Pagine elettroniche
www.quaderniacp.it ISSN 2039-1382
Efficacia globale del vaccino antivaricella: una meta-analisi
Il position paper 2017 dell’ESPGHAN sull’ alimentazione complementare
Utilizzo dei devices digitali e disturbi del sonno nei bambini di età compresa tra 6 e 36 mesi
Sigarette elettroniche e adolescenti: un legame pericoloso
Telemaco Signorini, L’Alzaia, 1864
Settembre - Ottobre 2017 / Vol. 24 n.5
Narrare l’immagine pag. ni.1 L’articolo del mese pag. am.1 Ambiente & Salute pag. a&s.2 Documenti pag. d.2 Newsletter pediatrica pag. n.4
In questo numero:
Telemaco Signorini, L’Alzaia, 1864 (particolare)
Pagine elettroniche di Quaderni acp Settembre - Ottobre 2017 / Vol. 24 n.5
Newsletter pediatrica
n.1 L’età di inizio dell’alimentazione complementare influi- sce sull’indice di massa corporea? Uno studio osserva- zionale
n.2 La somministrazione di steroidi nelle nuove diagnosi di porpora di Schönlein-Henoch non riduce l’incidenza e la gravità della nefropatia a 12 mesi. Un RCT in dop- pio cieco
n.3 Tonsillectomia o vigile attesa nei bambini con tonsilliti ricorrenti? Una revisione sistematica che ancora non risolve il dubbio
n.4 Efficacia globale del vaccino antivaricella: una meta- analisi
n.5 L’utilizzo dei dispositivi digitali nei bambini tra 6 e 36 mesi di età è associato ad una riduzione del sonno e a difficoltà dell’addormentamento
n.6 Screening celiachia, tante domande ancora senza rispo- sta da una revisione sistematica
n.7 Cochrane Database of Systematic Review: revisioni nuove o aggiornate settembre-ottobre 2017
Documenti
d.1 Ministero della Salute. Linee di indirizzo per la pro- mozione e il miglioramento della qualità, della sicurez- za e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali in area pediatrico-adolescenziale e Rete dell’emergen- za-urgenza pediatrica
Commenti a cura di Franco Mazzini, Paolo Siani, Leonardo Speri, Enrico Valletta e Massimo Farneti
d.2 Il position paper 2017 dell’ESPGHAN sull’alimentazio- ne complementare
Commento a cura di Adriano Cattaneo
d.3 Screening for Depression in Children and Adolescents:
U.S. Preventive Services Task Force Reccomandation Statement
Commento a cura di Giuseppe Cirillo
Ambiente & Salute
a&s.1 Cambiamento climatico: il ruolo degli ambulatori a&s.2 medici per ridurre il riscaldamento globale
a&s.2 Utilizzo dei devices digitali e disturbi del sonno nei a&s.2 bambini di età compresa tra 6 e 36 mesi
L’ Articolo del Mese
am.1 Sigarette elettroniche e adolescenti: un legame perico- a&s.2 loso
Narrare l’ immagine
ni.1 Telemaco Signorini, L’Alzaia, 1864 ni.1 Descrizione a cura di Cristina Casoli ni.1 Impressioni di L. Reali e C. Chiamenti
Direttore Michele Gangemi Coordinatore Costantino Panza Comitato editoriale Laura Brusadin Claudia Mandato Maddalena Marchesi Costantino Panza Patrizia Rogari Giacomo Toffol Collaboratori Gruppo PuMP ACP Gruppi di lettura della Newsletter Pediatrica Redazione di Quaderni acp Presidente acp
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La rivista aderisce agli obiettivi di diffusione gratuita della let- teratura medica ed è disponibi- le integralmente all’ indirizzo:
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Redazione
Newsletter Pediatrica
L’ età di inizio dell’ alimentazione complementare influisce sull’indice di massa corporea? Uno studio osservazionale
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)Valutare l’associazione del BMI ad un anno di età con la durata dell’allattamento al seno e l’età di introduzione dei cibi solidi, at- traverso uno studio osservazionale trasversale.
