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2. DEFINIRE LA SUSPENSE

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2. DEFINIRE LA SUSPENSE

Dare una definizione unica alla suspense si profila un’impresa ardua. Non tanto a livello terminologico - sebbene questa parola abbia assunto svariate e diverse connotazioni nel corso del tempo -, quanto per i diversi utilizzi all’interno dei contesti in cui si è trovata e le differenti proprietà che le sono state conferite da chi ha provato a classificarla.

Quello che a noi interessa, però, è di trattare l’identità, e quindi le proprietà e caratteristiche, della suspense cinematografica.

Nata come termine giuridico e consolidatasi in letteratura, la suspense è entrata nel modo del cinema suscitando dibattiti e riflessioni sulla sua possibile ma improbabile identità di genere, e ha stimolato analisi da parte di studiosi che hanno cercato, analizzando film in cui la suspense è presente, di determinare la presenza di elementi ricorrenti che la possano definire.

2.1. L’evoluzione del termine

Paul Léon, uno degli studiosi che hanno collaborato alla rivista CinémAction per il numero dedicato alla suspense, ha affrontato il termine e le accezioni che esso ha assunto nel corso della storia. Da francese, ha indagato nel suo contesto linguistico ma, essendo “suspense” un termine che, nella lingua italiana, resta tributario delle sue origini straniere, penso sia opportuno anche per noi osservarne le origini.

Inizialmente (XII sec.) il termine si adottava in campo giuridico con il latino suspensum in relazione alla revoca di diritti o poteri e, in seguito, venne impiegato

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nel linguaggio comune associato a indecisione e incertezza, nonché interruzione.1 Questa definizione del termine era ancora in uso nel vocabolario francese-italiano del Ghiotti, editato nel 1890, mentre l’aggettivo suspens rimane tradotto come “sospeso, tenuto in incertezza2

Nel corso del XIX secolo e maggiormente nel XX, il termine ha progressivamente assunto, in letteratura, la connotazione di un momento di sospensione, di punti in cui il lettore è invitato a sollevarsi dalla narrazione per una riflessione. Con la crescente popolarità dei testi polizieschi, gialli o horror, ecco che la suspense diventa una figura che consiste nel tenere in tensione il fruitore mostrando altre cose rispetto a ciò che egli attende, con lo scopo di dilatare una risoluzione sorprendente.3

Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli riconosce che suspense è, nella nostra lingua, un termine inglese che deriva a sua volta dal francese, e che il suo uso è circoscritto ad ambiti narrativi.

Esso lo definisce come “stato di ansia o di attesa provocato dall’intreccio avventuroso di un dramma di cui non si sa immaginare la fine, dall’esito incerto di un avvenimento”.4

Con il XX secolo il termine venne applicato al cinema, in quanto consolidata forma di narrazione in cui gli elementi necessari alla presenza della suspense si potevano manifestare quanto e più che in letteratura.5

1

LÈON PAUL, “Question de vocabulaire” in CinémAction, 71 (1994) Pag. 13

2

GHIOTTI, CANDIDO. Vocabolario comparativo italiano-francese. Torino: Petrini, 1890, pag. 1167

3

LÈON, Pag. 14

4Cit. ZINGARELLI, NICOLA. Vocabolario della lingua italiana – dodicesima edizione.

Bologna: Zanichelli, 1999, Pag. 1830

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2.2. Un genere cinematografico?

Da che il cinema è materia di studio, la sua categorizzazione in generi, per quanto complessa e articolata6, ha sempre costituito un importante elemento d’analisi. Definire un genere d’appartenenza per un film diventa un modo per raggrupparlo e compararlo con altri, come un modo di orientare la realizzazione di un film e una scelta di consumo.

La frequenza con cui la presenza della suspense è riscontrata all’interno dei film e il favore che essa gode tra il pubblico hanno portato molti studiosi a interrogarsi circa una possibile estensione del termine da “momento all’interno della narrazione” a un genere di film vero e proprio. Può esistere un genere cinematografico preciso, “il suspense”? Le opinioni al riguardo sono contrastanti, tanto quanto sono variabili le procedure di definizione di un genere. Infatti, per capire se la suspense possa definirsi o meno un genere, bisogna avere chiaro cosa rende genere un genere. Come Altman ha dimostrato nel suo testo Film/Genere, il genere è un modo di categorizzazione fluido, dipendente da differenti variabili, tra cui lo spettatore stesso, e il cui studio è stato affrontato da diversi approcci. Secondo Tom Ryall, “l’immagine chiave per la critica dei generi è un triangolo composto da artista, film e pubblico. I generi possono essere definiti come modelli/forme/stili/strutture che trascendono i singoli film, e determinano la loro preparazione da parte dei produttori sia la loro interpretazione da parte del pubblico.”7 Secondo il neoaristotelico e costruttivista David Bordwell, quando io

6 Come è ben illustrato in ALTMAN, RICK. Film/genere. Milano: Vita e Pensiero, 2004 7 Cit. Tom Ryall in ALTMAN, pag. 25

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spettatore m’interfaccio con un film, i miei rapporti con esso sono filtrati da alcuni schemi che mi sono propri. Oltre agli schemi generali, detti template, che mi caratterizzano in quanto persona dotata di un certo tipo di conformazione mentale, al momento di vedere il film attivo anche degli schemi procedurali, che dipendono dalla mia esperienza di essere umano e spettatore cinematografico. Con questi schemi, basati sulla mia esperienza, io fruisco il film nello stesso momento in cui lo definisco come appartenente a un genere. Riconosco gli elementi che ne fanno parte, come una pistola, i personaggi e l’ambientazione, e trovo a essi delle motivazioni di esistenza.8

Nel corso del tempo non solo i generi cinematografici si sono alternati, modificati e mescolati, ma sono anche variati le definizioni e i metodi per definirli. Per tale ragione, anche in merito al definire o meno la suspense un genere, applicando differenti categorie di definizione, i teorici non si sono trovati d’accordo.

In questa sede provvederò a illustrare alcune teorie in proposito e, a termine, esprimerò il mio parere.

Henri Agel sostiene l’esistenza di un vero e proprio genere (“film de suspense”9 ) che usa la suspense come mezzo per la realizzazione di un film, pur non costituendone la fondante principale.10

Jean Bessalel si associa alla teoria di Christine de Montvalon che, ne Le mots du cinema, dichiara che esiste una categoria di cinema di suspense: quei film che non hanno altra ragione di essere se non la suspense.11 Questa definizione è correlata a un’idea di genere specifica: un genere si definisce per il tipo di sensazione finale

8

BORDWELL, DAVID. Narration in the fiction film. London: Methuen & Co. Ltd., 1985, Pag.30 9 Cit. Henri Agel in DE FRANCE, XAVIER. “Les catégories et les formes” in CinèmAction, 71 (1994), Pag. 39

10 DE FRANCE, Pag. 39

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che lascia nello spettatore. In un film di suspense, quindi, la suspense non si troverebbe solo a livello di una scena o di una sequenza, ma permeerebbe tutto il film, in ogni elemento, profilmico, filmografico o filmico che sia. Bessalel aggiunge che è proprio nel momento in cui la suspense si fa genere che gli elementi e le procedure tecniche che la fanno funzionare diventano vere e proprie marche stilistiche che si ripropongono da film a film.12

Queste prime due dichiarazioni trovano un riscontro polemico in André Gardies e Christophe Mansier.

Quest’ultimo, come vedremo più in dettaglio nel capitolo successivo, afferma che la natura della suspense risiede nel suo rapporto tra atteso e inatteso e che tale rapporto agisca nello spettatore a livello inconscio, stimolando una reazione differente a seconda di chi è che guarda.13 Egli nega la possibilità di una codificazione in generi per questo tipo di emozione, a suo avviso soggettiva e variabile da spettatore a spettatore a seconda del differente grado di coinvolgimento emotivo.14

Colui che, a mio avviso, meglio affronta la questione, è Gardies,

Egli nota come, sebbene la suspense sia maggiormente riscontrabile in determinate categorie filmiche, come i polizieschi, essa possa fluttuare tra i generi. Non essendo fissata da nessuna parte, può apparire ovunque, con le forme più diverse. Dal comico al poliziesco, passando per il fantastico e le trame psicologiche, si registra la sua presenza in tutti i territori narrativi. 15

12 Idem.

13

Vd. Cap. 3.2.2.

