• Non ci sono risultati.

1. La comunicazione e la pubblica amministrazione

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1. La comunicazione e la pubblica amministrazione"

Copied!
29
0
0

Testo completo

(1)

1. La comunicazione e la pubblica amministrazione

Prima di entrare nel cuore di questa mia trattazione, ovvero l'analisi del caso pratico di comunicazione nella pubblica amministrazione che ho vissuto personalmente, credo sia opportuno definire come in questo settore si sviluppa il concetto di comunicazione.

Soprattutto in questo capitolo esaminerò le accezioni che esso ha all'interno della pubblica amministrazione (poi definita PA).

La comunicazione infatti viene definita in vari modi in base alle funzioni e ai mezzi che adopera e per l’ambito di cui sto trattando si può distinguere in:

comunicazione pubblica;

comunicazione politica;

comunicazione sociale.

Queste accezioni sono difatti quelle più classiche, affrontate in vari corsi di laurea e manuali, che ci possono aiutare a chiarire cosa si intende per comunicazione quando si parla di un ente pubblico.

Di seguito quindi analizzerò questi tre concetti, concentrandomi tanto sulla loro storiografia quanto sulle loro caratteristiche, in modo da permettere al lettore di aver chiari i loro significati.

1.1. La comunicazione pubblica

Per comprendere questo concetto di ampia portata non si può prescindere dall'esaminare come si è arrivati a costruirlo, ovvero le nozioni e gli aspetti che nel tempo l'hanno formato. Per farlo possiamo scomporre questa definizioni nei suoi due termini: pubblico e comunicazione. Dal primo concetto è possibile dedurre le implicazioni storiche e i referente di questa comunicazione, mentre col secondo si capirà meglio cosa si intende davvero per comunicazione in un contesto aperto a tutti, ovvero pubblico.

(2)

1.1.1. Il pubblico della comunicazione

Il titolo di questo paragrafo sta ad indicare l’ambiente della comunicazione pubblica, ovvero il pubblico. Per definire meglio quest’ultimo si potrebbe operare una negazione, ovvero dire semplicemente cosa non è pubblico: tutto ciò che è privato, strettamente delimitato da confini e a volte nascosto agli altri. Il pubblico quindi può essere definito come tutto ciò che è apertura, disponibilità e anche condivisione. Questa iniziale dicotomia serve per chiarire il discorso prima che si complichi. Non vuol essere di certo una semplificazione dei termini; è però utile per iniziare in maniera immediata a comprendere l'ambito della comunicazione pubblica.

Entrando più nello specifico della terminologia, per pubblico è meglio intendere la

società civile. Essa viene descritta accuratamente da Aristotele nella “Politica” e

contempla due interpretazioni che negli anni successivi saranno ampliate da vari filosofi:

• la società civile è la continuazione della famiglia e viene assimilata all'interno dello stato;

• lo stato di natura si oppone al concetto di stato e quindi la società civile si realizza solo attraverso un contratto tra comunità e cittadini, come prevedono i giusnaturalisti.

Aristotele si rifaceva più alla prima visione, incentrata sulla polis e sulla difesa degli interessi comuni ai più, intendendo la comunità statale come una grande famiglia che riesce a difendersi dalle ingerenze esterne e dai cambiamenti imposti dal mondo. Arendt sottolinea come la comunicazione in quest'ambiente fosse gestita tramite la persuasione, visto che i temi trattati non erano inerenti alla sopravvivenza bensì allo stare insieme e al saper decidere cosa fosse più giusto per tutti.

Alla seconda interpretazione invece si rifanno Hobbes, con il suo concetto di homo

hominis lupus, secondo cui è necessario un ente supremo e assoluto per governare le

pulsioni e i desideri degli uomini.

Locke si differenzia da questa visione concentrando l'attenzione sui poteri autonomi dello stato e della società civile, come faranno poi molti illuministi inglesi.

(3)

Hobbes, sostenendo che l'incivilimento ha reso tristi e feroci i rapporti umani. Gli uomini, infatti, sarebbero istintivamente altruisti e in grado di autoregolarsi, mentre le norme dello stato e della comunità civile li limiterebbero. Solo un contratto tra cittadini può davvero essere di utilità pubblica.

Hegel invece rende più specifica la seconda interpretazione descritta sopra, andando oltre la differenza tra stato di natura e società civile, affermando che c'è un distacco tra quest'ultima e lo stato inteso come comunità legale.

Si entra qui nel filone del vero liberismo, dove lo stato viene visto come il collettore del principio universalistico e della difesa degli interessi economici. La società civile invece curerebbe il principio particolaristico, per il quale la base è l'individuo e i suoi bisogni. Nonostante ciò, il liberismo attua forme di solidarietà tra le persone: anzi queste sarebbero nate tra i cittadini e solo successivamente lo stato le avrebbe inglobate. Thomas Paine approfondisce quest'argomento, facendo notare quanto lo stato sia un freno per la capacità di unione e di azione autonoma dei cittadini.

Norberto Bobbio1 analizzando tutte queste considerazioni relative alla società civile arriva a definirla in tre diversi modi:

• un insieme di forme di associazionismo, composte da collaborazione e volontariato, che hanno lo scopo di difendere la comunità. Esse si realizzano prima che lo stato le recepisca, come suggerisce anche Tocqueville;

• un ambiente dove si formano le idee innovative e i cambiamenti sociali, caratterizzato da forti contro-poteri. Una differenza spaziale quindi rispetto allo stato e a tutte le istituzioni sociali, nelle quali i cittadini non si vedono rappresentati;

• un livello sovrastrutturale, come diceva Gramsci, che realizza la cultura del gruppo predominante e soprattutto che rimane e si impone anche senza lo stato, qualora esso si dovesse frantumare.

Dalla seconda definizione proposta da Bobbio si evince che la società civile ha una sua autonomia rispetto alle istituzioni ed è quindi il fulcro di idee che si costruiscono all'esterno di un ambiente legale e costituito. Questo concetto ora può essere esplicitato meglio attraverso un mezzo del suo agire, quello dell'opinione pubblica.

(4)

Per Mancini2 l' opinione può essere letta come un giudizio non del tutto dimostrato o come la sintesi di stima e reputazione che un cittadino può avere nei confronti di un altro. Essa, quindi, contiene una valutazione soggettiva e condizionata dai rapporti esistente tra i membri di una società. In particolare, l'autore pone l'accento sul public

spirit inglese, ovvero la coscienza morale dei più, che viene sostenuta dai giornali e

dai circoli. Essa è un elemento di discussione, ma allo stesso tempo è una forza che può controllare il potere statale. Riesce ad essere talmente valida e forte che per Locke è da considerarsi come un giudizio collettivo a cui è necessario conformarsi in quanto è una “quasi legge”.

Saranno però i fisiocratici a proporre una dicotomia interessante intorno al concetto di opinione pubblica. Esso infatti sarebbe formato da due elementi:

la voluntas: il giudizio della collettività, spesso guidato da emozioni e non molto coordinato;

la ratio: la razionalità legislativa che dovrebbe recepire gli spunti e le idee sociali.

Rousseau valuta come questi termini si sviluppano all'interno della società francese e conclude che la voluntas appartiene alla volontà generale, che è fatta di senso comune e di un sentire avulso da riflessioni profonde su questioni importanti per la comunità. La ratio, invece, è la vera opinione pubblica e risiede negli illuminati, prima ancora che dello stato, e ovviamente è un modo ragionato di analizzare la società.

Hegel, invece, torna a considerare l'opinione pubblica nell'ottica dei fisiocratici e giunge sino a dichiararla decaduta, in quanto al suo tempo rappresentava soltanto il disordine, preda del senso comune e dei pregiudizi. Solo lo stato poteva avere la ratio di dare ordine e norme chiari. L'opinione pubblica si è ritrovata così in uno stadio approssimativo, nel quale la corruzione e la manipolazione erano molto facili.

