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1.1 L’origine della fiaba tra oralità e scrittura Capitolo 1 – LA FIABA LETTERARIA

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Capitolo 1 – LA FIABA LETTERARIA

1.1 L’origine della fiaba tra oralità e scrittura

È estremamente difficile definire con precisione la fiaba o stabilire quando e dove essa sia nata. Ciò che possiamo affermare con certezza è che essa affonda le sue antiche radici negli oral folk tales legati al mito, alle saghe e alle leggende esistenti da migliaia di anni e raccontate e tramandate nelle tribù da adulti ad altri adulti. Alcuni motivi presenti in queste narrazioni si sono poi inseriti nella Bibbia, come nell’Iliade e nell’Odissea. Questi racconti orali testimoniavano il senso di appartenenza ad un gruppo, ma erano anche portatori di un messaggio di speranza in un futuro migliore e, allo stesso tempo, istruivano, divertivano, intrattenevano, oppure mettevano in guardia, trasformandosi, di narratore in narratore, per adattarsi al meglio alle esigenze della situazione.

La fiaba celebra anche l’importanza del segno: lettere, parole, frasi diventano strumenti magici nelle mani del narratore o dello scrittore. Nel mondo moderno, ovviamente, divenne necessaria una trasformazione, per adattare i racconti orali agli standard letterari rendendoli fruibili pubblicamente. Ma fu solo a partire dal quindicesimo secolo che la fiaba letteraria si appropriò della ricca tradizione orale, diffondendola in una prolifica produzione a stampa.

Quel che è certo, comunque, è che la fiaba esiste da migliaia di anni come fiaba popolare orale (folk tale), ma, se non si considerano le due antologie degli italiani Straparola e Basile, raggiunse lo statuto di fiaba letteraria (literary fairy tale) soltanto verso la fine del diciassettesimo secolo, quando fissò motivi, personaggi e trame ricorrenti con una certa precisione. Sebbene i lavoratori della terra fossero esclusi da questa tradizione letteraria, dal momento che i racconti della tradizione orale furono adattati ai gusti del pubblico istruito, essenzialmente appartenenti all’aristocrazia e alla classe media, furono le loro memorie e le loro credenze a dar corpo al nuovo genere letterario che si diffuse nel quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo secolo in Europa.

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Agli albori del Cristianesimo non sembrava esserci molta speranza che la fiaba orale potesse diventare un vero e proprio genere letterario dal momento che gran parte della popolazione era analfabeta e il latino rimase la lingua più parlata dagli intellettuali fino al Medioevo, quando le lingue vernacolari cominciarono a gettare le basi di una grammatica con cui impostare la comunicazione. Inoltre, anche la stampa iniziò a diffondersi solo nel quindicesimo secolo. Zipes reputa “Amore e Psiche” di Apuleio la prima fiaba letteraria di rilievo; essa apparve in latino nel secondo secolo e faceva parte delle Metamorfosi, concetto, peraltro, che sarebbe diventato un tema chiave della fiaba.1 Da quel momento, la fiaba letteraria si sviluppò concentrandosi sulla civilization del protagonista che doveva sottostare ad una serie di regole per poter essere accettato dalla società e proiettarsi verso un futuro migliore. Tuttavia, la fiaba letteraria inizialmente non riuscì a sostenersi da sola e fu spesso inserita in raccolte di racconti didattici e divertenti. Ulteriori documenti di narrazioni fiabesche non sono giunti fino a noi se non a partire dal quindicesimo secolo, a cui risalgono i manoscritti delle Gesta Romanorum contenenti storie a scopo istruttivo e moralistico per i giovani cristiani.

Si dovette aspettare il sedicesimo secolo per vedere la pubblicazione delle prime fiabe scritte in vernacolo per un pubblico istruito da Giovan Francesco Straparola: erano Le Piacevoli Notti (1550-1553), ispirate al Decameron di Giovanni Boccaccio e tradotte successivamente in altre lingue. Nel 1634, sempre in Italia, uscì postuma la raccolta di cinquanta fiabe Lo Cunto de lo Cunti o Pentameron di Giambattista Basile, scritte in dialetto napoletano. Il motivo per il quale fu proprio l’Italia la patria dello sviluppo della fiaba letteraria è da ricercarsi nella grande diffusione di città commerciali che, tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, dettero un forte impulso anche alle attività culturali e all’alfabetizzazione. Analogamente, anche l’Inghilterra, altra potenza marittima, aveva iniziato a coltivare questa tradizione fiabistica. Basti pensare ai numerosi motivi fiabistici presenti nelle opere di Chaucer, Shakespeare e Spenser; tuttavia, nel diciassettesimo secolo, il rigore puritano, contrario a ogni forma di

1 Cfr. J. ZIPES, When Dreams Came True: Classical Fairy Tales and their Tradition, New York and London, Routledge, 1999, p. 8.

