Le risorse sono sufficienti per soddisfare i bisogni fondamentali di tutti
L'obiettivo dei consumatori è di massimizzare l'utilità
L'obiettivo dei consumatori è di soddisfare i bisogni Il consumo viene stabilito secondo un determinato
budget
Il consumo viene determinato secondo i bisogni
Avere di più per se stessi è meglio e auspicabile Avere di più è meglio e auspicale solo fino al punto di liberarsi dalla fatica, il disagio e il lavoro pesante
Moltiplicare i beni materiali è diventato lo scopo della vita
Limitare i desideri materiali è lo scopo della vita
La funzione di utilità della molteplicità dei desideri non ha limite
La funzione di utilità della molteplicità dei desideri è limitata dal soddisfacimento dei confort necessari escludendo ogni
forma di lusso La funzione di utilità individuale sono indipendenti
l'una dall'altra
La funzione di utilità individuale sono interdipendenti
La massima funzione di utilità sociale si ottiene massimizzando la funzione di utilità individuale
La massima funzione di utilità sociale si ottiene massimizzando il numero di individui economicamente soddisfatti
La società basata sul desiderio di accumulo di beni
produce spreco di risorse economiche,
preoccupazione nel risparmio per il consumo e limita il realizzarsi dell'individuo in altri aspetti della vita
Una società fondata per il soddisfacimento dei suoi bisogni richiede solo il "lavoro per il pane". Con un economia relativamente indipendente e autosufficiente permette agli individui di avere sufficiente tempo per l'autorealizzazione
3.7 Lavoro nonviolento e il lavoro del pane
Il lavoro è una parte essenziale della vita dell'uomo. Permette l'evolversi dello spirito umano che manifesta la sua essenza attraverso il lavoro. La dignità e la sostanza morale presenti in un determinato lavoro non possono essere quantificati in un prezzo. Il lavoro non è dunque solo un bene da vendere sul mercato in cambio di un salario ma in termini di costi è il tempo libero al quale si rinuncia per dedicarsi a un lavoro. Grazie al libro sacro della Gita40 e agli scritti di Rousseau, Ruskin e Tolstoj, Gandhi ha elaborato la dottrina del lavoro del pane. Essa considera un compito razionale e nobile per ogni uomo quello di dedicare un'ora del proprio tempo per svolgere un'attività manuale che i poveri compiono ogni giorno attraverso il proprio lavoro. In questo modo ciascuno riuscirebbe a immedesimarsi con i poveri e attraverso di essi con l'intera umanità. Il lavoro non deve essere diviso in manuale e intellettuale assegnandolo a diverse classi sociali, ma deve fare parte della vita di ognuno. Una sola ora spesa ogni giorno per il lavoro manuale indurrebbe insegnanti, medici e avvocati a ridurre i loro compensi e a diminuire i loro desideri di beni materiali. Il lavoro del pane deve essere una pratica volontaria e consapevole, nessuno può essere obbligato a prodursi il pane da sé altrimenti non si realizzerebbe una società nonviolenta.
40 La Bhagavadgītā è un poema di contenuto religioso che fa parte del poema epico Mahābhārata.
Il lavoro del pane esalta la dimensione etica dello swadeshi (autosufficienza, fiducia in sé). Il comportamento individuale prima e quello della famiglia poi determinano il fondamento della società. Le famiglie coordinate e autoregolate in comunità formano l'unità economica politica fondamentale del modello di società nonviolenta. Il sistema di produzione locale e comunitario realizza un'economia nonviolenta, decentralizzata e autosufficiente, producendo tutto ciò che serve a soddisfare i bisogni della comunità. Non vi può essere autosufficienza se uno non produce i beni necessari alla propria sussistenza attraverso il frutto del proprio lavoro. Un'economia autosufficiente esclude ogni forma di attività economica relazionata con il commercio o l'investimento estero. A differenza dell'economia classica, che fonda il vantaggio comparato delle nazioni sulla logica della divisione internazionale del lavoro e dell'interdipendenza economica, Gandhi ritiene che il commercio internazionale possa essere adattato ai bisogni, alle risorse e al benessere delle società nonviolente che non sfruttano il lavoro di altri. La possibilità di ottenere beni prodotti dal lavoro di altri implica due condizioni entrambe inaccettabili per l'economia gandhiana e sono: la dipendenza che alcuni hanno verso altri e lo sfruttamento da parte di alcuni del lavoro di altri. Entrambe implicano alienazione, disumanizzazione e violenza.