Eppure, l'opinione pubblica nel tempo ha acquisito notevole importanza e forza, al punto che Mills ritiene che sia necessario porle un freno in quanto ora che non deve più lottare per aver la possibilità di mostrarsi e farsi ascoltare, sta sfruttando la libertà acquisita e sta ponendo una tirannia sul dibattito comune.

(5)

Il filosofo tedesco Habermas riassume la storiografia di questo concetto definendolo in tre modi, che rappresentano anche tre periodi diversi della sua attività:

l'opinione pubblica critica sarebbe quella degli albori, ovvero in quel periodo in cui nacque la borghesia, con le sue istanze e le sue pretese di diritti. Essa è composta da argomentazioni razionali e da un profondo desiderio di creare regole utili per lo stato. Sarebbe quindi la vera ratio intesa da Rousseau, quella che dà spunti al potere statale per la creazione della proprie leggi. Eppure per Habermas pur essendo propositiva, mantiene un alto grado di criticità, rimanendo un’alternativa al potere pubblico. È inoltre elitaria, poiché può nascere solo da discussioni fatte in circoli ristretti;

l'opinione pubblica ricettiva nasce con l'allargamento della platea che discute fatti comuni e si realizza quindi a seguito di nuove forme aggregative e nuovi canali comunicativi. Si arriva così ad una situazione nella quale la comunità non elabora più i contenuti ma si limita a riceve passivamente quanto detto dai mass media e i contenuti divengono beni di consumo. Ciò però non avviene solo a seguito dell'influsso dei mezzi di comunicazione, ma anche tramite la statalizzazione di funzioni che prima la società era in grado di gestire autonomamente, come la solidarietà e l'educazione;

l' opinione quasi pubblica è l'ultimo momento della parabola discendente della storia del termine, in quanto sta ad indicare che l'opinione della comunità è ora guidata da gruppi di potere (associazioni e partiti) e non è quindi aperta alle riflessioni dei singoli cittadini.

In queste discussioni riguardanti la società civile e l’opinione pubblica si è notata spesso la distinzione tra la società dei più e lo stato o gli universi particolaristici. In questo ambito di distinzione si inserisce la comunicazione pubblica.

Essa può essere il collante tra stato e società, ma per capire come questo scambio di volontà, richieste e informazioni possa realizzarsi, è bene soffermarsi ancora sul concetto di potere perché è in base a come esso viene organizzato che poi si può strutturare la comunicazione, ieri come oggi.

(6)

giudiziario e legislativo.

Tale distinzione permette la distribuzione dei poteri tra diversi organismi e quindi la possibilità di controllo reciproco tra gli stessi.

A ciò si aggiunge quanto detto prima sulla società civile: la distanza che essa ha con lo stato non deve essere intesa come chiusura, anzi Kant stabilisce che: «Tutte le azioni relative al diritto degli altri uomini, la cui massima è incompatibile con la pubblicità, sono ingiuste»3.

Entra quindi in campo il concetto di pubblicità, inteso come diffusione di contenuti, che Mancini definisce un «flusso in entrata e in uscita»4 tra stato e società, immaginando quindi una relazione binaria tipica di un rapporto orizzontatale dove entrambi gli interagenti hanno il diritto di esprimere pareri e idee su certe situazioni. Lo stato quindi può governare solo se è in comunicazione con l'esterno e se da esso si fa controllare.

È Hegel però a rendere ancora più chiara questa necessità quando dice: «Sospendere le leggi così in alto, che nessun cittadino le possa leggere, come faceva il tiranno Dionisio – o, altrimenti, nasconderle nel prolisso apparato di libri dotti, di raccolte di decisioni disordinate per giudizi ed opinioni, di consuetudini, ecc, e ancora, per di più, in in linguaggio strano, sì che la conoscenza del diritto vigente sia accessibile soltanto a coloro che si sono addottrinati in esso – è solo e un medesimo torto»5. Il concetto di pubblicità quindi si amplia contemplando la necessità che la comunicazione pubblica sia accessibile ai cittadini, ovvero semplice e di facile intendimento. Aspetti molto moderni, che si ritroveranno in tante analisi attuali sullo stile della PA.

Queste riflessioni rimandano ad un vero processo di orizzontalizzazione dove, sullo stesso piano, si mettono in comunicazione la società civile - con la sua accezione dell'opinione pubblica - e lo stato.

Tuttavia, non si deve dimenticare l’importanza del processo di verticalizzazione, che è stato presente in epoche precedenti (come quelle dei regimi totalitari) e che a volte ritorna anche ai giorni nostri. Esso si realizza soprattutto nel concetto di

3 I. Kant, Per la pace perpetua, Feltrinelli, Milano, 1993, p. 74 4 P. Mancini, op.cit., p. 18

(7)

rappresentazione, come sostiene Rolando6.

I potenti si sono spesso arrogati il diritto di essere i rappresentanti della società grazie ad un'investitura dall'alto, ma dalla loro posizione hanno spesso imposto con autorità particolari interpretazioni del mondo.

In Grecia, l'investitura era dalla Verità, nel Medioevo da Dio, mentre prima della Rivoluzione Francese dal sovrano stesso. Successivamente però questo concetto non è venuto meno, ha solo cambiato connotati: è difatti ancora presente l'idea dell'istituzione come di un luogo lontano e in alto rispetto alla comune società e spesso i politici continuano a perpetrare questa distanza.

Rolando cita a questo proposito il concetto di immunità, che dà alla politica un'aurea di superiorità rispetto alle leggi e comunica così una differenza di piani, non una visione orizzontale.

Infine, per Mancini il notevole diffondersi della comunicazione pubblica negli ultimi secoli è dovuto a tre fenomeni7. Il primo è relativo all'ampliamento dei compiti dello stato. Infatti, come già notato da diversi autori citati sopra, lo stato nel tempo si è appropriato di funzioni che prima erano realizzate dalla società civile, creando così un welfare state. In questo modo, secondo Habermas, lo stato avrebbe l'obiettivo di ridurre la distanza con la società offrendole servizi e comunicando di più con essa. La teoria della differenziazione sociale interpreta invece quest'allargamento dei compiti dello stato sotto un'altra prospettiva: la società ormai complessa imporrebbe allo stato un'inevitabile specializzazione per risolvere i tanti e nuovi problemi. Non ci sarebbe quindi un intento di riappropriazione di ruoli, quanto di ampliamento. Ciò che è certo è che tanto lo stato quanto la società civile hanno iniziato a guardare a nuovi aspetti sociali della comunità, generando così nuovi ambiti e conseguentemente nuovi flussi comunicativi, necessari per permettere ai cittadini di utilizzare le funzioni nate nei vari sottosistemi sociali.

Un secondo aspetto che ha influito sulla diffusione della comunicazione pubblica è sicuramente il concetto di cittadinanza.

6 S. Rolando, Teoria e tecniche della comunicazione pubblica – Dallo Stato sovraordinato alla sussidiarietà, ETAS, 2001, p. 8

(8)

Stefano Sepe8 nota infatti, sulla scia della differenziazione orizzontale-verticale proposta da Rolando, che nei secoli si è passati da un concetto di sudditanza ad uno di cittadinanza. Nel primo, i protagonisti erano i sudditi, che erano tenuti all'obbedienza nei confronti di un potere superiore forte che imponeva loro solo doveri. Nel concetto di cittadinanza, invece, le persone che fanno parte della società hanno dei diritti e delle libertà nei confronti del potere temporale. Quest'ultimo non è svanito nel tempo ma, dopo la Rivoluzione Francese, si è notevolmente limitato e si è iniziato ad accettarlo solo in funzione di garanzie o di un chiaro contratto, come già ipotizzava Rosseau. Si riprende qui il concetto di verticalizzazione che non svanisce, anche se entra in un processo estremamente controllato. Col welfare state inoltre le disuguaglianze, che avevano caratterizzato la sudditanza, si attenuano e il cittadino da mero soggetto passivo inizia a diventare consapevole e critico dei meccanismi che regolano la società.