14 MANSIER, “L’attente et l’inattendu: suspense et surprise” in CinémAction, 71 (1994), Pag. 26 15 GARDIES, “Un statut un peu flottant” in CinèmAction, 71 (1994) Pag. 78

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Prima di affrontare il problema della suspense come genere, Gardies estrapola una caratteristica che giudica fondamentale e presente ogni qualvolta la suspense si manifesti: la singolare qualità dell’effetto che produce sullo spettatore, quell’angoscia nell’attesa di un evento ineluttabile, come se tutte le altre emozioni stessero sospese fino alla risoluzione di tale tensione. La suspense ha, secondo lui, qualcosa di brutale e violento, nonché totalitario: quando è presente non lascia spazio alle altre emozioni.

Quest’effetto è, secondo Gardies, il primo criterio di riconoscimento, un criterio soggettivo e suscettibile di sospetta affidabilità, non applicabile alla definizione dei generi classificati. Un genere non si può definire per l’effetto che provoca. Affermando ciò, Gardies si pone in polemica con la teoria di Bessalel.

La retorica classica e gli approcci contemporanei si sono a lungo interrogati su come si possa definire un genere. All’interno della settima arte, questa discussione ha permesso in primo luogo d’isolare due tratti indispensabili per la costituzione di un genere: l’ampiezza e la reiterazione.

Quando un film s’inscrive in un genere preciso lo fa per tutta la sua durata, non per una parte soltanto. Non può, ad esempio, essere un poliziesco nella prima metà e una commedia nella seconda, a meno che i due generi non si mescolino, creando un genere nuovo. Quindi l’ampiezza riguarda il film nella sua totale durata.

La reiterazione si manifesta a due livelli: nella costituzione della classe e nella marcatura dell’unità.

Un genere non può esistere come classe se è composto da una pluralità di unità/occorrenze. Un genere non nasce in un giorno e, poiché un certo empirismo

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accompagna a volte la sua nascita e il suo declino, è solo progressivamente che un certo insieme di film viene riconosciuto, economicamente, culturalmente ed esteticamente come un genere.16

Molti fattori, come l’istituzione cinematografica e la società nella quale il film è prodotto o ricevuto, entrano in gioco. Tuttavia, senza la reiterazione delle unità/occorrenze non si può parlare di genere.

C’è anche la ricorrenza di un certo numero di tratti relativamente costanti all’interno di un film che mi permette di riconoscerlo come un’unità. I criteri sono allora interni al testo. Una condizione sembra necessaria: che questi criteri intervengano sia sull’asse paradigmatico che su quello sintagmatico.

Nel momento in cui scelgo un film in base al genere ho delle aspettative nei suoi confronti: mi aspetto una determinata configurazione dello spazio diegetico, il contesto storico-geografico e tutte le conseguenze che implica per il modo della rappresentazione, dagli elementi inanimati ai personaggi e alle loro caratteristiche etniche e sociologiche. Oltre garantire la coerenza, determinati elementi si canonizzeranno a tal punto da diventare fondamentali nel genere. Chi ha mai visto un western senza cavalli, pistole e saloon – possibilmente con la porta a spinta che lascia scorgere testa e piedi di chi sta entrando? Elementi come lo sceriffo, la diligenza e il cowboy solitario diventano parte di una riserva paradigmatica che alimenta il film quando desidera registrarsi nel genere western.17 Noi spettatori ci aspettiamo di vedere questi elementi a seguito di una motivazione che Bordwell definisce transtestuale.18 Altman amplia questa riflessione, aggiungendo che,

16 GARDIES, Pag. 79 e ALTMAN, Pag. 37

17

Anche ALTMAN ne parla a Pag. 43

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secondo la teoria condivisa dei generi, l’universo di un film di genere si costituisce come un universo chiuso, cui diversi film dello stesso genere fanno riferimento, con continui rimandi intertestuali e fortemente ancorati alla cultura che li ha prodotti. Un film di western si riferirà maggiormente ai film western che l’hanno preceduto che alla vera storia del West, con un utilizzo simbolico degli elementi della storia e dell’audiovisivo.19

La mia attesa riguarderà anche gli elementi della narrazione: il principio dell’aumento drammatico fino alla risoluzione, momenti di scontro, il trionfo all’ultimo della legge, l’intrigo amoroso che si svolge in parallelo a quello d’avventura, etc.. Sull’asse sintagmatico si trovano questi elementi allineati, come un pre-programma, elementi che mi aspetto di trovare nel corso della storia. Quindi la mia ricezione di un film come film appartenente a un determinato genere dipenderà da questo mio orizzonte di attesa fondato sul principio della reiterazione. Attesa analoga a quella enucleata da Bordwell.

Alla luce di queste caratteristiche che Gardies fa emergere, “il suspense” si può difficilmente caratterizzare come genere.

Il fatto di circolare in numerosi territori narrativi – e quindi altri generi - non gioca in suo favore. Significa che in genere la sua ampiezza non si estende per tutta la durata del film in cui si trova, ma solo in certi momenti in cui stimola un determinato effetto.

Quindi non risponde al primo criterio. Anche le cosiddette eccezioni, come i film di Alfred Hitchcock, non mantengono la suspense tutto il tempo. Un film come Intrigo internazionale (1959) si piazza, a livello drammatico e attanziale, sotto

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l’egida della suspense e della tensione, è vero, eppure presenta elementi da commedia (specie all’inizio) e da melodramma, per via della relazione sentimentale tra i due protagonisti.

Con la suspense si cade anche sulla reiterazione in quanto, fatta eccezione per pochi eponimi hitchcockiani, troppo pochi sono i film prodotti per creare una ricorrenza suscettibile d’istituzionalizzare il genere. Almeno fino ad oggi, il cinema di suspense non ha vissuto quel tipo di percorso di vita – nascita attraverso dei film prototipo, consolidamento e declino20 – tipico degli altri generi. Sebbene si possa riscontrare un’evoluzione del linguaggio e delle strategie della tensione, specialmente dopo Hitchcock,21 quest’evoluzione avviene all’interno di film che si collocano sempre dentro altri generi. Quello che, semmai, avviene è che questo processo evolutivo modifichi i generi in cui la suspense si trova – dal poliziesco al giallo, dal gore al thriller22 - ma non è mai il genere suspense a evolvere.

Secondo Gardies, il principio della reiterazione non si compie nemmeno a livello interno. Esiste una dimensione paradigmatica propria della suspense? Il mondo diegetico di oggetti e individui non richiede alcune costrizioni o condizioni particolari affinché la suspense si verifichi. Può accadere in un film storico, comico, quanto in un poliziesco.

Riguardo l’autoreferenzialità di genere tra film e film menzionata da Altman, il riferimento ad altri testi precedenti è, sì presente, ma all’interno di particolari segmenti e a livello di trovate narrative e visive – le cosiddette marche stilistiche - che, tuttavia, non sono sempre uguali.

20

ALTMAN, Pag. 50

21

Come vedremo in Cap. 4

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È l’asse sintagmatica, piuttosto, che sembra rispondere a dei tratti apparentemente costanti e prevedibili: l’attesa di uno sviluppo, con i suoi effetti di dilatazione temporale, appaiono come una caratteristica fissa. Ma basta essa sola a fondare il genere? Secondo Gardies è improbabile. Soprattutto dato che, come abbiamo visto, questi tratti costanti non si applicano solitamente all’intera narrazione ma a specifici momenti ritagliati al suo interno. Anche per questo Gardies preferisce definire la suspense come forma di una struttura narrativa, e come tale l’analizza.23

Personalmente condivido la visione di Gardies. Un genere, per quanto fluido e variabile possa essere, rimane una codificazione, una struttura – che orienta la realizzazione di un film, come la sua distribuzione e fruizione – e come tale necessita di avere parametri più specifici e rigorosi rispetto alle emozioni che la suspense provoca nello spettatore. Richiede parametri determinati alla base dai realizzatori quanto dal pubblico, inteso come insieme culturale e sociale che, in un determinato periodo storico, codifica fruendo una moltitudine di film, decidendo di raggrupparla secondo vari criteri condivisi. Anche Altman ribadisce che, nello studio dei generi cinematografici, battezzati dall’industria della produzione – contrariamente a quelli letterari – l’individualità dello spettatore è sempre passata in secondo piano rispetto agli effetti su un pubblico di massa.24

Anche volendo includere la definizione di Bessalel sul genere definibile in base all’emozione, a mio avviso il genere che maggiormente si avvicina alla sua

23 GARDIES, Pag. 80

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definizione è il thriller che, all’interno della sua lista di generi, il sito Wikipedia definisce come “a story that is usually a mix of fear and excitement”25.

