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I CAPITOLO L’evoluzione della Politica estera e di sicurezza europea

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I CAPITOLO

L’evoluzione della Politica estera e di sicurezza

europea

Prima di entrare nel cuore dell’argomento e procedere ad una disamina approfondita degli strumenti, delle missioni e delle potenzialità europee, è opportuno fare un breve inquadramento storico e cronologico delle principali tappe, che hanno portato all’avvento di una politica estera e di difesa europea.

Il sogno di un’Europa unita, cioè il pensiero di un’integrazione politica tra i paesi europei, come via per il progresso economico e sociale, ma anche come strumento di pacificazione della regione, ha le sue radici prima del XX secolo. Da Jean-Jacques Rousseau, al “Projet pour rendre la paix perpetuelle en Europe” (1713) dell’abbé de Saint-Pierre, a “Per la pace perpetua” (1795) di Immanuel Kant, passando per eventi come il Congresso di Vienna (1815), il tentativo di dare vita ad un equilibrio europeo prende vita nelle menti di molti pensatori e politici. Quasi profetiche risultano le parole di Victor Hugo, che nel 1849 al Congresso sulla Pace a Parigi, così dichiarava: “Verrà un giorno in cui voi Francia, Russia, Italia, Inghilterra, Germania, tutte le nazioni del continente, senza perdere le vostre qualità distinte e le vostre gloriose individualità, vi unirete in modo stretto in un’unita superiore e formerete la fraternità europea, così come la Normandia, la Bretagna, la Borgogna, la Lorena, l’Alsazia, tutte le nostre province si sono unite nella Francia[…]”. Tuttavia, è solo con la drammatica esperienza di due guerre mondiali, che questo tentativo sembra concretizzarsi.

La fine delle ostilità rivelò la disperata situazione in cui versava non solo l’Europa, ma il mondo intero: la popolazione affamata, la produzione agricola dimezzata, le strutture industriali ed energetiche duramente colpite, e le vie di comunicazione danneggiate o distrutte, posero i governi di fronte alla responsabilità di restituire ai cittadini sopravvissuti condizioni di sussistenza materiale e economica dignitosa. All’indomani della seconda guerra mondiale, la sicurezza dei paesi europei si giocava su due fronti strettamente connessi tra loro: da un lato la necessità di una pronta ricostruzione economica che potesse alleviare le sofferenze della

popolazione; dall’altro, l’esigenza della difesa dall’Unione Sovietica,3 in quadro delle relazioni

3 M. Clementi, L’Europa nel mondo. La politica estera, di sicurezza e di difesa europea, Bologna, il Mulino

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10 internazionali, che vedeva oramai il delinearsi di un confronto tra due potenze politiche,

economiche e militari opposte.4 Mark Gilbert nel suo libro Storia politica dell’integrazione

europea individua cinque fattori, che hanno contribuito al compiersi dei primi passi

dell’integrazione europea.5 Il primo fattore era di carattere ideologico, e vedeva molti politici

del tempo impegnati nel perseguire l’unità europea, che diveniva un collante per i cattolici, socialisti, liberali e conservatori. Il secondo poneva al centro la ricostruzione economica, che era la base necessaria su cui poter riedificare. Il terzo fattore era legato al consenso americano all’integrazione: l’Europa non poteva ricostruirsi da sola e con le proprie risorse, così l’aiuto finanziario americano si rivelò indispensabile per una rapida ripresa dei paesi europei. Il quarto era la reintegrazione della Germania: il timore per una nuova minaccia tedesca era vivo nelle menti degli europei, però, agli occhi degli Stati Uniti lo stato tedesco rappresentava il suolo di confine con l’Unione Sovietica, ed andava rafforzato. L’ultimo fattore è stato la debolezza economica e l’ambivalenza politica della Gran Bretagna, che ritenendosi ancora una potenza mondiale, percepiva come insidia la cessione di sovranità.

La prima realizzazione della politica d’integrazione ebbe come base il modello funzionalista, l’unico che in quel momento poteva renderla possibile. Dal progetto di internazionalizzazione delle industrie francesi e tedesche del carbone e dell’acciaio ideato dal diplomatico Jean Monnet, il ministro degli esteri francese Robert Schuman dette nome ad una iniziativa per la

creazione di una Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) nel 1950.6

Questo piano rispondeva alla ragione per cui: “L’Europa non si potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino, innazitutto una

4 Per un maggiore approfondimento storico del processo di integrazione europeo si veda:

E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali: dal 1918 ai giorni nostri, Roma, Laterza, 2008. G. Mammarella, Storia d’Europa dal 1945 ad oggi, Bari, Laterza, 2006.

G. Mammarella, P. Cacace, Storia e politica dell’Unione Europea, Roma, Laterza, 2005. U. Morelli, Storia dell’integrazione europea, Milano, Guerini scientifica, 2011.

R. Rainero, Storia dell’integrazione europea, Milano, Marzorati, 1997-2001.

5 E. Di Nolfo, Dagli imperi militari agli imperi tecnologici: la politica internazionale nel XX secolo, Roma,

Laterza, 2003, pag. 213.

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solidarietà di fatto”7. Lo stesso Monnet dichiarava: “Le proposte di Schuman sono

rivoluzionarie o non sono nulla. Il principio fondamentale è quello di delegare la sovranità in un ambito ristretto, ma decisivo. Infatti, un piano che non si fondasse su questo principio non potrebbe contribuire utilmente alla soluzione dei grandi problemi sociali, poiché la cooperazione tra le nazioni, per quanto importante possa essere, non risolve nulla. Bisogna tendere alla fusione degli interessi dei popoli europei e non soltanto al loro equilibrio.”8 In effetti, quello del carbone e dell’acciaio era un settore fondamentale, che era stato fonte di

tensione e scontri tra Francia e Germania.9 La proposta era rivolta direttamente questi due

paesi, ma era aperta a tutte le nazioni europee che ne condividevano gli obiettivi.

Così, l’idea di unione dei popoli europei si sviluppò in un terreno molto concreto, non solo su una visione ideale e culturale, ma su una necessità politica, economica e strategica, in un pensiero più profondo, che faceva dire, citando ancora Jean Monnet: “Noi non coalizziamo

stati, ma uniamo uomini”(1952).10

Cap. 1.1

Dalla CPE all’ATTO UNICO EUROPEO

Restringendo la prospettiva, al tema oggetto di questa tesi, i paesi europei cercarono di trovare da subito una soluzione al problema della loro sicurezza militare, anche se, come abbiamo visto le risorse erano scarse alla fine della guerra. La Francia e la Gran Bretagna si unirono in un’alleanza difensiva, firmando il Trattato di Dunkerque nel marzo del 1947. Questo primo nucleo di difesa europea si estese un anno dopo, il 17 marzo 1948 ai paesi del Benelux, con la firma del Trattato di Bruxelles. Quest’ultimo prevedeva una reciproca collaborazione economica e sociale e una clausola di mutua difesa, rappresentando, così un primo tentativo di tradurre in disposizioni pratiche la volontà di una sicurezza europea indipendente dagli Stati Uniti.11

7 Dal discorso di Robert Schuman il 9 maggio 1950. 8 J. Monnet, Mémoires, Paris, Fayard, 1976, pag. 371. 9 E. Di Nolfo, Dagli Imperi militari…op. cit., pag. 233.

10 È con questa epigrafe che Jean Monnet inizia il suo “Mémoires.”

