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Centro Olimpico MATTEO PELLICONE Via dei Sandolini, Lido di Ostia RM 1/2020

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Academic year: 2022

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(1)

degli Sport di Combattimento

Centro Olimpico MATTEO PELLICONE Via dei Sandolini, 79 - 00122 Lido di Ostia RM

1/2020

(2)

degli Sport di Combattimento Anno VI, Numero 1 gennaio-giugno 2020

ISSN 2533-1949

A cura del Direttore Artistico, Architetto LIVIO TOSCHI Comitato scientifico

MAurIzIO BrunI, AuGuSTO FrASCA, LIVIO TOSCHI

Grafica: LT

Redazione

telefono e fax: 06.8271005 museo.fijlkam@gmail.com

Siti web del Museo

https://www.fijlkam.it/default.ashx?pagina=269 https://liviotoschi.webnode.it/museo-fijlkam

https://museo-fijlkam.webnode.it Il Museo è anche su Twitter (@MuseoFIJLKAM)

Gli Indici dei Quaderni del Museo si possono consultare alla pagina web https://liviotoschi.webnode.it/museo-fijlkam/mostre/quaderni-del-museo/indici/

© Museo degli Sport di Combattimento (MuSC)

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Presentazione p. 2 Prefazione (di Vanni Lòriga) 5

La nuova mostra al Museo / Ars dimicandi(di LT) 8

A proposito della mostra Ars dimicandi

• La corsa degli opliti (oplitodromia) a Olimpia(di Livio Toschi) 12

• Le ali spezzate dei nuotatori (di Alberto Zanetti Lorenzetti) 14

• Come si arrivò ai Giochi del 1919 a Parigi (di Vanni Lòriga) 18

• I Giochi “interalleati” del 1919 a Parigi(di Livio Toschi) 20

• Frank Sinatra al Foro Mussolini(di Augusto Frasca) 34

RUBRICHE

Amarcord

Un convegno nel X Municipio ci fa riscoprire Luigi Pianciani.

Ma chi era costui? (di Livio Toschi) 38

Pagine di storia / Pagine di gloria

(di Vanni Lòriga e Livio Toschi) 46

Lo scaffale

Storia della FIJLKAM e della Lotta 51

Artisti al Museo

Loredana Pancotto 52

In punta di matita

(vignetta di Lucio Trojano) 53

Il Museo ringrazia 54

Hanno esposto al Museo 55

Attività del Museo 56

Scrivono del Museo 59

Doni al Museo e alla Biblioteca 62

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PRESENTAZIONE

di LIVIO TOSCHI

Q

uesto numero dei Quaderni del Museo è dedicato al convegno su Un secolo di fratellanza nello Sport e alla mostra d’arte Ars dimicandi.

Il convegno ha ripercorso, per quanto sommariamente, un secolo di storia dello sport militare partendo da quella grande e gioiosa manifestazione che si svolse a Parigi al termine di una guerra sanguinosa. Molti sportivi erano caduti sui campi di battaglia, ma si volle gridare al mondo che le uniche battaglie degne di essere combattute erano quelle sportive, che affratellavano i popoli anziché dividerli. A Parigi, nel 1919, sotto l’impulso dell’YMCA, vigorosamente sostenuto dal generale americano Pershing, per due settimane si disputarono i cosiddetti “Giochi interalleati”. Il nome era dovuto al rifiuto di farvi partecipare anche le nazioni nemiche e sconfitte. Il barone de Coubertin non volle che i Giochi fossero definiti

“Olimpiade militare” poiché temeva che l’opinione pubblica venisse fuorviata e facesse confusione tra le sue Olimpiadi e quella competizione dall’impronta decisamente americana, riservata solo ai militari dell’Intesa, per di più senza distinzione tra dilettanti e professionisti.

I “Giochi interalleati” rilanciarono lo sport, non solo militare, anche in Italia.

ricordo soltanto, per restare agli atleti in divisa, che dal 4 all’11 novembre 1919 si disputò a roma (Stadio nazionale, ippodromo di Tor di Quinto, poligono della Farnesina e rive del Tevere) il 1° Campionato militare italiano di educazione fisica, definito “della Vittoria”, e che – con regio decreto n. 451 del 20 aprile 1920 – fu costituita nella capitale la Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica, con sede nei locali del Tiro a Segno alla Farnesina. Quale logica conseguenza di questo auspicato “risveglio”, che procurò allo sport maggiori attenzioni e finanziamenti, gli atleti affrontarono le successive competizioni più numerosi, più preparati, più determinati.

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Dopo un lungo cammino costellato di successi arriviamo al settembre 1946, quando – anche questa volta al termine di un terribile conflitto mondiale – si tenne a Berlino una competizione sportiva interalleata, promossa dal generale statunitense Joseph Mcnarney, ideatore dell’AFSC (Allied Forces Sports Council). L’organismo, fondato a Francoforte il 6 febbraio 1946 grazie all’iniziativa del colonnello Bebrus e del maggiore Mollet, fu anticipatore del CISM ed ebbe tra i Paesi fondatori Belgio, Cecoslovacchia, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda, norvegia, Polonia e Stati uniti. Ma l’AFSC ebbe vita breve e già nel 1947 fu sciolto a causa di divergenze politiche. Tuttavia l’ideale aveva ormai attecchito e l’anno seguente nacque il CISM (Consiglio Internazionale dello Sport Militare), di cui il generale Gola è stato presidente per 12 anni e lo è ancora a titolo onorario.

Il CISM fu fondato a nizza il 18 febbraio 1948 con l’ambizioso motto «Friendship through Sport» (Fratellanza attraverso lo Sport). Nel 1949 entrò a farne parte anche l’Italia, che si aggiunse a Belgio, Danimarca, Francia, Lussemburgo. Olanda, Svezia e Turchia. nel 1950 si unirono l’Argentina e l’Egitto, nel 1951 gli Stati uniti d’America, nel 1952 l’Iraq, il Libano, il Pakistan e la Siria. Il CISM conta ora 140 Paesi aderenti, tra cui quelli provenienti dal disciolto SKDA, che faceva capo al Patto di Varsavia.

Il momento di svolta si verificò nel 1993 a Ostia, dove si tenne un symposium del CISM sul tema Military Sport Activities in the World of Sport. Venne organizzato dalle Fiamme Gialle e ospitato nel Centro Olimpico della FILPJ (oggi FIJLKAM) dal 25 settembre al 1° ottobre. In quell’occasione Gianni Gola – allora colonnello – lanciò l’idea d’istituire, a cadenza quadriennale, i Giochi Mondiali Militari. Il COnI, nella persona del suo presidente Mario Pescante, ne fu garante entusiasta.

Prima edizione a roma nel 1995, a 50 anni dalla conclusione del secondo conflitto mondiale. un evento perfettamente organizzato, che all’inaugurazione nello Stadio Olimpico (6 settembre) vide la presenza del Presidente della repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, e delle massime Autorità dello Stato. novantatre le nazioni in campo con 4.017 atleti, che si sfidarono in 17 discipline sportive.

Oltre al successo di pubblico (500.000 spettatori complessivi) anche il risultato della squadra italiana fu notevole: 51 medaglie, di cui 22 d’oro, 16 d’argento e 13 di bronzo, che ci valsero il 2° posto alla spalle della russia.

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Le altre edizioni si sono disputate a zagabria (1999), Catania (2003), Hyderabad (2007), rio de Janeiro (2011), Mungyeong (2015). A Wuhan, dal 18 al 27 ottobre 2019, hanno partecipato alla VII edizione dei Giochi oltre 10.000 atleti di 122 paesi, che si sono sfidati in 27 discipline.

Di tutto ciò, concentrato in appena due ore di convegno, si è parlato nell’aula magna del Centro Olimpico FIJLKAM. Ai saluti del presidente della FIJLKAM, Domenico Falcone, e di riccardo Meloni, responsabile delle risorse umane di Sport e Salute, hanno fatto seguito la presentazione di Vanni Lòriga, le relazioni del generale Gianni Gola e dell’architetto Livio Toschi, la comunicazione del tenente colonnello Walter Borghino.

Questo Quaderno ha il compito di conservare il ricordo del prestigioso evento, accompagnato da altri momenti significativi: la visita al Museo degli Sport di Combattimento, la visita alle mostre d’arte allestite nel Museo stesso (Ars dimicandi e La Musica: forme e colori), l’intitolazione della Hall of Fame al campionissimo della lotta nonché valoroso combattente nella Grande Guerra Giovanni Raicevich.

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PREFAZIONE

di VANNI LÒRIGA

S

ono molto gratificato per l’incarico di presentatore (in tutti i sensi) del Convegno e del Quaderno dedicati a quel secolo di storia che intercorre fra il 1919 e il 2019. Ed avendo vissuto il 90 per cento di questi anni in maniera molto spesso diretta sento quasi il dovere di assolvere questo doppio compito. Si parla e si tratta di militari e di sport e praticamente ho trascorso tutta la mia esistenza in questi ambienti.