Mentre il genere thriller è rinomato come categoria che fa largo uso della suspense, tutt’oggi non si trovano facilmente titoli distribuiti sotto il nome di quest’ultima. E “se non vi è definizione da parte dell’industria e il riconoscimento del pubblico di massa, non può trattarsi di un genere, poiché, per definizione i generi cinematografici non sono categorie derivate scientificamente o costruite in modo teorico, ma sono sempre convalidate dall’industria e condivise dal pubblico.”26

Gradualmente si schierano osservazioni che suggeriscono di definire la suspense come un elemento interno a un genere, piuttosto che come un genere stesso. Ci sono moltissimi casi in cui la sensazione che la suspense provoca si trova ritagliata all’interno di film che nascono con lo scopo di generare emozioni ben differenti. Potrei enucleare molte commedie – a scopo, quindi, comico – che, specie sul finale, presentano momenti di suspense. Un esempio chiave sono le commedie d’amore. Dopo un’ora e un quarto di battute e dilemmi amorosi, i due protagonisti rischiano di separarsi per sempre. Riuscirà lui a raggiungere lei prima che il treno/nave/aereo parta? Lei accetterà la sua dichiarazione? Questo tipo di osservazione si collega bene, a mio avviso, con la definizione che Gardies fa della suspense: una struttura narrativa, un momento all’interno di un film di un genere, che determina quello specifico tipo d’emozione.

Riguardo la teoria di Bessalel sulle marche stilistiche tipiche della suspense, possiamo affermare che non è necessario che essa si faccia genere perché

25 Cit. http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_genres consultato il 14/10/2013 26 Cit. ALTMAN, Pag. 28

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s’istituzionalizzino. Le marche stilistiche tipiche della suspense, come vedremo/abbiamo visto, esistono ma non come marche di genere, bensì come marche tipiche di tale momento della narrazione.

Possiamo quindi intrecciare le due teorie affermando che, sebbene la suspense non possa entrare a far parte della categoria dei generi, essa, oltre che come strategia emozionale, può codificarsi come struttura narrativa, con elementi costanti e marche stilistiche ricorrenti, da genere a genere.

2.3. Gli elementi della suspense

Una volta stabilita l’identità di strategia narrativa della suspense, procediamo ad osservare quali elementi la compongono.

È stato da molti notato che la creazione della suspense è suscettibile di influenzare e mobilitare, secondo modalità largamente ricorrenti, l’insieme di parametri della lingua cinematografica, specialmente attraverso il montaggio, il suono, il lavoro attoriale, l’ambiente, la musica e la composizione dell’immagine.

L’attivazione dello stress spettatoriale riposa quindi a partire dai dati narrativi e pragmatici, sulla congruenza dei processi filmici rispetto alla drammatizzazione.27 I momenti di suspense mantengono un carattere proteiforme, non sono tutti uguali, proprio grazie al fatto che la loro creazione si fonda su diversi modi di orchestrare i vari elementi del film. Sarebbe quindi ingiusto ridurre il momento della suspense a una forma retorica, specie a una sola.

27

GERSTENKORN, JACQUES, “Les moments, les procédés et les situations-types” in CinèmAction, 71 (1994), Pag. 157

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Tuttavia si può cercare di osservare la presenza di ricorrenze nei diversi livelli all’interno di tali momenti. Dalla stesura del testo drammaturgico all’ultimo taglio di montaggio, si può cercare di identificare in quale modo i diversi canali del film danno il loro meglio nel creare e mantenere la suspense.

2.3.1. Suspense e processi narrativi

Xavier De France riporta la definizione di suspense di Etienne Fuzelier: “stato di tensione e attesa in cui si trova lo spettatore, davanti a una situazione drammatica angosciante e incerta”.28 Situazioni particolarmente in uso nei polizieschi, thriller e western.

Secondo De France la suspense si lega a un’emozione popolare, uno stato di attesa che porta lo spettatore a chiedere: “E adesso?”

Fondamentale, quindi, è la strutturazione dell’attesa nello spettatore, un’attesa che sembra spesso portare verso l’inquietante, se non verso il tragico.

Prima che a livello della messa in scena, la suspense ha modo di agire grazie alla sceneggiatura, tra le cui pieghe si nascondono importanti elementi per la tensione.

29

Jacques Gerstenkorn enuclea cinque situazioni-tipo sui cui è spesso basata narrativamente la suspense.

1. Le grandi minacce

28Cit. Etienne Fuzelier in DE FRANCE, XAVIER. “Les catégories et les formes” in

CinémAction, 71 (1994), Pag. 40

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Un personaggio affronta una situazione pericolosa, che può scaturire dal suo interno – dalla sua volontà di correre questo rischio - come dall’esterno – un assassino, un mostro, un cataclisma, etc..

2. La tensione verso un obiettivo

La corsa contro la morte, largamente sfruttata da altre forme di divertimento – dai giochi sportivi alla tv – costituisce una situazione privilegiata per questo tipo di suspense. In questo registro, il ventaglio degli obiettivi sembra inesauribile. Fanno parte di questa categoria anche le fughe e le corse contro il tempo.

3. Lo scontro

Il duello incarna al suo massimo grado d’intensità, per via del suo gioco tra vita e morte, questa dinamica di suspense, non importa che tipo di duello sia. Le battaglie e le scene di processi rivelano lo stesso carattere d’incertezza. In un registro più plausibile, anche i giochi sportivi, soprattutto uno contro uno, procurano forti emozioni. Ma attenzione, se vi è troppo squilibrio tra i due contendenti, non c’è più suspense, perché non c’è più incertezza sulla conclusione dello scontro.

4. L’inseguimento

L’inseguimento è come una fusione tra la minaccia e lo scontro. La minaccia insegue il protagonista che le sfugge per evitare lo scontro, man a mano più vicino. La fuga diventa uno scontro, a distanza. Anche qui si trova un obiettivo, ma non è lo stesso per entrambe le parti: una desidera la fuga, l’altra raggiungere il fuggiasco. Per questo tipo di situazione ricorre spesso una strategia linguistica, il montaggio alternato, secondo modalità comunque sempre variabili –

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dall’alternanza sistematica al semplice inserto di piani. Per queste ragioni, di tutte le situazioni di suspense, è senza dubbio questa che appare la più “retorizzata”.

5. L’attesa di una punizione

La proclamazione dei risultati di un esame o il verdetto di un processo, l’attesa di una diagnosi medica o un’ammissione, sono tra le esperienze di suspense che ci sono più familiari. Al cinema queste situazioni si prestano a mille drammatizzazioni che percorrono, eccezionalmente, tutto il film e non una sola sequenza. In tali circostanze tocca spesso alla parola, più che all’immagine, intervenire per alzare la suspense.30

Jean Chateauvert, invece, distingue tre strutture narrative che inducono a suo avviso la suspense in un racconto:

1)

La rivelazione di una minaccia nei confronti di un personaggio con il quale ci siamo identificati, a seguito di una condivisione dei valori assiologici avvenuta nel corso del racconto. La struttura qui ci mostra un pericolo ignoto al personaggio. Egli potrà conoscerne l’esistenza ma non la reale forma o apparenza. In questo caso si può parlare di reale spostamento di sapere a favore dello spettatore. Se ne trovano esempi in tutte quelle scene in cui vediamo l’assassino avvicinarsi furtivamente alle spalle dell’ignara vittima, come in Delitto perfetto (Alfred Hitchcock, 1958).

2)

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In questo caso si parla di anticipazione per inferenza, ovvero la messa in scena di una struttura dove il potenziale pericolo per il personaggio non è annunciato ma intuito da noi a seguito di ciò che è avvenuto/sta avvenendo. L’esempio si riferisce a Cape Fear (J. Lee Thompson, 1962), dove la presenza del condannato in cerca di vendetta mi fa presumere la sua pericolosità prima che me ne possa accertare.

