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TESI DI LAUREA UNIVERSITA PER STRANIERI DI PERUGIA LA POLIZIA DI PROSSIMITA CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE. n.

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UNIVERSITA’ PER STRANIERI DI PERUGIA

CORSO DI LAUREA IN COMUNICAZIONE INTERNAZIONALE

n. matricola 36574

TESI DI LAUREA

LA POLIZIA DI PROSSIMITA’

Presentata da Elia Lombardo Relatore prof. Angelo Moneta

_______________________ ________________________

Correlatore prof.

________________________

Anno Accademico 2006/2007

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INDICE

Introduzione……….……….pag. 3 Capitolo 1

Sicurezza: Percezione Sociale

 I.1 La percezione di sicurezza del cittadino………pag. 7

 I.2 La percezione di sicurezza nel quartiere………pag.17 Capitolo 2

La politica di sicurezza in Italia

 II.1 Stato attuale della politica di sicurezza in Italia...………....pag.24

 II.2 Il comparto sicurezza………..………...………...pag.35 Capitolo 3

La Polizia di prossimità

 III.1 Principi fondamentali………..………pag.37

 III.2 Che cosa è la polizia di prossimità.……..………...pag.44

 III.3 Come realizzare una polizia di prossimità…………...………...pag.49 Capitolo 4

Modelli operativi di polizia di prossimità

 IV.1 Il Poliziotto di Quartiere………...pag.57

 IV.2 Il Poliziotto di Quartiere in Italia………pag.64

 IV.3 Il Poliziotto di Quartiere a Napoli esperienza diretta………….pag.67

 IV.3 Un caso di polizia di prossimità a Napoli………...pag.70

 III.4 Raccolta google news parola chiave “Poliziotto di Quartiere”...pag.73 Conclusioni……….pag.00 Bibliografia……….pag.00

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INTRODUZIONE

“L’officio delle polizie non ha ragione di essere che ad una sola condizione. Che cioè sia tenuto da persone colte, patriottiche, prudenti, le quali facciano sentire in mezzo ai dissidi sociali il beneficio dell’opera loro”.1

“La polizia di Prossimità è un contenitore di iniziative tutte improntate ad una nuova metodologia operativa, orientata verso le esigenze di sicurezza del cittadino”.2

A distanza di 131 anni di vita e di storia civile, il Questore Eugenio Forni ed il Capo della Polizia Prefetto Antonio De Gennaro nonostante lo stato sociale e così i fenomeni criminali fossero ben diversi nelle due epoche, parlavano rispettivamente di un unico fine e di un unico obiettivo, garantire sicurezza al cittadino mediante l’impiego di risorse tra la gente, tra le maglie delle classi sociali, andando incontro alle esigenze di sicurezza dei cittadini.

Nel corso delle due epoche, sono cambiati i metodi operativi ed oggi le istituzioni sono impegnate in quella che definiremo svolta “epocale” in cui Stato ed istituzioni impiegano due metodi per garantire al cittadino sicurezza, attraverso la riduzione della delittuosità prevenendola e sviluppando nuove iniziative volte a ridurre la percezione sociale di insicurezza.

Prevenzione, senso di insicurezza, sicurezza partecipata, video sorveglianza, sono solo alcuni dei nuovi termini o concetti in uso alle nuove polizie europee e cioè nuovi criteri di analisi e nuove strategie operative volte a garantire al cittadino un innovativo prodotto in termini di sicurezza – La Polizia di Prossimità -.

1Discorso del Questore Eugenio Forni agli Allievi Guardie di P.S. 1872 Archivio di Gabinetto Questura Napoli

2 Discorso del Capo della Polizia Prefetto Antonio De Gennaro agli Allievi Agenti 2002 Nuova Polizia N12 Anno 2002

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Nel presente lavoro verrà illustrato questo nuovo concetto di "prossimità"

connesso alle attività svolte dalle forze di polizia, un nuovo modo di pensare ed interpretare il ruolo del poliziotto al servizio della collettività, pronto a prevedere ed anticipare le concrete esigenze di sicurezza e legalità.

Sicurezza e legalità sono tra i temi che maggiormente preoccupano le genti ed i governi di tutto il mondo, questioni antiche ma sempre nuove, che negli ultimi anni sono diventate centrali nelle agende politiche, negli spazi dei mass media e nelle istanze dei cittadini.

Oggi occorre che la gente comprenda che il continuo richiamo alla cultura della legalità non costituisce un luogo comune, non è una moda passeggera, ma sottolinea una condizione irrinunciabile per favorire la crescita della società nei suoi valori più sani e costruttivi.

L'impegno delle istituzioni da una parte, la forza della società che vive e lavora onestamente, dall'altra; due momenti che devono ora più che mai coniugarsi, muovere insieme, saldarsi negli intenti e nell'azione.

L'obiettivo comune deve essere quello di rendere più vivibili i nostri quartieri, non certo militarizzandoli, ma contribuendo ognuno per la sua parte a migliorare la qualità della vita, in una rinnovata voglia di stare insieme, di vincere l'indifferenza in cui si annida e si alimenta l'illegalità.

E' una svolta culturale, questa la cui responsabilità deve essere attribuita a tutte le amministrazioni, centrali, regionali, locali, che hanno il dovere di promuovere ogni legittima forma di aggregazione economica sociale.

Nel "villaggio globale" la sicurezza diventa, quindi assolutamente trasversale alle reciproche forme di interazione sociale e produttiva che costituiscono il tessuto connettivo delle società avanzate.

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In tale ottica, fondamentale importanza deve essere annessa alle forme di dialogo e di scambio con la collettività propria della filosofia della "prossimità", che consentono di avvicinare la gente a chi "produce" sicurezza.

Si alimenta e si rende, così costruttivo un filo diretto di straordinaria valenza per il raggiungimento della pacifica convivenza; si avvia e si fortifica un fondamentale dialogo sui temi riguardanti la sicurezza e la legalità.

L'impegno di tutti deve essere quello di riequilibrare, abbassandone contestualmente gli indicatori, la relazione tra sicurezza reale e sicurezza percepita, ovvero tra il grado di aggregazione criminale ed il senso di insicurezza individuale e collettivo nella vita quotidiana.

Nel lavoro verranno trattati argomenti e fatte disamine attraverso le quali verrà confermata la necessità che la polizia di prossimità sia un grande contenitore di tutte le iniziative che "avvicinando" le istituzioni della sicurezza al cittadino ed alle sue esigenze, costituiscono strumento di garanzia della libera fruibilità dei diritti fondamentali che caratterizzano uno stato democratico.

Polizia di prossimità intesa quindi come filosofia di intervento finalizzata ad alimentare e rafforzare un proficuo rapporto di fiducia e collaborazione reciproca tra cittadini e forze di polizia, in grado di ridurre il livello di delittuosità e di aumentare il senso di sicurezza.

Tra queste iniziative verrà citata quella del nuovo modello operativo Poliziotto e Carabiniere di Quartiere, che più di ogni altra caratterizza questo nuovo modo di intendere l'attività di polizia al servizio del cittadino.

Una nuova figura che caratterizzata dalla continuità di azione e dall'esclusività di assegnazione operando sempre nella medesima area territoriale, entra così stabilmente nella vita quotidiana della comunità locale per conoscerne le dinamiche e bisogni e per farsene interprete, operando quindi come "sensori" della

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vita del quartiere e diventando nel tempo punti di riferimento per il cittadino, interlocutori privilegiati di quelle figure istituzionali e non, in grado di contribuire nell'ambito della propria responsabilità e competenza alla "produzione" di sicurezza.

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CAPITOLO 1

SICUREZZA: PERCEZIONE SOCIALE I.1 La percezione di sicurezza del cittadino

Fino al 1997 l'unica fonte esistente di conoscenza della numerosità dei reati e sull’impatto sociale della criminalità, era costituita dalle denunce fatte dai cittadini alla Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza riportate dal Ministero degli interni, poi rielaborate dall'Istat, servizio delle Statistiche giudiziarie.

Nel 2002 l'Istituto nazionale di statistica ha condotto la seconda indagine sulla Sicurezza dei Cittadini volta a raggiungere i seguenti quattro obiettivi:

1) La raccolta dei dati inerenti il sommerso della criminalità:

L'indagine raccoglie informazioni su un definito numero di reati.