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12 Proprio gli Stati Uniti avevano a cuore la costruzione di un’architettura comune europea in materia di sicurezza, in particolare per “contenere” l’avanzata del comunismo, e iniziarono a essere sempre di più coinvolti negli affari del continente. Lo stesso Piano Marshall, varato nel 1947, era uno strumento, sia per rafforzare economicamente i paesi europei e diffondere il modello economico statunitense, sia in funzione anti-sovietica. La volontà americana di costruire un sistema difensivo si concretizzò ulteriormente con la firma del Patto Atlantico, il 4 aprile 1949, con il quale si stabiliva un compatto blocco occidentale, tra Stati Uniti ed Europa. Questo passo fu importante per il successivo ingresso nella difesa europea della Germania

Federale ed il suo conseguente riarmo.12 Lo scoppio della guerra di Corea (1950-1953), infatti,

pose gli europei di fronte alla constatazione di una loro debolezza tattica e militare, nonostante “l’ombrello startegico americano”. La restituzione alla parte della Germania sotto controllo occidentale, di quel tanto di sovranità e autonomia, che potessero integrarla nel sistema difensivo atlantico e la facessero contribuire alla costituzione di un esercito europeo, sembrò la soluzione più diretta e concreta. Però, la partecipazione militare tedesca provocava nei governi europei forti preoccupazioni. In particolare, la Francia aveva timore per il riarmo del vicino,

così da ricercare delle valide alternative al reintegro tedesco. Il Piano Pleven13 prevedeva

l’istituzione di un’autorità politica e militare europea; si trattava di nominare un ministro europeo della difesa, con il suo relativo staff, che fosse responsabile della pianificazione e dell’approvvigionamento militare nei confronti di un Consiglio dei ministri europeo e di un’Assemblea. La difesa sarebbe stata finanziata con un budget comune, mentre l’esercito europeo doveva derivare dall’integrazione di vari contingenti nazionali, guidati da un

Comandante supremo alleato in caso di conflitto.14 La proposta sollevò, in particolare per la sua

propensione sovranazionale, alcune perplessità; la successiva Conferenza di Parigi (1952) doveva portare alla definitiva approvazione di una Comunità europea di difesa (CED), ma alla

firma del trattato, non seguì la sua entrata in vigore dopo il veto francese (30 agosto 1954).15

Se da un lato, l’ambizione della CED vacillava, da un punto di vista economico il progetto Schuman di una Comunità europea del carbone e dell’accciaio (CECA, 18 aprile 1951), era

12 E. Di Nolfo, Dagli imperi militari…op. cit., pag. 229.

13 La formulazione di questo progetto europeo di difesa fu ad opera di Jean Monnet e del Primo ministro René

Pleven, nel 1950.

14 M.Clementi, L’Europa e il mondo… op. cit., pag. 29.

15 F. Mastronardi, Storia dell’integrazione europea. L’Europa alla ricerca della propria unità, Napoli, Edizioni

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stato adottato dai paesi del Benelux, Francia, Germania Federale e Italia.16 Anzi, l’integrazione

energetica ed economica vide un altro importante progresso nell’istituzione,17 con il Trattato di

Roma (25 marzo 1957), della Comunità Economica Europea (CEE) e della Comunità Europea

per l’energia atomica (EURATOM).18 La loro creazione sarà molto importante per il

rafforzamento dell’integrazione e darà un impulso notevole allo sviluppo e alla modernizzazione economica dei paesi europei. Tuttavia, la politica estera e di difesa rimaneva esclusa dalle materie che la CEE avrebbe dovuto regolare.

In sostituzione della CED, la questione della difesa europea fu rimessa in gioco, con l’allargamento del Trattato di Bruxelles e la creazione dell’Unione Europea Occidentale (UEO, 23 ottobre 1954), di cui entreranno a far parte Germania e Italia nel 1955. L’UEO, di natura intergovernativa, aveva diversi compiti: gestire il problema della Saar, tenere sotto controllo la produzione di armi convenzionali e nucleari dei suoi membri, facilitare la loro cooperazione

politica e socioculturale ed affiancare la NATO nella difesa del territorio europeo.19 Nonostante

la rilevanza, molti di questi obiettivi rimasero sulla carta. Ciò costituì, sia una perdita di valore per l’organizzazione, sia un’opportunità mancata per la comunità di incrementare la cooperazione sul piano politico. Certo è, che l’UEO ha rappresentato il risultato più concreto in materia di difesa, che i paesi europei siano riusciti a produrre fino alla fine degli anni Novanta.

All’inizio degli anni sessanta, si avviò un lungo dibattito per organizzare una più stretta collaborazione politica. Ci furono varie proposte nell’ambito del negoziato intergovernativo per

la Cooperazione Politica Europea (CPE)20, ma la strada era ancora lunga. Un ulteriore passo

venne concretizzato, con l’elaborazione dei due Piani Fouchet,21 con l’obiettivo di studiare una

cooperazione nel campo di politica estera e di difesa che si affiancasse alla struttura della CEE, ma se ne distanziasse per il carattere intergovernativo. Tuttavia, entrambe le proposte non

ebbero successo, soprattutto per il ruolo rilevante che avrebbe avuto la Francia.22 Così si

16 Il Trattato della CECA fu firmato a Parigi nel 1951, ed entrò in vigore nel luglio 1952. 17 E. Di Nolfo, Dagli imperi militari…op. cit., pag. 240.

18 I Trattati CEE e EURATOM entrarono in vigore nel 1958. 19 M.Clementi, L’Europa e il mondo…op.cit., pag. 72. 20 I piani Fouchet I e II tra il 1961-1962.

21 F. Mastronardi, Storia dell’integrazione…op. cit., pag. 82. 22 Ivi, pag. 83.

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14 dovette attendere il Vertice dei capi di Stato e di giverno dei sei paesi fondatori, tenutosi all’Aja nel 1969, per l’avvio di una collaborazione politica progressiva e crescente, senza però, la stipulazione di un trattato. Nel 1970, il compito di perseguire nel processo fu affidato al

diplomatico Etienne Davignon. Le tappe principali di questo sviluppo furono:23

− 1970: Rapporto di Lussemburgo. Un protocollo d’intesa, in cui i 6 paesi CEE si concordavano di incontrarsi regolarmente e discutere di questioni di politica estera.

− 1973: Secondo Rapporto di Copenaghen. Il numero delle riunioni fu incrementato e nasceva il Gruppo dei corrispondenti europei.

− 1975: istituzionalizzazione del Consiglio Europeo.

− 1981: Rapporto di Londra. Non fu così innovativo come prevedeva di esserlo il Rapporto

preparatorio24: si prendeva atto della procedura di consultazione, oramai consolidatasi, si

aumentava il supporto operativo del Presidente del Consiglio Europeo, con l’affiancamento del presidente uscente e successivo (c.d. Trojka) e s’istituì una procedura automatica per la consultazione in caso di crisi internazionale.

− 1983: “Dichiarazione solenne sull’Unione Europea” di Stoccarda. Successiva al Piano Genscher-Colombo, che ambiva a dare all’Europa un’effettiva politica estera attraverso l’adozione di azioni e posizioni comuni, un’intensificazione delle consultazioni in questo settore e una maggiore coerenza da parte delle istituzioni. Di fatto, riproponeva i risultati raggiunti nel Rapporto di Londra.

Riassumendo, in tutti questi anni la “CPE rimase un metodo di cooperazione largamente informale, basato su protocolli d’intesa e dichiarazioni d’intenti. I meccanismi di consultazioni

erano estremamente flessibili, e gli accordi presi su base consensuale.”25 La cooperazione

23 M. Lefebvre, La politique étrangère européenne, Paris, Puf, 2011, pagg. 18-19.

24 Rapporto Tindemans: il primo ministro belga Leo Tindemans fu invitato a preparare una relazione

sull’insieme dei problemi della Comunità, contenente suggerimenti e proposte per decisioni successive da prendere a un più alto livello.

Il suo Rapporto sostenne l’opportunità della graduale inclusione della politica estera, della difesa e della tutela dei diritti dell’uomo nella sfera di competenza dell’Unione europea. Al coordinamento delle politiche estere sarebbe dovuta succedere con il tempo una politica estera comune.

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15 politica, dal 1970 al 1986, si sviluppò al di fuori dei Trattati di Roma, che d’altronde non la prevedevano, mantenendo così i suoi caratteri intergovernativi.

Agli inizi degli anni ‘80 anche la congiuntura internazionale si era modificata: i rapporti Est/Ovest erano attraversati da tensioni contrapposte. L’invasione sovietica dell’Afghanistan, nel dicembre 1979, e le crisi degli euromissili avevano innalzato la tensione internazionale. Allo stesso effetto contribuì la presidenza americana di Ronald Reagan, che si fece interprete di

una politica estera più aggressiva.26 In questa situazione, sembrava molto importante poter

esprimere posizioni comuni che rendessero forte l’opinione degli europei sulla scena internazionale.

