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Academic year: 2021

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VI Conclusioni

VI.1 Discussione dei risultati

Nel presente progetto di dottorato di ricerca sono state studiate tre cave dismesse ubicate nel territorio della Regione Toscana e aperte in affioramenti ofiolitici appartenenti a tre contesti tettonici differenti dell’Appennino Settentrionale. Nelle aree di studio è stata impostata un’indagine multi-scala per determinate la presenza, la natura, la distribuzione nello spazio e la quantità di minerali fibrosi eventualmente contenuti nelle rocce.

Le indagini di terreno hanno permesso di identificare e localizzare i litotipi presenti in ciascun sito, di individuare alla mesoscala le mineralizzazioni aventi morfologia fibrosa e definire la giacitura di entrambi gli elementi. Nelle aree di studio le serpentiniti sono il litotipo dominante, ma in due casi su tre, sono presenti altri litotipi (gabbri, rodingiti e cataclasiti) a cui sono associate mineralizzazioni fibrose di interesse ambientale. Pertanto è stato effettuato un campionamento ragionato in base alla varietà dei litotipi, alla tipologia di vene, mineralizzazioni e discontinuità, in modo da caratterizzare tutti gli elementi rappresentativi delle aree esaminate.

I campioni prelevati sono stati sottoposti ad indagini petrografiche mineralogiche. L’osservazione delle sezioni sottili dei campioni delle rocce ha permesso, non solo di studiare la microstruttura e la composizione, ma anche di determinare la presenza di fasi fibrose. Infatti, non in tutti i litotipi presenti nelle cave studiate, sono presenti fasi minerali caratterizzate da morfologia fibrosa.

Le indagini di laboratorio effettuate sono state molteplici. L’impostazione di tali indagini è stata modificata durante l’avanzamento dei lavori; infatti, sulla base dei risultati parziali, sono state selezionate quelle tecniche maggiormente immediate, di facile accesso per gli operatori del settore. Tali indagini hanno permesso di identificare i minerali aventi morfologia fibrosa e quindi di localizzarne la fonte nei siti di studio.

Le tre cave esaminate versano in differenti condizioni di conservazione e presentano differenze in merito alla tipologia e alla giacitura dei minerali fibrosi.

Nella cava di Pomaia sono stati individuati serpentiniti, gabbri e cataclasiti. Allo scopo di determinare la presenza e la natura di minerali fibrosi, sono state usate diverse tecniche

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analitiche (microscopia ottica, XRD, SEM-EDS, spettroscopia micro-Raman). Sono stati identificati: crisotilo, minerale considerato amianto, e antigorite e sepiolite, minerali non normati, ma ugualmente pericolosi per la salute. Il crisotilo è presente nelle serpentiniti in vene di spessore da sub-millimetrico a centimetrico e nelle cataclasiti, sia nei clasti di serpentinite che, diffusamente, nella matrice; l’antigorite è presente in vene nelle serpentiniti in prossimità delle zone di taglio; la sepiolite nelle cataclasiti e al contatto tra le serpentiniti massive e le fasce cataclastiche.

Nella cava di Sasso Cinturino i litotipi identificati sono: serpentiniti e rodingiti. Le serpentiniti sono estremamente tettonizzate e presentano differenti tipologie di vene, sia di carattere fibroso che massivo, i cui rapporti reciproci sono rilevabili anche alla scala dell’affioramento. I minerali fibrosi identificati, tramite analisi di laboratorio (XRD e SEM-EDS), sono crisotilo e actinolite-tremolite, entrambi considerati amianto. Il crisotilo è presente nelle serpentiniti in vene di spessore variabile da sub-millimetrico a millimetriche, mentre la tremolite-actinolite è presente in vene, che si sovraimpongono a quelle di serpentino, di dimensioni centimetriche.

Nella cava di Monte Fico sono presenti quasi esclusivamente serpentiniti fratturate, caratterizzate dalla presenza di vene e spalmature costituite da fasi minerali attribuibili al serpentino. Dalle analisi in diffrattometria a raggi X la maggior parte delle vene sono risultate essere composte da crisotilo, minerale classificato amianto. Tali vene sono maggiormente frequenti a ridosso delle zone di taglio.