In particolare sono stati presi in considerazione:

 i reati per i quali si possono individuare dei parametri oggettivi di rilevazione; ad esempio, è stato escluso il reato di truffa, dal momento che il percepirsi come vittima non necessariamente comporta l'esserlo stato effettivamente;

 i reati che avevano come vittime prevalentemente gli individui e le famiglie;

 i reati adatti ad essere rilevati nel contesto di un'indagine orientata a rilevare gli individui in qualità di vittime dei reati - quindi non l'usura, che in qualche modo può essere vissuta dalla persona con un coinvolgimento negativo di colpa. Per questi motivi l'attenzione è stata puntata sui seguenti reati: scippo, borseggio, furto di oggetti personali senza contatto, rapina,

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aggressione, furto in abitazione, ingresso abusivo, furto di veicoli, furto di parti e di oggetti posti all'interno dei veicoli, atti di vandalismo, molestie e violenze sessuali, ricatti sessuali sul posto di Lavoro.

2) Le modalità di accadimento dei reati:

All'informazione sull'aver subito o meno un determinato reato si aggiunge la raccolta di alcune caratteristiche inerenti il loro accadimento, i danni economici e fisici, la denuncia alle forze dell'ordine, i motivi della denuncia o della non denuncia, l'esito avuto e in alcuni casi le caratteristiche degli autori che li hanno perpetrati e la relazione con la vittima.

3) L'identificazione dei gruppi della popolazione più a rischio:

Dalle indagini di vittimizzazione è possibile ricostruire il profilo delle vittime, conoscere le loro caratteristiche, i luoghi ed i modi in cui queste hanno subito il fatto delittuoso. È possibile definire cosa le espone di più, se il loro stile di vita o l'abitare in una determinata zona o, ad esempio, l'avere un'età piuttosto che un'altra. Inoltre non tutti sono esposti allo stesso modo, reati diversi colpiscono persone diverse.

4) La percezione della sicurezza dei cittadini:

Dal momento che il livello della criminalità non è sufficiente a dar conto dello stato della sicurezza, a fianco della rilevazione dei fatti denunciati e non, è stato ricostruito il quadro della percezione della sicurezza dei cittadini nei propri ambienti di vita, la strada e la casa; tale percezione, se negativa, limita la libertà e i comportamenti del cittadino determinando un peggioramento nella dimensione del suo benessere. Tuttavia, oltre alla paura, vengono rilevate alcune variabili che prendono parte alla costruzione del sentimento di insicurezza, cioè la

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preoccupazione di subire alcuni reati, la percezione del livello di criminalità del territorio in cui si vive e l'influenza sui propri comportamenti, il degrado socio- ambientale e il rapporto con le forze dell'ordine.

Tralasciando i primi tre punti, e non certo per importanza, focalizzeremo la nostra attenzione sul quarto punto ovvero su quella parte di studio che riguarda più da vicino il presente lavoro: lo stato di percezione di sicurezza da parte del cittadino.

Quanto si sentono sicuri i cittadini italiani? Quali sono le misure di prevenzione che essi adottano per difendersi dal crimine? Cosa pensano i cittadini dell'operato delle Forze dell'ordine nell'attività di prevenzione della criminalità? Come sono cambiate le cose negli ultimi cinque anni?

Dare una risposta a questi interrogativi non è facile. L'indagine in argomento, oltre a fornire una stima del "numero oscuro" della criminalità, cioè il numero di reati che non vengono denunciati alle autorità preposte al controllo sociale, permette, grazie ad alcune domande rivolte a tutti i rispondenti, e non solo quindi alle vittime, di gettare le basi per una analisi della percezione soggettiva della sicurezza e concentrarsi sui problemi relativi alla prevenzione del fenomeno delinquenziale.

La sensazione di ansia che si prova quando si pensa di poter essere derubati o aggrediti non è solamente in ragione degli indici di criminalità reali; le preoccupazioni e la paura sono influenzate anche da altri fattori quali la percezione della probabilità che tale evento si realizzi ed il timore di conseguenze anche gravi. I reati commessi non solo comportano danni fisici, psichici ed economici per chi li subisce, ma la frequenza e la diffusione di condotte illecite

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condiziona le abitudini e lo stile di vita e riduce fortemente il senso di sicurezza di tutti i cittadini.

Alla domanda "quanto si sente sicuro camminando per strada quando è buio ed è solo nella zona in cui vive", ben il 27,6 per cento degli italiani risponde di sentirsi poco o per niente sicuro. Che il sentimento di paura sia diffuso è confermato anche dal dato relativo a coloro che non si sentono sicuri perfino all'interno della loro abitazione quando sono soli (12,2 per cento).

Se a ciò si aggiunge che il 7,8 per cento delle persone di 14 anni e più ha dichiarato di non uscire mai da solo di sera, ci si rende conto di quanto sia vasto il fenomeno. Questo non accade unicamente per motivi di sicurezza, ma anche, ad esempio, per via dell'età avanzata, per questioni di salute o per il diverso stile di vita delle persone ed è, infatti, un comportamento più frequente nelle fasce d'età più avanzate.

Le considerazioni circa la sicurezza percepita dai cittadini appaiono critiche quando si valutano i successivi indicatori presi in esame. La paura della criminalità influenza molto o abbastanza le abitudini della popolazione nel 46,3 per cento dei casi. Inoltre, al 25,5 per cento dei cittadini capita, sempre o talvolta, di non uscire di sera per motivi di paura.

Le variabili che sono più fortemente correlate alla sensazione di paura sono il sesso e l'età. La percentuale di donne che hanno paura supera di gran lunga quella degli uomini e ciò vale per tutti gli indicatori considerati.

Infatti, il 36,1 per cento di donne contro il 18,5 per cento degli uomini sostiene di provare un forte senso di insicurezza camminando nelle strade del proprio quartiere quando è ormai buio. In generale, inoltre, la sensazione di insicurezza è

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meno frequente nella fasce d'età più giovani e cresce a partire dall'età adulta (dai 35-44 anni) fino a raggiungere il massimo fra le persone più anziane.

Le differenze tra uomini e donne, però, diminuiscono al crescere dell'età fino a limitarsi a pochi punti percentuali di differenza dopo i 74 anni. C'è da aggiungere tuttavia, che la diminuzione del senso di insicurezza riscontrabile fra le persone più anziane è dovuta anche all'aumento della percentuale di uomini e di donne di questa età che dichiarano di non uscire mai.

Considerando l'indicatore concernente la limitazione del proprio comportamento d'uscita serale per motivi di paura, è possibile notare come le donne giovanissime che si sentono realmente sicure ad uscire di sera, cioè a cui "non capita di non uscire di sera per motivi di paura", sono il 55,2 per cento; una quota piuttosto bassa se si considera che il valore massimo, in corrispondenza della fascia d'età 25-34 anni, è pari al 64 per cento e il valore minimo, per le donne di 75 anni e più, è uguale al 52,2 per cento.

Questo fenomeno della difficoltà dei giovanissimi ad uscire di sera per motivi di paura è presente, seppure con valori decisamente diversi, anche nei coetanei maschi: il 10 per cento dei maschi di età compresa fra i 14-24 anni non esce di sera per motivi di paura, contro il 2,7 per cento degli appartenenti alla classe d'età successiva.

Per quanto riguarda il dato relativo alla sicurezza in casa, le donne, pur sentendosi qui più sicure che non quando sono fuori, risultano comunque avere più paura degli uomini (il 17,0 per cento dichiara di sentirsi per niente o poco sicuro contro il 7,1 per cento dei maschi), sebbene all'aumentare delle età le differenze diminuiscano.

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Con riferimento all'influenza della criminalità nelle abitudini di vita delle persone, si riscontra ugualmente un andamento che varia in funzione dell'età: all'aumentare dell'età si è più condizionati dalla paura della criminalità. In questo caso fa eccezione la fascia d'età più anziana (75 anni e più), per la quale si riscontra una minore influenza della paura della criminalità sulle abitudini rispetto alla classe d'età precedente.