3)

La suspense legata a scene di lotta e di scontro, che si traduce nell’anticipazione mentale del possibile esito dello scontro. Assistiamo allora all’esposizione del pericolo al ritmo stesso del personaggio e la suspense è legata alle nostre speranze per il personaggio. Questo tipo di processo narrativo è identificabile nel climax di molti film, specie di quelli di azione che prevedono uno scontro.

Chateauvert sostiene che Alien (Ridley Scott, 1979) contenga esempi di questi tre registri della suspense, nella lotta tra l’equipaggio di una nave spaziale contro un alieno che si trova a bordo. Ci troviamo di fronte a una situazione drammatica che presenta “l’estraneo” come un pericolo onnipresente per l’equipaggio, costruito come nostro supporto d’identificazione. Il pericolo è percepito ovunque, è conosciuto e onnipresente, tanto da portare un gruppo dell’equipaggio, in preda all’angoscia della caccia, ad attribuire un rumore – in realtà causato da un gatto – alla creatura aliena. Nel corso del film le tre strutture narrative si alternano. Nelle scene che precedono la cattura della creatura vi è una generale leggera anticipazione a favore dello spettatore (1), cui appare l’ombra dell’alieno e momenti, come nell’episodio del gatto, in cui la focalizzazione e la tensione

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emotiva scende a livello dei personaggi (2). Ma è con lo scontro finale tra Sigourney Weaver e il mostro che noi spettatori assistiamo a un vero e proprio duello (3).

C’è da ricordare che in Alien, film che riposa largamente sulla suspense, è precisamente l’anticipazione di una minaccia fondata sul processo d’inferenza che domina il racconto. Si noterà, del resto, che il trattamento filmico segue i personaggi senza mostrare la creatura, tratteggiata come un’oscura minaccia che attende il momento del confronto.

Il montaggio, basato su piani sufficientemente lunghi, funziona di concerto con il trattamento che traduce l’angoscia dei personaggi in tutta la sua durata, tutta la loro esperienza d’attesa di questo pericolo onnipresente.31

Si può allora dire che il trattamento filmico di Alien si congiunge nell’adottare il punto di vista dei personaggi e che la suspense riposa sulla nostra conoscenza precedente del pericolo e sulla messa in scena di situazioni di scontro; noi viviamo allora, sia in tempi di quiete che di scontro, l’esperienza dei personaggi in rapporto a questo pericolo.

A ben guardare, gli eventi messi in scena durante una situazione di suspense derivano meno da azioni quanto da una durata, un’attesa: la suspense è esattamente ciò che separa il presente dalla minaccia incombente sui personaggi, momento in cui ancora s’ignora se essi riusciranno a scappare alla morte.32

31

CHATEAUVERT, JEAN. “Les mécanismes” in CinémAction, 71 (1994), Pag. 140

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2.3.2. La costruzione del sapere

Una volta identificati dei processi narrativi standard per la creazione di sequenze di suspense, osserviamo come la costruzione del sapere spettatoriale, attraverso i diversi canali del mezzo cinematografico, giochi un ruolo altrettanto importante. Delineate le situazioni che vogliamo raccontare, il modo in cui si raccontano diventa chiave per la riuscita o meno della creazione di una condizione di suspense.

Quando Jean Bessalel volle identificare nell’imprevedibilità uno dei fattori principali della suspense, non l’associò alla sorpresa, bensì a una condizione di attesa culminante in un esito non prevedibile.

Secondo Bessalel, assistere a qualcosa cui non sappiamo l’esito scatena in noi una tensione legata al desiderio di sapere.33

Secondo André Gardies, il grado di sapere dello spettatore può, ad esempio, determinare la differenza tra un intrigo e una situazione suspense. Circa l’enigma, sinonimo d’intrigo, Roland Barthes disse che era ciò che “si centra, si posa, poi si ritarda e infine si rivela”.34 A questa caratterizzazione si può ben prestare la

suspense, simile all’intrigo nel seguire la stessa tendenza, l’allontanamento della risoluzione del racconto. Tuttavia l’intrigo è legato maggiormente all’ignoranza dello spettatore (“chi è l’assassino?”), mentre la suspense al suo sapere (“c’è qualcuno in agguato dietro la porta!”), sebbene in realtà questa distinzione non sia così netta. Allo spettatore il sapere deve essere distillato con precisione per

33

BESSALEL, Pag. 7

(19)

stimolare intrigo o suscitare suspense. Se so troppo, non ho motivo di stare in attesa, se non so nulla non capirò. Quello che però cambia è l’oggetto del sapere. Nel caso dell’enigma so che è avvenuto un evento – spesso di natura criminale – di cui ignoro l’autore. Il mio obiettivo diventa ripercorrere il passato per scoprire la verità. Nel caso della suspense so che un evento deve accadere e attendo trepidando per scoprire le conseguenze di questo evento. Quindi, anche se seguono la stessa pendenza, suspense e intrigo la percorrono in direzioni contrarie: uno conosce ciò che l’altro non sa (le cause di un evento) e viceversa (le conseguenze).

Quindi, la distribuzione del sapere dello spettatore può rispondere a strategie molto diverse. Con l’enigma tendo a perseguire la mia inquietudine alla ricerca della soluzione prima che essa mi sia rivelata, con la suspense non posso che attendere (o al più immaginare) l’evento che sta per scatenarsi.35

Come si costruisce il sapere dello spettatore? Chi realizza il film struttura il sapere dello spettatore, dal profilmico (cosa mostrare) al montaggio (con quale ritmo e successione mostrarlo). 36

Con l’enigma si dispone di una certa libertà: quella che posso esercitare sforzandomi di trovare la soluzione prima che il testo me la fornisca. Si trova generalmente allo stesso livello cui si situa la mia partecipazione ludica.37 Con la suspense non accade nulla di ciò: io sono alla mercé del testo, più precisamente, alla mercé del suo supervisore. È lui che mette in scena il dispositivo, che dosa gli effetti, controlla la mia partecipazione emozionale, che manovra i miei fili. Si 35 GARDIES, Pag. 82 36 GARDIES, Pag. 83 37GARDIES, Pag. 83

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manifesta attraverso il suo potere di manipolazione. Secondo Gardies, la suspense è probabilmente uno di quei momenti narrativi dove la presenza dell’enunciatore è più fortemente marcata. Non senza qualche paradosso dato che, nonostante questo, il mio regime di credulità e d’adesione alla finzione non ne è stato influenzato. Il supervisore assume la forma di un Altro, un’entità presente anche nelle situazioni di suspense della vita quotidiana, sotto forma di colui cui la mia ansia dipende. Se ho dato un esame e attendo il risultato, l’Altro sarà il docente che mi deve giudicare. La differenza tra la suspense della vita reale e quella di un film non è la presenza dell’Altro, quando il suo legame al corso della storia e il suo rapporto con la mia identificazione. Nella vita quotidiana sono io a generare suspense in me, in base a come percepisco gli eventi, mentre nel racconto vivo la suspense come riflesso di come i personaggi vivono la situazione, quindi la vivo in rapporto al mio grado d’identificazione.38

Ciò che in un film mi è mostrato e fatto sentire mi fornisce dati e stimola in me la curiosità o la riflessione. Per tale motivo lo spazio – il visibile – e il suono – dialoghi e rumori, l’udibile – diventano fondamentali mezzi di distribuzione del sapere.

Quando inquadro, dalla continuità della realtà prelevo, in funzione delle leggi ottiche e della prospettiva, un frammento perfettamente delimitato che, simultaneamente, rende visibile una parte di questa realtà e rinvia all’altra parte non visibile.

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Tuttavia, la partizione visibile/non visibile è troppo limitante per poter pienamente definire il concetto di campo/controcampo. Infatti, Gardies distingue due tipi di “non-visibile”: il complesso del visibile vu) e il campo esterno (hors-champ). Il primo corrisponde a quella parte dello spazio che, sebbene situato all’interno della piramide del campo, scappa alla vista in quanto nascosta da un ostacolo, come un muro, mentre il secondo corrisponde a ciò che non vedo in quanto situato al di là del quadro.39

Questa distinzione tra visibile e non visibile è essenziale in quanto al rapporto tra spazio e suspense perché determina una gran parte del sapere dello spettatore. In effetti, il vedere è una fonte diretta e immediata del sapere. Se vedo che X è P, so che X è P. Se vedo X per me esiste. La percezione visiva diventa un fondamentale mezzo di conoscenza del mondo. Ciò che io vedo assume una sorta di verità ontologica, l’immagine mi fornisce un sapere assertivo.