P
opolazioneDati ricavati dallo studio Health Nuts, condotto a Melburne (Au- stralia), riguardante 5.276 bambini di età compresa tra 9 e 15 mesi. Sono risultati idonei allo studio 3.153 partecipanti di cui si avevano informazioni riguardo peso e lunghezza ad una età tra 9 e 15 mesi (registrate dai diversi sanitari in occasione dei controlli e riportate nei documenti dei bambini), durata dell’allattamento e tempo dello svezzamento. I dati sono stati raccolti da questio- nario autocompilato dai genitori e somministrato in occasione delle vaccinazioni.
E
sposizioneDurata dell’allattamento al seno, esclusivo o parziale, ed età di introduzione dei cibi solidi.
O
utcome/E
sitiSviluppo di BMI superiore alla norma all’età di 12 mesi. Il BMI era definito superiore alla norma se > 97.7° percentile, normale se ≤97.7° percentile per età e sesso secondo le curve del WHO.
T
empoReclutamento settembre 2007 – agosto 2011.
Risultati principali
Risultati principali: 147 su 3.153 (4.7%) bambini avevano BMI elevato all’età di 12 mesi: più frequentemente erano maschi e con peso alla nascita più elevato, figli di madre fumatrice in gravidan- za e di giovane età al momento del parto. I bambini con allatta- mento al seno esclusivo per 4-5 mesi o 6 mesi avevano più fre- quentemente BMI nella norma rispetto a quelli allattati per 0-1 mese dopo correzione con i possibili fattori confondenti (stato socioeconomico, luogo di nascita, fumo in gravidanza, peso alla nascita, prematurità). I bambini con allattamento materno esclu- sivo o parziale per 3-5 mesi, 6-11 mesi o più di 12 mesi avevano più frequentemente BMI nella norma rispetto a quelli allattati per 0-2 mesi dopo correzione con gli stessi fattori confondenti.
Chi sospende prima l’allattamento al seno (0-2 mesi comparato con 3-5 mesi, 6-11 mesi e più di 12 mesi) ha maggiore proba- bilità di introdurre cibi solidi prima di 4 mesi (rispettivamente 7.2%, 3.6%, 2.3% e 1.6%). Rispetto all’introduzione dei cibi so-
lidi, sia la introduzione precoce (4 mesi), che tardiva (>7 mesi) era associata a più elevato rischio di BMI elevato a 12 mesi. Se confrontata con introduzione dei solidi a 5 mesi, il rischio (OR) della introduzione precoce (4 mesi) era 1.75 (IC 95% 1.10, 2.80);
il rischio della introduzione tardiva (>7 mesi) era 2.64 (IC 95%
1.26, 5.54). Tuttavia l’introduzione ritardata dei solidi (>7 mesi) era associata ad un rischio maggiore di BMI elevato a 12 mesi solo nei bambini allattati per meno di 4 mesi di età, mentre tale rischio si annullava se c’era stato un allattamento protratto.
Conclusioni
Gli autori concludono affermando che, rispetto all’età di 5-6 mesi, sia l’introduzione precoce (4 mesi) che tardiva (>7 mesi) dei primi cibi solidi è associata ad una maggiore probabilità di BMI elevato a 12 mesi, indipendentemente dal tipo di allatta- mento a 4 mesi. Aggiungiamo che dallo studio emerge anche che una più lunga durata dell’allattamento sarebbe associata ad un ridotto rischio di avere un BMI elevato.
Altri studi sull’ argomento
L’effetto dell’età dello svezzamento sullo sviluppo di obesità è stato valutato anche da altri studi con risultati non sempre con- cordanti su una condizione così multifattoriale come l’obesità.