La paura presenta una relazione inversa con il titolo di studio. I laureati e coloro che sono in possesso di diploma superiore vivono meno un senso di insicurezza mentre quanto più il titolo di studio è basso tanto più aumenta il numero di coloro che si sentono poco o per niente sicuri sia quando camminano di sera nella loro zona sia quando sono a casa da soli. Lo stesso vale se si analizzano i dati concernenti la condizione professionale: imprenditori e dirigenti hanno meno paura di quanta ne hanno coloro che sono in cerca di occupazione.

Lo studio in argomento si fa più interessante allorquando pone l’attenzione sulla relazione tra paura e vittimizzazione. La paura può dipendere dall'avere o meno subito direttamente esperienze di vittimizzazione. L'analisi dei dati conferma, infatti, l'effettiva influenza esercitata dall'aver subito o meno un reato. Coloro che hanno subito un'esperienza di vittimizzazione si sentono più spesso degli altri poco o per niente sicuri quando camminano di sera per le strade del loro quartiere.

Dichiara di non sentirsi sicuro, infatti, il 39,0 per cento di coloro che hanno subito almeno un reato contro l'individuo, il 38,4 per cento delle persone che sono rimaste vittime di un reato contro la proprietà e il 42,4 per cento delle persone che hanno subito un reato violento.

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La ricerca in argomento, e questo sicuramente ci avvicina in ciò che più avanti affronteremo, pone l’evidenza sullo stato di paura del cittadino ed il senso di fiducia nelle forze dell’ordine. La maggiore frequenza di situazioni di degrado incide fortemente sulla coesione sociale, fa crescere la sensazione di abbandono e di impotenza. L'impressione di una maggiore vulnerabilità e, quindi, di paura si avverte, infatti, quando ad essa si accompagna la convinzione che le istituzioni preposte alla prevenzione e al controllo della criminalità non siano in grado di far fronte adeguatamente al dilagare della delinquenza. La soddisfazione verso l'operato delle forze dell'ordine ci permette di misurare il grado di stima che i cittadini hanno verso una effettiva capacità dello Stato di prevenire e reprimere la criminalità. A tutti i rispondenti è stato chiesto di esprimere un giudizio sull'efficacia dell'attività di controllo delle forze dell'ordine. Il quesito chiedeva

"Tutto considerato, lei pensa che le forze dell'ordine (Polizia, Carabinieri eccetera) riescano a controllare la criminalità nella zona in cui vive?". Non tutti i cittadini sembrano essere soddisfatti del modo con cui le forze dell'ordine cercano di prevenire e reprimere la criminalità: ben il 36,2 per cento della popolazione, nel nostro Paese, ritiene che le forze dell'ordine controllino poco o per niente il luogo in cui vive. L'opinione è molto negativa proprio tra gli abitanti residenti nelle grandi aree metropolitane (43,0 per cento) e nei comuni intorno alle aree metropolitane (42,6 per cento), dove è segnalato il maggiore rischio di criminalità.

Una più positiva valutazione sull'operato delle forze dell'ordine nella propria zona di residenza è invece espressa da coloro che vivono nei centri di piccole o piccolissime dimensioni, cioè in zone considerate molto o abbastanza tranquille.

La percentuale più alta di coloro che dichiarano di essere soddisfatti delle capacità di perseguire la criminalità da parte delle forze dell'ordine si è avuta in Valle

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d'Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. La sensazione che le forze dell'ordine non siano in grado di mantenere il controllo della situazione è stato, invece, espresso da un gran numero di intervistati della Campania, Lazio, Puglia, in misura notevolmente superiore alla media nazionale, soprattutto per le prime due regioni.

Non c'è differenza di genere nella valutazione dell'operato delle forze dell'ordine, mentre l'analisi per età identifica i più giovani come i meno soddisfatti con oltre il 40 per cento di individui di età inferiore ai 35 anni, che dichiarano che le forze dell'ordine controllano poco o per niente la loro zona di residenza.

Ai cittadini meno soddisfatti del lavoro svolto da parte delle forze dell'ordine nel controllare la zona in cui vivono è stato chiesto di indicare i comportamenti e le azioni che a loro giudizio le forze dell'ordine avrebbero dovuto intraprendere per garantire livelli maggiori di sicurezza. Tra gli insoddisfatti che hanno risposto a tali quesiti, il 68,9 per cento afferma che le forze dell'ordine dovrebbero passare più spesso per le strade, il 66,6 per cento che dovrebbero essere più numerose e più presenti sul territorio (magari con l'istituzione del poliziotto di quartiere) e il 20,9 per cento che dovrebbero compiere più indagini e avere più libertà di azione.

In particolare, le regioni del sud Italia esprimono più delle altre il desiderio di vedere passare più spesso rappresentanti delle forze dell'ordine nelle proprie strade (69,4 per cento); le regioni che hanno risposto che le forze dell'ordine passano "almeno una volta al giorno" nella propria zona si augurano inoltre che diventino più numerose e più presenti nel quartiere (68,7 per cento). I cittadini che rispondono di volere forze dell'ordine più risolute e con un raggio d'azione più ampio sono soprattutto coloro che abitano nelle regioni del Nord-est (21 per cento) e nelle periferie delle aree metropolitane (21,5 per cento), mentre nei

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comuni con più di 50 mila abitanti ci si aspetta che le forze dell'ordine siano più presenti e numerose.

Un altro elemento strettamente legato alla percezione della sicurezza è la presenza delle forze dell'ordine sul territorio. Infatti, quanto più esse sono presenti tanto più le persone si sentono sicure. Al fine di approfondire questo aspetto ai cittadini è stato chiesto con quale frequenza vedono pattuglie di polizia o carabinieri nella propria zona. Li vede passare nella propria zona almeno una volta al giorno il 33,5 per cento dei cittadini, almeno una volta alla settimana il 20,9 per cento, mentre il 32,1 per cento degli stessi dichiara di vederli raramente o mai. Il dettaglio territoriale mostra che le percentuali di coloro che affermano di non vederli "quasi mai o mai" sono soprattutto nel Lazio (20,4 per cento), in Umbria (20,3 per cento), in Emilia-Romagna (20,2per cento), in Lombardia (19,5 per cento) e in Veneto (18,7 per cento), mentre rispondono più frequentemente di notare la presenza delle forze dell'ordine "almeno una volta al giorno" gli abitanti del Molise (42,2 per cento), della Calabria (41,9 per cento) della Basilicata (40,6 per cento) e della Sicilia (40,1 per cento).

Gli abitanti dei grandi centri dell'area metropolitana o dei piccoli comuni fino a 2 mila abitanti rispondono di vedere passare più spesso nelle proprie strade le forze dell'ordine (rispettivamente il 35,7 e il 34,2 per cento), mentre dichiarano di vederli "quasi mai o mai" soprattutto i residenti nelle periferie delle aree metropolitane (19,8 per cento) o dei comuni da 2 mila a 50 mila abitanti (il 18,4 per cento).

I giovani segnalano, anche in questo caso, una maggiore assenza delle forze dell'ordine sul territorio, rispetto ai cittadini di età superiore ai 65 anni.

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Un altro indicatore della presenza attiva delle forze dell'ordine nella zona di residenza è la percentuale di coloro che sono stati fermati dalle forze dell'ordine mentre erano a piedi o in automobile per un controllo. Il 36,1 per cento degli individui di età superiore ai 14 anni è stato fermato nei dodici mesi precedenti l'intervista; tale percentuale aumenta notevolmente per gli uomini (48,5 per cento) e i giovani soprattutto in età tra i 25-44 anni (circa il 50 per cento); sono sottoposti a maggiori controlli gli abitanti della Valle d'Aosta (47,8 per cento), Sardegna (44,3 per cento), Calabria (43 per cento), Molise (41,2 per cento), Marche (40,9 per cento), che a parte la Sardegna sono anche le regioni che hanno dichiarato livelli di rischio di criminalità inferiori al dato complessivo nazionale.