Marshall9 definisce i diritti di cittadinanza in tre modi, così mettendone in evidenza le caratteristiche:

diritti civili, che preservano la libertà individuale e la condizione di uguaglianza di fronte agli altri. Essi per l'autore si realizzano pienamente a partire dal diritto al lavoro, che emancipa concretamente i soggetti e li rende liberi;

diritti politici, legittimano la partecipazione alla cosa pubblica, determinandone i limiti e le caratteristiche attraverso forme di rappresentabilità. Nascono come individuali, per diventare poi collettivi;

diritti sociali, costituiscono un’ampia gamma di garanzie che permettono di vivere in sicurezza e di partecipare ai fenomeni della società.

La collocazione del diritto all'informazione è molto dibattuta: Marshall lo considera uno dei diritti civili, che sono alla base della cittadinanza; mentre per altri autori esso appartiene alla categoria dei diritti sociali, in quanto oggigiorno l'informazione è diventata più una richiesta da parte dei cittadini - maggiormente istruiti e consapevoli - piuttosto che una predisposizione delle istituzioni ad informare.

8 S. Sepe, Cittadini e cittadinanza in S. Rolando, op.cit., p. 53 9 Citato in P. Mancini, op. cit., p. 67

(9)

Un terzo aspetto relativo all'evoluzione della comunicazione del pubblico è invece l'ampliamento dell'arena mediatica. Di certo nel settecento, con l'avvento dei circoli borghesi, la stampa aumentò notevolmente, ma quello che più rivoluzionò le abitudini della società fu il suo nuovo ruolo: da semplice canale di informazione divenne essa stessa un comunicatore poiché cercava di condizionare altri soggetti sociali. Da questo processo trae origine la commistione che i media e la politica hanno avuto negli anni, anche se essenzialmente il quarto potere ha sempre saputo preservare una considerevole dose di autonomia, generando «un'attività simbolica di una società in cui, a seguito dei processi di differenziazione sociale, sistemi diversi interagiscono e competono per assicurarsi visibilità e per sostenere il proprio punto di vista su argomenti di interesse collettivo»10. Si genera così una competizione tra l'informazione commentata dei media e quella dello stato, nella quale entrambi cercano di imporre i propri temi e si controllano a vicenda. Ciò, però, è possibile perché la domanda di informazione, generata dall'ampliamento dello scenario dei servizi, cresce e quindi conseguentemente anche l'offerta si orienta al fine di soddisfare le esigenze comunicative della società, ovvero capire e conoscere tanto i suoi meccanismi interni quanto quelli delle istituzioni che la rappresentano.

1.1.2. La comunicazione del pubblico

Una volta chiarito l'ambiente nel quale la comunicazione pubblica si realizza, è bene specificare come la stessa si concretizzi. L'obiettivo di questo paragrafo, quindi, è quello di presentare alcune categorie che permettono di definire meglio la comunicazione in tal senso, concludendo così questa panoramica sul soggetto e l'oggetto della comunicazione pubblica.

Per capire le metodologie e i modelli della comunicazione pubblica è necessario prendere in considerazione la dicotomia esistente tra la comunicazione e l’informazione.

Tali concetti hanno aperto negli anni molti dibattiti, che spesso si confondo, si sovrappongono e a volte si sommano. Qui non potrà esser fatta chiarezza sulla sociologia a riguardo, ma sembra comunque doveroso introdurre alcuni accenni.

(10)

Innanzitutto, all'informazione viene dato ampio spazio nella teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver11, dove la comunicazione viene vista solo come un meccanismo tecnico, un passaggio di informazioni lungo un percorso chiaro e misurabile. In base a tale teoria esiste quindi un flusso prestabilito nel quale la comunicazione può realizzarsi, che fa passare informazioni da un emittente ad un destinatario perlopiù passivo, come spiega bene Jackbson12 nei suoi modelli funzionali. Il testo di Ugo Volli sulle caratteristiche e le forme anche moderne di comunicazione propone altre cinque interpretazioni di questi concetti base, di cui ritengo che due siano particolarmente rilevanti per capire la complessità della questione.

La prima definisce la comunicazione come inferenza. Tale interpretazione le conferisce un ruolo più attivo e dinamico: infatti, il destinatario non si limiterebbe alla classica decodifica di segnale e informazione.

La comunicazione, insomma, non passerebbe al destinatario solo conoscenze basilari, ovvero informazioni, ma gli darebbe indizi da cui trarre delle conclusioni. Ci sarebbe così pertinenza13, una qualità che permette di comprendere un messaggio in base a conoscenze vecchie e nuove, che possono dare un certa prospettiva al contesto del dialogo. In questo modo l'emittente non solo passa informazioni, ma cerca anche di agire sull'altro modificando o influenzando la sua conoscenza con degli indizi a cui il destinatario poi dovrebbe attribuire dei significati.

La seconda interpretazione, invece, considera la comunicazione come un processo cooperativo/competitivo tra emittente e destinatario. Al primo spetterebbe l'analisi poetica di un messaggio, ovvero la sua costruzione in quanto “cosa”, mentre al secondo spetterebbe un contributo importante, quello estetico, di percezione e costruzione del significato. Il destinatario qui arriva ad avere un ruolo centrale che nella teoria del negoziato si amplia fino a rendere imprescindibile il suo consenso all'interno di un flusso comunicativo.

Con questi brevissimi cenni si è voluto evidenziare che tra l’informazione e la comunicazione i confini sono molto labili, in quanto nella comunicazione c'è

11 Citati in U. Volli, Il nuovo libro della comunicazione, Il Saggiatore, Milano, 2007, p. 22 12 Ivi, p. 25

(11)

inevitabilmente informazione ovvero passaggio di conoscenza, mentre nell'informazione non si può dire che non ci sia, nel momento della codifica/decodifica, un processo di comunicazione. Quindi la dicotomia per cui comunicare è tentare di persuadere l'interlocutore e condizionarne i comportamenti, mentre l'informazione è un trasferimento basilare di sapere può essere accettata solo per sommi capi.

Mancini nel suo testo14 preferisce sgomberare il campo dalle incertezze con una classificazione binaria più netta. La comunicazione, cioè, si potrebbe realizzare in due modi principali, all'interno dell'ambito pubblico qui trattato:

comunicazione funzionale: serve a definire le funzioni di un ente in rapporto

alle altre istituzioni, in modo da chiarirne i confini e le possibili integrazioni (comunicazione funzionale orizzontale) e opera per fornire ai cittadini informazioni sui servizi offerti. Quando veicola conoscenze relative soprattutto a norme diviene comunicazione normativa, con lo scopo di realizzare concretamente le disposizione tramite la comunicazione e di far funzionare efficacemente l'ente. Questo tipo di comunicazione ha risentito fortemente del processo di specializzazione nel quale è incappata tutta l'amministrazione pubblica, come spiegato sopra: ciò ha permesso a questa comunicazione di lavorare più sul suo vero oggetto, ovvero l'identità dell'istituzione. Nei primi tempi, infatti, spesso erano la politica e gli interessi particolari a stabilire i suoi contenuti al fine di persuadere e creare consenso. Ora in quest'ambito rimane la competizione che si realizza però tra istituzioni che devono chiarire al mondo i propri compiti e finalità, non di certo tra fazioni politiche. Per questo negli anni la comunicazione funzionale è diventata più accurata, puntuale e professionale. Interessante a questo proposito è una considerazione fatta da Mancini nel definirla: essa non si esplica solo attraverso un flusso di conoscenza, ma anche in azioni concrete. Questo è un punto importantissimo per la mia trattazione: egli infatti sottolinea che ogni sistema comunica anche con i propri prodotti, ovvero «la qualità del servizio è la prima informazione che ogni organizzazione dà di se

(12)

stessa e della sua efficienza»15. Il concetto è palese nel caso dei front-office, ma vale anche per altri uffici pubblici e difatti è facile farlo rientrare nella riflessione sulla comunicazione organizzativa che più avanti affronterò;

comunicazione di integrazione simbolica: è quella che veicola i valori

caratteristici di un'istituzione. Essa promuove azioni e comportamenti atti a migliorare in modo deciso e propositivo l'immagine dell'ente. Arriva addirittura a proporre temi alla comunità, per poter mostrare sul campo il proprio sentire e i suoi valori. Molti anni fa essa era più un modo per promuovere soggetti o partiti sotto l'egida dell'istituzione, mentre con l'aumento della complessità e della specializzazione si è iniziato a dare anche all'ente una sua immagine autonoma, da curare e gestire con attenzione. Per realizzarla si usano solitamente della campagne informative che viaggiano su più canali, in un particolare periodo.