Per quanto riguarda lo sport segnalo con piacere che mio nonno (classe 1848), dal quale ho ereditato il nome di Giovanni Maria, fu il primo ad acquistare in Gallura una bicicletta. Lo fece nel 1909 esaltato dal fascino della prima edizione del Giro d’Italia, illustratissimo dalla Domenica del Corriere, la Televisione di quei tempi. Anche i suoi tre figli Mario, Augusto e Ferdinando (mio padre) furono indotti a praticare soprattutto la ginnastica dalla prima pagina che quel mitico settimanale a colori aveva dedicato al “cristo” di Alberto Braglia. Passarono poi dallo sport alle trincee, tutti e tre arruolati nella indomita Brigata Sassari.

Insieme a loro c’era un nostro stretto parente, quel Giovanni Pietro Giua che fu il più giovane, ancora minorenne, capitano dell’Esercito Italiano, promosso per l’impiego delle bombarde nella presa di Gorizia. Il quale zio nino, come lo chiamavamo in casa, all’Accademia era stato il primo in ginnastica ed equitazione e per anni aveva vinto i campionati militari di tiro con la pistola d’ordinanza.

Con questi precedenti familiari il mio destino era segnato: per oltre sedici anni ho militato nel corpo dei Bersaglieri ed in quel periodo ho fra l’altro insegnato alla Scuola di Educazione Fisica di Orvieto; comandato il plotone pugili dell’Esercito e la Compagnia Atleti; allenato le nazionali di pentathlon moderno e militare;

partecipato come tecnico o caposquadra a molti Campionati mondiali del CISM. Per dimostrare che una certa gavetta in queste attività militar-sportive l’ho praticata...

nel frattempo non ho trascurato un’altra passionaccia, quella della scrittura. Ovviamente, preferendo gli argomenti legati allo sport e alla storia militare.

Sull’argomento ho dato alle stampe una decina di libri.

Trattai per la prima volta dei Giochi Interalleati di Parigi in un saggio del libro edito da Laterza nel 1989 con il titolo Esercito e Sport. Lamentavo fra l’altro che «non sono stati mai sufficientemente valutati per la loro importanza storica ed inquadrati come momento di

svolta organizzativa». Inaugurazione dei Giochi Mondiali Militari 1995 nello Stadio Olimpico di Roma

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Per questo motivo ritengo esemplare l’approfondito studio di Livio Toschi, che rivela aspetti poco noti del grande appuntamento sportivo del 1919.

Sui moderni Giochi conclusi pochi mesi fa in Cina determinante è la testimonianza del Generale Gianni Gola, che in definitiva fu il loro ideatore nel 1993. nella sua brillante relazione al convegno ha raccontato anche la storia dell’evoluzione dello Sport Militare e dell’attività del CISM, che ha presieduto per dodici anni e a cui ora sopraintende a titolo onorario.

A tutto ciò poco posso aggiungere. Mi permetto solo di segnalare che il Capo Delegazione ai “Giochi Pershing” fu il generale dei Bersaglieri Sante Lorenzo Minotti Ceccherini, che subito dopo Parigi partecipò all’Impresa Fiumana. E proprio a Fiume per la prima volta venne cucito sulle maglie degli atleti lo Scudetto Tricolore, simbolo insostituibile della nostra Italia.

E con quel tricolore sul petto continuiamo a batterci sui campi di gara nel segno della fraternità. Si tratta evidentemente delle battaglie che preferiamo.

NdR - Vanni Lòriga ha scritto tre articoli sul convegno:

La fraternità compie 100 anni, in “TempoSport”, 11-12, novembre-dicembre 2019, pp. 40-41

Con Gianni Gola e Livio Toschi la Storia dello sport militare (1aparte), in “FIJLKAM news”, 28 novembre 2019

Con Gianni Gola e Livio Toschi la Storia dello sport militare (2aparte), in “FIJLKAM news”, 29 novembre 2019

Da sinistra: Vanni Lòriga, Gianni Gola (in piedi), Livio Toschi, Domenico Falcone, Riccardo Meloni e Walter Borghino

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La nuova mostra al Museo (26 novembre - 5 dicembre 2019)

Ars dimicandi

di LIVIO TOSCHI

Q

uesta mostra, intitolata Ars dimicandi, è la XVI collettiva d’arte che inauguriamo nel Museo.

Alla mostra sono stati invitati 10 artisti, chiedendo loro di realizzare un’opera ciascuno sul tema della mostra. Le opere, esposte nel salone antistante l’Aula Magna del Museo, sono state molto apprezzate sia dal pubblico che ha partecipato al convegno sullo sport militare, sia dal pubblico che ha partecipato alla manifestazione svoltasi al Centro Olimpico FIJLKAM il 5 dicembre 2019: Il laboratorio delle opportunità, organizzata dalla nostra Federazione, dall’Associazione Medaglie d’Oro al Valore Atletico (AMOVA) e dall’unione Stampa Sportiva Italiana (uSSI).

Segnaliamo che durante Il laboratorio delle opportunità, all’interno del Museo, abbiamo tenuto dei brevi corsi di pittura e disegno, gestiti dai nostri valenti artisti Ercole Bolognesi, Fabio e Lanfranco Finocchioli, Lucio Trojano.

I dieci artisti invitati alla mostra Ars dimicandi sono:

Ercole Bolognesi, La battaglia di Isso, olio su tela Alfredo Ferri, Esodo, acrilico su tela

Fabio Finocchioli, L’un contro l’altro armato, acrilici su tela

Lanfranco Finocchioli, Ettore e Achille: la sfida, olio e smalti su tela

Silvia Girlanda, Achille e Pentesilea, terracotta e ingobbio

Roberta Gulotta, Le macchine di Leonardo, tempera acrilica su tela a vernice dorata Valeria Macaluso, Leonida e i Trecento, porcellana Egidio Scardamaglia, Morte di Ettore, olio su MDF Luigi Antonio Speranza, Gladiatori, ferro e legno Lucio Trojano, Moderno cavallo di Troia, cartoncino

Lanfranco Finocchioli, Ettore e Achille:

la sfida, olii e smalti su tela, 60x80 cm

La locandina della manifestazione Il laboratorio delle opportunità

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nel manifesto della mostra Ars dimicandi abbiamo inserito l’immagine del re di Sparta Leonida. Questo Quaderno viene pubblicato nel 2500° anniversario dell’epica difesa del passo delle Termopili.

In ricordo di Leonida (540-480 a.C.) citiamo tre frasi attribuitegli da Plutarco (Le virtù di Sparta).

Qualcuno gli chiese: «Leonida, sei venuto con così pochi uomini a combattere contro un’armata?». Ed egli rispose: «Sono comunque molti, visto che li ho portati qui a morire».

Un soldato disse: «Non riusciamo neanche a vedere il sole, tanto sono fitte le frecce dei Persiani». Leonida replicò: «Meglio così: potremo combattere all’ombra».

Quando Serse gli intimò di consegnare le armi, gli

rispose: «Vieni a prenderle». Valeria Macaluso, Leonida e i Trecento, pittura su porcellana, Ø 30 cm

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Gli artisti e il pubblico alla mostra Ars dimicandi, allestita al pianterreno del Museo

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Gli artisti e il pubblico alla mostra Ars dimicandi, allestita al pianterreno del Museo

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A proposito della mostra Ars dimicandi

La corsa degli opliti (oplitodromia) a Olimpia

di LIVIO TOSCHI

S

e dal 680 a.C. la corsa di quadrighe costituì la gara di apertura dei Giochi, l’ultima gara, introdotta

nel 520 a.C., fu la corsa in armi (oplites dromos), che si disputava sulla distanza di due stadi a Olimpia, di 4 stadi a nemea e addirittura di 15 a

Platea. Gli atleti erano nudi, ma indossavano scudo, elmo e schinieri (più tardi vennero eliminati gli schinieri [PAuSAnIA, Ellados periegesis, VI, 10, 4]). All’inizio le armi erano quelle personali, poi – secondo Pausania [V, 12, 8] – nel tempio di zeus si custodirono 25 scudi di bronzo da distribuire agli oplitodromoi prima della gara.

ricordo che gli opliti prendevano il nome dallo scudo rotondo e cavo imbracciato, di circa 90 centimetri di diametro e pesante 8 chili, l’oplon.

Fra le opere d’arte che raffigurano degli oplitodromi e non sono qui illustrate cito la statua di Epicarino, opera di Crizia

(contemporaneo di Fidia), sull’Acropoli di

Atene [PAuSAnIA, I, 23, 9], un’anfora a figure nere al British Museum di Londra (490-480 a.C.), la coppa a

figure rosse di nicostene al Walters Art Museum di Baltimora (495 a.C.) e due coppe al Museo Archeologico nazionale di Firenze.