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I.2 La percezione di sicurezza nel quartiere

Un’altra recente indagine interessante avente per tema “La criminalità diffusa a Roma. Percezione sociale del rischio ed uso della città” condotta dal Dipartimento

“Rismes” (Ricerca Sociale e Metodologia Sociologica “Gianni Statera”) della Facoltà di sociologia dell’Università La Sapienza, condivisa con altri gruppi universitari di Milano, Torino, Firenze che ha analizzato la percezione, le reazioni e gli effetti sociali che la criminalità produce , ha dimostrato che tra le paure degli italiani, la criminalità si classifica al secondo posto solo dopo la disoccupazione, soprattutto nelle aree urbane. Tuttavia sondare il fenomeno della criminalità urbana “significa conoscere anche la percezione sociale di un rischio così pervasivo ma anche così letto, interpretato, rielaborato. Esistono delle vere e proprie culture del rischio: c’è chi ha parlato, con riferimento all’Italia, di culture

‘locali’ del rischio”. L’indagine focalizza la reazione sociale, gli effetti sulla società delle forme della devianza diffusa (o “di strada”).

Alla domanda “Come definirebbe in termini di pericolo, rispetto alla piccola criminalità, la zona dove Lei abita?”, le risposte hanno messo in luce una percezione della situazione “di medio-bassa apprensione sociale che si pone in un certo senso in frizione, se non in antitesi, con l'allarmismo dei mass media e di taluni attori politici locali e nazionali”. Infatti, su 702 intervistati, solo l’8% ritiene la sua zona “molto pericolosa” e il 23,8% “abbastanza pericolosa”, ma per la maggioranza (60,1%) la zona è “poco pericolosa” o per niente (8,1%). Per quanto riguarda il sentimento di insicurezza personale, le risposte confermano quelle precedenti: il 26,1% delle persone interpellate si sente “molto sicuro” nel camminare per strada da solo nella zona in cui abita quando è buio, il 40,1%

“abbastanza”, il 21,5% “poco” 3 il 12,3% “per niente”.

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In riferimento all’area locale di abitazione e alla situazione generale della città, la situazione è dichiarata “molto o abbastanza pericolosa” dal 59,8% degli intervistati (terrorizzati, il 31,3%; timorosi il 28,5%), “poco o per niente pericolosa” dal 40,2% (tranquilli, in 26,1%, spavaldi il 14,1%). Quindi “lo spazio urbano di vita (zona di abitazione, quartiere, etc.) viene percepito in modo diverso dallo spazio urbano che è formalmente comunale ma che viene vissuto come città- regione, forse come città-nazione . Abitare a Roma e valutare i fenomeni sociali che in essa si producono equivale infatti a esprimere asserzioni che hanno per oggetto non un semplice ‘Comune’ (Roma è infatti città capitale) e ciò non solo per la numerosità dei suoi residenti ma anche per quella che potremmo definire

“consistenza simbolica”.

In sintesi, vengono delineate due percezioni diverse per due insicurezze: una

‘concreta’, di vita vissuta, personale; l’altra “astratta”, di tipo pubblico, politica in senso ampio. L’indagine ha considerato 4 tipologie differenti di “caratteri”: gli individualisti, aperti a soluzioni tecnologiche e razionali di autodifesa dalla criminalità; gli ugualitari, molto integrati nei gruppi, per i quali è la mancanza di lavoro a generare la delinquenza ed il poliziotto di quartiere può generare sicurezza ma solo a patto che operi insieme alla comunità; i gerarchici, prescritti dalle istituzioni nelle quali operano e/o nelle quali credono, che auspicano leggi più rigorose contro la criminalità e comunque guardano con attenzione alle soluzioni istituzionali; i fatalisti o isolati, che non si impegnano, non si associano, sono scettici sui destini personali e della società e su tutte le misure di controllo della criminalità diffusa, condizionati dalle regole esterne e scarsamente impegnati nella vita politica e sociale. Comparando queste 4 tipologie con i valori dell’area della “grande paura” (“i terrorizzati”), gli individualisti autonomi si attestano sul 23,7% a fronte del 38,8% riferito ai gerarchici, che sono

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"terrorizzati" o "timorosi" nel 67,3% dei casi a fronte di un valore del 51,3%

attribuibile agli ugualitari, “coloro che credono che la criminalità diffusa sia un fenomeno che debba essere gestito non solo attraverso il meccanismo sociale devianza/sanzione” ma anche mediante “pratiche sociali che facciano perno sulla prevenzione e sul contenimento dell’esclusione sociale”.

Il lavoro che ha visto a confronto due unità territoriali ha permesso di controllare l’ipotesi relativa all’indipendenza della paura del crimine dal pericolo effettivo, e l’ipotesi è che la percezione della criminalità diffusa da parte dell’attore sociale non dipende dalla sensazione concreta del pericolo, ma da una serie di altri fattori culturali che determinano “il senso di insicurezza del cittadino: la sua visione del mondo, l’idea che esso stesso si è fatto delle istituzioni, la fiducia che ripone negli altri”. Inoltre lo studio mette in luce che “la sicurezza è inversamente proporzionale all’isolamento sociale degli individui: tanto più è fitta la rete di relazioni interpersonali che compone la vita di una persona, tanto più questa tenderà a sentirsi sicura”.

Come precedentemente detto i risultati mostrano che il quartiere in cui si abita è considerato dagli intervistati pericoloso (molto - abbastanza) in misura di gran lunga inferiore rispetto alla città (31,8% contro il 75,7%), come se la maggiore conoscenza e familiarità con il luogo di abitazione riducesse la paura. Tuttavia sono rilevanti le differenze di genere e di età: donne e anziani ultra 65enni più frequentemente degli uomini e dei giovani percepiscono pericoloso il quartiere (rispettivamente il 38,2% delle donne e il 40,2% dei più anziani) e la città è considerata tale soprattutto dagli anziani (l’84,7%), oltre che dalle donne (l’80,5%). Analogamente, un aumento di frequenza della micro-criminalità soprattutto a Roma, in misura doppia rispetto al quartiere (a conferma dell’ipotesi

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che la maggiore familiarità induce minore paura), è sostenuto più frequentemente dalle donne e dagli anziani quasi in pari misura (rispettivamente dal 65% delle une e dal 64,4% degli altri, contro il 58,3% del campione complessivo). Quanto alla frequenza dei vari tipi di reato, secondo le donne sono abbastanza frequenti (48,9%, 35,2% per gli uomini).

Anche rispetto all’utilizzo dei mezzi di sicurezza (porte blindate, casseforti, allarmi…) “vi è una tendenza ad essere fiduciosi piuttosto che a blindarsi in casa.

Benché la maggior parte dei soggetti abbiano subito uno o più reati e lo abbiano subito nello stesso quartiere in cui vivono, solo una quota irrilevante degli intervistati sarebbe disposta a cambiare casa per migliorare la propria sicurezza personale e patrimoniale. Ad uscire meno non sono le persone che presentano maggiori segni di insicurezza, quanto coloro a cui mancano le occasioni o le relazioni, oppure le possibilità economiche. Tuttavia la città non è vissuta come pericolosa, quindi la vita ritirata non è da attribuirsi a timori o insicurezze.

L'informazione sembra costituire un “antidoto alla insicurezza”, conducendo il cittadino “a una visione più realistica di quanto gli sta intorno”: con l’aumentare del livello di informazione decresce la paura nei confronti della criminalità diffusa. Infatti i più “fiduciosi” hanno un alto livello di informazione nel 43% dei casi, che scende all’11% per i “diffidenti”. È una delle conclusioni a cui è giunta la ricerca, sapere e conoscere, quindi, contribuisce a “esorcizzare parte della paura”.

Ma insieme alla cultura un altro fattore sembra decisivo “nello stemperare la percezione della criminalità diffusa: la rete di relazioni sociali alla quale i singoli individui appartengono”.

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Allo stesso tempo “rimane molto da lavorare nella direzione delle campagne di informazione”. Durante la ricerca è stato analizzato per 6 mesi il fenomeno della criminalità diffusa a Roma monitorando in particolare 3 testate quotidiane:

“Repubblica”, “Il Messaggero” e “Il Tempo” (le prime 2 sono le testate giornalistiche locali più acquistate nelle edicole della città; la terza, pur non essendo la terza testata giornalistica più venduta nella provincia di Roma, è la più venduta fra quelle definite di ‘tendenza opposta’). Sono stati archiviati 1.761 articoli, il 67,7% dei quali è dedicato alla narrazione di reati commessi e di fatti strettamente collegati. Gli ulteriori 568 articoli descrivono la sicurezza nei diversi luoghi della città, le politiche di sicurezza comunali e i discorsi dei protagonisti della politica ad essi strettamente collegati e i temi nazionali e internazionali collegati alla sicurezza (ad esempio, il terrorismo internazionale).

