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alle pronunce della Corte Costituzionale), avanzava articolate censure di incostituzionalità in riferimento all'art. 1 comma 194 legge n.

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Contributi - Fondi di previdenza complementare - Somme versate dal datore

di lavoro per l'erogazione di prestazioni integrative previdenziali e assistenziali - Periodo contributivo dal 1° settembre 1985 al 30 giugno 1991 - Omissione contributiva - Obbligo del datore di lavoro di versare i contributi previdenziali nella misura del 15 per cento di detta somma - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza.

Tribunale di Torino - 2.10/7.11.2000, n. 4643/00 - Dott. Milani - COMAU S.p.a. (Avv.ti Bonamico, Borsotti) - INPS (Avv. Cuomo).

È manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 194, L. 23 dicembre 1996, n. 662, il quale dispone che, limitatamente al periodo contributivo dal l° settembre 1985 al 30 giugno 1991, in deroga alle disposizioni sulla ordinaria prescrizione relativa alla contribuzione previdenziale e assistenziale obbligatoria, i datori di lavoro, per i periodi per i quali non hanno corrisposto tale contribuzione sulle somme versate a finanziamento delle casse, fondi, gestioni o forme assicurative eroganti prestazioni integrative previdenziali e assistenziali, sono tenuti al pagamento dei contributi nella misura del 15 per cento sulle somme predette.

FATTO E DIRITTO. - Con ricorso depositato in data 4.9.97 la parte ricorrente, dopo avere rilevato che la legge 23 dicembre 1996 n. 662 all'art.1 comma 194, dispone che per il periodo contributivo 1 settembre 1985 - 30 giugno 1991, i datori di lavoro che abbiano finanziato regimi integrativi previdenziali e assistenziali a favore dei propri dipendenti in deroga alle disposizioni della legge n 335/95, che disciplinano la prescrizione dei contributivi previdenziali, sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali nella misura del 15 per cento sulle contribuzioni e le somme versate o accantonate a quel fine, che l'INPS con circolare 8.1.97 aveva stabilito che detto contributo del 5% doveva essere versato non solo in relazione ai versamenti o accantonamenti per finalità di previdenza e assistenza integrativa, ma anche sui premi per polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro per i rischi professionali, che la società esponente pur versando le prime rate, dichiarava di disconoscere il debito per contribuzioni di cui all'art. 1 comma 194 legge n.662/96, formulava espressa riserva di ripetizione ed esperiva peraltro senza esito le impugnative in sede amministrativa, dopo avere delineato l'excursus normativo e giurisprudenziale (questo in particolare riferito

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alle pronunce della Corte Costituzionale), avanzava articolate censure di incostituzionalità in riferimento all'art. 1 comma 194 legge n.662/96 nella parte in cui dispone che "i datori di lavoro, per i periodi per i quali non abbiano versato i contributi di previdenza e di assistenza sociale sulle contribuzioni e somme di cui all'art. 9 bis, comma 1 (...) sono tenuti al pagamento dei contributi previdenziali nella misura del 15 per cento sui predetti contributi e somme", in riferimento all'art. 1 comma 194 legge n.662/96 nella parte in cui dispone che i datori di lavoro sono tenuti al pagamento del contributo del 15% ivi stabilito "limitatamente al periodo contributivo dal 1 settembre 1985 al 30 giugno 1991, in deroga alle disposizioni di cui all'art. 3, commi 9 e 10 della legge 8 agosto 1995 n. 335, per i quali non abbiano versato i contributi di previdenza ed assistenza sociale sulle contribuzioni e somme di cui all'art. 9 bis", in riferimento all'art. 1 comma 193 (secondo periodo) legge n. 662/96 nella parte in cui dispone, per i versamenti effettuati prima dell'entrata in vigore della legge n. 166 del 1991 (30 giugno 1991), la soluti retentio a favore degli enti previdenziali.