Una recente revisione sistematica suggerisce che la precoce in- troduzione di cibi solidi (< 4 mesi) può aumentare il rischio di obesità [1]. Una revisione sistematica del 2015 riguardante studi pubblicati tra il 1980 ed il 2014 individua 282 trial che cerca- no i fattori di rischio per l’obesità a cui possono essere esposti i bambini nei primi 1.000 giorni. I fattori di rischio che si rica- vano dagli studi sono l’elevato BMI pregravidico, l’abitudine al fumo di sigaretta della madre, la depressione materna, il diabete gestazionale, elevati livelli di stress materno, eccessivo aumen- to di peso durante la gravidanza, un peso neonatale elevato, un rapido aumento di peso nei primi sei mesi di vita, un precoce inizio del divezzamento, frequenza all’asilo nido, uso del bibe- ron, basso livello socio economico, scarsa durata del sonno nel lattante, difficile relazione con il genitore [2]. Uno studio recen- te condotto ad Atlanta su 1.181 bambini che valutava l’età della introduzione dei cibi solidi e lo sviluppo di obesità a sei anni non riscontrava alcuna influenza sullo sviluppo di obesità all’età di sei anni quando i risultati erano corretti per i possibili fattori confondenti [3]. Un altro studio osservazionale condotto a Mel- burne riguardante una coorte di 620 soggetti nati tra il 1990 ed il 1994 riscontra un effetto protettivo della ritardata introduzio- ne di solidi sullo sviluppo di sovrappeso/obesità a 10 anni [4].
Uno studio turco riguardante 4.990 bambini di età 2-14 anni cerca ma non trova alcuna associazione significativa tra durata dell’allattamento al seno, età dell’introduzione dei cibi solidi e Sun C, Foskey RJ, Allen KJ, et al.
The impact of timing of introduction of solids in infant body mass index J Pediatr. 2016;179:104-110.e1
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sviluppo di obesità [5]. Uno studio osservazionale di 17.046 bam- bini bielorussi reclutati tra il 1996 e 1997 per uno studio di inter- vento di promozione dell’allattamento al seno si pone l’obiettivo di valutare l’effetto dei parametri antropometrici del bambino sul tipo di alimentazione ricevuta [6]. I risultati dello studio portano gli autori ad ipotizzare che tra peso del bambino e durata dell’al- lattamento al seno possa esserci una reverse causality, ossia il ri- schio che un effetto possa precedere la sua causa. Potrebbe infatti essere che non sia la durata dell’allattamento al seno o il momen- to dello svezzamento che condizionano il peso successivo, ma che il peso dei primi mesi del lattante condizioni la durata dell’allat- tamento e il momento dello svezzamento. La recente linea guida clinica dell’ESPGHAN sui differenti aspetti dell’alimentazione complementare (momento, tipo di alimenti, modalità di som- ministrazione), indica come obiettivo desiderabile l’allattamento materno fino a 6 mesi (26 sett.) e propone di iniziare lo svezza- mento non prima del compimento del quarto mese e non oltre i 6 mesi. Afferma inoltre che uno stile genitoriale di tipo respon- sivo è un fattore protettivo molto importante nei confronti dello sviluppo di sovrappeso in particolare nei primi 2 anni di vita [7].
Che cosa aggiunge questo studio
Questo studio conferma che l’età più corretta per l’introduzione dei cibi solidi è tra 5-6 mesi, e conferma l’importanza dell’allatta- mento prolungato, non aggiunge però alcuna novità.
Commento
Validità interna
Disegno dello studio: lo studio è chiaramente descritto e riprodu- cibile, possiede però alcune limitazioni. Si tratta di uno studio di tipo osservazionale “cross-sectional”, come tale è una foto istan- tanea limitata al momento in cui si osservano i fatti e questo tipo di ricerca permette di riconoscere possibili associazioni ma non permette di inferire su possibili cause di un fenomeno. Inoltre vi può essere la possibilità di una reverse causality (Glossario).
Il peso e l’altezza dei bambini non erano misurati direttamente dai ricercatori, ma ricavati dai questionari compilati dalle madri e quindi con possibili imprecisioni. Le informazioni sull’alimen- tazione venivano fornite a posteriori, quando cioè i bambini ave- vano circa 1 anno di età e questo potrebbe comportare possibili errori (recall bias), soprattutto per quanto riguarda l’età di avvio della alimentazione complementare. Non ci sono informazioni su: quantità e qualità degli alimenti solidi introdotti dal bambino, BMI materno e diabete gestazionale, tutti fattori che potrebbero influenzare le associazioni osservate. Un’analisi più ampia e veri- tiera dell’associazione svezzamento/obesità richiederebbe anche una valutazione degli stili di accudimento alimentare adottati (responsivo, autoritario, indulgente, negligente) [7].
Esiti: l’esito considerato è rilevante e ben descritto.