Nel semestre si sono verificati 765 reati o fatti criminosi, riportati dalla cronaca dei quotidiani; il maggior numero è stato registrato in settembre (29,3%), mentre il minor numero si è verificato in dicembre (7,8%) e solo lo 0,4% dei reati è stato commesso in un periodo precedente a quello di lettura della cronaca romana. Il 73,2% dei reati schedati prevedono l’interazione con la persona, mentre il solo 20% è diretto alla persona (aggressione, omicidio e reati contro la libertà sessuale, ad eccezione della prostituzione). Per il 13,3% non è nota alcuna informazione relativa a sesso ed età di chi li subisce, mentre non si conosce nulla riguardo al sesso e all’età dell’autore per il 20,9%. I reati con autore indefinito riguardano il 41,8% dei furti, l’11,3% delle rapine, il 9% delle aggressioni e il 4,8% degli stupri. Del 20,9% dei reati non si conosce l’autore, il 38,2% è commesso da una sola persona, il 24,7% da due ed il restante 16,2% da un gruppo di tre o più persone. Gli autori dei fatti criminosi sono per il 67,1% di sesso maschile, per il 5,9% femminile e per il restante 6,1% di entrambi i sessi.

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Per il 45,8% dei reati non si conosce l’età dell’autore. Il 29,8% è di giovane età (21-34 anni), il 14,6% è d’età adulta (35-64), il 4,3% è minore, mentre l’1,3% è d’età anziana (65 anni e oltre). Il 53,8% dei reati per i quali è noto il destinatario sono rivolti alle persone; di questi, il 51,9% a soggetti solo maschili, il 37,5% solo femminili e il 10,6% ad entrambi. Il 46,2% del totale dei reati è rivolto invece a luoghi o cose (nel 17,8% dei casi abitazioni private), solo il 3,1% a luoghi sacri.

Dei 765 fatti criminosi il 13,1% è rappresentato dalle aggressioni, l’11,2% dal furto in abitazione o del veicolo o di altre cose private, il 10,2% dallo spaccio di droghe, il 9,8% dalle rapine in negozio o altro luogo diverso da banche, uffici postali o altri uffici, che escludono le rapine di valori o veicoli alle persone. Se si suddivide idealmente la città di Roma in quattro aree geografiche in base ai punti cardinali, l’area più colpita dalla criminalità risulta il Sud-Ovest (34%), quella più sicura il Nord-Ovest (13,7%). I Municipi meno sicuri appaiono il XIII (18,2%) e il I (17,1%), i più tranquilli risultano il III, IV, VI e XIX (2,4%). Nei Rioni del Centro storico si commettono il 19% dei reati (l’Esquilino il più colpito, con il 5,4%), ad Ostia il 10,2%, ad Acilia il 4,6%. Il reato maggiormente diffuso al Centro è l’aggressione (16,6% dei reati commessi), seguito a pari merito dai reati contro la libertà sessuale e dalla rapina a persona o di veicolo (10,3%). Nel Nord- Est si ritrova invece al primo posto il furto in abitazione o di veicolo o di altri oggetti privati (16,5%), a seguire i reati contro la libertà sessuale (15,5%) e dall’aggressione (14,6%). Nel Nord-Ovest si registra come reato più diffuso la rapina in negozio o in altro luogo diverso dalle altre categorie schedate (quali rapina in abitazione, rapina a persona o di veicolo: 18,8%), seguito dal furto in abitazione o di veicolo o di altri oggetti privati (14,9%) e dalla rapina a persona o di veicolo (10,9%).

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Se si suddivide la giornata in fasce orarie, per quei reati sui quali viene riportato un riferimento temporale, la notte e l’alba rappresenterebbero i momenti più rischiosi per vivere in qualsiasi punto della metropoli. La maggioranza dei reati vengono commessi in ambiente chiuso (53,1%), tranne che nel sud-est cittadino, dove nel 54,5% dei casi è più sicuro stare all’aperto.

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CAPITOLO 2

LA POLITICA DI SICUREZZA IN ITALIA II.1 Stato attuale della politica di sicurezza in Italia

Negli ultimi quattro anni, le Forze di polizia hanno colto successi importanti nella loro attività di prevenzione e contrasto del crimine in tutte le sue forme: dallo smantellamento di pericolose reti terroristiche nazionali ed internazionali, all'arresto di numerosi latitanti di spicco appartenenti alla grande criminalità organizzata di stampo mafioso e non, dai durissimi colpi inferti al traffico di stupefacenti alla positiva soluzione, in tempi brevi, di alcuni sequestri di persona.

Eppure, nonostante questi risultati di indubbio valore, in molte zone del Paese si avverte il persistere di un accentuato senso di insicurezza.

Questa sensazione aldilà degli studi sopra esposti possiamo dire che si determina in ciascuno di noi secondo meccanismi ben più complessi, è quasi un nodo gordiano in cui si intrecciano confusamente fattori dinamici ed eterogenei; il senso di insicurezza travalica la realtà oggettiva del pericolo rappresentato dalla criminalità e risente dell'insieme delle problematiche che caratterizzano il

"villaggio globale" in cui, vogliamo o no, siamo costretti a vivere.

Infatti, la presenza di fenomeni criminali rappresenta certamente il fattore ultimo e scatenante della nostra insicurezza, che si salda, non di rado in maniera inconscia, al bagaglio ben più ampio e vario dei nostri problemi e delle nostre incertezze.

Le guerre, lontane geograficamente, ma vissute attraverso i mezzi di comunicazione come se fossero all'angolo della strada; le minacce terroristiche, impalpabili ma sempre più incombenti; lo stravolgimento ambientale dell'intero pianeta, sottoposto ad attacchi costanti che ne intaccano l'equilibrio naturale ed antropico; le turbolenze di un mercato globale, che rendono sempre più difficile la certezza di un posto di lavoro, pilastro fondamentale della dignità e della libertà di

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ogni essere umano; i fenomeni migratori in cui le componenti ansiogene hanno il sopravvento su quelle arricchenti della collaborazione e del confronto; la comparsa di nuove malattie in costante competizione con gli sforzi degli scienziati, delineano uno sfondo intriso di precarietà a cui pochi riescono a sottrarsi.

In questo scenario che, soprattutto sul piano psicologico, nutre componenti di ansia ed angoscia, si inserisce la quotidianità delle nostre realtà urbane, non sempre progettate a misura d'uomo, in cui siamo obbligati a muoverci con ritmi stressanti, servizi pubblici non sempre adeguati, interlocutori talvolta presuntuosi e prevaricanti.

A questo proposito, è necessario ricordare l'effetto deleterio di tutti quei comportamenti che gli esperti definiscono con il termine di "inciviltà" e che entrano significativamente nella costruzione del nostro senso di insicurezza.

Spesso neppure sanciti dal codice, comprendono, fra l'altro, le inosservanze alle regole della buona educazione e dei divieti più elementari, l'assenza di rispetto per la collettività e per la cosa pubblica, la mancanza di attenzione per i diritti degli altri, soprattutto se più deboli e indifesi.

Il personale delle Forze di polizia rappresenta, molto spesso, per la sua visibilità e la sua disponibilità istituzionale, il primo operatore pubblico cui rivolgersi per la soluzione di un problema, per un'informazione, per un sia pur rapido momento di considerazione.

Non raramente, in questa situazione, il personale è costretto a fornire risposte a domande che travalicano le sue competenze istituzionali e professionali.

Si tratta di un fenomeno non solo italiano, ma generalizzato a tutto quel mondo che si definisce civile.

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Negli ultimi anni, l'attenzione e l'impegno dei politici e delle Forze di polizia di numerosi paesi si sono focalizzati sulla ricerca di nuove filosofie e nuove modalità di "far polizia", cercando non solo una maggior efficacia nella prevenzione dei reati e nella repressione dei loro autori, ma anche attività che possano coinvolgere i cittadini e contribuire a rassicurarli.