La società ricorrente deduceva inoltre, "affermata l'illegittimità costituzionale" delle norme citate, la conseguente illegittimità della circolare INPS n. 20 del 1997; in particolare per quanto attiene agli oneri impositivi relativi alle polizze per rischi professionali la società esponente escludeva per i relativi premi l'applicabilità dell'art.

12 legge n.153/69, essendo (le polizze) stipulate per l'esigenza e nell'interesse esclusivo del datore di lavoro a fronte della responsabilità di cui all'art. 2087 cond. civ..

La parte ricorrente concludeva nel merito in via preliminare chiedendo la rimessione alla Corte Costituzionale delle questioni delineate previa declaratoria di rilevanza e non manifesta infondatezza: "subordinatamente all'esito del giudizio innanzi alla Corte Costituzionale" veniva richiesta la declaratoria di illegittimità dell'imposizione contributiva disposta con l'art. 1, commi 193 e 194 della legge n. 662 del 1996 e la condanna dell'ente previdenziale convenuto "alla restituzione di tutte le somme che risultino versate per i titoli di cui trattasi con gli interessi di legge e il maggior danno ex art. 1224, secondo comma, Cod Civ, e la dichiarazione di illegittimità e la disapplicazione della Circolare INPS del 28.1 1997 n. 20.

In ogni caso e in via gradata veniva richiesta la declaratoria di inesistenza dell'obbligo di versare il contributo previsto dall'art. 1 comma 194 della legge n. 662 del 1996 sui premi di assicurazione per gli infortuni derivanti ai dipendenti da rischi professionali con conseguente condanna dell'Ente alla restituzione delle somme versate a tale titolo, oltre accessori.

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L'INPS, costituendosi ritualmente in giudizio, eccepiva l'inammissibilità della domanda principale proposta dalla società ricorrente, sul presupposto che in tal modo dovesse intendersi la variegata eccezione di illegittimità costituzionale proposta nel ricorso; per il resto ripercorreva la panoramica normativa e giurisprudenziale della vicenda con ottica e accenti del tutto ribaltati rispetto alle argomentazioni del ricorso; si osservava tra l'altro che un'eventuale pronuncia di incostituzionalità avrebbe condotto a risultati del tutto opposti rispetto a quelli auspicati dalla parte ricorrente; veniva anche contestato il requisito della rilevanza in riferimento alla questione di legittimità costituzionale circa le deroghe ai termini prescrizionali stabilite dall'art. 1 comma 194 legge n. 662/96.

Venivano disposti vari rinvii dal momento che nelle more, in altri giudizi di contenuto analogo, erano state proposte alla Corte Costituzionale varie questioni di legittimità sostanzialmente ricalcanti quelle delineate nei ricorso.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 178 del 25.5/8.6.2000(1), si pronunciava, dichiarando inammissibili alcune questioni, non fondate le altre.

All'udienza del 2.10.2000, all'esito della discussione, la causa è stata decisa come da dispositivo trascritto in calce.

In riferimento alle tematiche di causa, il progressivo quadro normativo e giurisprudenziale, come finalmente delineato nella sentenza n.178 del 25.5/8.6.2000 della Corte Costituzionale è il seguente.

1) In una prima fase la nozione generale di retribuzione imponibile di cui all'art. 12 legge n. 153/69, secondo l'interpretazione costante (diritto vivente) e come riconosciuto dalla Corte Costituzionale (sent. n. 427/90(2) e ord. n. 225/95(3)) ricomprendeva i

"contributi versati dalle imprese a fondi di previdenza integrativa previsti da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali".

2) In una seconda fase il legislatore, con l'art. 9 bis comma primo, primo periodo, del decreto legge n. 103 del 1991, aggiunto dalla legge di conversione del 1 giugno 1991 n.

166, derogò a detta nozione generale di retribuzione imponibile per quanto attiene ai contributi predetti.

Con il secondo periodo del primo comma il legislatore limitò la retroattività della norma stabilendo la soluti retentio del contributi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione; in sostanza il legislatore del 1991 concesse una sanatoria totale ai datori di lavoro inadempienti a detti obblighi contributivi per il periodo anteriore al 2.6.1991; per quanto attiene al periodo successivo all'entrata in

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vigore della normativa in oggetto, il secondo e terzo comma imposero un contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro nella misura del 10%.