Un'altra importante dicotomia di Mancini nell'ambito dell'attuazione concreta, che serve a comprendere meglio lo scenario, è relativa alle direzioni della comunicazione, come notano anche Giacomazzi e Camisani Calzolari16:

comunicazione autoprodotta è quella che viene gestita direttamente

dall'istituzione. Su di essa è possibile un controllo pieno dei contenuti, come anche dei canali di comunicazione. Si generano così messaggi autonomi e il suo successo è dovuto all'evoluzione dei media elettronici, come Internet, che le hanno permesso di abbattere le distanze con la propria utenza in modo da poter stabilire una comunicazione non mediata da altri, ma curata direttamente;

comunicazione eteroprodotta è invece quella in cui i messaggi sono

costruiti e veicolati da soggetti esterni all'istituzione, che però influenzano la percezione che la società ha di loro. Sono generalmente le informazioni giornalistiche, quelle gestite da enti concorrenti e che riguardano i fatti liberamente conosciuti riguardo ad un'istituzione. Con un'arena mediatica

15 P. Mancini, op. cit., p. 102

16 F. Giacomazzi, M. Camisani Calzolari, Impresa 4.0 – Marketing e comunicazione digitale a 4 direzioni, Financial Times: Pearson Business, Milano, 2008

(13)

sempre più ampia questo tipo di comunicazione si è sviluppata e proprio per questo l'attività dell'istituzione si è fatta più impegnativa. Deve infatti difendere il grado di notiziabilità del proprio ente, ovvero l'interesse che i mass media le riservano, in quanto la concorrenza di altre istituzioni è diventata ferrea. Per questo spesso più che comunicare col cittadino l'istituzione crea un flusso verso i giornali, che sono gli opinion leader dei cittadini. Infine questa nuova dicotomia è impegnativa perché bisogna fare in modo che le due voci non vadano in conflitto, anzi spesso si creano appositamente progetti di convergenza e coordinamento. Ciò serve ad evitare confusione, anche se per realizzarli serve un'attenzione particolare al di fuori, alle sue necessità e percezioni, ovvero al feedback.

Un'ultima distinzione in questo ampio universo della comunicazione pubblica è senza dubbio quella tra comunicazione interna ed esterna, specificata concretamente da Priulla17. Essa verrà riproposta diverse volte nella mia trattazione perché è la dicotomia più classica e immediata nella configurazione di un sistema. Anche nel senso comune, infatti, si immagina un insieme come una struttura con un suo interno e un suo esterno, magari separati da confini. Bisogna però capire che importanza dare a questi ambienti e come farli relazionare.

Se per l'istituzione la comunicazione esterna è sempre esistita, in forme più o meno decise, perché senza comunicare ai cittadini le norme e le funzioni spesso si impediva la loro attuazione, la comunicazione interna invece è uno scenario nuovo per la PA. Deriva da considerazioni imprenditoriali e di marketing che spesso sono state osteggiate da alcune fazioni politiche, senza comprendere che l'avvicinare l'ente locale all'azienda non deve tanto essere un accostamento terminologico quanto piuttosto una pratica. Immaginare infatti un'istituzione come un'impresa può aiutare a comprendere meglio la sua organizzazione e soprattutto a capire quanto un'eccessiva rigidità e frammentarietà influiscano sugli ambiti della comunicazione. Con una cultura d'impresa chiara infatti gli URP e le campagne informative riescono ad esplicare tutta la loro forza comunicativa, in quanto non sono più automatismi imposti per legge ma scelte con una loro progettualità e significazione.

(14)

Quindi, come suggerisce Rovinetti18, la comunicazione interna permette di veicolare tre valori importanti tra i dipendenti:

consapevolezza, che incentiva la creatività e l'identità dell'istituzione;

partecipazione, che stimola una maggiore competenza;

proiezione esterna, ovvero il riconoscere la responsabilità del proprio lavoro. Con questa dicotomia si entra facilmente in un altro ambito, divenuto molto importante per la PA: la trasparenza.

La pubblicità e l'istruzione, infatti, hanno spinto le istituzioni ad abbattere molti muri del segreto, anche se alcuni sono ancora in piedi, soprattutto in Italia. Si è così arrivati col tempo ad un'accezione di comunicazione che va oltre la persuasione e la proiezione verso l'esterno, anzi diventa permeabile al fuori: il confine del sistema ora è morbido, lascia filtrare i cittadini con le loro curiosità e richieste. Il termine trasparenza si avvicina al concetto di diritto dell'informazione, anche quest'ultimo considerato per molto tempo più in un'ottica “attiva”, nella quale cioè è l'ente a comunicare al di fuori e a stabilire cosa mostrare. Ora, invece, l'istituzione ricopre anche un ruolo passivo, nel quale è il cittadino a stabilire i contenuti della PA che gli interessano. Egli quindi svolge un ruolo di controllo, che nella complessità odierna non è affidato solo ai cittadini ma anche ad altre istituzioni, vista la concorrenza generata dalla specializzazione delle funzioni statali.

Ciò, secondo Graber19, genera dei flussi in entrata che devono seguire un percorso di selezione in base al grado di importanza, esser distribuiti verso l'impiegato con le competenze adeguate per trattarli correttamente e farli poi confluire in una nuova comunicazione esterna, che però è stata sollecitata dal fuori. Questo schema rispecchia pienamente il meccanismo delle segnalazioni ad un URP, che accennerò più avanti.

Per Fregoli20, quindi, l'istituzione - considerando i concetti di comunicazione interna, esterna e trasparenza – può tenere:

18 Citato in P. Mancini, op.cit., p. 111 19 Ivi, p. 110

(15)

un atteggiamento autoreferenziale, essere cioè un'istituzione chiusa che non accetta flussi comunicativi dall'esterno e continua a mantenere un'organizzazione interna rigida. È questo un caso molto frequente anche nell'attualità, in quanto la burocrazia ha spesso ostacolato la concretizzazione di progetti illuminanti di comunicazione allo scopo di difendere i propri interessi e per paura che l'apertura all'esterno le togliesse qualche privilegio;

un atteggiamento prettamente trasparente, caratterizzato da una profonda volontà di proiettarsi all'esterno e dalla capacità di saper recepire le richieste che vengono dal di fuori e quindi di riuscire anche ad adattarsi alle richieste di cambiamento.