È in questa cornice, che si inserì la prima vera modifica delle istituzioni europee, ovvero la

firma nel 1986 dell’Atto Unico Europeo (AUE)27. Con questo, si operò l’inserimento formale

della CPE in un Trattato. (art. 30 AUE)

In base alle norme conenute nell’Atto Unico europeo, gli Stati membri si impegnarono “a

definire ed attuare in comune una politica estera europea”,28 “ad informarsi reciprocamente ed a

consultarsi in merito ad ogni problema di politica estera di interesse generale per assicurare che la loro influenza congiunta si eserciti nel modo più efficace attraverso la concertazione, la

convergenza delle loro posizioni e la realizzazione delle azioni comuni.”29

Al vertice vi era il Consiglio europeo, cui partecipava, oltre ai Capi di Stato e di Governo, anche il Presidente della Comunità, mentre vi assistevano i ministri degli Affari esteri ed il commissario incaricato delle Relazioni esterne. È molto importante sottolineare, che la Commissione europea era pienamente associata al processo decisionale. La presidenza della CPE era assunta dallo Stato che esercitava la presidenza di turno del Consiglio delle Comunità, esso era responsabile in materia di iniziativa, coordinamento e rappresentanza degli Stati

26 E. Di Nolfo, Dagli imperi militari…op. cit., pagg. 356-357.

27 L’Atto Unico Europeo fu firmato il 17 febbraio 1986 ed entrò in vigore l’1 luglio 1987. Il testo dell’AUE è

consultabile http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:1987:169:FULL:IT:PDF.

28 Comma 1, art. 30 del Titolo III, dell’Atto Unico europeo. 29 Comma 2, art. 30 del Titolo III, dell’Atto Unico europeo.

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16 membri. Furono previsti un Comitato politico e un gruppo di corrispondenti europei, così come

un Segretariato per la cooperazione politica europea.30

Se l’Atto unico europeo può essere considerato come il maggiore esito dell’integrazione europea nella guerra fredda, dobbiamo rilevare, “che le sue linee di fondo confermano la disgiunzione fra la ricerca della sicurezza economica e della sicurezza militare che aveva caratterizzato l’inizio del processo: esso mostrò che gli europei avevano fatto grandi progressi lungo la strada dell’integrazione economica, erano disponibili al coordinamento nelle questioni di politica estera, ma non in quelle militari. Nonostante i progressi raggiunti, l’AUE ha sancito, che non esisteva una politica estera e di sicurezza comune ma un coordinamento, per quanto

più formalizzata e raffinata, delle politiche individuali dei paesi membri.”31

Cap. 1.1.1

Dal Trattato di Maastricht a Nizza

La spinta a rivedere profondamente la Cooperazione politica europea nacque dalla crescente insoddisfazione intorno alle attività della CPE e al suo scarso contributo al crescente ruolo internazionale della Comunità. Proprio in questi anni avvennero cambiamenti mondiali importanti: il crollo dell’Unione Sovietica, la riunificazione della Germania, la crescita di nuovi paesi nell’arena internazionale, l’avanzata impetuosa della globalizzazione, l’emergere di altre aree di conflitto e di destabilizzazione. Di fronte a queste sfide, l’Europa doveva assumersi responsabilità dirette e in comune anche nei settori fino allora trascurati dalla politica estera e di sicurezza. « La plupart des observateurs s’accordent à dire que la construction européenne réside dans son union politique. Autrement dit, tant que l’Union européenne ne sera pas en mesure de conduire une politique étrangère et de sécurité commune lui permettant de peser sur les affaires du monde, et donc d’assumer sa puissance, l’Europe restera inachevée32 ».

Il Trattato di Maastricht33 sancì la nascita dell’Unione Europea basata su una struttura a tre pilastri:

1. Comunità Europea, riuniva le competenze delle tre comunità (CECA, CEE e EURATOM).

30 A. L. Valvo, Lineamenti di diritto dell’Unione europea. L’integrazione europea oltre Lisbona, Amon, 2011,

pag. 313.

31 M. Clementi, L’Europa e il mondo…op. cit., pagg. 60-61. 32 J. Kœchlin, L’Europe…op. cit., pag. 70.

33 Il Trattato di Maastricht è stato firmato il 7 febbraio 1992 ed è entrato in vigore il 1°novembre 1993. Il testo

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17 2. Politica estera e di sicurezza comune (PESC).

3. Cooperazione giustizia e affari interni.

Il Titolo V (TUE) regolamentava il meccanismo della Politica estera e di sicurezza comune, che sostituiva la CPE. In apertura erano indicati gli obiettivi della PESC: una prima serie riguardava la dimensione interna dell’Unione che, attraverso l’integrazione in politica estera e di sicurezza, si prefiggeva la salvaguardia dei valori comuni, degli interessi fondamentali,

dell’indipendenza e della sicurezza stessa dell’Unione.34 Una seconda serie riguarda l’azione

dell’Unione europea quale attore collettivo che si propone di mantenere la pace e di rafforzare la sicurezza internazionale, di promuovere la cooperazione internazionale, e di sviluppare e

consolidare la democrazia, lo stato di diritto e il rispetto dei diritti umani.35

Le principali innovazioni introdotte a Maastricht per quanto riguarda la PESC furono:36

1. Introduzione di azioni comuni che si adottano a maggioranza qualificata, anche se dopo tre votazioni all’unanimità.

2. Conferma della piena associazione della Commissione al processo decisionale e conferimento del diritto di iniziativa in materia.

3. Il segretariato della PESC è stato fuso con quello del Consiglio dei ministri.

4. Le spese amministrative vanno a gravare sul bilancio comunitario.

5. Viene ribadito il principio della coerenza fra politiche comunitarie ed estere.

Tuttavia, l’esperienza del post-Maastricht non fu del tutto positiva, alcuni limiti furono evidenti:37

1. Troppo breve tempo di sperimentazione dei nuovi meccanismi;

2. Alcune procedure non saranno mai attivate, quali il voto a maggioranza qualificata per le azioni comuni e il potere di iniziativa della Commissione;

34 F. Longo, La politica estera dell’Unione Europea tra interdipendenza e nazionalismo, Cacucci editore 1995,

pag. 78.

35 Ibidem.

36 G. Bonvicini, L’Unione europea attore…op. cit., pag. 22. 37 Ivi, pag. 23.

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18 3. Nascita di contrasti con il Parlamento europeo sulla classificazione delle spese in ambito

PESC;

4. Una profonda nostalgia da parte dei diplomatici dell’informalità della vecchia CPE;

5. Le divisioni sofferte dall’UE durante le guerre nella ex-Jugoslavia;

6. La scarsa credibilità della PESC nei paesi terzi, nella quale non trovavano un chiaro riferimento;

7. L’inefficacia delle azioni comuni e dei meccanismi decisionali.

La tappa successiva fu quella del Trattato di Amsterdam,38 in cui si ebbero dei progressi, anche

se non si riuscì a completare il perfezionamento della PESC. I maggiori punti, da sottolineare, sono:39

1. Procedura di voto: a livello di Consiglio Europeo erano prese decisioni all’unanimità sui Principi e le Strategie, con l’eccezione dell’astensione costruttiva; a livello di Consiglio dei ministri erano prese decisioni a maggioranza qualificata su posizioni e azioni comuni, con l’eccezione di un’opposizione da parte di uno Stato membro sulla base di interessi nazionali vitali.

2. Fu migliorata la capacità di pianificazione, nel caso di scoppio di una crisi, creando una Policy Planning and Early Warning Unit.

3. Fu creata la figura dell’Alto Rappresentante.

4. Nacque la nuova Trojka composta da Presidente di turno del Consiglio, un Rappresentante della Commissione e dall’Alto Rappresentante.

5. Tutte le spese operative e amministrative dell’ambito PESC ricadevano sul bilancio comune.

Il cammino di costruzione identitario dell’Europa procedeva altalenante, tra spinte più europeiste e quelle più nazionaliste. Ad influenzare molto il dibattito vi era anche la situazione nei Balcani e la più volte manifestata incapacità di risoluzione europea in questo conflitto.