Gandhi affronta il conflitto metodologico esistente tra due obiettivi economici del lavoro, la scelta tra massimizzare la produzione o l'occupazione. Nel modello macroeconomico classico sembra implicito l'andamento congiunto tra produzione e occupazione. Nel modello keynesiano vengono visti come due variabile intercambiabili e dipendenti. Il movimento delle due variabili nella stessa direzione non esclude che vi siano dei cambiamenti significativi e differenti all'interso di ciascuna di esse. Tali cambiamenti dipendono dalle priorità sociali che vengono date. Nel contesto rurale indiano la disoccupazione di massa era strutturale, stagionale e tecnologica. La mancanza di domanda aggregata aveva poco a che fare con questo tipo di disoccupazione. L'unico approccio a questo problema era la realizzazione di un'economia decentrata diffusa su larga scala, dove il lavoro si realizzava attraverso piccoli capitali e semplici tecnologie che andavano a ricostituire le comunità di villaggio e fare fronte alla povertà delle
masse.
3.8 Allocazione nonviolenta e cooperazione
La cooperazione è l'elemento fondante dell'economia gandhiana che si contrappone alla competizione come principio che muove l'intera economia moderna. La competizione si fonda sull'ingiustizia e l'insicurezza, entrambi elementi che aumentano la povertà e la violenza. Mentre la cooperazione stimola quegli elementi umani che portano l'uomo al bisogno di servire gli altri. Può essere attuata solo previa decisione di quali beni materiali la comunità abbisogna. Ciò vale sia a livello individuale (il lavoro del pane) che collettivo (swadeshi). Solo la partecipazione volontaria può realizzare un modello di economia veramente libero e nettamente superiore al modello del socialismo sovietico. Il problema della scarsità sarebbe affrontato con una struttura istituzionalizzata del lavoro del pane e la realizzazione di un'economia localizzata, che ridanno centralità al lavoro come forza rigeneratrice della comunità, perché agisce internamente all'uomo riducendo le sue aspirazioni di accumulo di beni materiali e allo stesso tempo determinando giustizia sociale e nonviolenza.
3.9 Distribuzione nonviolenta e uguaglianza
Gandhi ritiene sbagliata la tendenza moderna di enfatizzare l'importanza di accrescere gli standard di vita basandosi sul progresso materiale. Se lo scopo dell'individuo e della società è quello di raggiungere la felicità essa è sicuramente più vicina non moltiplicando i desideri materiali ma riducendoli. "Meno possiedi, meno desideri e meglio ti sentirai, non per il godere dei piaceri di questa vita, ma nel gioire per servire i propri simili, servire dedicando se stessi, con corpo, anima e mente"41.
Una volta che l'individuo dedica se stesso per servire la comunità, la sua
felicità si identificherà con quella della società stessa e sentirà gioia nel vedere i propri simili felici. Sarebbe errato credere che Gandhi volesse costringere la popolazione a vivere in povertà. Infatti, la povertà volontaria è per Gandhi un atto di nobiltà e può essere raggiunta solo da coloro i quali detengono ricchezze. La popolazione è chiamata a questo atto di nobiltà solo nel caso in cui la sua ricchezza sia fondata sulla miseria di altri popoli.