Riprendendo l'approccio storiografico proposto nel paragrafo precedente, è utile ricordare come Mancini vede svilupparsi nel tempo le caratteristiche e dicotomie della comunicazione pubblica qui descritte. Per l'autore21 essa ha seguito negli ultimi secoli tre fasi principali:

1. propagandistica: fino agli anni '70 non c'è una vera preoccupazione per le informazioni da fornire, si pensa a persuadere e diffondere i giudizi di singoli o di partiti. L'identità amministrativa è succube di quella politica, ovvero dei poteri che la coordinano. Si generano così solo flussi da dentro a fuori, basati su messaggi letteralmente pubblicitari. Ciò succede perché in quel periodo c'è poca competizione tra le istituzioni, i mass media sono pochi e non in grado di fronteggiare l'apparato politico e l'istruzione dei cittadini è moderatamente bassa;

2. informativo a senso unico: fase nella quale sorgono più diritti per i cittadini e l'identità amministrativa diventa più autonoma. Si inizia, infatti, a spiegare ai cittadini i servizi che la PA può offrire loro e i mass media iniziano ad avere più influenza sui temi della discussione pubblica. La maggior libertà e l’ampiezza dei diritti di cui godono i cittadini in questa fase, li esorta ad aumentare le richieste nei confronti della PA, ad esigere maggior trasparenza dove il soggetto passivo è l'ente e non l'utente. Tuttavia nella PA dominano ancora molti segreti ed è il cittadino ad esser visto come recettore passivo,

(16)

non si percepisce ancora la possibilità e l'utilità che potrebbe derivare all’amministrazione da una collaborazione con quest’ultimo;

3. comunicazione bidirezionale: col decentramento amministrativo e la nascita delle Regioni l'individuo inizia ad esser visto come attivo. Si aprono anche nella PA filoni tipici del mondo aziendale, come il marketing dei servizi e le ricerche sulle campagne informativi. Interessa capire le esigenze e i bisogni dei cittadini, non solo somministrare loro comunicazioni persuasive. Si genera così una filosofia dell'ascolto, nella quale è importante anche il flusso in entrata e l'ente deve avere un confine sempre più permeabile che permetta una buona accessibilità dal di fuori. La trasparenza diventa così un concetto dominante e nuovo, nel quale rientrano pienamente i processi di comunicazione eteroprodotta, non solo autoprodotta. Infine l'immagine dell'istituzione ha, in questa fase, piena autonomia: si serve sia di una comunicazione funzionale che di quella di integrazione simbolica, allo scopo di spiegare cosa è l'ente e cosa vuol fare all'interno della complessità sociale. Si lascia la politica ad altri ambiti, come poi spiegherò.

Anche Stefano Sepe22 dà una classificazione storica alla moderna comunicazione pubblica e lo fa con quattro fasi leggermente diverse da quelle di Mancini:

1. periodo oligarchico, in cui lo stato non dialoga, ma impone. Si comunica quel poco imposto per legge in maniera unidirezionale, parlando solo di ordini e divieti. C'è quindi sorveglianza, non discussione;

2. inizi del XX secolo: lo stato gestisce sempre più servizi urbani e si specializza. La comunicazione rimane però latente: non c'è, anche se dovrebbe esserci. Nel periodo fascista la comunicazione c'è, ma è distorta e negata. Per questo la comunicazione istituzionale per anni è stata associata alla manipolazione e per colpa dello “spettro del Miniculpop” è stata evitata; 3. comunicazione di servizio nella Repubblica: c'è più interazione tra i cittadini

e lo stato, l'amministrazione si pone in favore dell'utenza. Essa però si dimostra incapace e quindi mette la comunicazione “in mora”: la gente chiede alla PA di spiegare e diffondere informazioni, mentre gli operatori non sanno

(17)

farlo efficacemente. Per 50 anni la democrazia impone principi ottimi e all'avanguardia riguardo alla comunicazione, ma negli uffici non vengono realmente applicati, permettendo così la supremazia della burocrazia sui cittadini;

4. periodo attuale delle riforme: esse hanno tentato negli ultimi anni di creare un ambiente amministrativo più partecipato, anche se spesso l'interazione è stata imposta per legge più che suscitata o stimolata. Ad ogni modo, oggigiorno si lavora alacremente per diffondere l'uso delle nuove tecnologie, preservando il diritto di tutti ad essere informati dalla PA. Inoltre l'istituzione si apre al giudizio sui propri servizi e ad un'ottica imprenditoriale che comprende la

customer satisfation.

L'Italia oggi, dopo aver attraversato anch'essa i periodi storici proposti dai due autori, si presenta in una situazione di comunicazione pubblica debole, secondo Mancini23. Dopo aver considerato le analisi e le riflessioni di vari autori, egli conclude che le cause di queste “negligenza” italiana sono da ritrovare nella profonda idea del segreto ancora presente in Italia. Nonostante alcune aperture normative e concrete della comunicazione della PA, permangono ancora molti segreti di Stato. Essi sarebbero dovuti alla tendenza storica che sopravvive nelle famiglie italiane – il sistema tipo di uno stato – a chiudersi e tenere i confini alti. Il Sud ha subìto maggiormente l'imposizione della burocrazia e dei regimi assolutistici nei secoli e per questo lì il senso civico si è sviluppato più difficilmente che al Nord. In generale però l'Italia vivrebbe «alienazione, isolamento sociale e sfiducia»24 verso le istituzioni pubbliche. Ciò non spingerebbe quindi la PA a lavorare efficientemente, ma genererebbe ritardi, chiusura del sistema verso l'esterno e fenomeni di clientelismo informativo tipici dell'idea di segreto. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da Mancini, io ritengo ancora molto attuale l’idea che la commistione tra politica e mass media non permette a questi ultimi di entrare nel dibattito pubblico in maniera autonoma e con gli stimoli propri della vera opinione pubblica.

(18)

1.2. La comunicazione politica

La comunicazione politica può essere considerata come un'accezione di quella pubblica. Infatti, essa tratta argomenti controversi nella quale i valori svolgono un ruolo importante per la riduzione della complessità sociale.

Inoltre rappresenta pienamente la funzione della comunicazione di integrazione simbolica, in quanto cerca di convincere su un punto di vista relativo a questioni sociali dibattute. Infine, i soggetti che la realizzano possono essere le istituzioni, anche se la comunità oggigiorno chiede ad esse di soffermarsi su una comunicazione più pragmatica e meno di parte, e sopratutto gli organismi semipubblici dei partiti o gruppi di potere.

L'ambito della comunicazione politica è quindi composto da tre principali protagonisti: i partiti o le istituzioni da una parte e i cittadini dall'altra, mentre a far da tramite tra i due si inseriscono i media che, con modalità differente nel tempo, svolgono un ruolo importante nella diffusione della comunicazione politica, fino a diventare anch'essi dei protagonisti della scena politica.

Nell'epoca moderna (dalla rivoluzione industriale in poi), infatti, sia i partiti che i mass media sono cambiati notevolmente e con essi i concetti di comunicazione autoprodotta ed eteroprodotta.

Per questo Mancini25, applicando il suo caratteristico metodo di studio storiografico individua i tre momenti che hanno segnato le fasi dell’evoluzione della comunicazione politica negli ultimi secoli:

1. periodo della comunicazione d'apparato. In questa fase, il flusso informativo è gestito soprattutto da rapporti interpersonali, dai partiti e dai media ad essi strettamente legati, con lo scopo preciso di propagandare idee;

2. periodo in cui la comunicazione di massa si amplia, sommando le proprie funzioni a quelle dei partiti, ancora molto solidi;

3. Periodo attualissimo nel quale mass media e partiti si distanziano e si arriva addirittura al ribaltamento del rapporto classico: ora sono i mezzi di

(19)

comunicazione ad imporsi e tematizzare l’agenda degli organi politici. Quindi il principale protagonista, il partito, segue questi mutamenti.