38 Il Trattato di Amsterdam è stato firmato il 2 ottobre 1997 ed è entrato in vigore il 1° maggio 1999. Il testo del

Trattato è consultabile http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/dat/11997D/htm/11997D.html.

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Il passo successivo fu il Trattato di Nizza40, che vide l’adozione di alcune novità anche molto

importanti:

1. Le cooperazioni rafforzate furono finalmente introdotte nel secondo pilastro. Le loro

caratteristiche erano:41

a. Essere in linea con obiettivi, principi e orientamenti della PESC;

b. Rispettare le competenze del primo pilastro comunitario;

c. Basarsi sul principio di coerenza;

d. Riguardare solo le azioni e le posizioni comuni della PESC;

e. Non riguardare la cooperazione militare;

f. Necessità di richiesta da almeno otto stati membri;

g. Possibilità di opting out, in caso di interessi nazionali vitali.

2. Era prevista la possibilità di nominare rappresentanti speciali.

3. La presidenza poteva concludere accordi internazionali.

4. Era riconosciuto ufficialmente il Comitato politico e di sicurezza (COPS) presieduto dall’Alto Rappresentante.

Con l’accordo di Nizza si è concluso la seconda fase di sviluppo della Politica estera e di sicurezza europea, la prima, quella dalla CPE all’Atto Unico europeo, si era mossa nell’area di cooperazione intergovernativa e si era basata su semplici dichiarazioni. La seconda, dal Trattato di Maastricht in poi, ha reso più vicino al pilastro comunitario quest’ambito, adottando

progressivamente procedure tipiche del metodo sovranazionale.42

40 Il Trattato di Nizza fu firmato il 26 febbraio 2001 ed entrò in vigore il 1° febbraio 2003. Il testo del Trattato è

consultabile su http://eur-lex.europa.eu/it/treaties/dat/12001C/htm/12001C.html.

41 G. Bonvicini, L’Unione europea attore…op. cit., pagg. 24-25. 42 M. Clementi, L’Europa e il mondo…op. cit., pag. 118.

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Cap. 1.2

La Politica europea di Sicurezza e Difesa

Prima di procedere all’analisi approfondita delle novità del Trattato di Lisbona, ultimo grande momento innovatore dell’architettura europea, è opportuno delineare le tappe dell’evoluzione del settore della difesa negli ultimi anni, quale aspetto integrante della politica estera europea.

Negli anni antecedenti al Trattato di Maastricht, come è stato presentato all’inizio, la difesa europea si era “adagiata” sulla creazione dell’UEO, nata come abbiamo visto dopo il fallimento del progetto federalista della CED e con un’impostazione intergovernativa, dietro garanzia della NATO.

Tuttavia, sia che fosse considearata il “braccio armato” dell’Unione Europea o il “pilastro europeo”della NATO, l’UEO non arrivò ad acquisire un ruolo di rilievo sul piano internazionale, ed ebbe un evidente, quanto ridotta capacità operazionale. Così, ai fatti, la difesa europea fino agli anni ‘90 fu assicurata in modo inequivocabile dalla NATO.

Il tema della responsabilità dell’Unione Europea nel campo della difesa si ripropose con maggiore urgenza alla fine della guerra fredda, quando era avvertita dall’Europa la necessità di trovare un’identità strategica più definita e adottare un concetto di sicurezza nuovo, che le

permettesse una maggiore credibilità negli affari internazionali.43 Questo pensiero si articolava,

però, in diverse opinioni, tra chi voleva lo sviluppo autonomo di una dimensione militare europea e chi voleva confermare la tutela, sotto il quadro atlantico. Ora che l’Unione Sovietica era dissolta, quali motivi avevano europei e americani di mantenere in piedi l’apparato difensivo della NATO? Diverse erano le ragioni per continuare la relazione strategica: i forti legami commerciali, l’importanza politica del legame atlantico e il comune impegno nella

difesa dei valori, e la permanenza di sfide comuni in varie parti del mondo.44

Il Trattato di Maastricht, che aveva cambiato profondamente l’assetto istituzionale europeo, influenzò anche l’aspetto della difesa. La stessa UEO risentì del cambiamento e fu invitata ad attrezzarsi per affrontare situazioni di crisi.

Gli elementi che costituivano l’UEO erano:45

43 G. Dattilo, Politica estera e sicurezza comune nell’Unione europea, Torino, Giappichelli editore, pag. 73. 44 M. Clementi, L’Europa e il mondo…op. cit., pag. 121.

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21 • La cellula di pianificazione.

• L’Agenzia di interpretazione dei dati provenienti dai satelliti.

• La cooperazione con la NATO in materia di logistica, di trasporti, di formazione e di sorveglianza strategica.

• Gli incontri dei Capi di stato maggiore.

• Le unità militari.

L’UEO indicò in una riunione, che si tenne nel giugno 1992 a Petersberg, quali missioni avrebbe potuto compiere per conto dell’UE: missioni umanitarie e di soccorso, missioni di

mantenimento della pace e missioni di unità di combattimento nella gestione delle crisi.46

L’obiettivo era di rendere più stretto il rapporto tra UE e UEO, facendo di quest’ultima una

sorta di “braccio armato” dell’Unione Europea.47

Il successivo Trattato di Amsterdam, che abbiamo visto, diede un volto e una definizione più precisi alla politica estera, fissò in maniera ancora più forte i punti di relazione tra le due organizzazioni. Così, i compiti Petersberg furono fatti propri anche dall’Unione Europea e

inglobati all’art. 17 del Trattato.48

La persistente inefficienza militare nei Balcani e le modeste dimostrazioni dall’UEO produssero un cambiamento di vedute nel processo di costituzione della difesa europea; con la Dichiarazione bilaterale di Saint-Malò, Jacques Chirac e Tony Blair si espressero per un’Europa della difesa non più a partire dall’UEO, ma direttamente dall’Unione stessa. Si affermava l’importanza per l’Unione di avere le capacità di intraprendere azioni autonome, supportate da forze militari credibili e da strumenti adeguati, ricordando, però, la preminenza dell’Allenza Atlantica (dotandosi di un sistema compatibile a quello della NATO). Era questo il prezzo da pagare per allentare la stretta strategica degli Stati Uniti e sviluppare un’Europa della

difesa in complementarietà e non in opposizione all’Alleanza atlantica.49

46 I cosiddetti “Compiti di Petersberg”.

47 G. Dattilo, La politica estera…op. cit., pag. 142. 48 Art. 17 del Trattato di Amsterdam.

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22 Al Consiglio Europeo di Colonia, nel 1999, nacque la Politica europea di sicurezza e difesa (PESD), furono creati il Comitato Politico e di Sicurezza (COPS) di ausilio all’Alto Rappresentante al Consiglio, il Comitato Militare (European Union Military-EUMC) composto dai Capi di Stato Maggiore e lo Stato Maggiore dell’UE (European Union Military Staff-EUMS), subordinato al Comitato Militare. Al successivo incontro a Helsinki (1999), si stabilì il c.d. Headline Goal 2003 con lo scopo di creare una Forza Intervento Rapida. A Feira (2000), in Portogallo, furono precisati i compiti della missioni civili dell’UE, tra questi ci sono: i compiti di polizia civile (per assicurare l’ordine interno a paesi privi di strutture politiche funzionanti), di assistenza amministrativa e giuridica (per restaurare lo stato di diritto), di ricerca, salvataggio, monitoraggio e rispetto dei diritti umani, di osservazione elettorale (per tutelare la

difficile ripresa della competizione politica democratica)50.

Nel Trattato di Nizza (2001), tutti questi passaggi furono formalizzati, mezzi e capacità dell’UEO vennero integrati nell’UE.