La rinuncia volontaria all'accumulo di ricchezza materiale è lo strumento nonviolento più efficace per raggiungere l'uguaglianza sociale di Pareto, coerente con l'uguaglianza economica di tutti gli individui. Riporterebbe equilibrio delle condizioni sociali sia materiali che morali, realizzerebbe una maggior uguaglianza economica che è la chiave essenziale per la felicità e il vero progresso sociale.
Uguaglianza significa che tutti quanti abbiano accesso ai mezzi per soddisfare i bisogni necessari per vivere la vita con dignità ed essere integrati nella propria comunità di appartenenza. Dignità vuol dire permettere a ciascuno di vivere del proprio lavoro con la sicurezza di mantenerlo e non accettare la pratica della carità come elemento sostitutivo o riparatore delle ingiustizie alle quali gli uomini vengono sottoposti. Uguaglianza significa anche assenza di sfruttamento nelle relazioni tra capitale e lavoro, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale e che nessuno sfruttamento ci debba essere della campagna da parte della città. Lo sfruttamento implica una forma di violenza. Attualmente le forti disuguaglianze sociali e l'alienazione mostrano come lo sfruttamento si sia diffuso e sia stato legalizzato per la produzione di beni e servizi. L'uguaglianza non ammette sfruttamento. Questo sta indicare la realizzazione di una struttura economica centrata su una giusta distribuzione del potere decisione, del lavoro e della produzione, della ripartizione dei profitti per l'intera comunità. La distribuzione della produzione rende efficace la distribuzione del benessere comunitario. Lo schema sottostante descrive gli elementi essenziali dell'economia gandhiana a confronto con l'economia moderna nella ripartizione delle risorse e del benessere nella società42.
Distribuzione
Economia neoclassica Economia gandhiana
Esiste un mercato dei fattori di produzione. Non esiste un mercato dei fattori di produzione. Imprenditori e società mettono insieme i fattori
per la produzione comprando.
Gli amministratori fiduciari mettono insieme agenti e fattori di produzione attraverso l'esempio e la cooperazione.
La relazione è tra datore di lavoro e impiegato. Le relazione è tra un'amministrazione fiduciaria e la cooperativa di lavoratori.
I lavoratori vengo pagati a salario. Non c'è lavoro salariato. I salari sono pagati sulla base della produttività
marginale.
Non ci sono salari. Tutti condividono il profitto finale equamente.
Il reddito aumenta con l'investimento di capitale. Il profitto è di proprietà del capitalista.
Non vi è reddito dall'accumulo di capitale. Il capitale, una volta investito, viene mantenuto senza produrre reddito.
Il capitale è di proprietà del capitalista. Il capitale appartiene alla comunità. Capitalisti sostituiscono il lavoro con il capitale
allo scopo di massimizzare i profitti. Nella situazione ideale la sostituzione del lavoro col capitale è infinito o la sua elasticità uno.
Non c'è sostituzione tra capitale e lavoro nella misura in cui il capitale determina la sostituzione del lavoratore. La funzione del capitale è di rafforzare la produttività senza sostituire il lavoratore e diminuire la dignità del lavoro. I rischi della produzione vengono presi dai
capitalisti.
I rischi sono presi dall'intera comunità. Gli investimenti vengono fatti dai capitalisti per
produrre maggior reddito e futuri profitti.
Gli investimenti vengono fatti dalla comunità in decisione comune per migliorare la qualità di vita della comunità.
Gli investimenti rendono profitti una volta che i costi vengono pagati.
Le decisioni per gli investimenti vengono prese sul totale delle uscite e la remunerazione per i lavoratori e gli amministratori fiduciari vengono presi dai fondi residui.
Esistono diversi prezzi uno per il breve periodo e un'altro per il lungo periodo.
Esiste un unico prezzo e vale per il lungo periodo.
La ripartizione nel breve periodo viene determinati dalla quantità della domanda.
La ripartizione nel breve periodo viene stabilita in base ai bisogni e l'uguaglianza.