L’origine della gara risalirebbe alla guerra implacabile tra gli Elei e gli abitanti di Dyme, che non si arrestò neppure per la tregua olimpica (ekecheiria), considerata sacra da tutti i Greci. La vittoria arrise infine agli Elei proprio durante i Giochi (ma non sappiamo in quale anno) e un oplita corse dal campo di battaglia fino allo stadio di Olimpia per annunciare la vittoria. Da allora la corsa in armi fu inclusa nel programma dei Giochi, anche per attestare l’importanza crescente della fanteria oplitica rispetto alla cavalleria, costituita da aristocratici.

Oplitodromo con elmo, scudo e schinieri alla partenza, anfora del Pittore di Berlino (480-470 a.C.) – Louvre, Parigi

Statuetta in bronzo di un oplitodromo alla partenza, mancante dello scudo al braccio sinistro, h 16,5 cm (485 a.C.) – Istituto Archeologico dell’Università di Tubinga

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Trattandosi dell’ultima gara delle Olimpiadi, secondo alcuni autori [FILOSTrATO, 7] voleva annunciare l’ormai prossima fine della ekekeiria e la conseguente probabile ripresa dei conflitti tra le bellicose poleis greche.

Conflitti che gli atleti rappresentavano e allo stesso tempo esorcizzavano nella gara con l’uso di scudo, elmo e schinieri.

Il primo vincitore dell’oplitodromia fu Damareto di Erea, che si affermò nuovamente nel 516 a.C. Gli atleti più coronati furono Leonida di rodi con 4 successi (164, 160, 156 e 152 a.C.) ed Ermogene di Xanto con 3 successi (81,

85 e 89 d.C.). ricordo che il vincitore dello stadion (corsa di 600 piedi, ossia di quasi 200 metri), del diaulos (doppio stadion) e dell’oplitodromia riceveva l’onorifico epiteto di triastes.

Il primo triastes a noi noto è Fana di Pellene nel 512 a.C.; il secondo è Astilo di Crotone, che però nel 480 a.C. gareggiava per Siracusa; il terzo è il già citato Leonida di rodi, che fu triastes per 4 volte dal 164 al 152 a.C. Il che significa che conquistò ben 12 corone di ulivo.

Anche nelle moderne Olimpiadi, a partire dai Giochi del 1896, è una corsa a chiudere le gare: la maratona, ideata dal filologo francese Michel Bréal in ricordo del soldato che nel 490 a.C. corse da Maratona ad Atene per annunciare la vittoria sui Persiani. Sul suo nome esistono versioni diverse e anche sulla distanza percorsa non c’è accordo. Molti autori non credono neppure che sia morto per lo sforzo compiuto. Per approfondire le molteplici problematiche sull’evento rinvio all’opuscolo dello studioso polacco Bronislaw Bilinski, L’antico oplite corridore di Maratona, Signorelli, roma 1960.

Oplitodromi con elmi e scudi, anfora di Nicomaco, da Bengasi, h 66,5 cm (323-322 a.C.) – Louvre, Parigi

Coppa con oplitodromo, da Tarquinia, del Pittore di Antifone (490 a.C.) – Altes Museum, Berlino

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A proposito della mostra Ars dimicandi

Le ali spezzate dei nuotatori

di ALBERTO ZANETTI LORENZETTI (foto dalla raccolta dell’Autore)

P

avia, capitale dell’Italia longobarda, pur essendo al centro della Pianura padana sembra essere una città che emerge dalle acque. La attraversa il Ticino, è solcata da navigli ed è circondata dalla coltivazione principe della sua fertile terra, il riso, che evoca il ricordo di prati marcitoi e di mondine. non deve quindi meravigliare se in questo luogo sono ben radicati gli sport d’acqua. All’inizio del novecento la locale rari nantes coglieva allori nazionali nel nuoto grazie a Mario Albertini e Mario Ferrari, mentre il canottaggio viveva il “derby del remo” fra i battellieri della Canottieri Ticino e quelli della Colombo, nomi di sodalizi particolarmente legati a regate di venete e sandolini. Per le barche a motore bisognerà attendere il 1929, anno di costituzione della Motonautica Pavia e della organizzazione del raid Pavia-Venezia.

Di competizioni internazionali di alto livello nei primi anni del secolo non è che ce ne fossero molte, ma a dare una scossa in svariate discipline sportive ogni tanto ci pensava La Gazzetta dello Sport. Per smuovere le acque – è proprio il caso di dirlo – nell’attività natatoria la rosea pensò bene di mettere in palio un trofeo, battezzato con il nome del quotidiano sportivo, destinato a una gara sui 400 metri da disputarsi a Pavia il 28 agosto 1913. Da parte sua, Mario Albertini – il già citato campione pavese che rivaleggiava per popolarità con il sollevatore di pesi Enrico Scuri – volle dotare di una coppa la prova sui 100 metri stile libero. Per entrambe le distanze si ebbero a contesa illustri italiani, ungheresi e una giovane promessa

istriana.

Fra tutti spiccavano i nomi del ligure Mario Massa, di Béla Las Torres da Budapest, e del compagno di squadra al Magyar Athletikai Club Budapest, Kálmán Bresselmayer, campioni di sicuro richiamo per un pubblico che aveva gremito le rive del tratto del naviglio tra Porta Milano e Porta Cairoli. L’italiano, talento precoce avendo vinto a 15 anni il primo titolo nazionale, eccelleva in tutte le distanze, da quelle più brevi al fondo e vantava la presenza ai Giochi olimpici di Londra e Stoccolma (nel 1920 sarebbe stato in gara anche ad Anversa). Béla Vilmos Akos von Las Torres, classe 1890, era un discendente da nobile stirpe di

Egidio Grego con il campione italiano di nuoto Mario Massa ed il prof. Aldo Boiti, grande personaggio dello sport triestino e della ginnastica italiana (indicati rispettivamente con i numeri 1, 2 e 3)

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origine spagnola, medaglia d’argento con la staffetta 4x200 metri stile libero alle Olimpiadi del 1908 e primatista mondiale dei 400 metri s.l. in carica. Pur avendo un palmarès meno prestigioso, Kálmán Bresselmayer era comunque uno dei migliori prodotti della scuola natatoria magiara.

La competizione disputata sui 100 metri in linea retta portò a una vittoria italiana, con Massa primo al traguardo salutato da fragorosi applausi, seguito da Bresselmayer. A sorpresa il terzo posto fu occupato da Egidio Grego, diciottenne istriano poco o nulla conosciuto al di fuori dei confini giuliani.

I 400 metri della Coppa Albertini vennero disputati su un tracciato con due giri di boa.

Questa volta il successo andò ai colori ungheresi, con Béla Las Torres davanti a Massa ed un terzo posto agguantato

da Virginio Bellezza, uno dei migliori nuotatori milanesi, insidiato da Grego. Il giovane istriano fu la vera sorpresa dell’incontro, tanto che La Gazzetta dello Sport scrisse:

«Ma l’uomo che maggiormente ci ha impressionato fra i campioni di categoria immediatamente inferiore è stato il Grego, d’Istria, che ha uno stile di una tecnica impeccabile. Tudjeonista assolutamente perfetto, è di una resistenza a tutta prova, e se un grave incidente non lo avesse danneggiato nella finale dei 400 sarebbe giunto assai vicino ai leaders».

In una sorta di rivincita al di fuori dei confini del regno d’Italia, il successivo 7 settembre nella località climatica di Abbazia si tenne una riunione alla quale prese parte anche László Beleznay, altro esponente di punta dello sport dell’ungheria, presente alle Olimpiadi di Stoccolma nel nuoto e nella pallanuoto nonché futuro dirigente della Federazione magiara e della International Swimming Association. Beleznay e Las Torres sconfissero Massa rispettivamente nei 100 metri s.l. e nei 1.000 metri. Dietro a loro Egidio Grego era sempre lì, come del resto il giorno dopo a Fiume, quando Mario Massa ebbe la soddisfazione di arrivare primo al traguardo dei 400 metri davanti a Las Torres.

Mario Massa, nuotatore di Nervi che si fregiò di 32 titoli nazionali individuali e 9 di staffetta. Partecipò alle Olimpiadi di Londra, Stoccolma e Anversa

Bela Las Torres, l’ungherese argento olimpico con la staffetta 4x200 metri nel 1908, vincitore di 17 titoli ungheresi, 6 austriaci e primatista mondiale dei 400 metri s.l.