Dopo Nizza, sinteticamente, i passi significativi della PESD furono:

• Accordo Berlin Plus (2003),51 attraverso il quale, la NATO mise a disposizione

dell’UE le sue capacità di pianificazione strategica e di comando. Tutto, si è basato su tre principi: capacità autonoma dell’UE di gestire le crisi, possibilità realizzabile, solo qualora la NATO non fosse già impegnata nella missione in questione, e tenendo presente che le Forze europee sono separabili, ma non separate dalle strutture e dai comandi della NATO. Nel momento in cui, l’UE si fosse avvalsa di strumenti e capacità della NATO, il Comandante delle operazioni europee sarebbe divenuto il Deputy Saceur.52

• Il Consiglio Europeo di Bruxelles (2003), che adottò la “Strategia di Sicurezza

europea”,53 documento con cui si riconoscevano le minacce (terrorismo internazionale,

proliferazione delle armi di distruzione di massa, instabilità regionale, failed states,

50 M. Clementi, L’Europa e il mondo…op. cit., pag. 49.

51 J. Howorth, From Security to Defence: the Evolution of the CFSP, in C. Hill, M. Smith, International

Relations and the European Union, Oxford, Oxford University Press, pag. 185.

52F. Di Camillo, V. Miranda, L’Unione Europea e la politica di sicurezza e di difesa: elementi, documento IAI

2012/4, pag. 57.

53 Il testo della Strategia di Sicurezza europea “Un’Europa sicura in un mondo migliore” è consultabile

(15)

23 criminalità organizzata) e gli obiettivi comuni per fronteggiare le nuove sfide, portare stabilità e sicurezza nei Paesi vicini, (multilateralismo efficace, cooperazione con i partners esterni).

• Nel maggio 2004 fu approvato il nuovo Headline Goal militare 2010 e sempre nello

stesso anno fu adottato il Civilian Headline Goal 2008,54 e nel 2007, un altro Civilian

Headline Goal 2010.55 Proprio questa volontà di sviluppo di capacità civili nella gestione delle crisi, che si è completata ulteriormente con l’adozione di strumenti per la prevenzione dei conflitti e la ricostruzione post-conflitto, rende l’idea della volontà di assicurare una politica di sicurezza, orientata ai diversi aspetti e momenti di una crisi.

• Ancora nel 2004 si procedeva alla formazione di battlegroups, composti di circa 1.500 uomini, pronti per intervanti rapidi e brevi e si creava l’Agenzia Europea di Difesa.

• Dicembre 2008, veniva approvato un documento di valutazione sull’attuazione della Strategia di sicurezza europea, denominato “Report on the implemention of the European Security Strategy-Providing Security in a changing world”.56

Certamente, molti passi sono stati compiuti nell’affermazione di una politica di difesa europea: dal fallimento della CED, che nasceva in un contesto storico molto diverso caratterizzato dalla minaccia sovietica, dall’esigenza di garanzia di sicurezza dei paesi europei e dalla necessità di un riarmamento controllato della Germania occidentale, all’ avvento della PESD, che oggi risponde, ad una presa di consapevolezza che la sicurezza dell’Europa dipende dalla stabilizzazione della periferia europea e dalla gestione delle crisi nei paesi vicini. Per fronteggiare la complessità delle sfide attuali: “L’Unione europea ha bisogno di passare da una

54 Il testo del Civilian Headline Goal 2008 è consultabile

http://register.consilium.eu.int/pdf/en/04/st15/st15863.en04.pdf.

55 Il testo del Civilian Headline Goal 2010 è consultabile

http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cmsUpload/Civilian_Headline_Goal_2010.pdf.

56 Il testo di “Report on the implementation of the European Security Strategy-Providing in a changing world” è

(16)

24 strategia di difesa tradizionale, ad un approccio più articolato e globale per la propria politica di

sicurezza.”57

Cap. 1.2.1

Le capacità militari europee di gestione delle crisi

Osservando più attentamente l’aspetto delle capacità militari, dalla ricordata Dichiarazione di Saint-Malo, il Consiglio europeo di Helsinki nel dicembre 1999 lanciò il primo Helsinki Headline Goal per il 2003, ossia l’obiettivo per lo sviluppo di capacità militari europee comuni. Questo prevedeva la creazione di una Forza di reazione rapida da rendere operativa con i

diversi contributi nazionali.58 Questa forza, composta da 60.000 effettivi, doveva essere

mobilitabile su chiamata e doveva schierarsi in due mesi. Nel novembre 2000, fu elaborato un Piano d’azione europeo sulle capacità per colmare le insufficienze di mezzi e capacità attraverso procedure coordinate tra gli Stati membri. Successivamente, nel 2001 al Consiglio europeo di Laeken, la PESD fu dichiarata operativa.

Nel giugno 2004, al Consiglio europeo di Bruxelles, l’UE propose un nuovo Headline goal

militare per il 2010.59 Al centro degli sforzi europei, vi erano tre elementi qualitativi:

interoperabilità, schierabilità e sostenibilità. I due obiettivi sostanziali erano il miglior utilizzo delle risorse disponibili attraverso la condivisione delle capacità militari degli Stati membri e il

rafforzamento delle Forze di reazione rapida con l’affiancamento dei battlegroups.60 I

battlegroups sono gruppi tattici costituiti da circa 1500 uomini dispiegabili entro 10 giorni dalla decisione politica e sostenibili fino a 120 giorni. Sono supportati da diversi elementi logistici e ciascun gruppo può essere formato da una nazione-quadro o da una coalizione multinazionale di Stati membri. Il loro compito è di “condurre missioni ad altà intensità in ambiente ostile e in

57 L. Risso, Similar, yet so different: why the European Defence Community was not a forerunner of the ESDP,

in A. Deighton, G. Bossuat, L’Union européenne, acteur de la securité mondiale, Paris, Editions Soleb, 2007, pagg. 265-266.

58 E. Greco e altri, EU crisis management institutions and capabilities in the making, Roma, Quaderni IAI

2010/19, pag. 13.

59 C. Major, C. Moelling, Le capacità militari dell’UE-alcune forze, ma non ancora un esercito europeo, in E.

Greco e altri, L’Unione europea e la gestione delle crisi. Istituzioni e capacità, Roma, Quaderni IAI 2010/27, pag. 9.

60 N. Pirozzi, L’Unione Europea e la gestione delle crisi, in G. Bonvicini, L’Unione Europea attore…op. cit.,

(17)

25 teatri lontani, prima di essere raggiunti o sostituiti da un’operazione più ampia, sia essa europea

o delle Nazioni unite.”61

Cap. 1.2.2

Le capacità civili europee di gestione delle crisi

Con lo scopo di trovare un approccio onnicomprensivo in tema di gestione delle crisi, ma anche per sviluppare capacità nella prevenzione delle crisi e nella ricostruzione post-conflitto, a Santa Maria de Feira nel giugno 2000 i Capo di Stato e di governo ritennero fondamentale aggiungere alle capacità militari, anche quelle civili. Isabelle Ioannides ha affermato che: “La gestione civile delle crisi si colloca al centro del dibattito UE sull’approccio alla sicurezza globale basato sulla cosiddetta “sicurezza umana” e rappresenta un importante passo in avanti verso

una definizione comune, all’interno dell’Unione, della governance democratica.”62

Nel dicembre 2004 anche per l’ambito civile, fu approvato un Civilian Headline Goal 2008, con il quale furono identificati degli impegni precisi da poter assumere, attraverso una prassi definita e un’analisi basata sui bisogni reali, in modo da poter valutare il tipo di missione

necessaria.63

Nel Civilian Headline Goal 2008 fu definito il nuovo concetto di Civilian Response Team (CRT). Si tratta di una squadra di reazione rapida nell’ambito del civilian crisis management, composto da esperti degli Stati membri. Questo dispiegamento ha contribuito al miglioramento, non solo in termini di capacità di risposta, ma anche di coerenza d’azione con altri attori. Esso, infatti, fu ideato con il fine di colmare il gap esistente tra lo scoppio della crisi e il dispiegamento di una missione più ampia.

I suoi obiettivi erano, così, definiti:64

• Valutare le situazioni di crisi e contribuire alla definizione di un Crisis Management Concept, prima che fosse adottato tramite una decisione del Consiglio;

61 Ibidem.

62 I. Ioannides, Le capacità civili dell’UE e la cooperazione con il settore militare, in E. Greco e altri, L’Unione

europea e …op. cit., pag. 24.

63 N. Pirozzi, L’Unione Europea …op. cit., pag. 119.

64 A. Nowak, Civilian crisis management within ESDP, in C. Gourlay e altri, Civilian crisis management: the

(18)

26 • Stabilire una rapida presenza operativa, successivamente all’adozione di una decisione

da parte del Consiglio e supportare il dispiegamento della missione civile;

• Fornire un rafforzamento dei meccanismi dell’Unione Europea già esistenti, per il crisis management, secondo necessità.