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intrattenimento, non permise alla fiaba di svilupparsi e diffondersi come invece accadde in Francia.2

In Francia i racconti orali prosperavano da molto tempo nei villaggi e nelle stanze dei bambini, da un lato all’interno di un contesto popolare, dall’altro in un ambito domestico popolato da governanti e bambini delle classi più alte. Tuttavia l’aristocrazia e la classe borghese continuarono a disdegnare la fiaba in forma letteraria finché essa non ricevette l’approvazione a corte grazie a Madame de Maintenon e Fénelon. Qui, inizialmente, la fiaba apparve sotto forma di messa in scena e poi venne codificata e usata per rafforzare una serie di convenzioni sociali inerenti gli interessi dell’ancién regime. Questo processo avvenne in stretta correlazione con il conversare elegante che si diffuse a corte, così più le fiabe popolari si adeguavano alle regole della conversazione, più erano arricchite e accettate.3 Nonostante Charles Perrault rimanga l’autore di fiabe francesi più noto, la maggiore scrittrice della fiaba in Francia fu Marie-Catherine D’Aulnoy; fu lei a dare impulso propulsivo al genere, pubblicando tra il 1696 e il 1698, quattro volumi di fiabe fortemente influenzate dalla tradizione italiana e dal folclore francese. Le sue fiabe spianarono la strada a quelle di Mademoiselle L’Héritier e Mademoiselle de la Force, nonché a Perrault stesso che in Histoires ou contes du temps passé (1697) inserì le versioni in prosa di “Cappuccetto Rosso”, “Pollicino”, “La Bella Addormentata”, “Cenerentola” e “Barbablù”. Perrault, assiduo frequentatore dei salotti letterari parigini, cercò di istituire la fiaba come un genere innovativo che presentava modelli di una sensibilità moderna associabile alla grandezza della civilité francese;4 egli si servì della fiaba principalmente per concentrarsi sull’educazione dei bambini e per prepararli idealisticamente ai ruoli che avrebbero ricoperto nella società.

Il contributo di Perrault allo sviluppo della fiaba letteraria fu comunque contraddittorio: fu lui a plasmare abilmente il folclore in una forma letteraria dotandola di uno scopo morale per educare i bambini in modo divertente, ma, allo

2 Cfr. ibidem, pp. 1-12. 3

Cfr. J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, New York, Routledge, 1991, p. 3.

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stesso tempo, e forse involontariamente, codificò anche una serie di norme di comportamento che limitavano e inibivano lo sviluppo della natura del bambino. È innegabile, comunque, l’influenza estetica e ideologica fortissima che lui e la fiaba francese del diciassettesimo e diciottesimo secolo hanno avuto sulla fiaba europea e americana del diciannovesimo secolo anche per quanto riguarda il processo di civilizzazione sociale. Basti pensare che il termine inglese fairy tale deriva proprio da un’espressione francese del diciassettesimo secolo, conte de fée, che attribuiva alle fate il dono della metamorfosi e ne faceva delle benevole aiutanti per chi ne avesse avuto bisogno. Nonostante la chiesa, durante i due secoli precedenti, avesse cercato di eliminare, con mezzi anche particolarmente energici, le eresie e le non conformità al dogma, molti concetti pagani sopravvissero nei racconti folcloristici orali e poi tornarono in forma pubblica nella fiaba letteraria.

Sempre in quegli anni, cominciarono a circolare le prime traduzioni di fiabe orientali: nel 1704 Antoine Gallande tradusse in francese una parte delle Mille e Una Notte e nel 1707 Petit de La Croix pubblicò una raccolta di fiabe persiane dal titolo Les Mille et un Jours. Il meccanismo era stato messo in moto e per un secolo a venire la Francia fu inondata dalle fiabe:

the literary fairy tale became an acceptable, social-symbolic form through which conventionalized motifs, characters, and plots were selected, composed, arranged, and rearranged to comment on the civilizing process and to keep alive the possibility of miraculous change and a sense of wonderment. […] In short, there was something subversive about the institutionalization of the fairy tale in France during the 1790s, for it enabled writers to create a dialogue about norms, manners, and power that evaded court censorship and freed the fantasy of the writers and readers, while at the same time paying tribute to the French code of civilité and the majesty of the aristocracy. Once certain discursive paradigms and conventions were established, a writer could demonstrate his or her “genius” by rearranging, expanding, deepening, and playing with the known functions of a genre.5

Le fiabe di Perrault, D’Aulnoy e Galland vennero ristampate in edizioni economiche nella cosiddetta Bibliothèque Bleue e distribuite alle classi più povere dai venditori ambulanti; i testi non erano integrali e il linguaggio era più semplice,

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ma dopo l’accettazione del genere a corte fu questo il passo fondamentale che permise alla fiaba letteraria per bambini di diventare una forma letteraria con un seguito.