Conflitto di interesse: gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse.
Trasferibilità
Popolazione studiata: la popolazione studiata è simile a quella seguita nell’ambulatorio del pediatra di base che dà le indicazio- ni riguardo all’allattamento e ai tempi del divezzamento.
Tipo di intervento: sostegno dell’allattamento materno ed atten-
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zione al momento dell’introduzione dei cibi solidi concordano con quanto promosso nei nostri ambulatori.
1. Pearce J, Taylor MA, Langley-Evans SC. Timing of the introduction of complementary feeding and risk of childhood obesity: a systematic review. Int J Obes (Lond). 2013;37(10):1295-306
2. Woo Baidal JA, Locks LM, Cheng ER, et al. Risk factors for childho- od obesity in the first 1,000 days: a systematic review. Am J Prev Med.
2016;50(6):761-779
3. Barrera CM, Perrine CG, Li R, et al. Age at Introduction to Solid Fo- ods and Child Obesity at 6 Years. Child Obes. 2016;12(3):188-92 4. Seach KA1, Dharmage SC, Lowe AJ, et al. Delayed introduction of solid feeding reduces child overweight and obesity at 10 years. Int J Obes (Lond). 2010;34(10):1475-9
5. Vehapoglu A, Yazıcı M, Demir AD, et al. Early infant feeding practice and childhood obesity: the relation of breast-feeding and timing of solid food introduction with childhood obesity. Pediatr Endocrinol Metab.
2014;27(11-12):1181-7
7. Kramer MS, Moodie EEM, Dahhou M, et al, Breastfeeding and Infant Size: Evidence of Reverse Causality. Am J Epidemiol. 2011;173(9):978–
9838. Fewtrell M, Bronsky J, Campoy C, et al. Complementary Feeding: A Position Paper by the European Society for Paediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition (ESPGHAN) Committee on Nutrition. J Pe- diatr Gastroenterol Nutr. 2017;64:119-32
Scheda redatta dal gruppo di lettura di Forlì:
Antonella Stazzoni, Annalena Saletti, Annamaria Baldoni, Franco Maz- zini, Enrico Valletta, Francesca Vaienti, Giancarlo Cerasoli, Ilaria Ponton, Isabella Penazzi, Laura Gaspari, Manuela Pasini, Martina Fornaro, Mau- ro Baldini, Micaela Bucci, Mila Degli Angeli, Roberta Ciambra, Tonino Di Biase, Valentina Venturi.
Figura 1: le diverse possibili relazioni causali di una associazione
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Glossario
Causalità inversa
La causalità inversa (in inglese reverse causation, reverse causality, retrocausality, backward causation) propone che la relazione causale tra due fenomeni sia opposta a quella che appare. Tra un’esposizione X e un esito Y possono esserci 3 possibili rapporti:
X determina Y, Y determina X (causalità inversa), oppure X e Y coesistono contemporaneamente (simultaneità) e non è possibile distinguere cosa sia la causa e cosa l’effetto. La causalità inversa significa pertanto che l’esposizione X e l’esito Y sono associati, ma non nel modo in cui ci si aspetterebbe. Invece di X che causa un cambiamento in Y, è in realtà il contrario: Y per l’appunto, sta cau- sando cambiamenti in X (figura 1). In epidemiologia si dice che l’esito causa l’esposizione. Ad esempio alcuni studi osservazionali (Zutavern A. et al. Pediatrics 2008;121:e442-52; Sears MR. et al. Lancet 2002;89:88-93) avevano rilevato un aumento di allergia nei bambini allattati al seno in modo prolungato. L’associazione, tuttavia, può indicare una causalità inversa, ossia che i bambini sensi- bilizzati o a rischio allergico o con atopia avessero mamme motivate ad allattare al seno per lungo tempo e a ritardare il più possibile l’alimentazione complementare: in altre parole, l’allergia non era la conseguenza dell’allattamento ma la causa di un allattamento prolungato. Anche nello studio analizzato in questa scheda vi potrebbe essere la possibilità di una reverse causation: i bambini con
“ritardato segnale di sazietà” (fenomeno non raro nei bambini con eccesso ponderale) e/o con un “rapid weight gain” (la crescita ponderale accelerata nel corso dei primi mesi di vita rappresenta un precursore riconosciuto di BMI elevato negli anni successivi) potrebbero indurre nei caregiver la credenza che il latte da solo non basti più a sfamare i piccoli ed indurli ad un’ introduzione anti- cipata dei solidi nel tentativo di saziare i piccoli. Di conseguenza la causa primaria del BMI più elevato a 12 mesi non sarebbe tanto l’introduzione anticipata di solidi di per sé, ma l’iperalimentazione del piccolo (nel caso di ritardato segnale di sazietà), o la crescita accelerata (non dovuta di per sé all’introduzione anticipata di solidi ma ad un genotipo primariamente obesogeno).