Identificate le fasi fibrose, limitatamente alle serpentiniti, è stata circoscritta la loro localizzazione tramite l’analisi di immagine. Per la cava di Pomaia è stato possibile impostare quest’analisi a più scale. Mentre negli altri siti, a causa delle condizioni degli affioramenti non è stato possibile effettuare l’analisi d’immagine alla mesoscala. La localizzazione degli elementi potenzialmente fonte di fibre minerali è stata circoscritta con l’ausilio dell’analisi d’immagine alla microscala, ovvero effettuata su scansioni di sezioni sottili.

Nella tabella seguente sono schematizzati le caratteristiche dei siti presi in esame e i risultati della caratterizzazione.

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158 CASO DI STUDIO 1 (Pomaia) CASO DI STUDIO 2 (Sasso Cinturino) CASO DI STUDIO 3 (Monte Fico) CONTESTO

GEOLOGICO Unità Liguri Interne Unità Liguri Esterne

Posizione tettonica incerta (Schistes Lustrés) LITOTIPI • Serpentiniti • Gabbri • Cataclasiti • Serpentiniti • Rodingiti • Serpentiniti

AMIANTO • Crisotilo • Crisotilo

• Tremolite-Actinolite • Crisotilo MINERALI

ASBESTIFORMI (NON-AMIANTO)

• Antigorite

• Sepiolite Non rilevati Non rilevati

% FASI FONTE DI

FIBRE • 20% - 56% 43% - 64% 22% - 64%

Tab. VI.1: Confronto tra i casi di studio

Dai risultati della caratterizzazione dei tre affioramenti ofiolitici, appartenenti a diversi contesti tettonici, si evince come questi siti, che la normativa in vigore considererebbe omogenei rispetto al litotipo dominante, presentano associazioni litologiche differenti, a loro volta contenenti minerali fibrosi di diversa natura e con diverse giaciture. È possibile quindi ipotizzare una relazione tra il contesto geologico-strutturale e le caratteristiche delle mineralizzazioni fibrose; tale ipotesi va verificata a scala regionale e con ulteriori analisi di terreno e di laboratorio. Sono stati rilevati sia minerali fibrosi classificati amianto, che minerali fibrosi non regolamentati, aspetto importante, perché evidenzia i limiti della definizione legislativa di amianto.

I risultati della quantificazione degli elementi che, in base alle analisi mineralogiche, sono risultati sede di minerali fibrosi, sono paragonabili in tutti i siti di studio; le percentuali risultano variabili dal 20% al 64% e, pertanto, elevate nei valori massimi. Le elevate percentuali di materiale potenzialmente fonte di fibre dimostrano come la normativa necessiti di regolamentare una procedura di studio preliminare alle valutazioni che prevede.

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159 VI.2 Considerazioni conclusive

L’obiettivo finale del presente lavoro, come già esposto nei capitoli precedenti, è quello di delineare una procedura di indagine che permetta un’adeguata caratterizzazione geologica di siti in cui sono presenti affioramenti di rocce che possono contenere minerali fibrosi, dannosi per la salute. Tale procedura nasce dall’evidente inadeguatezza della normativa in vigore e dall’esigenza di conoscere approfonditamente gli ambienti che possono costituire un rischio, in seguito a perturbazioni di carattere ambientale o antropico, in presenza di recettori sensibili.

La procedura impostata nel presente lavoro, finalizzata all’identificazione e alla quantificazione preliminare dei minerali fibrosi in ammassi rocciosi, si può sintetizzare come di seguito:

 lavoro di terreno:

- individuazione dei litotipi,

- individuazione delle fasi fibrose alla mesoscala, - misurazione della giacitura degli elementi presenti,

- campionamento rappresentativo;

 caratterizzazione mineralogica e petrografica: - studio delle sezioni sottili dei campioni di roccia,

- analisi mineralogiche integrate per l’identificazione delle fasi fibrose;  quantificazione delle fasi potenzialmente fonti di fibre:

- analisi di immagine a più scale.