Ora che in Francia la fiaba spopolava in ogni classe sociale e tra i lettori di ogni età, essa cominciò a farsi portavoce di messaggi diversificati, ma furono soprattutto due le tendenze che si affermarono, da una parte il genere divenne il mezzo attraverso il quale trasmettere norme e valori ritenuti degni di emulazione per il lettore adulto così come per il bambino; dall’altra, il genere fu parodiato soprattutto negli aspetti magici, considerati fonte di stupide credenze superstiziose delle classi più basse. Tuttavia, in entrambi i casi la fiaba diventò fine arte letteraria.6 Il successo della fiaba in Francia decrebbe con lo scoppio della Rivoluzione francese, tuttavia, successivamente, continuò a esercitare una forte influenza in Germania, sia sui classicisti che sui romantici tedeschi, che dettero continuità al genere in Europa.

Anche in Germania, all’inizio, la fiaba fu utilizzata per celebrare le tradizioni avite, utilizzando un linguaggio rivolto alle classi istruite, e fu solo verso la fine del diciottesimo secolo che la fiaba francese si fece strada grazie a numerose traduzioni e alle raccolte della Blaue Bibliothek. Alcune delle fiabe più famose, come “La Bella Addormentata”, “Cenerentola” e “Cappuccetto Rosso”, entrarono a far parte della produzione dei fratelli Grimm proprio in questi anni (essi raccolsero le fiabe soprattutto dalla piccola borghesia, o dai ceti più acculturati, e le modificarono nel significato). Fu grazie a loro e a scrittori come Novalis, Chamisso e Hoffmann che la fiaba smise di rappresentare l’ideologia aristocratica e finì per dare voce alla critica popolare degli aspetti deleteri dell’illuminismo. Gli antagonisti, nelle fiabe, non sono più rappresentazioni allegoriche del male, ma vere e proprie interpretazioni di valori borghesi o aristocratici. Infatti, di rado le fiabe di questo periodo hanno un lieto fine, proprio perché lo scopo di questi scrittori non era divertire ma coinvolgere il lettore in un discorso sull’arte e la cultura. Non a caso in Germania il termine per fiaba è Kunstmärchen, che

6 Cfr. J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

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significa appunto “racconto d’arte”: l’artista, o un personaggio creativo, si faceva portavoce di un messaggio utopico di un futuro migliore.

Proprio per i suoi messaggi sociali e impegnati, fino al 1820 la fiaba in Germania fu un genere rivolto principalmente ai soli adulti. Inoltre, soprattutto nelle sue varianti più fantastiche, non era un genere ritenuto adatto ad educare le giovani menti dei bambini. C’era infatti una sorta di timore verso questo tipo di forma letteraria, considerata troppo evasiva, e quindi gli educatori favorivano storie più realistiche e didattiche. Nel 1819 i fratelli Grimm cominciarono perfino a rivedere le loro fiabe cercando di renderle adatte ad un pubblico più giovane ed eliminando i passi più cruenti o erotici. Gradualmente si arrivò all’accettazione della fiaba anche per i bambini, perché fu preso atto che, indipendentemente dal loro livello di istruzione, le fiabe rappresentavano per loro un puro e semplice momento ricreativo nel quale lasciare da parte gli insegnamenti morali.

Fu durante la crescita della classe media tra il 1830 e il 1900 che la fiaba divenne un genere a pieno titolo rivolto ai bambini, e fu proprio in questo lasso di tempo che, dopo essere stato fortemente influenzato dagli scrittori romantici e dai Grimm, Hans Christian Andersen cominciò a pubblicare le sue fiabe. Unendo elementi folcloristici a temi letterari appartenenti alle fiabe dei romantici tedeschi, egli fu abile nel combinare umorismo, insegnamenti cristiani ed elementi fantastici divertendo ed istruendo adulti e bambini e realizzando più di ogni altro scrittore in Europa il proposito di Perrault, cioè scrivere fiabe adatte sia a bambini che adulti ma portatrici di messaggi comprensibili in maniere diverse dalle due fasce di lettori.7

7 Cfr. J. ZIPES, When Dreams Came True: Classical Fairy Tales and their Tradition, cit., pp. 17-20.

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1.2 La fiaba come atto simbolico

La fiaba letteraria discende dall’appropriazione, da parte della cultura scritta, di una tradizione narrativa orale, e come genere è andato delineandosi soprattutto attraverso il quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo secolo, stabilendo progressivamente temi, personaggi, topoi e trame.