Un altro esempio di possibile causalità inversa tra alimentazione e peso nel primo anno di vita è segnalato nella voce bibliografica 6.
Gli studi osservazionali sono a maggior rischio di incorrere in questa errata interpretazione delle relazioni tra esposizione ed esito, perché è un tipo di disegno che non si presta bene ad analizzare il rapporto di causalità.
E’ possibile approfondire la relazione complessa tra allattamento al seno e obesità leggendo anche il box della Scheda newsletter pediatrica ACP (anno 2015 n.3): Esiste un’associazione tra allattamento al seno e riduzione del rischio di obesità nell’infanzia!
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.1 pag. 3 di 3
Newsletter Pediatrica
La somministrazione di steroidi nelle nuove diagnosi di porpora di Schönlein-Henoch non riduce l’incidenza e la gravità della nefropatia a 12 mesi. Un RCT in doppio cieco
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)RCT multicentrico, controllato con placebo, in doppio cieco, per valutare se la somministrazione precoce di steroidi (prednisolo- ne) riduce l’incidenza e la gravità della nefropatia nei bambini (<18 anni) con HPS all’esordio.
P
opolazioneBambini sotto i 18 anni di età con diagnosi di HSP all’esordio (in base ai criteri dell’American College of Rheumatology), afferiti presso uno dei 24 centri di 2° livello partecipanti allo studio in Inghilterra e in Galles.
I bambini sono stati esclusi dallo studio se erano:
- già in terapia con steroidi o immunosoppressori;
- trattati con ACE inibitori;
- affetti da una malattia renale pre-esistente (escluse le infezioni urinarie); da ipertensione preesistente; da immunodeficienza o infezione sistemica; da disturbi che controindicano la con steroi- di (epilessia, diabete mellito, glaucoma o ulcera peptica); dal rash caratteristico di HSP da più di 7 giorni.
I
ntervento181 bambini sono stati assegnati a ricevere prednisolone alla dose di 2 mg/kg/giorno (max 80 mg) per 7 giorni, seguiti da 1 mg/kg/giorno per 7 giorni (max 40 mg). Il farmaco è stato inizia- to entro 7 giorni dalla comparsa del rash. Le valutazioni di tutti i pazienti, caratteristiche cliniche, eventi avversi e stick urinari per la presenza di sangue e proteine) sono state effettuate al mo- mento della randomizzazione, a 4 settimane, a 3 mesi e a 12 mesi.
L’analisi quantitativa del rapporto UP/UC (quantità di proteine rispetto a quantità di creatinina nelle urine) è stata eseguita al momento della randomizzazione, a 12 mesi e se vi era proteinu- ria nello stick urine. Pressione arteriosa e analisi delle urine sono state monitorate ogni settimana in ambulatorio per 4 settima- ne. Il dosaggio di elettroliti sierici, creatinina e albumina è stato eseguito all’inizio del trial e successivamente se richiesto dalla situazione clinica. I pazienti sono stati sottoposti a biopsia renale quando è stato rilevato un deterioramento della funzione renale, con nefropatia acuta o persistenza (> 4 settimane) per proteinu- ria nefrosica, definita come UP/UC > 200 mg/mmol.
C
ontrollo171 bambini sono stati assegnati in modo casuale a ricevere pla-
cebo per 14 giorni. Il farmaco placebo è stato iniziato entro 7 giorni dalla comparsa del rash. Follow-up medesimo dei trattati.