Con questo non s’intende che il non-visibile debba corrispondere a un non-sapere. Grazie al montaggio che organizza i piani in sequenze, il non-visibile è sempre suscettibile di diventare visibile nel piano successivo, per il principio del campo-controcampo.

André Bazin ha aggiunto che se l’organizzazione preleva un frammento da una realtà coerente e continua, lo spazio non-visibile e contiguo è costruito immaginariamente sulla base di indicazioni contenute nel visibile. Per me spettatore il non visibile non è del tutto ignoto: sulla base del visibile elaboro un insieme di supposizioni che lo riguardano e produco un sapere ipotetico.

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Lo spazio al cinema – quello rappresentato, che appartiene al mondo della storia raccontata – si struttura quindi sulla base di due modi differenti d’esistenza: con il visibile, vi è come una sorta di verità d’evidenza, come una presenza non rifiutabile del mondo; con il non-visibile esiste ugualmente, ma nell’ordine del probabile: tenendo conto delle informazioni fornite dal visibile, è probabile che ciò che non vedo risponda a volte a determinate caratteristiche.

Per il resto questo potrà trovare conferma nell’udibile. Ad esempio è sfruttato magistralmente nel finale de L’uomo che sapeva troppo (Alfred Hitchcock, 1956). La voce lontana del bambino che risponde al canto della madre indica la sua presenza da qualche parte nell’ambasciata. Tuttavia lo stato dell’udibile è differente da quello del visibile: il sapere che produce è principalmente di tipo ipotetico. La fonte sonora resta non-visibile e non posso sincerarmi della sua esistenza se non nell’ordine delle probabilità.

In questo caso specifico, noi spettatori abbiamo visto, in una precedente inquadratura, la presenza del bambino, e abbiamo fatto delle ipotesi che vengono confermate dalla sua voce.

Sembra che una verosimile strutturazione dello spazio proprio della suspense riposi su quest’opposizione tra visibile e non visibile. Allora tutto quello che sarà suscettibile di produrre suspense sarà sfruttato: lavoro su campo e contro-campo, sul complesso visivo all’interno del quadro, su luce e oscurità. È con il non-visibile che il mio sapere si fa incerto e traballante: diventa luogo dell’angoscia e dell’attesa insopportabile, da cui può sorgere l’orrore.

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Sulla mia parte d’ignoranza riposa questo tipo di suspense, quella sfruttata da film che giocano sul terrore. Un tipo di suspense differente da quell’hitchcockiana, un’ulteriore definizione che contribuisce a rendere le frontiere della suspense più porose e incerte.40

In contrasto, c’è un’altra struttura di base più specificamente legata alla suspense: quella che si può denominare “doppia scena”. Consiste nel dividere il visibile in due spazi. Qui non si tratta nell’opposizione tra un sapere assertivo e uno ipotetico da sfruttare, ma del solo sapere assertivo. Qui la suspense non gioca sulla mia ignoranza ma sul mio sapere. Un esempio celebre lo si trova ne Gli uccelli (Alfred Hitchcock, 1963). Nel momento in cui Melanie si siede su una panchina davanti alla scuola, il volto verso di noi, senza rendersi conto di cosa sta, lentamente, accadendo dietro di lei: degli uccelli hanno progressivamente invaso il quadro svedese. Una sorda inquietudine prende lo spettatore nel momento in cui percepisce il pericolo. Lo spettatore vede e sa cose che Melanie non sa e non ha modo di avvertirla del pericolo che sta correndo. Qui lo spazio si divide in visibile e non-visibile anche a livello del personaggio, cui scappa la porzione di spazio dietro di sé, spazio cui lo spettatore, invece, può accedere. In questo caso lo spettatore domina più spazi del personaggio, perché vede lei e ciò che è dietro di lei. Di conseguenza l’attività d’identificazione sarà più intensa. Di fronte a un pericolo ignoto al personaggio ed essendo impossibilitato ad agire, compenso la mia impotenza con un’aggiunta d’investimento emozionale.

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Un esempio ancora più marcato, in cui questo accade all’interno della medesima inquadratura, avviene in Marnie (1964), il film di Hitchcock immediatamente successivo a Gli Uccelli. Marnie sta derubando la cassaforte dell’ufficio dove lavora. L’arrivo della signora delle pulizie rischia di compromettere l’azione. Riuscirà Marnie a finire di svuotare la cassaforte prima che il carrello della donna entri nella stanza? Hitchcock ci mostra questa minaccia creando una barriera spaziale all’interno dell’ufficio, un muro che, tagliando a metà l’inquadratura, divide la stanza dove Marnie si trova dal corridoio.

La suspense qui si nutre del mio sapere, lo stesso legato alla strutturazione dello spazio. Io mi trovo in una situazione privilegiata: so e mi trovo a una distanza di sicurezza. Mi trovo caricato di un privilegio che mi lega alla diegesi, proteggendomi. Il mio rapporto con i personaggi assume allora una connotazione fortemente ambigua: da identificazione a simpatia con il pericolo che li minaccia, ma anche soddisfazione sadica di vedere che tutto ciò capita a loro e non a me. Più sono minacciati, più sono sollevato di non essere loro e curioso di vedere come se la caveranno.41

Ciò che vedo e sento diventa fondamentale nella costruzione del mio sapere. A questo punto verrebbe da chiedersi se esiste uno spazio – o una composizione di spazi – tipico della suspense.

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2.3.3. Lo spazio della suspense

Secondo Gardies i luoghi altro non sono che forme attualizzate dello spazio, una concretizzazione del termine in immagini e sostanza che, ovviamente, in un film sono meglio individuabili. La suspense non manifesta una predilezione per un determinato genere di luoghi, contrariamente ai generi come il western o il fantasy, che richiedono specifiche ambientazioni.

Nella misura in cui la suspense può svilupparsi nelle circostanze narrative più diverse, niente la lega a luoghi preferenziali. Si potrebbe pensare che siano preferibili luoghi in cui sono presenti fonti di pericolo, ma esistono numerosi celebri esempi di come anche il luogo all’apparenza più innocuo possa nascondere terrori sconosciuti, come la spiaggia de Lo squalo (Steven Spielberg, 1975) o il crocevia in campagna ne Intrigo internazionale (Alfred Hitchcock, 1959). Questi luoghi presentano un contrasto tra la loro apparenza tranquilla e la realtà terribile che nascondono, un contrasto molto simile a quello che purtroppo è presente nella vita vera, dove luoghi come case, scuole e chiese possono trasformarsi da luoghi sicuri in teatri d’orrore.

Tuttavia in tal e tale film la rappresentazione dei luoghi attraverso le loro componenti – come oggetti, figure metonimiche o metaforiche inscritte nel decoro o nel colore – entrano in risonanza con l’effetto generale della suspense , come vibrano d’emozione e tensione. Ad esempio la tappezzeria della scala nel castello in La pericolosa partita (Irving Pichel e Ernest B. Schoedsack, 1932) suggerisce i

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drammatici avvenimenti che seguiranno e crea un’inquietante sensazione,42 e l’atmosfera gotica e orrorifica trasmessa dalla scenografia ne The elephant man (David Lynch, 1980) gioca un ruolo importante nell’attivazione di previsioni e inferenze.43

Spazio e luoghi non sono comunque discriminatori. La suspense non gli assegna alcuna particolare configurazione, ma li riduce alla loro funzione di aiutanti della temporalità. Non vale lo stesso se si articolano su certi altri fattori inalienabili della suspense che riguardano il sapere spettatoriale, come abbiamo visto nel paragrafo precedente.

Lo spazio gioca allora sull’opposizione tra visibile e non visibile, o su un visibile “fuorviante” – come la silhouette della “madre” di Psyco (Alfred Hitchcock, 1960). Ci sono allora tutte le possibilità espressive del cinema mobilitate – montaggio, luce, suono, etc…-. Le migliori figure di suspense, le più sottili soprattutto, sono certamente legate a un certo uso specifico dello spazio.44

Più che concentrarsi sui luoghi, quindi, Gardies preferisce notare come, così come il visibile e l’udibile giocano un importante ruolo nella distribuzione del sapere, così lo spazio assume importanti connotati nella creazione della suspense sempre in relazione al tempo, i cui elementi – ritmo, durata – hanno molto potere nel determinare o meno la tensione nello spettatore.