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Il nuotatore di Orsera, piccolo paese all’imbocco del Canale di Leme, che partendo dalle gare triestine del Campionato dell’Ardiatico – assieme al consocio presso la Forza e Valore di Parenzo Domenico Depase, ucciso due decadi dopo nella foiba di Vines – si era rivelato come una delle più interessanti promesse dello sport natatorio ma, un anno dopo, l’inizio della Grande guerra spense ogni speranza.

richiamato alle armi all’entrata in guerra dell’Impero austro-ungarico, venne inviato a Gorizia a frequentare la Scuola Allievi ufficiali dove incontrò il cugino Ernesto Gramaticopulo. Animati da sentimento irredentista, i due decisero che se avessero dovuto combattere, l’avrebbero fatto per l’Italia, per cui in una notte del dicembre 1914 attraversarono a nuoto il vicino confine. All’entrata in guerra del regno d’Italia si arruolò e fu inquadrato nella Brigata Pistoia del 35° reggimento di fanteria. Fu insignito della Medaglia di bronzo al V.M. durante i combattimenti sul Podgora.

nominato ufficiale e trasferito alla Brigata Lombardia del 74° reggimento, nel giugno 1916 cadde prigioniero durante la Strafexpedition, combattuta sull’Altipiano di Asiago.

A differenza di Cesare Battisti e Fabio Filzi non venne riconosciuto, scampando così all’imperiale forca, e riuscì a fuggire.

nel luglio del 1916, grazie ai buoni uffici del cugino Gramaticopulo e di nazario Sauro, riuscì a farsi assegnare all’aviazione di marina in qualità di osservatore nella 253aSquadriglia operante a Grado.

Dopo un mese si guadagnò un’altra medaglia di bronzo per il coraggio dimostrato nel corso di un’azione in pieno giorno su Trieste. Il 23 maggio 1917 abbatté un aereo austriaco. La Gazzetta dello Sport così ne diede notizia il 17 settembre:

«Prima soldato nell’esercito austriaco, dal quale disertava in circostanze drammaticissime nell’inverno del 1914, ufficiale volontario di un nostro reggimento di fanteria, indi osservatore mitragliere d’idrovolanti, Egidio Grego, da Parenzo, fortissimo e valente nuotatore che molte volte gareggiò in Italia, anche vincendo, è stato recentemente decorato con medaglia d’argento al valor militare. Dalla motivazione della medaglia s’apprende che fu il Grego ad abbattere, a colpi di mitragliatrice, l’idrovolante austriaco nell’alto

Egidio Grego durante la Grande Guerra, ritratto su un idrovolante

Massimo Raicevich, fratello del più noto Giovanni e di Emilio, morto in Austria nel 1915

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Adriatico il 23 maggio scorso, mentre i monitori italiani e inglesi bombardavano dal mare il rovescio dell’Hermada e Duino».

Le medaglie di guerra stavano ormai superando quella guadagnate nello sport: azioni su Trieste e lungo la costa istriana nel settembre 1917 gli valsero un nuovo riconoscimento, ma questa volta il metallo della medaglia era d’argento. nei giorni della disfatta di Caporetto non rispettò l’ordine di abbandonare materiali ed aerei e, nonostante avesse solo la qualifica di osservatore mitragliere, guidò un idrovolante fino a Venezia, azione che gli valse d’ufficio il brevetto di pilota. La spinta dell’offensiva nemica non si era ancora esaurita e cercava di sfondare anche sul Piave. A dar man forte il comando austriaco mandò in zona la squadriglia dell’asso Brumowsky, della quale faceva parte il sottotenente Franz Gräser (18 vittorie all’attivo) che il 23 novembre riuscì ad abbattere l’aereo di Grego, facendolo precipitare in fiamme nelle paludi di Cavazuccherina, sulla linea del fronte presso Jesolo. Le salme dell’istriano e del suo compagno di volo furono raccolte nella notte

grazie ad una azione degli Arditi. Arrivò la seconda medaglia d’argento, questa volta alla memoria. una memoria più volte ravvivata da Gabriele D’Annunzio, ed alla quale furono dedicati dapprima l’aeroporto di Gorizia e poi quello di Portorose. Il destino volle accomunare le vicende di Grego a quelle di Las Torres, che a sua volta prestò servizio come ufficiale pilota nel KuK Lufttfahrtruppen (l’aviazione austro- ungarica) di stanza a Igalo in Dalmazia. Decorato con la Signum Laudis, perse la vita nel 1915 per le complicazioni di ferite riportate in combattimento.

La violenza del conflitto recise le vite di molti altri sportivi giuliano-dalmati. ne ricordiamo alcuni: Massimo raicevich, il più giovane dei tre fratelli campioni di lotta, sorpreso dall’inizio del conflitto europeo a Monaco di Baviera, obbligato al rientro in Austria e non in Italia, fu costretto a raggiungere Salisburgo dove morì in un ospedale militare; i soci del Club Canottieri Libertas Capodistria Ernesto Gramaticopulo, deceduto durante un’azione aerea sui cieli della terra natale, e nazario Sauro, salito sul patibolo a Pola; l’anziano Ettore uicich, irredentista promotore dell’italianità di Pisino attraverso il ciclismo, caduto sul Podgora; il bersagliere Francesco rismondo, “l’Assunto di Dalmazia” secondo la definizione dannunziana, animatore del ciclismo a Spalato. E infine, nel secondo conflitto mondiale, fra i caduti delle terre ormai non più italiane troviamo: i fratelli Mario e Licio Visintini, asso d’aviazione il primo, audace incursore di marina dai trascorsi sportivi nel canottaggio e nella vela il secondo; Antonio Vukassina, il “Tonci”

zaratino e giavellottista, amico in gioventù di Ottavio Missoni, che lo volle ricordare in più occasioni sui campi dell’atletica lombarda con trofei a lui dedicati.

Il bersagliere di Spalato Francesco Rismondo, definito da D’Annunzio

“l’Assunto di Dalmazia”

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A proposito della mostra Ars dimicandi

Come si arrivò ai Giochi del 1919 a Parigi

di VANNI LÒRIGA (foto dalla raccolta dell’Autore)

È

noto che per prepararsi ai Giochi Pershing lo Stato Maggiore Esercito radunò inizialmente, per un periodo di allenamenti collegiali, tutti i migliori militari- atleti a Piazzola sul Brenta, affidandoli alle cure del capitano bolognese Vittorio Costa (pochi anni dopo scopritore di Ondina Valla e di Claudia Testoni) e del tenente Alberto ratti (che passò al calcio). La sede degli allenamenti, con supervisore il professore e maggiore degli alpini Cesare Tifi, venne spostata ad Arma di Taggia, dove dette il suo prezioso contributo anche il capitano medico Massimo Cartasegna. La selezione defintiva si svolse dal 12 al 15 giugno 1919 presso lo Stadio nazionale di roma. Fra i partecipanti da notare l’inattesa presenza del grande Emilio Lunghi, argento olimpico sugli 800 metri ai Giochi di Londra 1908 e primatista mondiale sulla stessa distanzza. Pur selezionato per la trasferta a Parigi, rinunciò non ritenendosi in condizione di ben figurare.

Alle gare romane, meeting polisportivo internazionale, denominato “Gare della Vittoria”, presero parte anche atleti belgi e cecoslovacchi. non era peraltro il primo incontro sportivo fra militari. La fotografia che pubblichiamo testimonia che analogo meeting si era svolto un anno prima a Piazza di Siena. E non era il solo.

Infatti nel novembre del 1917, dopo il dramma di Caporetto, venne nominato Capo di Stato Maggiore il generale Armando Diaz. Da giovane era stato tra i fondatori della Partenope napoli e bravo praticante di ginnastica. Fra i provvedimenti presi per risollevare il morale delle truppe, promosse la pratica dello sport.

Si disputarono gare di ogni genere dalla linea del fronte sino alle più remote guarnigioni. Solo per l’atletica si possono trovare centinaia di manifestazioni consultando il sito della ASAI - Bruno Bonomelli che le ricorda giorno per g i o r n o . B i s o g n a d a r e a t t o a g l i appassionati di statistiche atletiche (dal grande roberto Luigi Quercetani allo sfortunato Marco Martini) che nulla ci è ignoto. E ritengo che l’impegno costante del nostro Livio Toschi ci porterà a completare la storia (soprattutto lontana) dei nostri sport federali, ossia quelli di combattimento.

Concludo con alcune curiose ipotesi.

L’alfiere che si vede nella foto del 1918 qui di lato è Mario Candelori, che ritroviamo anche a Parigi nel 1919.

Sfilata di atleti-militari italiani a Piazza di Siena nel 1918

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Probabilmente in quella occasione capeggiava la nostra squadra di atletica con Tifi al comando.

nella cerimonia di apertura dei Giochi “interalleati” il bersagliere che precede la formazione italiana è con ogni probabilità il Capo Delegazione Sante Ceccherini, medaglia d’argento nella sciabola a squadre ai Giochi di Londra undici anni prima.

Fu poi protagonista nella spedizione fiumana, mentre Candelori fu nominato Generale di Brigata nell’ultima giornata della repubblica di Salò...