Ecco, quindi, delinearsi i modelli di "community policing" dei paesi anglofoni, di

"police de quartier" e di "police communautaire" delle realtà francofone canadesi, di "îlotage" e di "police de proximité" della polizia francese, di "policia de proximidad" della polizia spagnola e di "policia comunitaria" della polizia catalana, solo per citarne alcuni.

Il vecchio "bobby" pensato e voluto nel Regno Unito di inizio `800 da Robert Peel - civile, disarmato e vicino alla gente - ha raggiunto i quattro angoli del mondo facendovi scuola, anche se, oggi, la complessità dei fenomeni ricordati e la difficoltà delle risposte hanno portato alla messa in atto di modelli che si distaccano parecchio dall'originale.

Questa continua ricerca di nuovi modelli teorici ed operativi richiede anche la necessità di affrontare l'annoso problema relativo alla valutazione del lavoro di polizia e della validità dei risultati conseguiti, strettamente correlata con quella che, usando un concetto caro al marketing, si può definire "la soddisfazione del cliente".

È chiaro, però, che "il cliente" del sistema sicurezza gestito da uno Stato sovrano è un cittadino con diritti e doveri, ben diversi da quelli previsti nei trattati di marketing, anche se appare necessario essere in grado di valutare il suo

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gradimento per quanto messo in atto, a partire dalla sua valutazione della criminalità e della propria insicurezza.

La garanzia dell'ordine e della sicurezza, gestita nel quadro del dettato costituzionale, è un compito che lo Stato deve svolgere attraverso gli strumenti di cui dispone, nella costante ricerca di un non facile equilibrio fra due valori altrettanto fondamentali quali la libertà e la sicurezza.

Questo sforzo deve essere condiviso da tutti i cittadini, siano essi o meno in uniforme, e deve portare alla consapevolezza che la sicurezza, traguardo non facile da raggiungere, è ottenibile anche attraverso un miglioramento globale della qualità della vita.

Il primo aspetto da considerare è quello relativo ai dati sulla delittuosità, in merito ai quali bisogna evidenziare come esistano profonde divergenze fra i numeri della criminalità ufficiale, di quella reale e di quella soggettivamente percepita dai cittadini.

La criminalità ufficiale è comunque il dato di partenza che fa riferimento a conoscenze formali, dedotta dall'attività delle agenzie dello Stato preposte al fenomeno e fondata su quanto denunciato dai cittadini ed oggetto di attività di polizia giudiziaria. Per questi motivi si tratta di un dato che risente in maniera significativa degli strumenti impiegati, delle politiche penali, della propensione dei cittadini a denunciare i reati di cui sono stati vittime o di cui sono venuti a conoscenza e di fattori eterogenei di varia natura.

È chiaro che un elevato senso civico delle persone ed una migliore percezione delle Forze di polizia e del sistema giudiziario nel suo complesso porta ad un aumento delle denunce e, quindi, ad un aumento della criminalità ufficiale, cui può non corrispondere un reale aumento dei reati commessi.

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A questo proposito, per quanto riguarda nello specifico l'attuale situazione italiana, bisogna sottolineare la possibilità che l'istituzione del "Poliziotto e Carabiniere di quartiere" ed altre iniziative (es. la raccolta delle denunce a domicilio), inserite nella filosofia di "Polizia di prossimità", portino ad un aumento di denunce da parte dei cittadini, e, quindi, del numero complessivo dei reati ufficiali.

In altre parole, se l'insieme delle attività del Dipartimento della Pubblica Sicurezza sta determinando l'auspicato miglioramento dei rapporti fra i cittadini e le forze di polizia, oggi più vicine alla gente e più attente alle sue richieste, non meraviglia che questo risultato si esprima anche in un aumento delle denunce presentate.

D'altra parte, ciò che vale per il semplice cittadino, quello che deve convivere con la criminalità di quartiere e si lamenta scrivendo ai giornali, è la propria percezione della realtà, una percezione quasi sempre sovrastimata, che dipende dai fattori sopra menzionati e dalle caratteristiche soggettive di ogni individuo.

Ma si tratta di una percezione che interferisce in maniera significativa nella nostra costruzione dell'insicurezza e dell'allarme sociale.

Per questi motivi, si ritiene quindi corretto cercare di superare la rigidità del dato, soprattutto quando questo è riferito al breve periodo, per tracciare un quadro d'insieme sugli andamenti della criminalità, che potrà fornire informazioni ben più significative del singolo dato quantitativo, soprattutto quando questo è avulso dal contesto o dalla tendenza in cui è inserito.

Un aspetto fondamentale - che si ritiene importante sottolineare e che deve essere considerato nel computo dei doverosi bilanci da effettuare in tema di contrasto

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alla criminalità - è rappresentato dall'impegno costante e dalla professionalità messe in evidenza da tutto il personale delle Forze di polizia.

Si tratta di qualcosa che troppo spesso viene considerato ovvio e che, non sempre con spirito di critica propositiva, si tende a sottovalutare rispetto alle situazioni negative ed alle sconfitte.

Bisogna invece essere ben consci che l'insieme dei risultati conseguiti, e sotto gli occhi di tutti, relativamente alla lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di droga e di esseri umani è stato reso possibile solo grazie all'impegno di tutti ed al sacrificio, anche supremo della propria vita, di alcuni.

Accanto a questi risultati, ben noti all'opinione pubblica, devono sempre essere ricordati quelli, magari meno eclatanti ma altrettanto significativi, che si ottengono grazie al lavoro di chi pattuglia le nostre strade ed autostrade, i quartieri delle nostre città e le nostre campagne, di chi svolge lavoro d'ufficio, di quanti presidiano uffici periferici o sorvegliano i nuovi territori nel mondo virtuale di internet.

Le particolari caratteristiche dei fattori che determinano il senso d'insicurezza, e i connessi limiti della significatività dei dati sulla criminalità, suggeriscono di trovare nuovi criteri per valutare in maniera corretta e coerente con i nostri obiettivi i fenomeni di cui stiamo parlando.

Come prima accennato, anche per l'attività di polizia è necessario risolvere l'annoso problema della valutazione del lavoro e dei risultati conseguiti, ancora troppo legata alle statistiche ed all'attività di carattere repressivo.

È chiaro, in particolare, che la nuova filosofia della "prossimità" richiede parametri di analisi dell'attività svolta e di misura degli obiettivi raggiunti, da

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utilizzare sia per la razionalizzazione delle decisioni, sia per una più corretta politica premiale del personale.

Si tratta di un problema di non facile soluzione, che vede impegnati esperti di tutto il mondo a trovare modalità di misura della qualità e della efficacia del lavoro del personale di polizia.

È a partire da queste considerazioni che, da alcuni anni, il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha ritenuto opportuno modificare la propria filosofia di intervento, ampliando le proprie modalità operative di "far polizia", sforzandosi di renderle più rispondenti alle esigenze dei tempi e alle richieste della gente.

In quest'ottica si sono attuate sale operative interconnesse fra le Forze di polizia al fine di omogeneizzare il controllo del territorio e razionalizzare le modalità d'intervento; sono stati incrementati i sistemi di televideo-sorveglianza, con particolare attenzione per le aree metropolitane; si sono recuperati, con gli interventi "parchi sicuri", spazi di svago e di aggregazione, precedentemente infrequentabili.

Analogamente, erano stati istituti "Uffici Relazioni con il pubblico" per migliorare i rapporti dei cittadini con la polizia; era stato esteso a tutte le situazioni che possano richiedere un approccio più riservato il servizio di "raccolta a domicilio delle denunce", già riservato agli anziani ed ai portatori di handicap.

Nel corso di questi ultimi quattro anni, poi, è stata completata la fase di sperimentazione relativa all'istituzione del "Poliziotto e Carabiniere di quartiere".

Si tratta di un'iniziativa che allinea le Forze di polizia italiane a quelle delle altre realtà straniere, e fornisce agli operatori nuovi e più efficaci strumenti di controllo del territorio.