3) A seguito del decreto legislativo del 21 aprile 1993 n. 124, è venuto meno (senza efficacia retroattiva) per i fondi di previdenza complementare il referente di cui all'art.

12 legge n. 153/69; detti contributi non possono più definirsi "emolumenti retributivi con funzione previdenziale", ma contributi di natura previdenziale, quindi estranei alla nozione di retribuzione imponibile di cui all'art. 12. E' peraltro possibile e doveroso che tali emolumenti formino oggetto di contributo di solidarietà alla previdenza pubblica, che non è contributo previdenziale in senso tecnico. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 421 del 1995(4), rilevando che la sanatoria totale a favore dei datori di lavoro "senza alcuna contropartita analoga" al contributo di solidarietà previsto per il futuro (a decorrere dal 2 giugno 1991) si pone in contrasto con il principio di razionalità - equità (art. 3 Cost.) coordinato con il principio di solidarietà, con quale deve integrarsi l'interpretazione dell'art. 38, secondo comma Cost., ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 9 bis comma 1 del decreto legge n. 103 del 1991.

E' infine intervenuta la legge n. 662/96 che ai commi 193 e 194 (disposizioni poste dalla ricorrente all'attenzione della Corte per questioni di legittimità costituzionale), ha sostituito il comma 1 dell'art. 9 bis del decreto legge n. 103 del 1991, prevedendo, per il periodo dal 1 settembre 1985 al 30 giugno 1991, "in deroga alle disposizioni di cui all'art. 3, commi 9 e 10 della legge 8 agosto 1995 n. 335", un contributo previdenziale del quindici per cento a carico dei datori di lavoro inadempienti agli obblighi contributivi sui finanziamenti a casse, fondi, gestioni, forme assicurative previdenziali o assistenziali integrative di cui al suddetto art. 9 bis, comma 1.

La posizione della odierna ricorrente e proponente varie questioni di legittimità costituzionale è appunto quella di "datore di lavoro inadempiente agli obblighi contributivi" sui finanziamenti in oggetto per cui si pone l'obbligo di pagamento del contributo di solidarietà del 15% per il periodo settembre 85 - giugno 1991.

Fatte salve le questioni relative alla deroga sui termini prescrizionali (di cui nel prosieguo), la Corte Costituzionale, con la sentenza n.178/2000, ha escluso tutti i dubbi di legittimità proposti.

Attenendosi alle problematiche che rilevano nel presente giudizio, ha negato la violazione dell'art. 3 Cost, in relazione al fatto che per il periodo contributivo 1 9.85 - 30.6.91 sia stabilito un contributo di entità diversa e superiore rispetto a quello previsto per il periodo successivo, in quanto ciò è giustificato dalla differenza temporale del

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periodo di riferimento e dalla previsione del beneficio della rateazione in diciotto bimestri del pagamento del debito contributivo per il periodo più antico; le stesse ragioni giustificano il fatto che il contributo sia stabilito in misura superiore a quella stabilita dalla legge per altri contributi di identica o analoga natura.

La Corte ha poi valutato "prive di consistenza" le censure riferite congiuntamente ai parametri di cui agli artt. 3, 53 e 47 Cost..

Il riferimento all'art. 53 è inconferente in quanto la contribuzione previdenziale (in senso lato), che ha la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori, non è assimilabile all'imposizione tributaria vera e propria.

Per quanto attiene all'art. 47 Cost., è escluso che il contributo in oggetto possa comportare una lesione del principio di tutela del risparmio. rappresentando una equa e razionale "saldatura" fra la tutela dell'interesse individuale dei lavoratori ad usufruire di forme di previdenza complementare con il "dovere specifico di cura dell'interesse pubblico a integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti ai soggetti economicamente più deboli".