Sante Ceccherini (al centro) ai Giochi “interalleati” del 1919 a Parigi

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A proposito della mostra Ars dimicandi

I Giochi “interalleati” del 1919 a Parigi

di LIVIO TOSCHI (foto dalla raccolta dell’Autore)

n

ell’estate 1919 a Joinville-le-Pont, alla periferia di Parigi, si disputarono i Giochi

“interalleati”, un campionato militare cui parteciparono le truppe alleate nella Grande Guerra contro gli Imperi Centrali. Vennero organizzati dal generale John Joseph Pershing, detto “Black Jack” (1860-1948), capo del corpo di spedizione americano, e stimolarono fortemente la rinascita dello sport postbellico. Ha scritto De Coubertin su quei Giochi: «Furono molto utili. Erano stati ideati allo scopo d’impiegare in modo sano e piacevole il forzato tempo libero delle truppe di diverse armate, di cui – per molteplici ragioni – non si riteneva realizzabile la smobilitazione e il ritorno immediato nei loro paesi. Grandi contingenti di queste truppe erano ammassati sul suolo francese» (Mémoires olympiques, Losanna 1931 – traduzione dell’Autore). Il barone, tuttavia, non voleva che i Giochi fossero definiti “Olimpiade militare” poiché temeva che l’opinione pubblica fosse fuorviata ad arte e facesse confusione tra le sue Olimpiadi e quella competizione dall’impronta decisamente americana, riservata solo ai militari dell’Intesa, per di più senza distinzione tra dilettanti e professionisti, quindi in palese contrasto con i principi dell’olimpismo.

Le notizie sulla manifestazione sono tratte soprattutto da La Gazzetta dello Sport, da L’Auto e da La Vie au grand air, nonché da tre pubblicazioni ufficiali dell’epoca:

The Inter-Allied Games. Paris 22ndJune to 6thJuly 1919, published by the Games Committee (500 pagine, testo inglese); Inter-Allied Games, Pershing Stadium – Joinville-le-Pont, Paris, conducted jointly by American Expeditionary Forces and YMCA (testo inglese/francese); Inter-Allied Games. General regulations governing the competitions, issued by the Games

Committee (testo inglese/francese).

Subito dopo la firma dell’armistizio, dando seguito a una lettera della Young Men’s Christian Association in data 15 ottobre 1918, il generale Pershing costituì un comitato composto da tre ufficiali americani (colonnello Wait Chatterton Johnson, presidente, luogotenente colonnello David M. Goodrich, luogotenente colonnello T.C. Lonergan) e da due membri della YMCA (Elwood Stanley Brown e W.A. reynolds, rispettivamente Director e Associate Director of Department of Athletics), che si riunì

per la prima volta il 4 febbraio 1919. Veduta aerea dello Stadio Pershing durante i lavori di costruzione

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ricordo che Brown (1883-1924), il vero

“regista” della manifestazione, nel 1913 aveva dato vita ai Far Eastern Games e Johnson nel 2018 aveva ricevuto l’Army Distinguished Service Medal per aver ottimamente eseguito «the important and difficult task of planning and organizing an elaborate program of athletic training and competitions for American troops, embracing all branches of sport». Su richiesta di Pershing, inoltre, si costituì un comitato consultivo formato da due rappresentanti di ciascuna nazione (per l’Italia il colonnello Arturo Leone e il maggiore Andrea Castaldi).

Per la competizione, da disputarsi a Parigi, il Comité national d’Education Physique et Sportive et de l’Hygiène Sociale – scartata l’ipotesi di utilizzare lo Stade du Matin a Colombes, inaugurato nel 1907 – concesse un terreno al Bois de Vincennes (nella periferia sud-est), che durante la guerra era divenuto un campo militare pieno di trincee e reticoli di filo spinato. Gli ingegneri militari francesi si occuparono del livellamento del terreno e della costruzione della pista. Il 24 febbraio 1919 la YMCA sottoscrisse il contratto di appalto con l’impresa Buisson et Giffard, che l’indomani avviò la costruzione di uno stadio in cemento armato, da completarsi in 90 giorni. I lavori, però, furono interrotti il 1° maggio a causa dello sciopero dei muratori, che minacciava di protrarsi a lungo, facendo temere l’annullamento dei Giochi. Vennero allora mobilitati 100 ufficiali e 3.300 soldati americani più 300 soldati francesi (i “poilus”), che il 5 maggio cominciarono a operare divisi in tre turni di otto ore ciascuno. A tempo di record completarono il cosiddetto “Stadio Pershing”, finanziato per intero dall’YMCA (la spesa finale fu di due milioni di franchi) e inaugurato il 22 giugno alla presenza dei presidenti raymond Poincaré e Thomas Woodrow Wilson.

Lo stadio aveva una capienza di 25.000 posti (la Gazzetta scrisse 27.000, L’Auto 27.500), di cui 2.500 nella tribuna d’onore coperta, sotto la quale si ricavarono gli spogliatoi. Gli spalti, 12 gradinate di 50 cm ciascuna, erano divisi in due blocchi:

il più consistente disegnava sul terreno una C, l’altro – parallelo al rettilineo della pista – includeva la tribuna e due modesti spalti laterali. La pista in cenere misurava 500 metri, con un rettifilo lungo 210 e largo 10. L’asse maggiore dell’impianto, orientato da nord-ovest a sud-est, era pressoché ortogonale all’asse maggiore del vicino ippodromo di Vincennes.

Successivamente l’impianto ospitò 4 finali della Coppa di Francia di calcio (1921- 24), molti incontri della nazionale, tra cui il celebre Francia-Inghilterra (2-1) del 5 maggio 1921, e alcune partite durante l’Olimpiade del 1924. Il 22 agosto 1922, disputandosi la prima Olimpiade femminile (voluta da Alice Milliat in aperto contrasto con De Coubertin), vennero qui stabiliti ben 18 primati mondiali. Lo

Veduta aerea dello Stadio Pershing il giorno dell’inaugurazione

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stadio fu demolito negli anni Sessanta e poi ricostruito come impianto polisportivo.

nel presentare i Giochi scriveva Pershing:

«Questa manifestazione non sarebbe stata possibile senza l’aiuto generoso della Francia, che ci ha messo a disposizione il terreno per lo stadio e ci ha aiutato a costruirlo.

Le siamo anche infinitamente riconoscenti per l’entusiasmo con il quale la sua popolazione ha risposto al nostro invito a partecipare ai Giochi interalleati.

Avrò ben presto il lieto compito di offrire questo stadio al Governo francese a nome della YMCA, che con prodigalità ha fornito i fondi necessari, e a nome dell’Armata americana, il cui impegno nei lavori ne ha reso possibile la costruzione, con la speranza che possa divenire non solo un pegno permanente della nostra stima, ma anche un monumento duraturo allo spirito sportivo che ha ispirato e sostenuto la Francia durante tutta la guerra» [Foreword, in Inter-Allied Games, cit. – traduzione dell’Autore].

Molti gli sport ammessi ai Giochi: atletica leggera, baseball, calcio, canottaggio (singolo, quattro e otto con timoniere), cricket, cross country, equitazione, golf, lotta greco-romana e libera (7 categorie ciascuna), nuoto (stile libero, rana, dorso), pallacanestro, pallanuoto, pugilato (7 categorie), rugby, scherma (fioretto, sciabola e spada), tennis (singolo e doppio), tiro alla fune e tiro a segno (pistola e fucile).

L’atletica leggera comprendeva 20 specialità, con qualche curiosa competizione: il salto in lungo da fermo, che all’epoca – con il salto in alto da fermo – era anche disciplina olimpica, la maratona “modificata”, corsa cioè sulla distanza di soli 16 chilometri, e la staffetta “mista”, nella quale il primo frazionista percorreva 200 metri, il secondo 400, il terzo 800 e il quarto 1.600. Le gare del pentathlon erano i 200 e i 1.500 metri piani, il salto in lungo con rincorsa, il lancio del disco e del peso. Al già ricco programma si aggiunsero il lancio della granata e due prove speciali: la staffetta 4x200 e il salto in lungo con rincorsa riservati ai militari

“effettivamente combattenti”.

Ogni nazione poteva iscrivere al massimo 3 concorrenti alle gare individuali e un’équipe alle gare a squadre. Buona parte delle competizioni si disputò allo stadio, tranne il rugby, ospitato nello stadio di Colombes; il nuoto e la pallanuoto alla Mare Saint-James nel Bois de Boulogne; il tennis al racing Club de France e allo Stade Français a Saint Cloud; l’equitazione a Meudon, a sud-ovest di Parigi; il golf a La Boulie, vicino Versailles; il tiro a segno a Le Mans. Le gare di canottaggio

Veduta aerea dello Stadio Pershing il giorno dell’inaugurazione

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ebbero luogo nella Senna – tra i ponti di Saint-Cloud e di Suresnes – il 17 e 18 luglio, ossia dopo la cerimonia di chiusura della manifestazione (6 luglio).

Mentre si disputavano i Giochi, il 5 luglio veniva posta ad Anversa la prima pietra dello stadio per l’Olimpiade del 1920.