Infatti, in un primo periodo storico, esso è formato da notabili che si impegnano in città e nelle nuove istituzioni democratiche per soddisfare il bene comune, secondo una logica individuale. In seguito, nel 1800, nel Nord Europa, inizia a svilupparsi una nuova idea di compagine politica, ovvero il partito di massa che viene definito così perché è seguito da molte persone, ha un'organizzazione ramificata e funzionari con ruoli precisi. Soprattutto nella terza fase esso diventa addirittura “elettorale di massa”, in quanto il diritto al voto si diffonde a tutti i cittadini, che così possono eleggere i propri rappresentanti, attività che prima era riservata a pochi scelti secondo criteri economici o patriarcali.

Esaminiamo ora meglio, seguendo l'impostazione di Mancini, queste tre fasi della comunicazione pubblica in modo da poter comprendere quali sono gli strumenti e le pratiche che la caratterizzano, come sono nati e cambiati nel tempo.

Nella prima fase, quella definita della comunicazione d'apparato, il fulcro è il partito che ha due scopi principali: aggregare la domanda politica dei cittadini e permettere agli stessi di partecipare all'arena politica attraverso il meccanismo della rappresentanza26.

Il primo fine viene realizzato guidando il flusso comunicativo in entrata al partito, mentre la rappresentanza ha nella retorica la sua pratica di difesa degli interessi e delle idee dei cittadini che si sono riconosciuti nel partito.

La comunicazione politica quindi è gestita dall’interno, attraverso contatti individuali: si sviluppa in circoli nel periodo delle élite, mentre quando il partito diviene di massa essa si diffonde grazie alla creazione di un'organizzazione di volontari che va sul territorio a mantenere un rapporto diretto tra i cittadini e il partito. Infatti quest'ultimo è costituito da tante sezioni, piuttosto autonome: si ha così una federazione di opinioni, nella quale la dimensione locale conta più di quella nazionale.

Con i regimi totalitari di inizio '900 le logiche di partito convogliano all'interno di organizzazioni nazionali e quindi la strategia si ribalta, diviene unica. In essa diventa

(20)

preminente la simbologia comune, che serve a veicolare meglio la figura del leader. I regimi, nonostante fossero totalitari e contrari al dissenso, riescono a sperimentare nuove forme di comunicazione, perseguendo lo scopo dell'indottrinamento. Il nascente cinema e la radio vengono sapientemente utilizzati per fini propagandistici e aiutano nell'opera di rendere il partito sempre più una struttura nazionale, nella quale non conta più il singolo e nemmeno la diversificazione dei contenuti, in base ai differente territori. Infine - si prenda anche solo il caso del fascismo - in questo periodo la comunicazione del partito è quella dello stato: le due forme di comunicazione si sovrappongono ed è l'istituzione più formale ed elevata a dettare la cultura e le strategie al movimento, che ha come unica funzione quella di canalizzare le masse.

Nella seconda fase proposta da Mancini rientra invece la democrazia, che permette la nascita di nuovi partiti, nei quali non ci sono più élite clientelari e vicine all'organizzazione statale. Anzi, essi ora ricominciano a costruire una propria autonoma struttura e un profondo interesse per il momento elettorale.

Infatti in questa fase, il partito è formato da persone remunerate che coordinano i tanti attivisti e le sotto-organizzazioni di supporto, che ritornano presenti sul territorio con molte sezioni. Esse diventano moltissime, ce ne sono anche nelle fabbriche, e non solo spiegano ai cittadini cos'è la politica, ma lavorano anche per toglierli dal torpore dell'analfabetismo, che non permette loro di essere soggetti sociali abili al voto. Si ha quindi una rete ampia, per gestire al meglio i contatti bidirezionali col fuori.

Nonostante ciò, il partito si presenta ancora come una struttura ramificata chiusa, nella quale l'ideologia è molto forte e genera ad ogni elezione un “voto di appartenenza”, non l'espressione di un'analisi critica delle proposte dei partiti.

Nell'arena pubblica sono infatti i partiti a traghettare e guidare le conoscenze. La stampa è il canale principale di diffusione delle informazioni, un mezzo per mettere in contatto gli iscritti, farli sentire partecipi e mobilitarli per il voto. Serve anche per relazionarsi con le altre forze politiche, ma come gli altri mass media diffusi nel periodo, non svolge un'attività di critica, è piuttosto un veicolo passivo di contenuti. In questo modo la loro comunicazione eteroprodotta si trova spesso allineata alla

(21)

comunicazione autoprodotta dal partito, anche perché il loro bacino d'utenza è costituito soprattutto dai cittadini indottrinati.

Il partito, quindi, ha una forza così totalizzante sulla scena politica che non solo organizza la sua propaganda, ma riesce anche a bloccare i rumori che potrebbero distorcere il significato dei messaggi: i mass media infatti sono strumenti che il partito usa, hanno poca forza di analisi e si limitano a registrare e a fare cronaca politica.

Un altro mezzo mediatico utilizzato dai partiti in questa fase è rappresentato dalle campagne comunicative, che però non servono a convincere i loro destinatari; tale scopo è già stato raggiunto dall'ideologia, che è riuscita a sedimentarsi negli individui attraverso l'educazione e le azioni di gruppi sociali. Le campagne sono quindi un modo per mostrare la propria presenza e tenere viva la fiducia degli elettori, come analizza Mancini27. Ai cartelloni elettorali si affianca comunque una stretta rete interpersonale in quanto, come accennato prima, analfabetizzazione e mass media limitati non aiutano a diffondere facilmente la comunicazione politica.

La terza fase invece è quella dagli anni '60 in poi, nella quale la complessità è ai massimi livelli e c'è un forte aumento della differenziazione sociale.

Innanzitutto, cambiano i soggetti della triade partiti – media – cittadini perché, in questa fase, i pochi partiti immobili e ideologizzati vengono sostituiti da un maggior numero di soggetti politici. Ciò è dovuto ad una polverizzazione degli interessi che permette ad altri centri (economici, religiosi, culturali) di acquisire potere sulla scena pubblica.

Sindacati e organizzazioni economiche, quindi, introducono la comunicazione politica in una fase complessa dove gli accordi e le collaborazioni sono sempre più frequenti ed importanti. Anche i giovani, le donne e le minoranze propongono forme di aggregazione nuove ed esprimono esigenze mai espresse prima.

Il partito classico, in questo scenario, non riesce più a rappresentare i cittadini e a promuovere i propri obiettivi perché è un sistema chiuso e rigido, fortemente legato all'ideologia.

(22)

provengono dall'ambiente circostante. Un modo per raggiungere tale scopo, secondo Kircheimer28, è di diventare “pigliatutto”, ovvero il partito dovrebbe cercare di far propri gli interessi dei diversi ceti sociali anziché puntare esclusivamente sui valori univoci rivolgendo la propria attenzione agli interessi di una sola categoria di persone.

Tale atteggiamento fa perdere al partito molta della sua simbologia; le idee non sono più precise e specifiche, ma il più generiche possibili, perché lo scopo finale è quello di ottenere il maggior numero possibile di voti in una società sempre più dinamica. Nello stesso tempo, però, anche i diritti e i destinatari della campagna elettorale si sono ampliati e così il partito diventa completamente “elettorale di massa”. Esso sostiene diverse argomentazioni in pubblico, per compiacere il maggior numero possibile di cittadini e, nel momento elettorale, attua strategie di persuasione sempre più tecniche e professionali.

Una di queste è sicuramente il marketing, che con diversi metodi di ricerca tenta di capire il proprio target e di soddisfarlo. Si va cioè alla caccia dell'elettore, che diventa un consumatore di fronte a prodotti politici simili, ma alternativi.