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GARDIES, Pag. 131

43CAROCCI, ENRICO. Attraverso le immagini – Tre saggi sull’emozione cinematografica.

Roma: Bulzoni Editore, 2012, Pag. 94

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2.3.4. Il tempo della suspense

Secondo Bordwell, una storia di indagine prevede che l’intreccio non segua la fabula, ovvero l’ordine reale in cui si sono svolti i fatti. L’investigazione è ciò che ci porta a scoprire le cause, gli agenti e i modi in cui il delitto è stato commesso. Contrariamente alle scene di suspense, in cui la successione temporale degli eventi dell’intreccio, che si susseguono in un crescendo di tensione, è spesso la stessa di quella della fabula.45

Sia nel caso dell’enigma che della suspense l’interesse dello spettatore spinge il tempo in avanti, dove si trova l’oggetto del suo interesse: la rivelazione o l’evento atteso e le sue conseguenze. Ma non nello stesso modo.

Nell’enigma, il tempo finzionale che passa mi allontana da ciò che l’ha messo in moto – il delitto iniziale. Il tempo della suspense mi avvicina progressivamente all’evento atteso. Il tempo della storia e quello della narrazione avanzano, tuttavia non sempre alla stessa velocità: in questo consiste il gioco della suspense.

L’impostazione maggiormente concordata – fino a diventare una figura retorica – consiste in un’inversione: mentre il tempo che oggettivamente mi separa dall’avvenimento fatidico si riduce, il tempo della narrazione non cessa di aumentare, dilatandosi, spesso attraverso soluzioni di montaggio che moltiplicano gli istanti.

A volte, come per una sorta di sdoppiamento sadico, sapere e tempo congiungono i loro poteri per aggiungere alla tensione emozionale dello spettatore una stoccata

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d’angoscia. So che l’evento è ineluttabile e imminente ma non so esattamente l’istante in cui accadrà. Sullo sfruttamento di questa situazione gioca per esempio l’attacco de Lo squalo: so che c’è e so che attaccherà, ma prevedere quando è impossibile. L’emergere della violenza non ha una scadenza predeterminata, in questo caso.

La suspense, in qualche maniera, mira all’insostenibile. 46

Secondo Xavier De France, a livello temporale, si possono già identificare procedimenti che giocano contro la suspense: principalmente quelli opposti alla sospensione, come l’accelerazione e la frenesia ma anche la precipitazione e la fuga, in opposizione ritmica. Ai procedimenti ritmici di mascheramento della suspense corrispondono quelli di accelerazione della contro-suspense.47

Giocando sulla durata, e particolarmente sui suoi eccessi – di velocità come di lentezza – il film è sempre suscettibile di agire sulle mie emozioni: lavora sulla mia tensione emozionale. Per questo vacuità o congestione di spazio da una parte e reiterazione delle azioni dall’altra sono le migliori alleate.

Una volta ancora citiamo Hitchcock e la celebre scena del crocevia in Intrigo internazionale. Lo spettatore capisce a breve che un pericolo è in agguato e si pone in una condizione di attesa inquieta. Il luogo non è estraneo a questo sentimento: la nudità di questa piana si estende fino all’orizzonte e l’infinita strada diritta svela in ognuno il proprio lato agorafobico. Ad esso si aggiunge la paura legata all’assenza di ogni rifugio o nascondiglio visibile: il protagonista è completamente esposto. Già questo giustifica la scelta del luogo, ma si può

46

GARDIES, Pag. 83

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aggiungere che tale topografia permette di sfruttare magistralmente degli effetti di durata finalizzati alla suspense. L’attesa inquieta dello spettatore è messa a dura prova nel corso della scena: per quattro minuti, tra la discesa di Cary Grant dall’autobus all’arrivo dell’aereo killer, il tempo mi pare scorrere con irritante lentezza. Due fatti contribuiscono a questa sensazione: la reiterazione delle azioni e il carattere desertico dello spazio presente. In quei quattro minuti, sotto gli occhi di un Grant in attesa quanto lo siamo noi, passano dei veicoli che non si fermano e, infine, un uomo. Grant e noi lo scambiamo per il nostro uomo, ma si tratta di un contadino in attesa dell’autobus. È lui il primo che, con la sua esperienza, ci fa notare che il volo di quell’aereo di diserbante ha qualcosa di anomalo.

Ma prima che ciò accada abbiamo solo il nostro protagonista in attesa. Qui la durata dei piani eccede facilmente rispetto al tempo necessario per comunicare informazioni allo spettatore, perché ciò che accade è ben poco. Quest’eccessività di tempo diventa pura attesa.

A ciò si aggiunge la piattezza desertica del luogo. Le inquadrature, sebbene larghe, raramente portano allo spettatore elementi nuovi. Anche il silenzio amplifica questa sensazione d’uniformità.

La vacuità dell’immagine, l’assenza di avvenimenti, fanno della durata dei piani una sorta di durata pura e produce una verosimile dilatazione temporale che esaspera la mia tensione emozionale. Proprio al momento in cui l’aereo, piombando su Grant, trasforma questo spazio in un vasto campo di pericolo insospettato.48

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Ritardare il manifestarsi dell’evento, del momento in cui le congetture dello spettatore si verificano o no, è definito da Bordwell redartation.49

Tuttavia non per forza il tempo deve dilatarsi nella durata per suscitare suspense. C’è anche un altro fattore che agisce sull’emozione: quello che inquieta e smuove lo spettatore perché il tempo scorre troppo rapidamente.

Gardies presenta una situazione archetipica: un ordigno è programmato per esplodere a una data ora; l’eroe lo sa e deve disinnescarla prima che sia troppo tardi. Si noterà che, generalmente, in questi casi, lo spettatore si trova in situazione di uguaglianza di sapere con il personaggio. Se l’attività d’identificazione funziona correttamente, lo spettatore desidererà la riuscita dell’eroe e, di conseguenza, ogni ritardo sarà fonte di tensione. Lo spazio, allora, assumerà caratteristiche differenti rispetto a quelle desertiche elencate prima. La congestione si sostituirà alla vacuità. Luoghi e oggetti funzioneranno come creatori d’ostacoli al lavoro dell’eroe. Farà in tempo? Lo spazio sembra d’un tratto mettere fuori uso tutto; i luoghi che uno conosceva assumono una faccia sconosciuta. Tutto funziona contro l’eroe, gli oggetti come i personaggi.50

I contrattempi non cessano di accumularsi. Tutto rende lo spazio un divoratore di tempo. Ogni ostacolo diventa alleato dello scorrere del tempo. Anche il montaggio, frammentandosi, pare ostacolare l’azione, rallentandola, raddoppiandola.

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BORDWELL, Pag. 38

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Evidentemente in contraddizione con De France, Gardies ritiene che vacuità o congestione dell’immagine, la suspense usi l’uno come l’altro. Ogni mezzo è usato per sottomettere lo spazio alla produzione dell’effetto di durata desiderato.51 Riguardo la durata, Gerstenkorn sostiene che la suspense si possa mantenere sia in momenti di intensa brevità come in lunghe scene dilatate. Porta l’esempio dell’inizio di Angeli con la faccia sporca (Michael Curtiz, 1938), momento in cui i due protagonisti della storia sono in fuga dopo aver commesso un furto. Uno dei due resta impigliato nei binari della ferrovia, mentre si sta avvicinando una locomotiva, ed è salvato in extremis dall’amico. In questo caso il momento di suspense è brevissimo e intenso. Il montaggio rapido è serrato da appena il tempo allo spettatore di percepire il pericolo.

All’altro capo si trova un segmento relativamente lungo, circa venti minuti alla fine de La sera della prima (John Cassavetes, 1977), dove Myrtle Gordon è attesa sul palco la sera della prima del suo spettacolo. La suspense qui è suscitata dall’incertezza sull’arrivo di Myrtle a teatro. Qui il regista decide di dilatare al massimo l’effetto di suspense. La durata della scena – e la sua teatralità – eccedono le convenienze della retorica cinematografica e producono un effetto più intenso che tende a conformarsi con la durata diegetica. Lo spettatore di cinema, teso nella sua poltrona, possiede almeno un vantaggio sul pubblico che aspetta l’entrata di Myrtle a teatro: lui conosce la ragione del suo ritardo.