Ai Giochi parteciparono ufficiali, sottufficiali e soldati che avevano combattuto nell’esercito di uno dei paesi alleati: complessivamente si affrontarono in pacifica tenzone 1.500 atleti di 18 nazioni (ne erano state invitate 29), che elenchiamo:

Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cecoslovacchia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Guatemala, Hegiaz (Hejaz), Italia, nuova zelanda, Portogallo, romania, Serbia, Terranova, uSA.

L’esclusione degli stati sconfitti nella Grande Guerra costituì il primo boicottaggio sportivo (in questo caso non furono alcune nazioni a rifiutarsi di partecipare, ma gli organizzatori a non invitare alcune nazioni), cui fecero seguito i boicottaggi delle Olimpiadi di Anversa nel 1920 e di Parigi nel 1924, sempre nei confronti degli stessi paesi.

All’invito di Pershing così rispose il generale Armando Diaz il 29 maggio:

«Dear General,

I have greatly appreciated the invitation which I have received from the ofiicers and men of the American forces to the officers and men of our forces asking them to take part in an Inter-Allied Athletic Meeting.

It is also my opinion that to gather together in a friendly athletic contest the representatives of the courageous armies which contested fraternally on the battlefield in a spirit of sacrifice and of military virtue, would contribute to uphold and increase these bonds of comradeship, of deep respect and of reciprocal admiration which made of the combined forces, different in race, language and habits, a united and a most efficient army, and an unbreakable bulwark.

Permit me to express my most lively pleasure for the proposal of your officers and soldiers and I beg to inform you that the officers and soldiers of the Italian army are pleased to accept the invitation which has been extended to them, and that they are proud to participate in the proposed athletic meet.

Please accept the expression of my most sincere comradeship and regards» [The Inter-Allied Games, cit., p. 56].

Da Piazzola sul Brenta il Comando Supremo italiano alla fine di maggio mandò i nostri 120 rappresentanti ad allenarsi per una ventina di giorni nella ridente cittadina balneare di Arma di Taggia, tra Imperia e San remo, agli ordini di Cesare Tifi (1874-1935), maggiore degli Alpini.

Vedute dello Stadio Pershing, manifesto e medaglia dei Giochi Interalleati

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«Il campo è stato scelto dove sorge il superbo hangar che avrebbe dovuto accogliere due dirigibili, se la guerra fortunatamente non fosse finita prima di quel che si prevedesse. un centinaio di prigionieri sotto la direzione di nostri militari sta preparando una pista che avrà lo sviluppo di 400 metri e quattro metri e mezzo di larghezza fino a raggiungere gli 8 metri sul rettilineo d’arrivo. In essa si potranno correre ottimamente i 100 metri ed i 110 con ostacoli. La pista sarà ultimata fra un paio di giorni.

Al momento della nostra visita gli ufficiali stavano prendendo possesso delle loro camerette in un lungo padiglione dal lucido pavimento a piastrelle.

Queste camere sono bene arieggiate ma semplicissime nell’arredamento [...].

In altri padiglioni alloggiano i soldati ed i graduati. un piccolo fabbricato con camerette, dal pavimento di cemento, è stato adattato a palestra. Vi si praticherà specialmente la lotta, la boxe e la scherma.

non mancano le necessità accessorie come spogliatoi, camere per doccia e massaggi. In altri fabbricati vi sono i magazzini ed i refettori. Quello degli ufficiali è costituito da un grazioso châlet, che ha tutt’intorno una veranda prospiciente il campo» [G. BErTInI, in La Gazzetta dello Sport, 6 giugno 1919].

La nostra squadra, che La Gazzetta dello Sport del 21 giugno ha definito erroneamente la più numerosa dopo quella statunitense (i Francesi erano più di noi e forse anche i Belgi), partì in due scaglioni – il 15 e il 18 giugno – guidata dal generale dei bersaglieri Sante Ceccherini e da Tifi in qualità di “commissario tecnico”.

A parte i militari francesi, ospitati nella celebre École normale Militaire di Joinville- le-Pont (fondata nel 1852 e diretta dal luogotenente colonnello Sée dal 1919 al 1921) ai margini del Bois de Vincennes, gli altri alloggiarono in un grande accampamento a Colombes, dalla parte opposta di Parigi, trasferendosi alla vigilia delle gare nei pressi dello stadio Pershing, in una sorta di “villaggio olimpico” (il primo villaggio venne costruito proprio a Parigi, presso lo stadio di Colombes, in occasione dell’VIII Olimpiade).

«Ogni rappresentanza aveva il suo speciale accampamento con tende di varie dimensioni: ve ne erano delle grandi per refettori ed alloggi della truppa, e piccole per alloggi degli ufficiali, divisi in tre per tenda. Ciascun soldato o ufficiale aveva il suo letto con molle e materassi soffici, come se fosse nel migliore albergo. Altre tende racchiudevano i bagni, con tutto il comfort moderno, e altrettante amplissime tende comuni a tutte le rappresentanze

Personalità all’inaugurazione dello stadio: J.J.

Pershing, W.C. Johnson, R. Poincaré e G. Leygues

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servivano quale luogo di ritrovo, con sale di lettura, buvettes, grammofoni, ecc.» [F. OrLAnDInI, in La Gazzetta dello Sport, 21 giugno 1919].

«I nostri soldati battezzarono la “Cuccagna” il grandioso baraccone dell’Y.M.C.A. con un immenso salone in legno decorato da miriadi di bandiere alleate. In comode poltrone a sdraio, serviti abbondantemente e graziosamente dalle numerose dame bianco-celesti americane nel fastoso

“buffet” gratuito di gelati, biscotti, the, caffè, limonate, cioccolato, sigarette, riposano le membra stanche dei proficui allenamenti e passano in gradevoli passatempi le ore di ozio. Ed alla sera tutto ciò è completato con il cinematografo, le musiche, le danze, ecc. [...].

Le tende si allineano regolari come in un campo romano; ogni nazione ha il suo viale, gli uomini di truppa dormono a sei per volta e gli ufficiali a tre, nella tenda ampia e quadrata contenente lettini di ferro con soffice materasso.

I primi pasti furono ammanniti da cucinieri italo-americani in attesa dei nostri, ma il risotto condito di zucchero, le carni con contorno di marmellata, la frutta sciroppata ed abbondantemente servita, erano accolti da smorfie significative dei nostri campioni. L’inconveniente ebbe presto fine e il solo rimpianto rimane ancora l’assenza assoluta del vino» [A. BOrELLA, in La Gazzetta dello Sport, 5 luglio 1919].

Sulla cerimonia inaugurale dello stadio e dei Giochi leggiamo ancora La Gazzetta dello Sport:

«Lo Stadio, capace di contenere un massimo di 27.000 persone, già alle ore 14 era invaso da oltre 50.000 spettatori, tutti entrati gratuitamente [...]. nel mezzo dello Stadio sono già allineati i 1.500 atleti che dovranno a partire da domani iniziare il ciclo di gare che dureranno 15 giorni. nel piccolo esercito notiamo immediatamente la brillante

rappresentanza italiana.

Lo Stadio, che ha uno sviluppo assai v a s t o , c o n t a 1 2 g r a d i n a t e equidistanti 50 centimetri una dall’altra, le quali appaiono sommerse dai colori vivaci della folla. Ovunque dagli alti pennoni e dalle tribune spiccano enormi trofei e le orifiamme alleati. La pista podistica ha uno sviluppo di 500 metri ed il rettifilo di arrivo prospiciente le tribune coperte è di 200 metri.

Per la cerimonia odierna la tribuna ufficiale è tutta tappezzata in velluto rosso [...]. Giungono il Presidente

Il generale J.J. Pershing inaugura lo stadio che porta il suo nome. Alla sua destra è il colonnello W.C.

Johnson, presidente dell’Inter-allied Board for Sports

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della repubblica francese Poincaré accompagnato dalla signora, il presidente Wilson con la signora, il generale Pershing, il presidente della Camera Deschanel, il presidente del Senato Dubost. Frattanto stormi di aeroplani francesi, belgi, americani ed un maestoso triplano Caproni, quindi un agilissimo Sva, eseguiscono sotto il sole rutilante brillanti ed acclamate evoluzioni. Alle 16 precise, dopo i tre squilli di tromba e la sfilata di un battaglione di fanteria americana, gli atleti passano davanti alla tribuna dei due presidenti.

È un colpo d’occhio magnifico. I 1.500 atleti rappresentanti 18 nazioni alleate, preceduti dalle bandiere d’ogni singolo Stato, sfilano fra indescrivibili acclamazioni innanzi alle tribune nereggianti di pubblico» [M. DuLIAnI, in La Gazzetta dello Sport, 23 giugno 1919].