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Anche se richiede un innegabile sforzo al personale, ed in particolar modo a chi è chiamato a gestire l'organizzazione dei servizi e delle risorse, si tratta di una concreta risposta all'esigenza dei cittadini di vedere delle uniformi amiche, di poter parlare con un agente di polizia, di sentire l'attenzione dello Stato nei propri confronti.

È anche, e non può essere diversamente, una risposta ad una richiesta di rassicurazione, che richiede una presenza fisica, visibile, conosciuta e riconosciuta.

Anche se è prematuro tracciare un quadro definitivo dell'iniziativa e, soprattutto, pensare che il problema è risolto, si può anticipare che tutte le reazioni oggettive vanno nel senso di una buona accoglienza e di un giudizio positivo rispetto alla presenza del "Poliziotto e Carabiniere di quartiere".

A queste iniziative che coinvolgono in maniera specifica le Forze di polizia nazionali a competenza generale, si aggiungono quelle che prevedono, a diverso titolo, forme di collaborazione con le Regioni e gli enti locali.

Per razionalizzare le modalità d'intervento ed impiegare costruttivamente tutte le esperienze e le professionalità presenti sul territorio, è anche necessario continuare sulla strada intrapresa coinvolgendo, nell'ambito delle loro specifiche competenze, il personale degli istituti di vigilanza, le cui conoscenze e modalità di lavoro ben possono integrarsi con quelle delle Forze di polizia.

L'insieme di questa collaborazione deve comprendere, infine, il coinvolgimento dei cittadini, come gruppi, singoli e categorie professionali, nelle attività di miglioramento della vita quotidiana, di prevenzione della criminalità, di riduzione del danno nei confronti delle vittime dei reati e di attenuazione della conflittualità, grazie anche ad attività di mediazione, non disperdendo il grande patrimonio

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rappresentato dall'impegno sociale e dalle attività di volontariato, da sempre caratteristico del nostro Paese.

Si tratta di un contributo fondamentale per l'individuazione e la costruzione di un vero e proprio modello di sicurezza specifico, che coniughi l'insieme della cultura, delle tradizioni e delle potenzialità che ci caratterizzano in questo settore.

Deve essere un modello basato sulla condivisione delle finalità e delle modalità di progettazione e di attuazione di interventi globali e di modalità operative, che ci consenta di ridurre al massimo la conflittualità interpersonale ed interistituzionale e di rafforzare la cultura della legalità, per arrivare ad una realtà che si avvicini, per quanto possibile, a quella che tutti ci auguriamo.

Le attività di appropriazione degli spazi comuni e la loro gestione comunitaria, grazie a momenti d'incontro e di socializzazione, si giustificano solo e soprattutto se avvengono a partire dall'interesse e dall'impegno di tutti i soggetti coinvolti, per facilitare il passaggio dalla percezione del bene pubblico come cosa di nessuno a quella di patrimonio condiviso di tutti.

In questo modo, la "sicurezza partecipata" rappresenta l'insieme delle iniziative che prevedono forme e momenti di collaborazione di tutti i cittadini per ridurre il proprio e l'altrui livello di ansia e di insicurezza e per aumentare la propria consapevole rassicurazione.

Come si può ben comprendere, si tratta di un modo di pensare, di essere, di lavorare e di rapportarsi con gli altri che coinvolge tutti, dal Ministro al più giovane degli agenti e che rappresenta la chiave di volta di un diverso modo di essere polizia.

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Quest'atteggiamento - psicologico, culturale ed operativo - e gli strumenti ricordati dovranno consentire alle istituzoni di essere realmente vicini ai cittadini, di comprenderne le esigenze e di avere gli strumenti per intervenire concretamente, riducendo il senso d'insicurezza e migliorando la qualità della vita di tutti.

E’ qui doveroso evidenziare che in tema di politica di sicurezza, non bisogna tralasciare il fatto che l’Italia, come altri Paesi europei, da alcuni anni sta vivendo un processo rivoluzionario della pubblica amministrazione atteso il fato che tutti i precedenti modelli amministrativi elaborati sulla base delle ideologie liberali, a cominciare da quello francese – napoleonico, sono ormai giunti abbondantemente al capolinea. Uno dei principali motivi per il quale la pubblica amministrazione italiana si trova nell’attuale situazione è costituito dal fatto che nel nostro Paese il modello di burocrazia weberiano e l’ideologia dello stato di diritto si sono sostanziate attraverso l’innesto di un diritto amministrativo di matrice germanica su un impianto di schietta derivazione francese. Non è un caso che il problema principale della dottrina amministrativistica è quello della giustizia amministrativa: l’identificazione fra legittimità e legalità procedurale, la competenza intesa come distribuzione per legge dei compiti, la gerarchia, il controllo preventivo generalizzato, la stessa nozione (mai ontologicamente definita) di interesse legittimo, l’idea che tanto più rigido e prefissato sarà il funzionamento della pubblica amministrazione tanto maggiori saranno le garanzie per i cittadini, sono i temi dominanti della nostra dottrina che, invece evidenzia vistose lacune sugli argomenti più specifici della Scienza dell’Amministrazione.

La matrice politica della burocrazia weberiana è oggi venuta meno lasciando il posto ad una legittimazione di tipo funzionale in cui il consenso dei cittadini

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dipende dalla capacità della pubblica amministrazione di dare soluzioni ai bisogni dei collettivi. La maggioranza della popolazione, oggigiorno quando pensa allo Stato non si riferisce più alla bandiera, all’esercito o al Presidente della Repubblica, ma pensa alla sanità, ai servizi comunali, alla sicurezza.

In un certo senso, insomma, il compito degli attuali riformatori assomiglia a quello che affrontarono i loro analoghi alla fine del ‘700 cioè riadattare la forma di governo alla trasformazione dei rapporti sociali. Allora ci volle un intero secolo di maturazione per definire ed affermare una nuova forma di Stato, oggi grazie alla velocità delle relazioni umane è presumibile ed auspicabile che il risultato finale maturi molto più rapidamente.

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II.2 Il Comparto sicurezza in Italia.

Parlando del comparto sicurezza in Italia è preliminarmente necessario precisare la distinzione tra le funzioni, e le correlate attività, di mantenimento dell'ordine pubblico e di prevenzione dei reati (polizia di sicurezza) e le funzioni di repressione di quest'ultimi (polizia giudiziaria).

Le funzioni di polizia giudiziaria sono svolte, da tutti gli organismi e soggetti abilitati, alle dipendenze e sotto la direzione dell'Autorità Giudiziaria. Le funzioni di mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica, invece, risalgono unitariamente alla responsabilità esclusiva del Ministro dell'Interno, quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza. Il Ministero dell'Interno ha l'alta direzione dei servizi di ordine e sicurezza pubblica e coordina in materia i compiti e le attività degli organismi esecutivi, ossia le forze di polizia, adottando i necessari provvedimenti. Per l'espletamento dei propri compiti in materia si avvale dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, nel cui ambito è istituito il Dipartimento della Pubblica Sicurezza che, tra l'altro, provvede, secondo le direttive e gli ordini del Ministro, all'attuazione della politica dell'ordine e della sicurezza pubblica ed al coordinamento tecnico-operativo delle Forze di polizia.

Ai fini della tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, sono forze di polizia:

a) la Polizia di stato, struttura civile ad ordinamento speciale, dipendente organicamente dal Ministero dell'Interno;

b) l'Arma dei Carabinieri struttura militare dipendente dal Ministero della difesa;

c) il Corpo della Guardia di Finanza, struttura militare dipendente dal Ministero dell'Economia e delle Finanza.

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Sono, inoltre, Forze di polizia, in funzione di concorso alle precedenti, la Polizia Penitenziaria, inquadrata organicamente nel Ministero della Giustizia, e il Corpo Forestale dello Stato, dipendente dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

Nell'ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, infine, sono istituiti due organismi interforze ai quali l'Arma partecipa con proprio personale ed in numero paritetico rispetto a quello della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza:

 la Direzione Investigativa Antimafia (D.I.A.), organismo investigativo specializzato che ha il compito di assicurare lo svolgimento delle attività di investigazione preventiva attinenti alla criminalità organizzata, nonché di effettuare indagini di polizia giudiziaria relative a delitti di associazione di tipo mafioso o, comunque, riconducibili all'associazione medesima;

 la Direzione Centrale per i Servizi Antidroga (D.C.S.A.), organismo attraverso il quale il Capo della Polizia - Direttore Generale della Pubblica Sicurezza - attua le direttive emanate dal Ministero dell'Interno in materia di coordinamento e di pianificazione delle forze di polizia per la prevenzione e repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti.