I prezzi per il lungo periodo vengono determinati dai costi medi, dove i costi sono definiti dai capitalisti.
I prezzi per il lungo periodo sono determinati dai costi medi. Questi costi sono definiti dalla comunità.
Distribuzione è disuguale. La distribuzione è elemento essenziale del
sistema.
dagli incentivi economici. l'amministrazione fiduciaria.
3.10 La nonviolenza nella riforma dei sistemi economici
Secondo Gandhi, il sistema economico capitalista è un sistema fallimentare che arriverà da sé al collasso. Ma la distruzione di un'ideologia non può essere imposta con la forza, essa verrà sostituita da un nuovo sistema sociale che esclude ogni forma di violenza. Non potrà essere né la guerra di classe né la rivoluzione violenta marxista a sostituirsi al modello economico dominante, potrà riuscirci solo un socialismo comunitario pacifico e nonviolento.
L'economia gandhiana si propone la realizzazione di uno stato ideale, lo swaraj, dove ognuno si autogoverna e nessuno è governato da altri, applicando i principi di giustizia, partecipazione e autogestione: lo swadeshi (l'autosufficienza); il lavoro del pane; aparigraha (non possesso); l'amministrazione fiduciaria; la dignità del lavoro e il non sfruttamento; l'uguaglianza. In più occasioni Gandhi ha confidato agli amici di sentirsi un anarchico.
Nell'economia gandhiana la concezione di benessere sociale è definita in termini morali oltre che materiali. Lo scopo di ogni comunità è massimizzare il più alto livello morale dei suoi membri per soddisfare il benessere di tutti e non solo di una parte. Il benessere concepito nell'economia convenzionale è prettamente materialistico, utilitaristico e con scarsa considerazione morale. Mira ad ampliare il benessere della maggioranza, ma si basa su una forte disuguaglianza della retribuzione e sulla discriminazione del lavoro, generando un sempre maggior divario tra i ricchi e i poveri. Le risorse, in questo sistema economico, sono distribuite in modo iniquo e qualsiasi variazione nell’allocazione interna delle risorse nella società genera un guadagno di alcuni a scapito di altri, applicando a tale scompenso il "principio di compensazione del benessere"43.
43 Secondo il principio di compensazione le differenze di benessere materiale all'interno della società posso essere migliorate attraverso una ridistribuzione della ricchezza da parte dello Stato. Attraverso una nuova allocazione delle risorse si vuole trasferire dei fondi dagli agenti che hanno migliorato la propria condizione a favore di quelli che l’hanno peggiorata, in modo tale che tutti siano in grado di conseguire un’utilità non inferiore a quella di cui godevano in
Questo dimostra che rimane comunque riconosciuto un maggior desiderio di equità, che si cerca di soddisfare senza curare alla radice il problema, che Gandhi individua in una ingiustizia strutturale dell'economia moderna.
Il primo elemento per la soluzione dei conflitti riguarda la definizione dei bisogni. Gandhi considerava indispensabile la necessità di limitare il consumo dei beni superflui. Il secondo elemento chiave in questa prospettiva è la distribuzione del reddito e del benessere. Gandhi riteneva che il massimo benessere sociale si possa ottenere solo attraverso un'economia equa. Questa è raggiungibile attraverso l'amministrazione fiduciaria, superando così il conflitto tra capitale e lavoro. Se la proprietà e la ricchezza vengono utilizzati con onestà per il bene comune, il conflitto viene trasceso:"Una combinazione autentica e nonviolenta di lavoro agirebbe come un magnete che attrae a esso tutto il capitale necessario, e i capitalisti esisterebbero, allora, solo come fiduciari"44. Gandhi chiamò questa dottrina "una forma di socialismo nonviolento"45.
precedenza.
44 M. K. Gandhi in Diwan e M. Lutz, cit., p. 74. 45 Ivi.