Per prima sfilò la squadra francese, seguita dalle altre in ordine alfabetico. «Tutti i nostri atleti indossavano il berretto militare, la maglia bianca e i calzoncini bianchi o neri. La squadra era capitanata da un bersagliere in uniforme che fungeva da portabandiera ed era chiusa dalla équipe del foot-ball nella elegante maglia azzurra». Ha fatto «un’ottima impressione di forza e di bellezza maschia» (La Gazzetta dello Sport, 23 giugno 1919). Dopo aver compiuto l’intero giro dello Stadio il lungo corteo si allineò davanti a Poincaré e Wilson. A questo punto ebbe inizio la cerimonia ufficiale d’inaugurazione dello Stadio.

Il presidente della YMCA, mister E.C. Carter, nel consegnare lo stadio al generale Pershing pronunciò un breve discorso affermando che la potente e benefica associazione da lui diretta, dopo aver cercato di lenire in ogni modo i dolori dei combattenti durante la guerra, aveva voluto perpetuare il ricordo dell’immane lotta sostenuta dai popoli per la libertà con la creazione di questo stadio che voleva essere un tempio dell’atletismo internazionale.

Gli atleti schierati davanti alla tribuna centrale il giorno dell’inaugurazione

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Cessati gli applausi che salutarono il discorso di Carter, prese la parola il generale Pershing, il quale – con il consenso del presidente Wilson – dichiarò di rimettere lo stadio al Comitato nazionale di Educazione Fisica e per esso al governo francese.

non potendo partecipare alla cerimonia, il presidente del Consiglio Georges Clemenceau si fece rappresentare dal ministro della Marina Georges Leygues, che prese possesso dello stadio in nome del governo.

Il 23 giugno, alle 14, ebbero inizio le gare, ma subito si manifestarono i malumori per la confusa organizzazione.

«Il collega Frantz reichel del Figaro ha preso l’iniziativa della protesta, sorretto dall’acconsentimento di tutti i colleghi, ed ha fatto notare anzitutto al Comitato che la tribuna della stampa è invasa giornalmente da una quantità di persone che nulla hanno a che fare coi giornalisti, mentre taluni di questi ultimi non sono ancora muniti di tessera regolare. Inoltre la protesta tende a rimediare all’inconveniente della simultaneità delle prove svolgentisi contemporaneamente in diverse località, cioè al Bosco di Boulogne, allo Stadio, alla sala di scherma presso lo Stadio ed a Colombes, con la istituzione di un ufficio centrale informazioni e delle classifiche precise per tutti i concorrenti.

reichel ottenne la formale promessa che a partire da domani il Comitato provvederà in proposito ed è da augurarsi che ciò avvenga realmente, perché nelle attuali condizioni il servizio è particolarmente difficile per gli inviati dei giornali esteri.

Del resto l’organizzazione non può essere in generale indicata siccome un modello del genere. Gli americani dimostrano uno spirito d’invadenza poco riguardosa, come se si trovassero nelle loro lontane praterie, e tendono ad imporsi a tutti senza alcun riguardo. La giuria è composta esclusivamente da americani e, come dicemmo, la tribuna riservata alla stampa è specialmente invasa da giornalisti degli Stati uniti, i quali lasciano intendere di considerare i reporters delle altre nazioni siccome quantità trascurabili. Anche i

L’arrivo di una gara podistica

Un biglietto per l’inaugurazione dei Giochi allo Stadio Pershing

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risultati vengono proclamati con grave ritardo a mezzo di speakers che parlano esclusivamente americano. Morale: i nostri buoni alleati tengono a fare capire troppo di essere in casa loro» [M. DuLIAnI, in La Gazzetta dello Sport, 27 giugno 1919].

neppure sotto l’aspetto tecnico tutto filò liscio. Infatti,

«dopo la prima giornata della riunione atletica una osservazione si impone immediatamente all’attenzione dei critici: le condizioni della pista sono infelicissime; esse non solo non permetteranno di abbassare neppure un record, ma consentiranno assai difficilmente il raggiungimento di tempi veramente notevoli. In altre parole questa pista ch’è stata costruita in pochissimo tempo ed è spazzata continuamente da un denso polverone sollevato dal vento, costituisce un serio handicap per i nostri atleti, che non hanno avuto la possibilità di allenarvisi» [M. DuLIAnI, in La Gazzetta dello Sport, 24 giugno 1919].

Tra i migliori atleti partecipanti, avendo rinunciato il nostro Lunghi e i famosi pugili professionisti Georges Carpentier e Gene Tunney, cito lo statunitense Charles William (“Charley”) Paddock, vincitore dei 100 e 200 metri (ad Anversa nel 1920 fu ancora primo nei 100 metri e nella staffetta 4x100) e il francese Jean Vermeulen, vincitore del cross country e della maratona di 16 chilometri. L’Inghilterra schierò soltanto i gloriosi canottieri dell’università di Cambridge, che ottennero il successo nell’“otto” con timoniere.

Il 28 giugno, durante lo svolgimento nello stadio dell’incontro di football tra Francia e Italia, giunse da Versailles la notizia della firma del trattato di pace.

Sfila la squadra italiana (fotogramma da un filmato dell’epoca)

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«Lo speaker, a voce altissima, a mezzo del megafono, annuncia il grande avvenimento all’immenso pubblico. Sono le 15.12 precise […].

Tutti gli spettatori si alzano in piedi: nello Stadio gli atleti si mettono sull’attenti e le note gioconde della Marsigliese echeggiano stentoree per il vastissimo spiazzo. Lo spettacolo è meraviglioso nella fantastica solennità. Tutte le bandiere dello Stadio sono innalzate sui loro pennoni e sventolano fra il gridio immenso e assordante della folla che acclama alla pace» [A.

BOrELLA, in La Gazzetta dello Sport, 29 giugno 1919].

Durante l’Indipendence Day (4 luglio), festeggiato da numerose autorità quali Pershing e il Maresciallo di Francia Joseph Joffre, fu invece assente – come successe spesso durante i Giochi – una rappresentanza ufficiale italiana: un

«deplorevole assenteismo», commentò Aldo Borella su La Gazzetta dello Sport.

Il 6 luglio ebbe luogo la cerimonia di chiusura e il generale Pershing distribuì i premi agli atleti, congratulandosi con ciascuno di loro.

«Alla fine due reggimenti statunitensi hanno sfilato davanti alla tribuna d’onore al suono degl’inni americano e francese».

Ciascun concorrente ricevette un distintivo in bronzo con nastro colorato. Il distintivo fu realizzato dal medaglista francese Lucien Jean Henri Cariat.

Ogni vincitore o membro di una squadra vincitrice ebbe in premio un diploma firmato dal generale Pershing e dal colonnello Wait Chatterton Johnson, presidente del Comitato dei Giochi. Il diploma fu disegnato dallo scultore Aitken, capitano della u.S. Army.

Le medaglie per chi conquistava punti erano tutte uguali: stesso modello in bronzo, diametro 60 mm, realizzato dall’artista francese Édouard Fraisse. nel recto, ove in basso si leggevano le parole Corporis robur habilitas, la composizione raffigurava una

nike in procinto d’incoronare due antichi La sfilata dell’Italia nello Stadio Pershing (ma l’alfiere era un bersagliere in uniforme) Medaglia-premio dei Giochi Interalleati

/ dritto (di Édouard Charles Fraisse) e distintivo con nastro

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vincitori: un discobolo e un pugile. Sul verso di ognuna veniva inciso il nome dell’atleta, la nazione e il reggimento di appartenenza, la specialità in cui aveva gareggiato, il piazzamento.

nelle competizioni a squadre si attribuivano 6 punti alla prima, 4 alla seconda, 2 alla terza classificata; nelle gare individuali 3 punti al primo, 2 al secondo, 1 al terzo classificato. Facevano eccezione lotta e pugilato, discipline in cui erano assegnati 2 punti al primo e 1 al secondo classificato di ciascuna categoria. Il regolamento precisava inoltre che qualora a una gara fossero iscritti tre concorrenti, si sarebbero assegnati punti solo ai primi due; qualora fossero iscritti due concorrenti, si sarebbero assegnati punti solo al primo; qualora fosse iscritto un unico concorrente, la gara non si sarebbe disputata.

L’Italia si fece onore e ottenne diverse vittorie: con il tenente di cavalleria nedo nadi nel fioretto (6 successi in altrettanti incontri disputati) e con la squadra di sciabola, magnifica vincitrice della Francia per 19 a 10 (Aldo e nedo nadi, Baldo Baldi, Federico Cesarano, Leo nunes, Oreste Puliti e nino urbani); con i cavalieri maggiore Giacomo Antonelli e capitano Alessandro Alvisi nella gara di salto a coppie, con ruggero ubertalli nel salto individuale (si classificò anche 3° nella stessa gara) e con Giulio Cacciandra nel Cavallo d’Arme; con il sergente Erminio Spalla nel pugilato, categoria medio-massimi; con la staffetta 4x200 metri riservata ai militari “effettivamente combattenti” (Giuseppe Alberti, Giorgio Croci, Arturo nespoli e Giambattista Orlandi).