Secondo Jack Zipes, iniziare la discussione sulla fiaba letteraria in quanto genere partendo dalla definizione basata sull’approccio morfologico di Vladimir Propp (o su quello di Max Lüthi o di Algirdas-Julien Greimas) è poco produttivo. Propp, in Morfologia della fiaba, e Max Lüthi, ne La fiaba popolare europea, infatti, forniscono una metodologia per analizzare il testo da un punto di vista formale individuando una sorta di grammatica universale della narrazione fiabesca, però non approfondiscono gli aspetti riguardanti l’origine del genere, la differenza tra fiaba popolare e fiaba letteraria o il contesto storico e ideologico in cui esse presero forma.

Gli studi strutturalisti sulle fiabe ebbero avvio tra gli anni ’60 e ’70, proprio sotto la spinta di Vladimir Propp. Egli propose un nuovo metodo di studio della fiaba, in particolare della fiaba magica, e mise in luce che essa, pur avendo contenuti diversi, presenta sempre la stessa struttura. I soggetti cambiano ma i predicati rimangono i medesimi. Egli inoltre evidenziò che esistono trentuno funzioni, che rappresentano le componenti ricorrenti e fondamentali della fiaba e si identificano con le azioni compiute da sette tipologie di personaggi che permettono lo sviluppo della storia. La struttura di ogni fiaba si costruisce su una ricerca: all’eroe manca qualcosa e, per ottenerla, egli è costretto a intraprendere un viaggio; nel corso dell’avventura il protagonista incontrerà un nemico che gli si oppone e varie creature magiche che gli offrono il loro aiuto. L’epilogo vede il nemico punito e l’eroe che realizza la sua missione, solitamente ottenendo il matrimonio e la ricchezza, che sanciscono una felicità eterna. Dalla combinazione di personaggi e scenari tipici che popolano le fiabe, nasce un senso di meraviglia

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nel lettore, ed è proprio questo stupore a distinguere la fiaba dagli altri tipi di romanzo o racconto breve.8

Lüthi, invece, vede l’eroe della fiaba popolare come un errabondo che deve portare a compimento una missione.9 Secondo lui, la fiaba non nasce dal bisogno di abbellire o trasfigurare il mondo, ma è esso stesso che si trasfigura spontaneamente. Perciò anche i mali della società non vengono eliminati, ma ad essi viene assegnata una precisa collocazione e un proprio ordine. Anche Lüthi poi individua delle costanti che si ripropongono in ogni fiaba:

- l’unidimensionalità: nella fiaba, reale e soprannaturale si confondono a un punto tale che l’eroe non prova stupore, meraviglia o timore del diverso, ma, anzi, esso viene trattato da pari a pari: “nella fiaba, la creatura terrena non ha la sensazione di incontrare nell’essere ultraterreno un’altra dimensione.”10 Tutto perciò sembra appartenere alla stessa dimensione;

- mancanza di una prospettiva: nella fiaba non si percepisce una frattura tra il mondo reale e quello fantastico, “i suoi personaggi sono figure senza corpo, senza mondo interiore, senza un vero ambiente che li circondi; manca in loro ogni rapporto col mondo passato e futuro, insomma col tempo […] anche agli uomini e agli animali della fiaba manca ogni spessore corporeo o profondità psichica.”11 I personaggi della fiaba “non solo non posseggono un mondo interiore, ma non hanno nemmeno un mondo che li circondi.”12 Posseggono “l’eterna giovinezza. Niente riesce a recar loro danno, né il tempo, né le preoccupazioni, non la più lunga odissea, non i più duri colpi del destino.”13

Manca, inoltre, anche la dimensione del tempo, dal momento che

il tempo è una funzione dell’esperienza psichica. Poiché i personaggi della fiaba sono solo figure, esecutori di azioni senza mondo interiore, nella fiaba deve mancare di conseguenza anche l’esperienza del tempo.[…] nella fiaba

8 Si veda V. PROPP, Morfologia della fiaba, Torino, Einaudi, 1966.

9 Cfr. J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, cit., p.4.

10 M. LÜTHI, La fiaba popolare europea. Forma e natura, Milano, Mursia, 1979, p. 21. 11

Ibidem, pp. 22-23. 12 Ibidem, p. 27. 13 Ibidem, p. 32.