Entrando più nello specifico del cambiamento degli strumenti della comunicazione politica, secondo Mancini29 quelli nuovi sono soprattutto questi:

i sondaggi, utili a capire le tendenze di cambiamento insite nella società, a comprendere i desideri dei cittadini e valutare la rispondenza dei programmi. In questo modo la statistica e i relativi professionisti si avvicinano al mondo del partito;

la pubblicità politica, che richiede accorgimenti particolari rispetto alla pubblicità commerciale. Spesso i messaggi viaggiano tramite la televisione e vengono curati da agenzie esterne al partito, che creano una nuova professionalità, con regole e procedure prettamente settoriali;

28 Citato in P. Mancini, op.cit., p. 158 29 Ivi, p. 167

(23)

il consulente politico, che si occupa dell’analisi dei dati. Tale figura è nata per gestire le campagne elettorali che, in seguito alle elezioni dirette dei sindaci e dei presidenti, hanno puntato sempre più sulla personalizzazione (come è avvenuto anche in Italia), ma che si è poi frantumata in tante sotto-figure con compiti più precisi. Il suo scopo principale però non è solo quello di indirizzare la comunicazione politica da dentro a fuori, ma anche quello di influenzare il fuori e capirne i suoi flussi.

Un comunicato stampa, infatti, va indirizzato ai referenti giusti, mentre bisogna relazionarsi costantemente coi media che mantengono sempre accesi i riflettori sulla politica, non solo nel periodo del voto. Il consulente politico deve, quindi, saper trasmettere una buona immagine e fiducia ai media, leader d'opinione, grazie ai quali si può ottenere una bacino di utenti fedeli;

la tecnologia, che in fasi diverse, ha reso possibili nuovi modi di comunicare e ha accelerato i mutamenti dello statico sistema politico di prima. Con l'informatica si possono raccogliere dati, statistiche, sondaggi, si possono pianificare le campagne e i target, andare verso il cittadino personalizzando i messaggi e creando una comunicazione bidirezionale, grazie soprattutto a siti e social network.

I mass media, dal canto loro, iniziano una fase di forte espansione e sviluppo. Nel primo caso perché, essendoci più soggetti nel contesto sociale, aumenta anche l'esigenza di informare i nuovi settori e nello stesso tempo le tecnologie permettono ai media di svilupparsi in nuove forme e canali, arrivando ad avere un ruolo sempre più attivo. Essi diventano un potere all'interno della scena politica, che in maniera autonoma riesce a confrontarsi con gli altri e competere nella formulazione degli argomenti della discussione pubblica.

La comunicazione eterodiretta ha così una sua forza, che va oltre la pura descrizione per sfociare in scelta libera dalle influenze dei partiti o del governo. Inoltre i mass media cominciano ad avere un proprio pubblico che li incentiva a differenziarsi e ad avere una simbologia autonoma da altre organizzazioni.

I nuovi mass media però non agiscono solo fuori, ma anche dentro i partiti: sono così forti da poter influenzare i dibattiti congressuali e le scelte del partito, oltre a

(24)

condizionarne l'immagine con inchieste negative o dure, volte ad evidenziare gli errori o gli scandali dell’intero partito o dei singoli esponenti.

Tra tutti gli strumenti mediati che influenzano il dibattito politico, c'è tutt'ora30 la televisione, che impone da anni i propri meccanismi e le proprie logiche.

Nella terza fase della comunicazione politica, compaiono gli spot elettorali che, insieme al coinvolgimento dell’informazione giornalistica - spesso cercata e a volte trovata - permettono la nascita di forti leader e personalità che, in alcuni paesi europei, rendono superfluo l'apporto dei partiti.

In Italia, i partiti comunicano ancora compattamente in spazi offerti gratuitamente dalla televisione statale, come poi faranno anche le emittente private (le quali diffonderanno anche spot a pagamento).

I partiti, però, non comunicano efficacemente all'interno dei programmi dell’epoca quali, ad esempio, “Tribuna elettorale”: usano meno pathos che nei congressi e utilizzano quegli spazi come dei comizi. Si deve tener presente però che tutto ciò avviene negli anni '60, periodo in cui la televisione è poco diffusa e i partiti hanno ancora il loro punto di forza nei legami diretti. È negli anni '80 che anche la politica italiana subisce un’evoluzione e si apre a dibattiti politici e a spot che cambiano tutta l'arena politica, almeno fino a quando le leggi della par condicio non bloccheranno la pubblicità elettorale in TV.

Due sono quindi le conseguenze dell'avvento della televisione nella comunicazione politica:

la personalizzazione della politica, dal momento che attraverso la televisione i singoli candidati, soprattutto in America, riescono a superare le logiche di partito e a comunicare direttamente coi cittadini. Inoltre, per le caratteristiche di tale mezzo, è più facile rivolgersi al singolo piuttosto che al partito. Ciò genera un circolo vizioso, perché una volta presentato ai cittadini il leader di un partito essi lo osannano, riconosco in lui la forza di tutte le idee del partito e vogliono un rapporto diretto solo con lui. Tutto ciò genera una tendenza, anche fuori dalla TV, a rapporti diretti con il singolo esponente locale del partito, al quale esprimere esigenze e dal quale pretendere prese di posizione

(25)

al di là delle logiche partitiche;

la spettacolarizzazione della scena politica, all'interno della quale il potere mette in scena le sue opinioni in modo subdolo e divertito. C'è chi31 addirittura vedrà lo stato dietro all'organizzazione ludica e illusoria della scena pubblica. Ad ogni modo, in tutto ciò ha inciso senza dubbio la personalizzazione, che ha generato storie eroiche di leader nei quali immedesimarsi, e appunto la televisione ha permesso di veicolarla non solo attraverso spot ma anche in programmi ibridi di infoentertainment.

1.3. La comunicazione sociale

Un'altra branca della comunicazione pubblica, per Mancini, è quella sociale. Nell'introduzione del suo libro, infatti, sottolinea come la comunicazione pubblica non proviene solo da enti o istituzioni vicine ad essi come i partiti, ma anche da altre organizzazioni private che hanno più l'obiettivo di contribuire al dibattito pubblico che quello di lucrare denaro. Quindi, nell'arena pubblica ci sono soggetti pubblici, semipubblici e privati che concorrono a creare una comunicazione su argomenti di «interesse generale relativamente controverso»32, la cosiddetta comunicazione sociale.

Come accennato sopra, per veicolare questo tipo di messaggi i soggetti devono essere istituzioni pubbliche o società non-profit, secondo la definizione di Kotler33: non puntare al profitto, produrre servizi, avere tanti referenti sociali che li possono giudicare per ciò che offrono ed avere diversi obiettivi.

Per Ware34, è meglio definire queste organizzazioni come intermediate organizations, ovvero organizzazioni tra stato e privati, anche se pur sempre con le caratteristiche proposte da Kotler. Quest’ultimo le paragona molto alle prime charities inglesi, che erano associazioni filantropiche finalizzate all’aiuto reciproco. Per questo motivo, egli considera le intermediate organizations come della associazioni di cittadini che

31 R. G. Schwartzenberg citato in P. Mancini, op.cit., p. 171 32 Ivi, p. 183

33 Cfr. A. Andreasen, P. Kotler, Marketing per le organizzazioni non profit : la grande scelta strategica , Il Sole-24ore, Milano, 1998

(26)

vogliono offrire, attraverso un'opera di solidarietà, servizi che lo stato non può dare. Interessante è lo schema classificatorio di Ware, creato per questo tipo di organizzazioni:

sull'asse verticale posiziona le loro forme di finanziamento;

sull'asse orizzontale le forme di proprietà.

Entrambi le forme vanno da un estremo tutto pubblico ad uno tutto privato.

Schema riportato su P. Mancini, Manuale di comunicazione pubblica, cit.

Chiaramente le società con profitto e quelle che vendono prodotti non fanno parte di quelle che possono creare comunicazione sociale, anche se ci possono essere delle eccezioni.

Tutti gli altri incroci descrivono invece organizzazioni che, proprio perché senza scopo di lucro, lavorano per l'interesse generale e non solo dove lo stato è assente a causa delle scarse risorse o dei bisogni elevati, ma anche in ambiti dove lo stato non può entrare, come la religione. Ciò avviene perché l'aumento della complessità ha accresciuto lo scenario pubblico, arricchendolo di temi e necessità di integrazione sociale, che nuovi gruppi hanno deciso di trattare in modo solidaristico.