Molti altri atleti italiani salirono sul podio. Al 2° posto ricordo: il sottotenente Aldo nadi nella sciabola (fu inoltre 3° nel fioretto a pari merito con il francese Gauthier);

i lottatori Piero Vaglio nei piuma, Enrico Porro nei leggeri e Andrea Gargano nei medi; Enea Marzorati nel pugilato, categoria gallo; il sergente Arturo nespoli, già vincitore con la staffetta 4x200, nel salto in lungo con rincorsa riservata ai militari

“effettivamente combattenti”; i maggiori ubertalli ed Ettore Caffaratti nella gara di salto a coppie; la squadra dei fiorettisti, finiti alla pari con la Francia (18 vittorie a testa) ma superati per 2 sole stoccate (127 a 125); la sorprendente squadra di basket alle spalle dei professionisti americani; i regi Carabinieri di roma nel tiro alla fune dietro la Polizia di new York.

Al 3° posto, infine, oltre ai già citati Aldo nadi e ruggero ubertalli, segnalo: il tenente Luigi Bacigalupo nei 1.500 metri stile libero e la staffetta 4x200, stesso stile; i cavalieri nel concorso a squadre dopo Francia e uSA; la squadra di football in seguito al forfait del Belgio nella finale “di consolazione”.

Spendo qualche parola in più per i greco-romanisti. Allorché venne

La squadra italiana sulle gradinate dello Stadio Pershing

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stilato l’elenco dei 120 soldati in partenza per Joinville-le-Pont, la squadra risultava così composta: Piero Vaglio, Enrico Porro, Walter ranghieri, Andrea Gargano, Elia Pampuri e Oreste Arpe. I lottatori più accreditati per un buon piazzamento erano il marinaio capo-elettricista Porro (1885-1967) e i soldati Vaglio, Gargano e Pampuri, considerato il favorito nella sua categoria.

Il milanese Pampuri (1886-1924), che già in altre occasioni ho definito “l’incubo di Porro”, era indubbiamente uno dei più forti lottatori dell’epoca;

il genovese Gargano (1887-1970) aveva partecipato all’Olimpiade di Stoccolma e conquistato 2 titoli italiani di categoria nel 1911 e 1913; il milanese Vaglio (1888-1964), anche lui vincitore di 2 titoli italiani nel 1912 e 1917, gareggiò ad Anversa nel 1920. nella finale Vaglio fu sconfitto dal belga Dierek, Porro dal cecoslovacco Beranek, Gargano dal belga Van Antwerpen.

Le categorie di peso agli Inter-Allied Games erano 7 nella greco-romana, nello stile libero e nel pugilato: gallo, fino a 118 libbre; piuma, 125 libbre; leggeri, 135 libbre; medio- leggeri, 145 libbre; medi, 160 libbre; medio-massimi, 175 libbre; massimi, oltre 175 libbre. nella Gr registriamo 6 vittorie degli uSA e una della Francia; nello SL 2 vittorie del Belgio e della Cecoslovacchia, una

vittoria a testa della Francia, della Serbia e degli uSA.Queste le principali norme per la greco-romana, tratte dalla già citata pubblicazione General regulations governing the competitions:

«Ogni lato del tappeto deve misurare non meno di 16 e non più di 18 piedi [m. 4,90-5,50].

Se i concorrenti escono dal tappeto, l’arbitro farà riprendere il combattimento dal centro del tappeto stesso.

Il risultato di un incontro è deciso da due giudici più un arbitro. L’arbitro proclama la decisione dei giudici, se questi sono d’accordo. Se non lo sono, decide l’arbitro.

La durata degli incontri è di 20’ se non ci sono stati atterramenti. In questo caso, se i giudici non sono in grado di assegnare la vittoria ai punti, fanno disputare un’altra ripresa di 20’. Se neppure questa volta si ha un atterramento i

Il manifesto dei Giochi (di J.H. Dulin)

La pagina del settimanale francese Le Miroir sull’inaugurazione

(34)

giudici e l’arbitro designano quale vincitore ai punti il lottatore più combattivo.

È dichiarato vincitore il lottatore che atterra due volte il suo avversario.

C’è atterramento quando le spalle di un concorrente toccano nello stesso tempo il tappeto. non si considera atterrato un lottatore che rotola da una spalla all’altra.

È vietato colpire, graffiare, torcere le dita, sgambettare, afferrare le gambe, le orecchie, i capelli, i genitali e il costume» [traduzione dell’Autore].

Va segnalato che per ottenere la vittoria prima del limite era stranamente richiesto un doppio atterramento dell’avversario.

La classifica finale, secondo Thierry Terret (Les Jeux interalliés de 1919, 2002), vide il largo successo degli uSA (120 punti) davanti alla Francia (104). Con un netto distacco seguivano Italia (45), Australia (41) e Belgio (27). Complessivamente furono 13 le nazioni a conquistare almeno un punto. Sui punteggi, però, i vari testi non sono concordi. La Gazzetta dello Sport del 26 luglio 1919, per esempio, attribuisce 225 punti agli uSA, 118,50 alla Francia, 45 all’Italia e all’Australia, e 27 al Belgio. nemmeno sul numero di concorrenti c’è accordo. Terret ne assegna 282 agli uSA, 253 alla Francia, 157 al Belgio e 132 all’Italia, che La Gazzetta (21 giugno) indica invece come la nazione con più partecipanti dopo gli Stati uniti. Più volte la “rosea” fissa in 120 il numero dei nostri militari.

nonostante il buon piazzamento italiano La Gazzetta dello Sport volle sottolineare che non solo non avevamo partecipato ad alcune gare (baseball, pallanuoto e rugby) «trattandosi di sports pressoché ignoti fra noi», ma che i nostri lottatori erano stati maltrattati dagli arbitri, soprattutto Pampuri, autorevole candidato al successo nei medio-massimi. «L’Italia però ha avuto una significativa ed ambita vittoria: quella della staffetta riservata ai reduci della lunga campagna al fronte di battaglia». E «indiscussa resta la nostra superiorità negli sports puramente militari, quali la scherma e l’ippica a squadre, occupando l’Italia 6 posti contro 4 della Francia ed uno soltanto dell’America e del Portogallo, mentre le vittorie individuali degli schermitori e dei cavalieri confermano trionfalmente le tradizioni italiche per ciò che è culto degli sport cavallereschi» [A.

BOrELLA, in La Gazzetta dello Sport, 9 luglio 1919].

A nessuno sfuggiva, comunque, l’arretratezza dei sistemi di allenamento italiani rispetto a quelli statunitensi. «I nostri campioni e i loro trainers improvvisati constatarono infatti con meraviglia l’enorme differenza di preparazione». E se da noi

Lettera del generale John Pershing a Georges Clemenceau (9 luglio 1919)

(35)

mancano eccellenti allenatori, «si facciano venire:

l’America abbonda di tali specialisti e molti di essi non domanderebbero di meglio che passare qualche mese sotto il bel cielo d’Italia!» [A.

BOrELLA, in La Gazzetta dello Sport, 12 luglio 1919].

Lo slancio impresso al nostro sport dai Giochi interalleati non cessò con la loro conclusione.

ricordo soltanto, per restare agli atleti in divisa, che dal 4 all’11 novembre 1919 si disputò a roma (Stadio nazionale, ippodromo di Tor di Quinto, poligono della Farnesina e rive del Tevere) il 1°

Campionato militare italiano di educazione fisica, definito “della Vittoria”, e che – con regio decreto n.

451 del 20 aprile 1920 – fu costituita nella capitale la Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica, con sede nei locali del Tiro a Segno alla Farnesina.

Quale logica conseguenza di questo auspicato

“risveglio”, che procurò allo sport maggiori attenzioni e finanziamenti, gli atleti affrontarono le successive competizioni più numerosi, più preparati, più determinati. non a caso all’Olimpiade di Anversa nel 1920 l’Italia colse una prestigiosa quanto clamorosa affermazione, vincendo 13 medaglie d’oro, 5 d’argento e 5 di bronzo.

Sui Giochi interalleati menziono quanto ho già scritto altrove:

I Giochi “interalleati” del 1919: tre secondi posti per l’Italia nella lotta greco-romana, in “Athlon”, 1- 2, gennaio-febbraio 2009, pp. 41-43

110 e lode! Centodieci anni di storia: 1902-2012, FIJLKAM, roma 2013, pp. 75-77

La medaglia e i distintivi dei Giochi “interalleati” del 1919, in “Il Giornale della numismatica” on line, 9 luglio 2015

Enrico Porro, medaglia d’oro nella Lotta GR all’Olimpiade del 1908 e 2°

ai Giochi interalleati del 1919

Il forte lottatore Elia Pampuri a Joinville perse per colpa di un arbitro incapace

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