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ogni mutamento di forma avviene di colpo, meccanicamente e non dà la sensazione di uno sviluppo, di un divenire, crescere e perire, di un decorso temporale, appunto. […] la fiaba rinuncia ad una struttura in profondità sia spaziale che temporale, sia spirituale che psichica;14

-stile astratto: manca la caratterizzazione dei personaggi, essi come i luoghi vengono menzionati attraverso formule stereotipate e ripetizioni ma non descritti; -isolamento e colleganze universali: i personaggi della fiaba, nella loro mancanza di curiosità nell’instaurare rapporti con gli esseri magici, sono isolati. Tra di loro non esistono rapporti permanenti. In questo modo, essi possono stringere o sciogliere rapporti in qualsiasi momento: “il personaggio della fiaba non ha un mondo interiore, non ha ambiente né rapporti col mondo passato o futuro, non è legato al tempo […] non sono fatti di carne e ossa, di una materia duttile, capace di adattarsi, in cerca di rapporti, bensì di qualcosa di compatto, rigido e isolante.”15 L’isolamento acquista significato proprio se il personaggio si dimostra capace di stringere rapporti universali;

-sublimazione e contenuti universali: i personaggi perdono le loro caratteristiche individuali diventando figure eteree. Nella fiaba si trovano motivi sociali (la ricerca dell’amore, il matrimonio, la perdita dei genitori, la discordia tra fratelli ecc.) che non si sono sviluppati in essa, “rispecchiano quindi i rapporti fra uomo e uomo o fra uomo e animale, comunque fra l’uomo e il mondo circostante e risalgono a situazioni profane.”16 Tuttavia, ad essi si affiancano motivi di natura magica, come l’incontro con qualche essere soprannaturale, e la fiaba non fa altro che conferire ad entrambi una forma e a sublimarli in motivi fiabeschi. Essa sublima qualsiasi elemento ma, allo stesso tempo, accoglie tutte le componenti principali dell’esistenza umana.

Questa tipologia di approcci è ovviamente utile e necessaria per analizzare la struttura testuale della fiaba ma, come ammette anche la studiosa Marie-Louise Tenèze, che si serve degli studi di Propp e Lüthi per studiare la fiaba popolare, se ammettiamo che tutte le fiabe hanno pressoché la stessa morfologia esse

14

Ibidem, pp. 32-34 15 Ibidem, p. 53. 16 Ibidem, p. 85.

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esprimerebbero anche gli stessi concetti e le stesse idee sulla condizione umana.17 Al contrario Zipes, riprendendo le idee di Fredric Jameson, ritiene che

the individual tale was indeed a symbolic act intended to transform a specific oral folk tale […] and designed to rearrange the motifs, characters, themes, functions and configurations in such a way that they would address the concerns of the educated and ruling classes of late feudal and early capitalist societies.18

In effetti, quasi tutta la critica che si è occupata della nascita della fiaba letteraria in Europa è d’accordo sul fatto che degli scrittori acculturati si siano volontariamente appropriati del racconto folcloristico orale e lo abbiano convertito in un discorso letterario sui valori, gli usi e i costumi in modo tale che si uniformassero al codice sociale del tempo. Gli scrittori di fiabe per bambini hanno “agito” ideologicamente presentando le loro idee riguardo le condizioni sociali e hanno “interagito” tra di loro e con gli scrittori di folclore del passato.19 Anche Laura Tosi insiste su questo punto

:

la fiaba letteraria non è infatti il prodotto anonimo di una comunità (sebbene, come si è visto, sia impossibile ignorare il contributo essenziale della tradizione orale), ma è fortemente storicizzata, ospitando nello spazio marginale, e dunque più “tollerante”, di un genere minore la rappresentazione autoriale di rapporti sociali e istituzioni di una determinata epoca.20

August Nitschke sostiene che, nella storia, ogni società può essere definita dal modo in cui le persone percepiscono il tempo. Per questo motivo, in ogni epoca le fiabe sono animate da nuovi significati e trasformate in reazione alle necessità e alle problematiche del periodo; la loro struttura deriva dal modo in cui il narratore

17 Cfr. J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, cit., p. 5.

18 J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, cit., p. 6.

19

Cfr. ibidem, p. 3.