Il momento della suspense corrisponde nei fatti a dei segmenti filmici di ampiezza estremamente variabile. Non esiste un modello standard, il cineasta può seguire la durata che desidera.

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La segmentazione del momento di suspense non pone problemi nel momento d’identificare il punto di risoluzione della suspense, ma è più complicato comprendere il momento della sua nascita. A partire da quale momento narrativo si sente l’effetto suspense? Ne La donna di sabbia (Hiroshi Teshigahara, 1963), un entomologo che si trova nel deserto è invitato a passare la notte in fondo a una depressione sabbiosa, in cui si trova prigioniera una donna. Lo spettatore sente nascere in sé la suspense quando percepisce la trappola in cui il personaggio sta cadendo senza rendersene conto, ma è solo con il primo tentativo di fuga dell’uomo inseguito alla sua presa di coscienza, che questo sentimento trova conferma.52

Il trattamento che Teshigahara infligge tanto allo spettatore quanto al personaggio non fa che spingere il principio di base dell’effetto suspense: differire la risoluzione di una situazione insostenibile. Alcune strategie sono state scoperte molto presto, come il montaggio alternato di Griffith per le scene d’inseguimento o salvataggio. Il cinema dispone di un arsenale di procedimenti formali e narrativi per ritardare lo svolgimento.53

Sia Gardies che Gerstenkorn mettono in evidenza la principale caratteristica della temporalità della suspense. Che lo faccia attraverso una dilatazione o attraverso l’opposizione di continui ostacoli e frammentazione di scene o inquadratura, che duri tre minuti o venti secondi, essa deve ritardare la risoluzione dello svolgimento, deve aumentare il tempo che io spettatore percepisco col fiato sospeso, in attesa.

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GERSTENKORN,Pag. 154

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2.3.5. Il ruolo di musica e suono nel generare suspense

Abbiamo visto come l’udibile giochi un ruolo importantissimo nel determinare il sapere dello spettatore e generare suspense. L’introduzione del sonoro ha permesso un notevole avanzamento dei processi di creazione delle tensione emotiva dello spettatore, raggiungendolo a un livello maggiormente profondo rispetto al visivo. Anche nella vita quotidiana i suoni riescono ad arrivare a noi prima e meglio delle immagini: coprono un raggio più esteso e, contrariamente alle immagini, che basta chiudere gli occhi per non restarne influenzati, sono difficili da ostruire.

Secondo Gardies, se il sapere che le immagini portano è di tipo assertivo, quello portato dal suono è di tipo ipotetico. Il fatto di sentire un suono ma non potergli attribuire un’immagine crea in noi un effetto d’indefinita incertezza e, a seconda del contesto, d’inquietudine. Se il suono mi palesa fonti di pericolo collocate in una zona non visibile, esse si caratterizzano di un forte coefficiente di minaccia: non si può definire la natura e l’importanza esatta del pericolo e ciò gli conferisce più poteri di quanti ne possieda. 54

La suspense, in questo caso preciso, farà leva sul terrore e sull’angoscia dell’ignoto. Ad esempio, la figura stereotipa del lento avvicinarsi di passi minacciosi ne diventa la rappresentazione tipo.

Sembra che la verosimile strutturazione dello spazio proprio della suspense riposi su quest’opposizione tra visibile e non visibile. È con il non-visibile che il mio

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sapere si fa incerto e traballante: diventa luogo dell’angoscia e dell’attesa insopportabile, da cui può sorgere l’orrore.55

Ecco perché l’introduzione del suono e della musica ha reso possibili maggiori strategie di tensione.

Se nella vita di tutti i giorni le situazioni di suspense sono più o meno presenti (arriverò in tempo al mio incontro? Troverò una multa sul mio parabrezza?), l’esposizione al cinema di questo tipo di situazione ha poche chance di emozionare lo spettatore. Noi sappiamo per esperienza che la maggior parte delle situazioni di suspense al cinema riguardano in generale il rischio di una situazione limite per il personaggio con il quale lo spettatore si è identificato. Mario Litwin, in Le film et sa musique, sostiene che l’informazione visuale proveniente dall’immagine e l’informazione sonora proveniente dalla colonna sonora si sintetizzano nel cervello dello spettatore per costituire un solo registro emozionale misto a partire dai due registri d’origine.

Secondo Litwin la suspense non può essere provocata solo dalla musica.56 Perché sorga, deve essere presente una drammatizzazione della situazione limite nei confronti del personaggio con cui ci s’identifica. La musica può modificare il registro della suspense, ma in nessun caso può sostituirsi alla drammatizzazione. Nella musica “a programma”, dove la musica è strutturata per raccontare una storia, come ad esempio in Pierino e il lupo, se lo spettatore non conosce la storia che la musica veicola, non si sentirà emotivamente coinvolto come se la conoscesse. L’emozione legata alla suspense non esiste che nel racconto.

55GARDIES, Pag. 133 56

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La musica può attenuare o intensificare la suspense, agendo attraverso l’applicazione delle proprie risorse drammatiche.

Litwin ne identifica tre:

1. Risorse basate sull’associazione di un passaggio musicale a una determinata situazione;

2. Risorse basate sul modello fisico o antropomorfico del passaggio musicale esposto;

3. Risorse basate sulla natura fisica del passaggio musicale esposto.

1. Le risorse basate sull’associazione del passaggio musicale a una situazione drammatica

Il caso più diffuso d’associazione di un passaggio musicale a una situazione drammatica è quello del leitmotiv. Un passaggio musicale è esposto nei medesimi momenti di una situazione drammatica, come l’ingresso di un personaggio, la presentazione di una dimora sinistra, etc…

Se la situazione si ripete, la frase melodica interessata procederà a evocare nello spettatore il personaggio o la situazione drammatica che vi era stata associata prima. Ad esempio, se io ho visto un assassino canticchiare due volte la stessa melodia prima di compiere un omicidio, alla terza mi basterà anche solo sentire la melodia per sapere che l’assassino è presente e pronto a colpire.

Nel caso del leitmotiv, la musica non ha bisogno di sviluppare un carattere “inquietante” per agire sulla suspense. L’associazione di un motivo a un passaggio drammatico è sufficiente a trasferire su di esso parte del suo contenuto emozionale. Il resto è apportato dalle altre due risorse. Soltanto,

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quest’associazione, prima di poter agire, richiede un certo tempo di condizionamento per lo spettatore, pertanto non può essere usata all’inizio del racconto.

La forza evocatrice di un leitmotiv è donata dal suo contenuto melodico e non dal suo aspetto armonico, ritmico o strumentale. L’armonia, il ritmo e il timbro – ossia il tipo di suono – non sono che dei supporti del colore. Solo il disegno melodico rivela un carattere tematico ed evocatore.

L’eccezione a questa regola non è di carattere musicale ma narrativo, poiché lega uno strumento a un personaggio sia nell’universo diegetico che, di conseguenza, in quello della colonna sonora. In generale, in questo tipo di situazione il personaggio è un musicista. Tuttavia, questo tipo d’associazione è possibile solo attraverso l’intervento di un’informazione extra-musicale. Ad esempio, il suono di un violino evoca il protagonista se lo spettatore sa che egli è un violinista.57 L’informazione arriva allo spettatore attraverso una via intellettuale e non musicale.

Tuttavia, Litwin sottolinea il fatto che la musica non può compiere la sua funzione drammatica se esige allo spettatore un intervento intellettuale che lo distolga intellettualmente dal racconto. Ad esempio, la necessità di una semplice informazione discografica o storica sulla natura del passaggio musicale costituisce già un appello all’intelletto e un’interruzione della funzione drammatica della musica, che deve restare legata a un’attenzione di tipo marginale. E’ questo carattere marginale che dona alla partizione la sua funzione drammatica che le permette di agire così sull’emozione e manipolare l’intuizione. Al contrario,

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illustrare musicalmente una tempesta con una canzone che si chiama Stormy Weather non ha nessun effetto drammatico sullo spettatore e, semmai, rileva il suo carattere di ridondanza con un effetto di riferimento culturale o di gag.