La decisione iniziale per il dispiegamento di un CRT può essere assunta dal COPS, dall’Alto Rappresentante oppure dal Consiglio, prima che questo adotti la decisione per il dispiegamento di una missione civile. Esso può essere dispiegato in cinque giorni, per una durata che non può eccedere i tre mesi.

Un nuovo Civilian Headline Goal 2010 venne adottato nel 2007, con lo scopo di migliorare la qualità dell’azione dell’Unione con un perfezionamento delle procedure operative e delle dinamiche di addestramento, l’incremento delle disponibilità e il miglioramento delle sinergie

tra civili e militari.65 In questo contesto è stata creata una Civilian Planning and Conduct

Capability (CPCC), con il compito di seguire operativamente il lancio e lo svolgimento delle missioni civili.66

In base agli obiettivi contenuti nei due Civilian Headline Goals, ad oggi, gli Stati membri sono

in grado di mettere a disposizione per missioni civili le seguenti forze:67

• Polizia: 5761 ufficiali di polizia, 1400 dei quali capaci di essere stanziati in meno di 30 giorni;

• Rafforzamento dello Stato di diritto: 631 funzionari esperti in diversi settori;

• Amministrazione civile: gruppo di esperti del settore, composto da 565 unità;

• Protezione civile: 579 esperti, attivabili 24 ore su 24, all’interno di squadre di valutazione e coordinamento; 4445 uomini schierabili rapidamente in squadre di intervento da massimo 200 unità;

65 I. Ioannides, Le capacità civili…op. cit., pag. 30. 66 Ibidem.

(19)

27 • Monitoraggio: 505 esperti in grado di monitorare situazioni di prevenzione e soluzione

di conflitti, di gestione delle crisi e di peace-building.

Cap. 1.2.3

Le principali strutture europee per la gestione delle crisi

Ricordando il carattere intergovernativo, le linee guida della politica di difesa sono state affidate al Consiglio europeo, e le principali strutture per la gestione delle crisi sono state poste nel Consiglio dell’Unione e, in particolare, nel Consiglio Affari esteri. Quest’ultimo è composto dai ministri degli Affari Esteri dei paesi membri e l’Alto Rappresentante.

La gestione delle crisi è affidata ad una serie di gruppi di lavoro e istituzioni intergovernativi competenti nei settori PESC/PESD, tra cui troviamo:

Il Comitato dei Rappresentanti Permanenti (COREPER) è costituito dagli ambasciatori degli Stati membri presso l’UE, ed è responsabile della preparazione dei lavori del Consiglio. Ha un ruolo cruciale nel sistema decisionale dell’Unione con funzioni di organo di dialogo, di

controllo e di orientamento dei lavori.68

Il Comitato politico e di sicurezza (COPS) è composto da un Rappresentante permanente per ciascun Stato membro e un membro della Commissione, ha il compito di controllare la situazione internazionale nei settori PESC, di verificare l’attuazione delle politiche concordate (con eccezione delle competenze dell’AR) e di contribuire a definire le politiche formulando

pareri al Consiglio.69 Il COPS “è l’organo da cui promana tutto, a livello di guidance politica e

strategica.”70

Il Comitato militare dell’UE (EUMC) è il massimo organo militare ed è composto dai Capi di Stato maggiore della difesa degli Stati membri. Offre consulenza e raccomandazioni al COPS

sugli aspetti militari e monitora le operazioni militari e le scelte strategiche.71

Il Comitato per gli aspetti civili delle crisi (CIVCOM) opera come un gruppo di lavoro del Consiglio ed ha una pluralità di funzioni: contribuire allo sviluppo dei concetti e degli strumenti civili, pianificare e supervisionare i progressi delle missioni civili, preparando le possibili exit

68 N. Pirozzi, L’Unione Europea…op. cit., pagg. 120-121. 69 Ibidem.

70 Intervista al dr. Mariomassimo Santoro, Gestione civile delle crisi (CIVCOM) presso la Rappresentanza

Permanente dell’Italia, Bruxelles, 16 agosto 2013.

(20)

28 strategies insieme con la Commissione.72 Il CIVCOM è la sede del negoziato tra i 28 paesi, per

quanto riguarda tutte le decisioni relative alle missioni.73

Il Gruppo di Consiglieri per le relazioni esterne (RELEX) è formato dai consiglieri per le relazioni esterne delle Rappresentanze permanenti e si occupa degli aspetti orizzontali di

PESC/PESD sia istituzionali, finanziari e giuridici.74

Il Crisis management and planning directorate (CMPD) coordina gli aspetti civili e militari di

pianificazione e gestione delle missioni.75

Il Civilian planning and conduct capability (CPCC) è stato istituito nel 2007, ed è l’equivalente civile dello Stato maggiore dell’Unione, esso garantisce assistenza e supporto al CIVCOM

nella pianificazione operativa ed attuazione delle operazioni civili.76 È il Quartier Generale

operativo delle missioni civili.

La Cellula civile-militare (CCM) è stata isitituita nel 2006 con l’obiettivo di assistere alla pianificazione strategica delle missioni di carattere sia civile, sia militare che civil-militare. La cellula fornisce rinforzi ai cinque quartier generali disponibili per la conduzione di missioni autonome, genera le capacità per condurle e pianificarle, assiste al coordinamento delle missioni civili.77

Un Situation Center (SITCEN) è attivo 24 ore al giorno per sette giorni sotto il controllo dell’Alto Rappresentante, opera per fornire capacità di intelligence, analisi e allerta rapida. Monitora le situazioni internazionali e produce rapporti su questioni geografiche, politiche e

tematiche di interesse per l’UE.78

Con il Trattato di Lisbona sono accresciuti i ruoli del Parlamento Europeo e della Commissione Europea, ovvero gli organi sovranazionali.

72 N. Pirozzi, Unione Europea e …op cit., pagg. 120-121.

73 Intervista al Gen. Luigi Bruno, Planning and Methodology presso SEAE, 11 settembre 2013. 74 N. Pirozzi, Unione europea e…op. cit., pag. 122.

75 G. Grevi, Esperienze apprese ed efficacia delle missioni civili PESD, in N. Pirozzi (a cura di), L’Italia nelle

missioni civili dell’UE. Criticità e Prospettive, Roma, Quaderni IAI 2010/35, pagg. 19-20.

76 Ivi, pag. 20. 77 Ibidem.

(21)

29 Per quanto riguarda il primo, il suo ruolo diviene importante per le funzioni di controllo sul bilancio PESC ma il Parlamento sarà anche consultato regolarmente dall’Alto Rappresentante sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali nella politica di difesa. Lui stesso può rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al Consiglio e all’AR e dibattere sui progressi compiuti in ambito PESC/PESD due volte l’anno.

La Commissione è coinvolta attivamente nella gestione delle crisi, in modo particolare, per quel che riguarda l’amministrazione di risorse finanziarie come i vari Strumenti di Stabilità (CARDS, IPA…). È responsabile di numerose missioni di osservazione elettorale e può proporre congiuntamente all’AR il ricorso agli strumenti dell’Unione per l’avvio di una

missione.79

Cap. 1.2.4

Le fasi di avvio di una missione dell’UE

All’emergere di una situazione di crisi l’UE può valutare se intervenire con una missione civile, militare o civil-militare. Quindi c’è una prima fase di valutazione politica, se ricorrere o no ad

una missione PSDC, condotta dal COPS.80

Su invito del COPS, il CMPD elabora un Concetto di gestione della crisi (CMC), in cui sono descritti gli interessi dell’Unione, gli obiettivi della missione, le opzioni strategiche e una possibile exit-strategy. Il COPS, consultandosi per gli aspetti civili con il CIVCOM e per quelli militari con l’EUMC, esamina il CMC e contribuisce con opinioni di natura strategica.

Successivamente, il concetto è presentato in sede COREPER, che lo discute e lo trasmette al Consiglio dell’Unione.