Ha infine giudicato infondate anche le censure per violazione dell'art. 136 sollevate sul presupposto che le disposizioni in oggetto non avrebbero rispettato le linee guida della sentenza n 421 del 1995 della Corte Costituzionale. Il Giudice delle leggi chiarisce in proposito che, con la precedente sentenza, meramente caducatoria, pur censurando la mancata previsione da parte dei legislatore, di una contropartita analoga al contributo di solidarietà stabilito per il futuro, si avvertiva espressamente che "la caducazione della norma di favore non interferisce nella discrezionalità del legislatore, il quale rimane libero di intervenire come meglio crede per riordinare la materia riconducendone la disciplina a razionalità". Con l'introduzione delle norme di cui alla legge n. 662/96, il legislatore ha appunto introdotto un contributo di solidarietà

"analogo" e peraltro rispondente ai requisiti dell'equità e della razionalità.

La Corte Costituzionale ha dichiarato non ammissibili per difetto di rilevanza le questioni relative all'asserita deroga che le norme denunciate avrebbero apportato al regime ordinario della prescrizione dei crediti per i contributi previdenziali.

In relazione a tali questioni, riproposte nell'odierno ricorso, si deve pervenire ad un giudizio di irrilevanza.

Infatti l'INP5 ha prodotto verbali di accertamento rispettivamente nn. 503 e 514 del 7.12.1995 dai quali incontrovertibilmente si deduce, in relazione ai crediti contributivi in oggetto, l'interruzione della prescrizione; l'atto interruttivo, tenendo anche conto

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della sospensione prevista dall'art. 2 comma 19 del decreto legge 12 settembre 1983, conv. in legge 11.11.1983 n. 638, "copre" tutto il periodo di pretesa decorrente dal 1 settembre 1985. Non si pone quindi alcun problema di deroga ai termini prescrizionali previsti dalla legge n.335/95.

Se poi si ritenesse che l'art. 1 comma 194 della legge n. 662/96 abbia introdotto un nuovo contributo (in quanto non previsto con quelle caratteristiche dalla legislazione previgente), secondo quanto argomentato in alcune ordinanze di remissione alla Corte Costituzionale, il termine prescrizionale non risulterebbe decorso.

Infine la parte ricorrente lamenta che la pretesa dell'INPS che trae fonte dalle norme censurate si riferisca anche alle polizze assicurative per rischi professionali.

Anche tale doglianza appare infondata, in quanto la società ricorrente non è riuscita a dimostrare per quali ragioni tali polizze debbano ottenere un regime differenziato rispetto alle altre forme di contribuzione. Infatti, fermo restando che l'art. 9 bis fa riferimento a "contribuzioni o somme ... da parte dei datori di lavoro nei confronti dei lavoratori, a finanziamento di casse, fondi, gestioni, o forme assicurative previste da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali ... " (con formulazione che anche sul piano letterale appare estesa anche alle polizze assicurative stipulate in favore dei lavoratori), non si comprende il riferimento della parte ricorrente al fatto che le polizze in oggetto coprirebbero esclusivamente i rischi che l'impresa si assume in riferimento alle violazioni ex art. 2087 cod. civ.; infatti, in assenza di allegazioni più precise sulle tipologie contrattuali in oggetto, si deve ritenere che le forme assicurative che vengono in discussione al fine di stabilire l'onere del datore di lavoro al pagamento del contributo di solidarietà, sono quelle che prevedono (anche eventuali) prestazioni differite in favore dei lavoratori, e non quelle stipulate dal datore di lavoro in proprio favore per le coperture di danni biologico o da responsabilità civile.

Per tutte le considerazioni esposte il ricorso ve respinto.

Il complesso iter legislativo e giurisprudenziale posto alla base della decisione giustifica la compensazione delle spese nella misura di un terzo, mentre i due terzi restanti sono posti a carico della parte ricorrente per il principio della soccombenza.

(Omissis)

(1) V. in q. Riv., 2000, p. 738 (2) Idem, 1990, p. 1700 (3) Idem, 1995, p. 892 (4) Idem, idem, p. 886

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