2. Le risorse basate sul modello fisico o antropomorfico del passaggio musicale esposto

Litwin definisce “modello antropomorfico” il comportamento del passaggio musicale suscettibile di derivare da un comportamento umano. Ad esempio una melodia grave e lenta può evocare movimenti pesanti e difficili di un gigante o l’avanzare maestoso di un vascello. Sarebbe impossibile evocare queste due immagini con registro differente dal grave. Al contrario, una melodia leggera può evocare la voce di un bambino o il movimento di un piccolo animale.

Nei brani musicali di sequenze di suspense o azione i modelli fisici o antropomorfi sono frequenti. Le frasi musicali – preferibilmente atonali – intercalate da silenzi – frasi discontinue – evocano un uomo nascosto che trattiene il respiro. Degli attacchi dissonanti e immediati dell’orchestra derivano da modelli fisici come i colpi o evocano modelli antropomorfi, come il grido.

3. Le risorse basate sulla natura fisica del passaggio musicale esposto

Questo tipo di risorsa si spiega come quel fattore pratico d’aiuto a una partitura musicale. Riguarda la natura tonale o atonale di un passaggio musicale. 58

Secondo Litwin le melodie tonali favoriscono i climi di sicurezza e onestà, che siano romantici o epici, gioiosi o nostalgici, sono sempre chiari e netti. Al contrario, la caratteristica della musica atonale è comunicare instabilità o inquietudine.

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In un’accezione primaria del termine, una melodia atonale dovrà avvantaggiare l’illustrazione di un clima d’angoscia o suspense e la musica tonale sarà più adatta all’illustrazione di una scena triste o gioiosa. Quindi i climi musicali che appuntano la suspense sono, in primo grado, dei climi pleonastici.

Tuttavia, questa generalizzazione non è più valida dopo l’introduzione dei climi musicali contrastanti. Con essi, poco a poco, il cinema ha cominciato a distaccarsi dalle formule dell’opera e a rinunciare all’uso intensivo delle due ultime due risorse per i film di suspense. La prima ragione è che esse non riguardano che le illustrazioni pleonastiche. I realizzatori moderni, dopo aver provato una o due volte nel genere, cercano di provare cose nuove. La seconda ragione è d’ordine commerciale: si preferisce usare lo spazio filmico per promuovere canzoni commerciabili in quanto popolari e orecchiabili, rispetto alle melodie atonali che facciano paura.

Più passano gli anni e i climi musicali di suspense passano di moda in un cinema desideroso di smarcarsi dagli archetipi e di giustificare l’applicazione di melodie di valore commerciale. L’efficacia di Tubular Bells, colonna sonora di L’Esorcista (William Friedkin, 1973), ne è un buon esempio. Il leitmotiv è una melodia tonale ripetitiva più evocante l’ossessione che la paura. Questo è coerente con ciò che gli psicologi dicono circa il fatto che l’ossessione sia un ricorso nevrotico per proteggersi dalla fobia – la paura irrazionale. Si evoca la paura con l’esposizione degli stessi mezzi messi in campo per scapparvi. Il resto dell’ambientazione è apportato dal timbro cristallino del carillon, trasparente e aereo come la materia fantasmatica.

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L’introduzione di melodie tonali o di canzoni al posto di climi d’orrore e suspense è diventato un modello di genere e lo spettatore si sta abituando a non rilassarsi troppo al sentire una delicata musichetta gentile. Sa che essa cerca di distogliere la sua attenzione per colpirlo meglio. Dopo tutto, egli sa che si trova dentro un film di tensione. E in un cinema, il solo pericolo é di annoiarsi. 59

2.3.6. Questione di focalizzazione

Nei paragrafi precedenti abbiamo osservato come il sapere spettatoriale giochi un ruolo importante nella costruzione della suspense. Tuttavia, troppo spesso si pensa che esso sia l’unico fattore da considerare in tale frangente. Specialmente in seguito all’esempio hitchcockiano, si tende a voler associare la suspense ai soli momenti in cui lo spettatore conosce qualcosa – un pericolo in genere – che il personaggio ignora. Quando i narratologi analizzano il fenomeno della suspense, l’affrontano come una strategia narrativa soggiacente a un regime di

focalizzazione zero, o spettatoriale, un regime dove lo spettatore si trova con

maggior informazioni del personaggio, che corre un pericolo di cui non è al corrente, al contrario del pubblico. In termini di sapere si può dire che il film apporta allo spettatore un’informazione – circa la presenza del pericolo – che scappa al personaggio, e induce di colpo una focalizzazione in seno alla quale il mio sapere di spettatore eccede rispetto a quello del personaggio. 60

Secondo Gardies, se ho un sapere maggiore rispetto ai personaggi, una situazione come il tentare di disinnescare una bomba può diventare più delicata. Io spettatore

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LITWIN, Pag. 152

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non solo sono immedesimato con i personaggi – al loro posto che farei? – ma sto in tensione per il ticchettare inesorabile, i ritardi e gli ostacoli che i personaggi devono affrontare.

Sono consapevole del mio privilegio d’onniscienza e da questa mia posizione di superiorità misuro la debolezza umana dei personaggi – e quindi mia - alle prese delle contingenze della loro vita. Grazie al lavoro della camera da presa scendo in situazioni altre, a debita distanza ma a fronte di situazioni che potrebbero accadere anche a me e che, in quel momento che le fruisco, non posso modificare. Vivo la situazione di terrore e tensione esternamente, ma allo stesso tempo, internamente, come in una sorta di catarsi. 61

Per quanto ciò valga per molti esempi noti, i film di Hitchcock in primis, viene spontaneo dubitare che la super-informazione dello spettatore sia la sola e unica condizione perché la suspense si verifichi. Chateauvert sostiene che quest’approccio necessiti di un approfondimento e una rilettura. Egli nota, infatti, l’esistenza di molte pellicole in cui, pur presenti le condizioni di generazione della suspense, ovvero essere a conoscenza del pericolo che un personaggio ignaro sta correndo, la suspense non si genera, oppure di film in cui, pur mancando quell’elemento, la suspense è presente. Chateauvert prende in considerazione entrambe le situazioni con due esempi.

Il primo esempio che porta è Delitto per delitto (Alfred Hitchcock, 1951). Il film s’incentra sulla proposta fatta a Guy, tennista in attesa di divorzio, dallo sconosciuto Bruno circa lo scambio di delitti. Bruno strangola la moglie di Guy e si aspetta che in cambio egli uccida suo padre. La messa in scena di un pericolo

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per una vittima virtuale, l’ex-moglie Miriam, dovrebbe generare un effetto di suspense nello spettatore che ne è al corrente. Tuttavia, in concreto, nella nostra esperienza spettatoriale, non si sente ancora nessun effetto di questo genere e si assiste alla morte della giovane donna come a un evento inesorabile che fa parte del corso della storia, senza il minimo effetto di suspense.

Cape fear, nella versione originale di Lee Thompson (1962), presenta la contropartita di questa situazione, mettendo in scena una struttura di suspense senza esporre i personaggi ad alcun pericolo.

Il film racconta la storia di un detenuto tornato in cerca di vendetta nei confronti di chi l’ha fatto condannare. Dopo aver assistito a un gioco di minacce, c’è una scena dove la figlioletta del giudice è lasciata sola qualche minuto in auto. Mentre la bambina diventa mano a mano sempre più angosciata e si guarda intorno alla ricerca dell’eventuale apparizione del forzato, una musica inquietante, tipica di momenti di tensione del genere thriller, rinforza tale stato, ponendo noi spettatori in un’angoscia simile a quella della ragazzina. Qui la suspense nasce da quest’angoscia del personaggio che paventa una minaccia, al momento assente. La minaccia non è reale, infatti l’uomo non si presenta, ma si origina nella mente della piccola in seguito agli avvenimenti precedenti. La suspense, quindi, non si origina in noi perché consapevoli di un pericolo, ma attraverso il sentimento di minaccia che il personaggio sta vivendo in quel momento.

Questi due esempi sollevano, quindi, interrogativi sui meccanismi della suspense. Infatti, nel secondo esempio, sembra che l’elemento sine qua non per la suspense, la presenza di una minaccia di cui io spettatore sono al corrente, sia assente senza che questo causi in me un mancato effetto di suspense. Certo, se non fosse stata

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