O
utcome/E
siti Tre outcomes principali:1. proteinuria a 12 mesi intesa come UP/UC e > 20 mg / mmol.
2. Necessità di ulteriori trattamenti: il verificarsi di qualsiasi di tre eventi (ipertensione, anomalie alla biopsia renale e necessità di trattamento della malattia renale) nel periodo di studio (12 mesi). Ipertensione identificata dall’uso di farmaci antipertensi- vi. La necessità di trattamento aggiuntivo della malattia renale identificato dalla presenza di terapia steroidea addizionale (non per il trial) o ACE-inibitori prescritti per motivi diversi dall’iper- tensione.
3. Associazione dei polimorfismi del gene ACE con la proteinu- ria a 12 mesi.
Esito secondario: presenza di sintomi provocati dall’eventuale tossicità indotta dal farmaco del trial (ipertensione, dolori addo- minali, nausea e/o vomito o eventi avversi avvenuti prima della visita alla fine della quarta settimana). Dato che questi sintomi sono caratteristici sia della HSP che della tossicità da steroidi, sono stati considerati se il medico (che non era a conoscenza dell’assegnazione del trattamento) li riteneva probabilmente o sicuramente dovuti al farmaco del trial.
T
empoBambini arruolati tra gennaio 2001 e gennaio del 2005. Durata dello studio 12 mesi.
Risultati principali
Dei 460 bambini idonei, 352 sono stati randomizzati e 336 sono giunti al follow-up del 12 mese; 247 hanno fornito i dati per il calcolo del rapporto UP/UC.
Outcome primari:
1. a 12 mesi vi erano risultati sulla proteinuria (UP/UC) per 123/171 (72% nel gruppo intervento e 124/165 (75%) nel gruppo placebo). 18/123 (15%) dei pazienti trattati con prednisolone e 13/124 (10%) dei pazienti trattati con placebo hanno avuto UP/
UC > 20 mg/mmol.
Non vi sono state differenze significative nella percentuale di pazienti con UP/UC>20 mg/mmol a 12 mesi tra i due gruppi (OR prednisolone/placebo 1.46, IC 95% 0.68, 3.14, n = 247), an- che dopo aggiustamento per la proteinuria basale e per l’utilizzo Dudley J, Smith G, Llewelyn-Edwards A, et al.
Randomised, double-blind, placebo-controlled trial to determine whether steroids reduce the incidence and severity of ne- phropathy in Henoch-Schonlein Purpura (HSP)
Arch Dis Child. 2013;98(10):756-63
di farmaci noti per influenzare la proteinuria (OR 1.29, IC 95%
0.58, 2.82, n=247).
2. Non era presente differenza significativa tra i due gruppi sulla necessità di utilizzo di un trattamento supplementare (HR pred- nisolone/placebo 0.53, IC 95% 0.18, 1.59, n=323).
Esito secondario: 158 su 175 (90%) pazienti trattati con predniso- lone e 152/168 (90%) pazienti trattati con placebo hanno parteci- pato alla visita di studio alla 4 settimana e/o fornito informazioni sugli eventi avversi per questo periodo. Di questi pazienti, 2/158 (1%) trattati con prednisolone e 1/152 (1%) trattati con placebo hanno presentato sintomi attribuibili ad una possibile tossicità indotta dal farmaco in studio. Nessuno dei pazienti con sintomi di tossicità ha presentato ipertensione.
Conclusioni
Non vi sono prove che suggeriscono che il trattamento preco- ce con prednisolone riduca la prevalenza di proteinuria 12 mesi dopo l’insorgenza della malattia in bambini con HSP.
Altri studi sull’ argomento
In letteratura secondaria è presente un aggiornamento del 2015 di una revisione Cochrane pubblicata nel 2009, con l’obiettivo di valutare i benefici e i rischi di diversi agenti (utilizzati singolar- mente o in combinazione) rispetto al placebo, a nessun tratta- mento o a qualsiasi altro agente per:
1) la prevenzione di una grave malattia renale nei pazienti con HSP senza malattia renale al momento della presentazione;
2) la prevenzione di una grave malattia renale nei pazienti con HSP e malattie renali minori (ematuria microscopica, proteinu- ria lieve) al momento della presentazione;
3) il trattamento della malattia renale grave (ematuria macrosco- pica, proteinuria, sindrome nefritica, sindrome nefrosica con o senza insufficienza renale acuta) in HSP;
4) la prevenzione di episodi ricorrenti di malattia renale HSP-as- sociata. Dai 30 RCT identificati (con 1.403 pazienti arruolati), generalmente di bassa qualità, non è stata trovata alcuna prova di efficacia nell’uso di agenti antipiastrinici o di prednisone per prevenire la malattia renale persistente nei bambini con HSP.