20 L. TOSI, La fiaba letteraria inglese. Metamorfosi di un genere, Venezia, Marsilio Editori, 2007, p. 13.

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percepisce la possibilità di risoluzione delle problematiche e delle contraddizioni sociali. Anche le notissime fiabe popolari europee del periodo feudale erano segnate da una visione sociopolitica e facevano già parte di un contesto istituzionalizzato, prima di essere trasformate in fiabe letterarie per bambini delle classi più alte. Il mondo di queste fiabe era abitato da re, principesse, contadini, animali e, naturalmente, da esseri soprannaturali quali fate e giganti. I contesti in cui le storie prendevano vita conoscevano la violenza, la fame e lo sfruttamento, un mondo feudale da cui era praticamente impossibile fuggire o affrancarsi.21

Secondo Zipes, il tema centrale della fiaba popolare di questo periodo era “might makes right,”22 cioè, colui che ha il potere può esercitare il proprio volere. Anche Tenèze focalizza l’attenzione su quelle che ritiene le tematiche fondamentali della fiaba popolare, cioè il potere e l’oppressione; per questo motivo i fruitori, in gran parte appartenenti alle classi povere, si appassionarono al genere: essi vedevano nella fiaba una possibilità di realizzazione delle proprie aspirazioni in un mondo sì fantastico e irreale ma comunque migliore. In altre parole la fiaba incarnava un’utopia. Le crudeltà e gli abomini che accadevano nella società erano così insopportabili da esigere un’astrazione simbolica e nella magia delle fiabe si individuò un mezzo per opporsi all’oppressione e sognare una vita migliore. Nel diciassettesimo secolo, le fiabe venivano ascoltate da bambini appartenenti a ogni classe sociale, ma prima che esse diventassero fiabe letterarie, dovettero essere smussate e adattate per poter educare e divertire i bambini in accordo con i dettami dell’ancièn regime. Che piacesse o meno, l’etica e i valori di una società cristiana patriarcale dovevano innervare la fiaba letteraria dal momento che la Francia assolutista stava stabilendo degli ideali di civilité per il resto dell’Europa. Inoltre, nello stesso tempo, i bambini divennero oggetto di nuova attenzione, perciò anche l’intento pedagogico assunse particolare importanza.23

21 Cfr. J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, cit., p. 7.

22

J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

Process of Civilization, cit., p. 8.

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In questo clima, gli autori francesi cominciarono a scrivere, o, in molti casi, a riscrivere le fiabe, con l’obiettivo di educare le giovani menti secondo le norme e i modelli di comportamento vigenti: “this means that the individual symbolic act of writing the literary fairy tale expressed a certain level of social consciousness and conscience which were related to the standard mode of socialization at that time.”24 La fiaba letteraria quindi, iniziando a istituzionalizzarsi come genere, subì un processo di manipolazione e strumentalizzazione che è continuato nei secoli successivi e continua ancora oggi. La forma che ha assunto in ogni periodo storico è lo specchio dei cambiamenti e delle convinzioni propri di ogni epoca. È nella lettura della realtà, o spesso nella ribellione a essa, che risiede la profondità della fiaba letteraria, malgrado la sua apparente vocazione fantastica.

1.3 La rinascita della fairy tale inglese

Sebbene la Gran Bretagna fosse stata una terra fertile per il folclore durante il medioevo con i romanzi arturiani, i poemi cavallereschi e i cicli di ballate, essa non vide fiorire la fiaba letteraria fino alla metà del diciannovesimo secolo. La disattenzione ostentata nei confronti della fiaba in Inghilterra durante il diciassettesimo e il diciottesimo secolo fu in netto contrasto con il fiorente sviluppo continentale dove si instaurò una solida tradizione che giunse a esprimere la nuova sensibilità della middle class e dell’aristocrazia. In Francia, a partire dal XVII secolo, le fiabe di Perrault e delle scrittrici di corte furono destinate in un primo momento a un pubblico adulto che si interrogava su ideali di raffinatezza, di buone maniere e civilité; a inizio Ottocento, in Germania, la raccolta e la riscrittura di fiabe fu invece una risposta all’interesse filologico e linguistico per il passato e la tradizione popolare.