Sempre nell’ambito del Dipartimento della Pubblica Sicurezza negli ultimi anni l’intera attività di Controllo del Territorio è stata affidata ad un'unica Direzione in particolare alla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato Servizio Controllo del Territorio.

A tale Direzione fanno capo tutti quei reparti della Polizia di Stato che quotidianamente pattugliano su strada, in mare ed in cielo il territorio.

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CAPITOLO 3

LA POLIZIA DI PROSSIMITA’

III.1 Principi fondamentali

Da almeno un paio di decenni, la politica della sicurezza sta attraversando un periodo di crisi profonda in tutto il mondo occidentale. La sensazione di insicurezza generalizzata, specie nei grandi agglomerati urbani, è emersa con evidenza agli occhi di tutti. Il problema della sicurezza, di conseguenza, è diventato un argomento di primaria importanza nell’attenzione pubblica ad ogni livello, statale e periferico. Una vera e propria luce della ribalta si è accesa sul mondo della sicurezza pubblica, specie a livello degli enti locali che fisiologicamente sono più direttamente sensibili agli umori del cittadino.

Essi, negli ultimissimi anni hanno sviluppato un interessamento alla politica della sicurezza che, però, spesso risulta approssimativo. Ancora peggio fa la politica, che a volte usa l’argomento in maniera alquanto strumentale. Tale particolare attenzione è la conseguenza di varie concause che a partire dalla fine degli anni sessanta hanno interessato tutto il mondo occidentale e, quindi, anche il nostro paese.

Infatti comunemente si indica il 1968 come punto di origine di un grosso cambiamento culturale, sociale, ideologico, e politico. Naturalmente, le cause di questo effettivo sconvolgimento della nostra società partono da più lontano, come sempre avviene nei processi storici. Sicuramente gli avvenimenti legati all’ultimo conflitto mondiale vanno visti come la conclusione di un processo storico che tutto sommato si trascinava dalla Rivoluzione Francese e che non aveva saputo svilupparsi se non attraverso i tragici eventi rivoluzionari dell’800 e due conflitti mondiali nel secolo appena trascorso.

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Il bisogno radicale di cambiare un antico modo di ragionare investì nella seconda metà degli anni Sessanta, con il mondo occidentale, anche l’Italia.

Cambiarono gli assetti Politici, vennero meno radicate ideologie, cambiarono i rapporti famigliari, sociali, vennero stravolti ordinamenti scolastici, e furono influenzati anche i rapporti tra il cittadino e le istituzioni. Venne largamente meno il concetto di appartenenza nazionale, sociale, religiosa. Il senso stesso della morale fu profondamente rivisitato, come quello della gerarchia, della subordinazione e finanche dell’educazione domestica.

Non era affatto una moda passeggera, perché tale sconvolgimento profondo deriva appunto dall’assoluta inadeguatezza della società di dare risposte appena soddisfacenti ad una opinione pubblica nazionale oramai lontana anni luce dai principi fondamentali “ottocenteschi” che ancora costituivano il sostrato culturale italiano.

Nulla è stato più come prima. Un vecchio mondo è scomparso per sempre. Il problema è che in molti aspetti esso non è stato tempestivamente sostituito da altri modelli validi. Anzi alcuni di essi sono clamorosamente falliti sul nascere o poco dopo, come la pace universale, il rifiuto della proprietà privata, gli atteggiamenti di provocazione esteriore, il rifiuto della religione ecc. E’ addirittura venuta meno, almeno sotto l’aspetto ideologico, la guerra armata al potere costituito sviluppatosi nei cosiddetti anni di piombo (’70 ’80), lasciando vanamente e sciaguratamente sul terreno una lunga scia di sangue.

In ogni caso, però, la nostra società è cambiata ed è ancora in profonda trasformazione. Il recente fenomeno della globalizzazione, continua ad influenzare in maniera profonda i rapporti non solo fra nazioni, fra nord e sud del mondo, ma anche e soprattutto fra gli stessi concittadini che debbono necessariamente stare al passo con i tempi per non trovarsi fatalmente fuori gioco

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nei processi lavorativi, economici, culturali e sociali. Non è questa la sede per continuare con il dovuto rigore questa analisi sociologica, ma è un fatto evidente che questi cambiamenti hanno sconvolto i rapporti fra cittadino e Stato e, conseguentemente, anche fra cittadino e Polizia.

Altri fattori, naturalmente, e tutti interconnessi, hanno dato un ulteriore rilevante contributo alla crisi del sistema della sicurezza.

E’ di tutta evidenza come la diffusione di massa del consumo di sostanze stupefacenti, alcune delle quali, particolarmente devastanti e che inducono, di riflesso e indirettamente, come comportamenti fortemente antisociali e spesso addirittura criminali (eroina – cocaina – anfetamine), ha avuto grande ripercussione sullo stato della sicurezza pubblica.

Come pure enorme impatto sulla sicurezza delle nostre città ha avuto l’afflusso massiccio di extracomunitari clandestini che per la prima volta, nel nostro paese, si è incominciato a registrare a cavallo degli anni Ottanta e Novanta.

Di conseguenza, quindi negli ultimi decenni si è assistito ad un considerevole e improvviso aumento dei reati contro la persona e contro il patrimonio (in particolare reati definiti “predatori”: rapine, scippi, estorsioni, furti in appartamento), cioè proprio quei reati che il cittadino comune avverte come i più perniciosi che possano affliggere la sua esistenza.

Gli stessi successi della polizia giudiziaria nella lotto contro le potenti organizzazioni mafiose, particolarmente contro grandi interessi di mafia e della camorra, hanno sicuramente e fortunatamente fatto venir meno il rigido controllo che le stesse avevano, in larghe parti del territorio nazionale, nei confronti della delinquenza diffusa, poiché essa, attirando conseguentemente una maggiore attenzione da parte della polizia, infastidiva ed ostacolava la realizzazione dei grandi interessi malavitosi.

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L’accresciuta mobilità, oggi non più solo fisica, ma anche virtuale telematica, agevola ovviamente non solo tanti aspetti positivi della nostra vita, ma anche la commissione dei reati, specie di alcuni di essi.

La venuta meno di quasi tutti i vecchi “controllori sociali” che oggi hanno quasi completamente dimesso questa funzione o la esercitano in modo diverso e con minore presa, come ad esempio la famiglia, la scuola, la chiesa, le associazioni, i partiti politici, il servizio militare, i collegi ecc. ha lasciato la società moderna in balia di uno scialbo agnosticismo edonista che finisce per far emergere un solo valore desiderabile, che è il denaro connesso al consumismo.

Lo stesso modo di ricostruire i temi della sicurezza da parte dei media ha sicuramente dato un contributo notevole nel diffondere o nell’alimentare il sentimento di insicurezza fra la gente e nel creare un’attenzione spesso spropositata nei confronti di questi temi.

Ad un mondo che è radicalmente cambiato e che è ancora in continua e repentina trasformazione, lo Stato oppone ancora una strategia, nella politica della sicurezza e del controllo de territorio, basata essenzialmente sullo stesso concetto: la polizia opera in risposta ad un fenomeno deviante della società. Interviene, cioè per colpire l’evento eccezionale, eversivo che si pone in contrasto con il sistema.

Tale strategia operativa basata pressoché esclusivamente sulla tempestività dell’intervento, sull’efficienza telematica, sull’innovazione tecnologica, cioè sulla repressione, nacque negli anni Trenta come risposta al salto di qualità tecnologico di cui per prima aveva approfittato la criminalità comune e organizzata. Tale strategia ha retto bene fino ai primi anni Settanta, ma è divenuta oggi, come è facile constatare, assolutamente fallimentare.

Quando l’illegalità, anche nella sua accezione di disordine sociale, è talmente diffusa da permettere abitudini di una larga maggioranza dell’opinione pubblica

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