(27)

Definiti i soggetti della comunicazione sociale, gli oggetti sono invece le informazioni imparziali su un tema di ampio interesse.

Pertanto, non si può considerare oggetto della comunicazione sociale la pubblicità commerciale, dal momento che essa ha come fine quello di persuadere e guadagnare. Inoltre, gli oggetti della comunicazione sociale devono trattare argomenti non solo di interesse generale, ma anche abbastanza controversi, che si devono consolidare nella società attraverso un'attività di integrazione simbolica. Non mi riferisco alle opinioni politiche, ma alle diverse vedute su valori comuni e accettati all’interno della società. Secondo Mancini35,la comunicazione sociale può essere suddivisa in: comunicazione sociale di pubblico servizio, quella propriamente intesa, e quella della responsabilità sociale.

La comunicazione di pubblico servizio è quella che si è sviluppata per prima in quest'ambito ed è tipica di organizzazioni non-profit o istituzioni come scuole, biblioteche, ospedali e trasporti pubblici. All'interno di essa, negli ultimi anni, è entrato il marketing alla scopo di comprendere meglio i bisogni dell’utente, così da permetterle di migliorare l'efficacia e l'indirizzamento dei messaggi.

In Italia, questo approccio economico non è ancora molto sviluppato a causa della scarsa professionalizzazione degli impiegati e di un sistema poco incline al cambiamento.

Ad ogni modo, negli ultimi anni sono stati maggiormente presi in considerazione i diritti dei cittadini, il valore dello loro scelte e la loro capacità di remunerare simbolicamente il buon operato. Inoltre è cambiata la mentalità della PA, che ha ritenuto più corretto andare verso di loro, capirli e informarli sui servizi a loro disposizione.

(28)

Spesso gli enti, come ad esempio le ferrovie, sono in una situazione di monopolio e sembra che siano stimolati al marketing sociale solo per un dovere etico.

In realtà, anche loro soffrono la concorrenza del loro “metamercato”36 che per un'attività generica come viaggiare può offrire molte soluzioni. Dunque, il miglioramento di immagine dato dal marketing serve per spiegare la bontà del monopolio, che spesso è concesso in quanto il servizio che offre è di notevole importanza per la società. Inoltre non si dimentichi che oggi l'utente non è più passivo: è istruito e pretende risposte, soddisfazioni, cure. Quindi si crea sempre più una comunicazione bidirezionale che va gestita, non sottovalutata.

La comunicazione sociale

propriamente intesa, invece, più che ad informare serve a comunicare un'idea o un valore relativamente controverso. Per determinare se e fino a che punto raggiunga tale scopo, bisogna valutare se il valore può avere tematizzazioni o accezioni

36 «Un insieme di prodotti o servizi complementari strettamente correlati fra loro nella mente dei consumatori, ma situati in settori distinti». Definizione di M. Sawhney, citato in P. Kotler, K. Keller, Marketing managment, Paravia Bruno Mondadori, Milano, 2007, p. 13

La Pubblicità Progresso è

un'esperienza di

comunicazione sociale tra le più rilevanti e conosciute in Italia. Nata nel 1971 per una scelta di alcuni pubblicitari, essa ora è un'associazione di privati del campo comunicativo che si autofinanziano. I loro obiettivi sono:

Intervenire sulla scena pubblica, in un momento in cui lo stato non può far fronte a tutti i servizi sociali e il mercato non riesce a diffondere benessere sociale;

Fare pubblicità al mezzo pubblicitario in un periodo in cui la pubblicità viene vista come invadente e manipolatoria. Si vuol così dimostrare che essa può servire anche per cause benevole e utili alla comunità, può avere un'etica ed educare. In questo modo l'aurea di negatività svanisce e gli stessi pubblicitari fondatori non solo sviluppano il mezzo, ma garantiscono che rimanga uno strumento redditizio. Un tempo infatti si era pensato di pubblicizzare solo il mezzo, ma poiché sembrava troppo autoreferenziale si è passati a mostrarlo sotto un'altra luce, usandolo cioè per trattare temi sociali di vasto richiamo, non partigiani, facili da pubblicizzare. Essi negli anni hanno toccato le aree ambiente, salute, qualità civili, emarginati e informazione.

(29)

diverse, pur rimanendo preminente e forte. Perciò, questa tipologia di comunicazione sociale svolge una funzione di integrazione simbolica perché, pur nella discussione, fa concentrare il dibattito su valori precisi.

Spesso però la comunicazione sociale non lavora su opinioni pregresse o già esistente, ma forte di qualche cambiamento sociale, propone temi o valori nuovi che possono esser considerati con sospetto in quanto pongono il sistema sociale di fronte al mutamento e alla sue capacità di affrontarlo.

Questo tipo di comunicazione è usata non solo dallo stato, ma anche da organizzazioni private al fine di diffondere diritti o offrire sostegno allo stato sociale con progetti mirati. Spesso i soggetti sono dei comitati nati a seguito di episodi d'attualità, che comunicano prima per conoscersi gli uni con gli altri e poi per diffondere idee. In questo flusso, attirano frequentemente l'attenzione dei mass media che con la loro comunicazione eteroprodotta fanno da amplificatori ai messaggi prodotti. Infine, la terza tipologia, la comunicazione delle responsabilità sociali è quella più ambigua e lontana dallo schema classico. Essa proviene infatti da imprese sul mercato che guadagnano vendendo prodotti: come è possibile?

Innanzitutto perché questo tipo di comunicazione sociale ha come fine quello di adoperarsi per produrre e difendere il benessere del consumatore. Egli infatti è sempre più attento ai temi della convivenza civile, alle problematiche del mutamento sociale e quindi anche le imprese si orientano verso quest'ambito di interesse generale. Spesso però lo fanno per trarne un proprio beneficio, non nell’interesse della comunità: usano cioè temi e attenzioni sociali per vendere meglio il proprio prodotto. La loro attenzione è su quello che vendono, che cercano di presentare in maniera strumentale, come la soluzione migliore per certe esigenze collettive.

Altre organizzazioni invece notano quasi casualmente che il loro prodotto sposa cause già attive nella società, come le ferrovie o le aziende elettriche che col loro operato già attuano strategie di risparmio energetico, a vantaggio dell’ambiente. In questo tipo di comunicazione, a volte qualche impresa si arroga il diritto di proporsi come servizio pubblico pur non essendolo. Tuttavia, anche queste campagne comunicative prodotte da privati veicolano valori importanti per la sfera pubblica.

Riferimenti

Documenti correlati

230 del 21 dicembre 2021 a decorrere dal 1° marzo 2022, istituisce l’assegno unico e universale per i figli a carico (di seguito AUU), che costituisce un beneficio economico

Webinar 4 dicembre 2013 /100.

• Il principio di sussidiarietà, ha conferito alle Regioni ed agli enti locali, tutte le funzioni ed i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi ed alla promozione

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER IL VENETO. DIREZIONE GENERALE Ufficio XII - Ufficio Scolastico

glossari istituzionali dei termini istituzionali, infatti, sono strumenti di divulgazione ma anche di gestione della conoscenza attraverso vocabolari controllati che, oltre a

Comunicazione, Stampa e Servizi al Cittadino formulata dall’associazione #PAsocial e condivisa anche dalla Federazione della Stampa Italiana, impegnata nella trattativa all’Aran

Procedura aperta telematica per l’affidamento dell’incarico di progettazione definitiva ed esecutiva, compresa relazione geologica ed il coordinamento

132/2016, dal gennaio 2017 il Presidente dell’ISPRA presiede di diritto il Consiglio del Sistema Nazionale a rete per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), organismo