Se il Consiglio adotta il concetto, il COPS incarica il Comitato militare di definire in maniera operativa le operazioni militari e il CIVCOM, coadiuvato dal CPCC, di delineare quelle civili e di polizia.

Il COPS trasmette, successivamente, le opzioni al COREPER e al Consiglio, quest’ultimo adotta la decisione formale di agire attraverso un’Azione comune, che costituisce la base giuridica della missione e contiene tutte le informazioni circa le operazioni, il comando, la durata…

79 Ivi, pag. 30-32.

(22)

30 Il Consiglio designa il Comandante dell’operazione, nel caso di missione militare, o il Capo missione, nel caso di missioni civili. In seguito, vengono elaborati il Concetto di operazione (CONOPS) e il Piano operativo (OPLAN) dal Comitato militare coadiuvato dal Comandante prescelto nel caso di missioni civili, e dalla CPCC e dal CIVCOM per quelle civili.

È importante sottolineare, la valutazione in teatro operata dalla CPCC, al fine di esaminare meglio tutti gli aspetti, sia del CONOPS che dell’OPLAN. Il dr. Santoro ha ben evidenziato questo aspetto per una reale stima delle necessità sul campo: “il CONOPS definisce l’ordine di grandezza, manca questo, bisogna fare questo, l’OPLAN definisce i dettagli e precisa gli aspetti tecnici.”81

Sia il CONOPS che l’OPLAN, sono riesaminati dal CIVCOM, approvati dal COPS ed, infine, giungono al COREPER e al Consiglio per l’approvazione finale.

Il COPS esercita il controllo e la direzione strategica per tutto il periodo della missione sotto l’autorità del Consiglio e dell’Alto Rappresentante. Allo stesso COPS fanno regolarmente rapporto il Rappresentante speciale per l’UE dell’area dove è dispiegata la missione, il

Comandante e il Capo missione.82

Cap. 1.3

Il Trattato di Lisbona

Dopo l’episodio doloroso e le incertezze istituzionali legate ai due “no” francese e olandese del

2005 al Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, il Trattato di Lisbona83 ha

confermato la maggiorparte delle disposizioni, relative alla diplomazia europea discusse dai costituenti.84

In questo contesto, potremmo dire che le differenti dimensioni dell’azione internazionale dell’Unione Europea possono essere concettualizzate come tre cerchi concentrici: la PESD

81 Intervista al dr. Mariomassimo Santoro, Bruxelles, 16 agosto 2013. 82 N. Pirozzi, Unione europea e…op. cit., pag. 125.

83 Il Trattato di Lisbona si compone di due parti: il Trattato sull’Unione europea e il Trattato sul Funzionamento

dell’Unione europea, consultabili nella versione consolidata

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2012:326:FULL:IT:PDF.

(23)

31 rappresenta il nodo centrale, la PESC il secondo cerchio e l’azione esterna UE, in senso ampio, rappresenta il terzo. Vale a dire, più ci si avvicina al centro, più si arriva al cuore della strategia

politica dell’Europa.85

Il Trattato di Lisbona è stato firmato nel dicembre 2007, ed è entrato in vigore il 1°dicembre 2009, ripropone quasi tutte le rilevanti novità, introdotte dal Trattato Costituzionale per un deciso progresso nei settori PESC e PESD. È molto importante sottolineare, che il testo semplifica la struttura dell’Unione: invece dei tre pilastri, l’Unione succede alla Comunità economica recependone tutto l’acquis comunitario. La costruzione europea si basa adesso sul Trattato dell’Unione europea (TUE) che include il Trattato di Maastricht e il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che invece comprende i Trattati di Roma. Il

Trattato di Lisbona persegue tre obiettivi fondamentali:86

• Rendere la struttura istituzionale più efficiente e flessibile per affrontare le sfide derivanti dall’ampiamento del numero degli stati membri;

• Rafforzare la democrazia europea per accrescere la legittimità dell’Unione tra i suoi cittadini;

• Accrescere l’azione europea a livello internazionale soprattutto attraverso una PESC più coerente e visibile.

L’esigenza di garantire una maggiore unitarietà alla presenza e alla proiezione internazionale dell’Unione europea emerge proprio dall’approccio più ampio e inclusivo in materia, presente nel Trattato. L’azione esterna dell’Unione, infatti, comprende la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), la Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) come sua parte integrante, ma anche le aree della cooperazione allo sviluppo, dell’aiuto umanitario, della politica commerciale, dell’allargamento e della politica di vicinato.

Le disposizioni generali sull’azione esterna dell’Ue e disposizioni specifiche per la PESC sono contenute nel Titolo V del TUE e nella parte V del TFUE.

I principali capisaldi del nuovo TUE in materia di politica estera e di difesa sono:

85 Ibidem.

86 M. Comelli, N. Pirozzi, La politica estera dell’Unione Europea dopo Lisbona, Roma, Osservatorio di Politica

(24)

32 • Art. 3, comma 5: l’Unione afferma e promuove nel mondo i propri valori e interessi e

contribuisce alla protezione dei propri cittadini.

• All’art. 21 del Titolo V si definiscono i principi fondamentali cui risponde l’azione esterna: la democrazia, ruolo della legge, universalità e rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale. Al comma 3 è importante rilevare l’affermazione del principio di coerenza tra i vari settori dell’azione esterna e tra questi e le altre politiche; ed inoltre l’attribuzione della realizzazione di questo prinicipio al Consiglio dell’Unione Europea e alla Commissione europea assistiti dall’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza.

• Art. 47 afferma che l’Unione ha “personalità giuridica” e quindi acquista la capacità di stipulare accordi internazionali vincolanti per sé per i suoi stati membri.

• Art. 27, comma 3 viene istituito un Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE) che prefigura un servizio diplomatico a sostegno dell’UE.

Importanti innovazioni riguardano gli organi che guidano la PESC, infatti: viene rafforzato il ruolo dell’Alto Rappresentante e istituito il Presidente del Consiglio Europeo. Il primo ha il compito di coordinare la politica estera e di difesa comune, di rappresentare l’Unione per le materie competenti, condurre in nome dell’Unione il dialogo politico con i terzi ed esprimere la

posizione dell’Unione nelle organizzazioni e conferenze internazionali.87 La sua procedura di

nomina è abbastanza semplice: un voto a maggioranza nel Consiglio Europeo (con l’accordo del Presidente della Commissione), e la successiva approvazione da parte del Parlamento Europeo. Oltre al ruolo di guida, l’Alto Rappresentante presiede il Consiglio Affari Esteri ed è anche uno dei vicepresidenti della Commissione, incaricato delle responsabilità nel settore delle relazioni esterne. La varietà di funzioni risalta il carattere ibrido di questa figura. L’Alto

rappresentante può essere dimesso solo dal Consiglio Europeo.88

Il Presidente del Consiglio Europeo è eletto a maggioranza qualificata per due anni e mezzo rinnovabili, presiede e anima i lavori, assicura la preparazione e la continuità dei lavori in

87 F. Di Camillo, V. Miranda, L’Unione europea…op. cit., pag. 26. 88 M. Comelli, N. Pirozzi, La politica estera…op. cit., pag. 5-6.

(25)

33 cooperazione con il Presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio Affari Generali, si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo, presenta al Parlamento Europeo una relazione dopo ciascuna riunione del Consiglio Europeo, ma soprattutto assicura la rappresentanza esterna dell’Unione per le materie relative la politica

estera, salvo le attribuzioni dell’Alto Rappresentante (art.15.6 TUE.)89

Nonostante gli evidenti passi compiuti rimangono dei nodi da sciogliere e dei punti da chiarire

nel Trattato di Lisbona, questi le principali questioni non ancora definite:90

1. Prevalenza in questo settore delle Istituzioni di carattere intergovernativo (Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione Europea), rispetto a quelle di carattere sovranazionale

(Parlamento Europeo, Commissione Europea e Corte di Giustizia)91 per la sua

definizione, mentre la sua attuazione è affidata in prima istanza all’Alto Rappresentante e agli Stati membri.

2. Ricorso all’unanimità come regola generale, per l’adozione di decisioni del Consiglio dell’Unione Europea e del Consiglio Europeo.