Il rafforzamento del codice puritano fu uno dei fattori che portarono alla soppressione della fiaba letteraria in Inghilterra dopo Chaucer, Spenser, Marlowe e Shakespeare. Secondo la morale puritana, un comportamento virtuoso associato

24 J. ZIPES, Fairy Tales and the Art of Subversion: The Classical Genre for Children and the

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a principi cristiani e alla precisa applicazione della ragione erano gli ingredienti necessari al raggiungimento del successo e della felicità terrena. L’egemonia del Calvinismo dopo la rivoluzione del 1688 portò alla messa al bando di certi tipi di intrattenimento, dalle arti alla letteratura, ed ebbe un ampio effetto sulla popolazione, che divenne più concentrata sulla condotta morale. L’immaginazione non era che una distrazione dai doveri quotidiani di un buon cristiano e, come sostenne lo stesso John Locke in Some Thoughts Concerning Education del 1693, i racconti fantastici e le fiabe non erano considerati adatti ai giovani in quanto veicolo di irrazionalità e superstizione;25 fu per questa serie di motivi che l’istituzionalizzazione della fiaba letteraria che avvenne in Francia e in Germania, in Inghilterra non si verificò.

Al contrario, dalla fine del diciassettesimo all’inizio del diciannovesimo secolo, in Inghilterra, i racconti per bambini erano principalmente di tema religioso, didattico o moraleggiante e le fiabe venivano pubblicate a patto che venissero trasformate in lezioni di zelo e rettitudine. La ricca tradizione inglese di fiabe popolari fu sepolta dai racconti moralistici di autrici razionaliste per l’infanzia come Sarah Trimmer, Mary Sherwood e Anna Barbauld, che furono definite, in una lettera di Charles Lamb a Coleridge, “the cursed Barbauld crew.”26 Secondo queste scrittrici, le fiabe erano veicoli di depravazione che mettevano i bambini contro le sacre istituzioni della società. Eppure, questo atteggiamento diffuso non aveva seppellito del tutto una parte così importante della cultura inglese che, oltre alla diffusione orale, per rimanere in vita, si affidò ai chapbooks, libriccini venduti da librai ambulanti contenenti rime, filastrocche e fiabe della tradizione inglese.

Tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, tuttavia, i primi veri alleati inglesi della fiaba furono i poeti romantici della prima generazione; essi innanzitutto valorizzarono l’immaginazione e l’infanzia come mondi d’innocenza e, allo stesso tempo, di prescienza. I romantici si posero in forte contrasto ai racconti moraleggianti che predominavano in quel periodo e favorirono le fiabe in

25

Cfr. L. TOSI, La fiaba letteraria inglese. Metamorfosi di un genere, cit., p.23.

26 C. LAMB, The Letters of Charles Lamb, with a Sketch of his Life, London, Edward Moxon, 1849, p. 144.

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quanto mezzi per liberare l’immaginazione innata nel bambino. Lo spirito romantico giocò un ruolo chiave nello sviluppo della fiaba perché il simbolismo dei racconti concedeva grande libertà creativa in contrasto con le visioni ristrette degli utilitaristi e della religione tradizionale.

A partire dal diciottesimo secolo, iniziarono a circolare le prime traduzioni e revisioni delle raccolte francesi di Madame D’Aulnoy e di Perrault, e poi, dal diciannovesimo secolo, anche quelle tedesche e scandinave, che furono fatte passare per opere dal gusto esotico. Nel 1823 John Harris pubblicò The Court of Oberon; or The Temple of Fairies, che conteneva fiabe di Perrault e D’Aulnoy, e The Arabian Nights; tuttavia l’impulso più importante che fu determinante per il recupero della tradizione fiabistica inglese fu dato dalle fiabe dei Grimm in German Popular Stories (1823), traduzione di Edgar Taylor di una selezione di Kinder- und Hausmärchen con le illustrazioni dell’artista George Cruikshank. Esse, a differenza delle fiabe francesi selezionate per il pubblico a corte, facevano parte di un genere rigorosamente didattico; queste fiabe fornivano un modello di comportamento che metteva in primo piano virtù borghesi come il risparmio, l’impegno, la prudenza, e attraverso l’esaltazione dell’ascesa sociale tipicamente maschile e il ribadire l’ambito femminile al focolare domestico, esse sancivano i ruoli della cultura dominante della middle class. Nella sua traduzione Taylor ebbe il pregio di saper rendere le peculiarità del racconto orale e, allo stesso tempo, di adattare questi testi al pubblico inglese, operando una trasformazione interculturale e omettendo i particolari più cruenti in modo da renderli più rassicuranti per i bambini.27 Taylor, nell’introduzione alla raccolta, prese inoltre una posizione netta nel dibattito socio-culturale sulle fiabe affermando che:

the popular tales of England have been too much neglected. They are nearly discarded from the libraries of childhood. Philosophy is made the companion of the nursery […] this is the age of reason, not of imagination; and the loveliest dreams of fairy innocence are considered as vain and frivolous.28

27

Cfr. L. TOSI, La fiaba letteraria inglese. Metamorfosi di un genere, cit., p. 29. 28 J. ZIPES (ed.), Victorian Fairy Tales: The Revolt of the Fairies and Elves, New York, Routledge, 1991, p. xvii.