Fondamentali, per effettuare una corretta caratterizzazione dei siti oggetto di studio, sono:

• un campionamento rappresentativo dei litotipi presenti nel sito di studio,

• l’analisi dell’affioramento a differenti scale,

• l’identificazione dei minerali fibrosi,

• l’opportuna integrazione e selezione delle metodologie di analisi utilizzate ai fini di una corretta stima del materiale in grado di rilasciare fibre.

L’integrazione dei dati ottenuti ha permesso di determinare la quantità di materiale potenzialmente in grado di rilasciare fibre minerali tramite l’analisi d’immagine. Ma il metodo utilizzato presenta dei limiti legati sia al fatto che la quantificazione è frutto di una valutazione in due dimensioni, che alla difficile riproducibilità. Infatti non sempre è

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possibile disporre di siti che presentano esposizioni di roccia su cui si può operare un’analisi di immagine. I risultati della quantificazione risultano comunque validi per una caratterizzazione preliminare degli ammassi rocciosi, ma hanno significato se validati da analisi mineralogiche.

Un altro limite è costituito dall’accessibilità, sia economica che tecnica, di strumenti di indagine per gli operatori del settore. Pertanto la tecnica maggiormente utilizzata per le analisi mineralogiche è stata la diffrattometria a raggi X; tale tecnica risulta tra le più utilizzate e accessibili e, permette un’identificazione efficace e relativamente economica delle fasi minerali che presentano criticità dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente e la salute.

L’approccio metodologico utilizzato è risultato idoneo a caratterizzare il contenuto in amianto di un ammasso roccioso. Il confronto con la normativa mette in evidenza come questa sia carente e necessiti di dotarsi di una procedura maggiormente dettagliata, soprattutto ai fini di un corretto campionamento finalizzato alla valutazione dell’effettivo contenuto in amianto di una roccia (indice di rilascio). Se la normativa, nel disporre i criteri per le indagini di terreno, considera le rocce oggetto di studio dei corpi omogenei, il presente lavoro dimostra come sia importante identificare e localizzare tutti gli elementi di variabilità, soprattutto per eseguire un adeguato campionamento.

Da ciò si può dedurre come l’unico testo normativo presente nel nostro paese che si occupa, anche se limitatamente all’ambito di attività estrattive, della gestione di ambienti caratterizzati da rocce contenenti amianto, sia inadeguato alla valutazione del rischio associato alla mobilitazione di fibre asbestiformi provenienti da sorgenti naturali. Come già evidenziato nel presente lavoro, valutare adeguatamente il contenuto di minerali fibrosi e la quantità degli stessi in grado di essere potenzialmente immessa nell’ambiente, non può esimersi dall’effettuare uno studio preliminare e di dettaglio che si occupi della geologia di un sito a rischio. La normativa italiana e, nello specifico, il già citato D.M. 14 Maggio 1996, manca di una procedura efficiente che definisca una tale tipologia di studio. L’approccio metodologico delineato in questo lavoro intende essere un contributo per migliorare la regolamentazione nella gestione di siti in cui sono presenti rocce contenenti minerali pericolosi per la salute, in quanto non andrebbero regolamentati solo i siti interessati da attività di carattere estrattivo, ma anche tutti quei siti interessati da attività

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di natura infrastrutturale o interventi di ripristino e protezione ambientale di zone degradate (cave, affioramenti, ecc.) in cui sono presenti rocce contenenti minerali fibrosi. Caratterizzare preliminarmente dal punto di vista geologico aree che presentano affioramenti di roccia contenente minerali fibrosi, come per le ofioliti, è molto utile per la loro gestione, in presenza o meno di perturbazioni di origine antropica, ed è un importante ausilio, non solo per una valutazione della pericolosità di ambienti in cui sono presenti minerali dannosi per la salute, ma anche per un’oculata pianificazione dell’uso del territorio.

Figura

Tab. VI.1: Confronto tra i casi di studio

Riferimenti

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