3. L’esclusione di adozione di atti legislativi.

4. La divisione del lavoro, tra Alto Rappresentante e Presidente del Consiglio Europeo, sottolinea la mancanza di identificazione di un volto unico per la proiezione esterna dell’Unione.

Cap. 1.3.1

Uno sguardo più attento alla PSDC

Il Trattato di Lisbona ha rinominato la Politica europea di sicurezza e difesa, in Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC).

89 Ibidem.

90Ivi, pag. 4.

91 Il Trattato di Lisbona ha confermato la disposizione che esclude una competenza di principio della Corte di giustizia nelle questioni afferenti la PESC (Articolo 24 TUE). Tuttavia, esso prevede due eccezioni in cui la Corte può esercitare un controllo giurisdizionale: (1) il controllo della legittimità delle misure restrittive adottate dall'Unione nei confronti di persone fisiche o giuridiche (Articolo 275 TFUE); (2) il controllo previsto relativo al rispetto delle attribuzioni delle istituzioni europee relativamente all'attuazione della PESC (Articolo 40 TUE). Inoltre, è possibile richiedere un parere

della Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo internazionale con i Trattati istitutivi dell'UE (art. 218 TFUE).

(26)

34 L’obiettivo della PSDC è rimasto quello di dotare l’Unione di capacità civili e militari per la prevenzione dei conflitti e la gestione delle crisi, contribuendo, così, al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite (articolo 42 TUE). Per facilitare il raggiungimento di questi obiettivi, il Trattato ha introdotto una serie di norme che dovrebbero facilitare la cooperazione tra gli Stati Membri e tra questi e le

istituzioni europee nel settore della sicurezza e della difesa.92

Una prima novità riguarda i compiti di Petersberg. Oltre alle missioni previste sono state aggiunte: le azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni di assistenza e di consulenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti, le operazioni di stabilizzazione al

termine dei conflitti (art. 43 TUE).93

Analizzando la gamma di compiti, tenendo presente l’attenzione maggiore verso le minacce provenienti da Stati deboli e attori non statuali, e la crescente predisposizione ad azioni di diverso tipo (dalla prevenzione dei conflitti al disarmo e al reintegro di ex combattenti), è possibile delineare un approccio comprensivo in materia di sicurezza.

Un’altra novità riguarda la possibilità di cooperazioni rafforzate94 anche nel settore militare

finora escluso e in particolare quella di una “cooperazione strutturata permanente” (art. 42.6) fra Stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militari, senza la necessità di un numero minimo di partecipanti. Per quanto riguarda la procedura per istituire una cooperazione strutturata permanente, così come l’autorizzazione o la sospensione della

partecipazione di uno Stato, viene presa dal Consiglio con voto a maggioranza qualificata.95 Gli

obiettivi principali per attuare un tipo di cooperazione di questo tipo sono: di procedere più

92 M. Comelli, N. Pirozzi, La politica estera…op. cit., pag. 15. 93 Ivi, pag. 16.

94 Le cooperazioni rafforzate sono una possibile procedura tra paesi membri che vogliono stringere una

collaborazione più approfondita in un settore politico interessato, salvo che non sia di competenza esclusiva dell’Unione.

Sono state introdotte nel Trattato di Amsterdam, il Trattato di Lisbona fissa una soglia minima di partecipazione di nove stati membri.

La procedura per attuare una cooperazione rafforzata (escluso quelle nella politica estera e di sicurezza comune) inizia con l’invio della richiesta alla Commissione, che presenta la proposta al Consiglio. Previa approvazione del Parlamento, il Consiglio può autorizzare l’instaurazione di una cooperazione rafforzata. Uno stato membro che desideri partecipare a una cooperazione rafforzata in corso deve presentarne domanda alla Commissione e al Consiglio. La Commissione decide in primo luogo di autorizzare o meno lo Stato membro. In caso di rifiuto reiterato della Commissione, lo Stato membro può rivolgersi al Consiglio affinchè si pronunci sulla domanda.

(27)

35 intensamente allo sviluppo delle capacità di difesa, di preparare e di assicurare la partecipazione ai c.d. Battlegroups o ai gruppi tattici.

Il Trattato di Lisbona prevede anche due principi: una “clausola di mutua difesa collettiva” (art. 42.7 NTUE) secondo la quale, qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata sul proprio territorio gli altri membri sono tenuti a prestargli assistenza con tutti i mezzi in loro

possesso,96 e una “clausola di solidarietà” (art. 222 TFUE), per cui, l’Unione e gli Stati membri

agiscono congiuntamente qualora uno di questi ultimi sia oggetto di un attacco terroristico o di

una calamità naturale o creata dall’uomo.97

Nel Trattato si specifica che l’adempimento dell’obbligo di soccorso in caso di aggressione armata non può pregiudicare né il carattere peculiare di alcuni Stati in materia di sicurezza, in riferimento agli Stati neutrali, né la conformità degli impegni e della cooperazione in ambito NATO, che resta il fondamento della difesa collettiva.

Infine, l’art. 42 del TUE prevede l’istituzione di un’Agenzia nel settore dello sviluppo delle capacità di difesa, della ricerca, dell’acquisizione degli armamenti, la cosiddetta Agenzia europea per la difesa (AED). Sebbene l’AED rientri tra le innovazioni del Trattato di Lisbona, la sua istituzione come è stato detto sopra, risale al luglio del 2004. Vi partecipano tutti gli Stati membri dell’Unione europea, ad eccezione della Danimarca. L’AED, che ha sede a Bruxelles, è posta sotto l’autorità e il controllo politico del Consiglio dell’UE, con a capo l’Alto Rappresentante. L’organo decisionale dell’AED è il Comitato direttivo, che è composto da un Rappresentante di ciascuno degli Stati Membri partecipanti e da un Rappresentante della

Commissione.98 Gli obiettivi principali perseguiti dall’AED sono:99

• Fissare obiettivi comuni agli Stati Membri per la capacità militare;

• Attuare programmi e garantirne la gestione per il raggiungimento degli obiettivi prefissati;

• Armonizzare le esigenze operative degli Stati Membri e migliorare i metodi di acquisizione delle capacità militari;

• Gestire le attività di ricerca nel campo della difesa;

96 Ivi, pag. 354.

97 M. Comelli, N. Pirozzi, L’Unione europea…op. cit., pag. 18. 98 N. Pirozzi, Unione europea e…op. cit., pag. 131.

(28)

36 • Rafforzare la base industriale e tecnologica della difesa e migliorare l’efficacia delle

spese militari.

Il Trattato di Lisbona affida all’AED anche una serie di nuovi compiti collegati all’istituzione della cooperazione strutturata permanente, soprattutto in termini di sviluppo dei programmi di cooperazione nell’ambito delle capacità militari, monitoraggio dei progressi compiuti e dei contributi assicurati dagli Stati partecipanti, e coordinamento tra Stati partecipanti e non partecipanti.

Tuttavia, l’efficace attuazione del mandato dell’Agenzia, come previsto dai legislatori europei, dipenderà in ultima analisi dal livello di impegno – sia finanziario che politico – che gli Stati

Membri saranno disposti ad investire nel suo funzionamento.100

Con l’attuazione delle riforme prevista dal Trattato la politica estera e di sicurezza ha inevitabilmente compiuto dei passi importanti verso una maggiore integrazione ed efficacia. Tuttavia, se quella che viene definita coerenza orizzontale, relativa ai rapporti tra le varie articolazioni interne dell’UE, si è rafforzata, la coerenza verticale, relativa ai rapporti tra l’Ue e gli Stati membri, ha visto invece un processo di ri-nazionalizzazione, soprattutto per la forte

impronta intergovernativa.101

Anna Lucia Valvo conclude chiaramente: “I problemi e i fenomeni prodotti da un mondo sempre più irreversibilmente globalizzato, rendono ancor più inevitabile la strada dell’integrazione, e l’approfondimento del processo di integrazione non può prescindere da una

graduale ma effettiva comunitarizzazione della politica estera e di difesa europea.”102

100 C. Major, C. Moelling, Le capacità militari…op. cit., pag. 17-18. 101 M. Comelli, N. Pirozzi, La politica estera…op. cit., pag. 21-22. 102 A. L. Valvo, Lineamenti di…op. cit., pag. 356.

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