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Così facendo, egli si schierò pubblicamente al fianco degli enemies of the Enlightenment.

La pubblicazione di German Popular Stories ebbe un impatto fortissimo sulla letteratura per l’infanzia e la favorevole accoglienza del pubblico convinse i fratelli Grimm a farne un’edizione ridotta per bambini nel 1825, che ebbe un successo molto più eclatante di quella del 1812, in realtà destinata a un pubblico adulto, e dette il via a una nuova ondata di traduzioni.29 Thomas Carlyle pubblicò German Romances in cui erano contenute traduzioni di fiabe di Tieck, Chamisso, Hoffmann e Musäus; i racconti tedeschi ebbero un impatto fondamentale sulla cultura inglese, tuttavia il punto di svolta si registrò nel 1846 con la pubblicazione delle Wonderful Stories for Children di Hans Christian Andersen nella traduzione di Mary Howitt. Le fiabe originali di Andersen fondevano fantasia e morale in linea con i principi cristiani così da legittimare il genere agli occhi del pubblico della middle class.30 Da questo momento in poi la fairy tale si diffuse in molte forme e modalità, sviluppando un impegno sociale che spaziava dallo sfruttamento sociale alla vita infantile, dalla politica al libero arbitrio. La classe media, che aveva sempre considerato questo genere frivolo e dannoso, lo accettò gradualmente; questo non significa che il pensiero puritano fosse cambiato, semplicemente, educatori, scrittori e genitori si resero conto che i rigidi insegnamenti finora impartiti ai bambini non facevano altro che ottundere la loro creatività, mentre essi avevano bisogno di opere più fantasiose per stimolare la mente e l’immaginazione così da diventare individui più produttivi nella sfera sociale e culturale.

La lettura della fairy tale divenne uno svago, un momento in cui i bambini potevano riposarsi dallo studio e ricreare la mente, tanto che l’uso dell’immaginazione divenne altrettanto importante della didattica. Nonostante si continuasse a scrivere molti libri tediosi e politicamente conservatori, altrettanti scrittori cominciarono a esplorare il potenziale della fairy tale come forma di comunicazione letteraria capace di trasmettere la protesta sociale e immagini

29 Cfr. L. TOSI, La fiaba letteraria inglese. Metamorfosi di un genere, cit., p. 28.

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alternative di mondi utopici. Andrew Lang, dal 1898 al 1910, ebbe il merito di raccogliere moltissime fiabe da tutto il mondo con la pubblicazione seriale di dodici libri sotto il nome di Fairy Books che contribuirono alla formazione di un canone transnazionale.31

Come si è visto, nonostante un graduale cambio di atteggiamento e un progressivo spostamento di attenzione verso i bambini abbia portato a un utilizzo più diffuso di opere di fantasia atte a educarli e divertirli, un ruolo indispensabile alla rivalutazione della fiaba popolare e, successivamente, all’istituzionalizzazione del genere in Gran Bretagna, fu svolto dalle traduzioni dei testi francesi e tedeschi, che spianarono la strada alla resurrezione della fiaba e all’immaginazione.

Le fiabe qui prese in esame, nella loro diversità, forniscono un ritratto ricco e variegato delle contraddizioni e delle problematicità che animarono l’età vittoriana. Esse rappresentarono il mezzo per dar voce alle incertezze e alle proteste rimaste inascoltate e anche per proporre visioni innovative sui rapporti sociali, l’arte, i ruoli sessuali e il potere. Le fiabe vittoriane nacquero da un impulso allo stesso tempo sociale ed estetico che le ha rese vive e interessanti ancora oggi perché propositrici di interrogativi tuttora irrisolti: “the ‘enemies of the Enlightenment’ are still very much with us, and though they are often packaged as commodities and made to appear harmless, they will continue to touch a utopian chord in every reader who remains open to their call for change.”32

31 Cfr. L. TOSI, La fiaba letteraria inglese. Metamorfosi di un genere, cit., p. 30. 32 J. ZIPES (ed.), Victorian Fairy Tales: The Revolt of the Fairies and Elves, cit., p. xxix.

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