Anche se l’eparina è risultata efficace, questa terapia è potenzial- mente pericolosa e non è giustificata per prevenire una malattia renale anche grave che riguarda meno del 2% dei bambini con HSP. Nessuna prova di efficacia è stata trovata per il trattamento con ciclofosfamide nei bambini o adulti con HSP e gravi malattie renali. A causa del basso numero di pazienti, non è chiaro se la ciclosporina e il micofenolato hanno alcun ruolo nel trattamento dei bambini con HSP e gravi malattie renali [1].
Una revisione della letteratura pubblicata nel 2015 svolta per uno scenario clinico ha raccolto 5 RCT e due revisioni sistematiche:
la revisione Cochrane del 2009 e la metanalisi di Weiss e coll.
del 2007. Gli autori dello scenario clinico segnalano le conclusio- ni discordanti (Weiss e coll. indicano una efficacia della terapia cortisonica a differenza della revisione Cochrane) osservando la differente casistica raccolta dai ricercatori, con una preferenza nella selezione di studi retrospettivi di vecchia data nella revisio- ne di Weiss, pubblicazioni non incluse nella revisione Cochrane, la quale raccoglie i più recenti RCT. Le conclusioni dello scenario clinico sono per una assenza di efficacia della terapia cortisonica nella prevenzione della nefrite in corso di HSP [2].
Newsletter Pediatrica
Che cosa aggiunge questo studio
Dimostra ulteriormente, con uno studio piuttosto ampio e ben condotto, che non è necessario trattare routinariamente i pazien- ti con nuova insorgenza di HSP con cortisonici per prevenire l’incidenza e la severità di una eventuale nefropatia.
Commento
Validità interna
Disegno dello studio: RCT formalmente di buona qualità (Sca- la di Jadad 5: studio randomizzato con lista di randomizzazione generata in maniera adeguata, centro specifica, 1:1 e in doppio cieco), registrazione ISRCTN71445600. I persi al follow-up sono adeguatamente descritti. La randomizzazione è stata eseguita in modo corretto. Da segnalare la preponderanza dei casi di nefrite (sia in termini di UP/UC> 20 mg/mmol che di proteinuria ed ematuria allo stick urine) nel gruppo cortisone, sia al momen- to della randomizzazione che alla visita finale; tuttavia le analisi sono state aggiustate per un valore di UP/UC basale e per l’uso di farmaci antipertensivi (noti per influenzare i livelli di proteinuria come enalapril e losartan) somministrati durante il periodo di studio di 12 mesi. La perdita di oltre il 30% dei pazienti alla fine dello studio, tra mancata aderenza e pedita dei dati al follow-up, riduce la significatività dei risultati.
Esiti: RCT rilevante clinicamente in quanto i dati finali sono a sostegno del non utilizzo dello steroide.
Conflitto di interesse: GlaxoSmithKline ha offerto il prednisolo- ne e il placebo. Un autore ha relazioni finanziarie con GlaxoSmi- thKline. Nessun altro autore dichiara conflitto di interesse negli ultimi tre anni con industrie che potrebbero avere interesse in questo studio.
Trasferibilità
Popolazione studiata: popolazione analoga a quella afferente ad un presidio ospedaliero, in collegamento con un ambulatorio analogo ai nostri.
Tipo di intervento: intervento riproducibile in ospedale e in ambulatorio. Quantitativo e tempistica della somministrazione di cortisone: non vi sono linee guida che indicano quanto deve essere la dose da somministrare nel caso di HSP e per quanto tempo.
1. Hahn D, Hodson EM, Willis NS, et al. Interventions for preventing and treating kidney disease in Henoch-Schönlein Purpura (HSP). Co- chrane Database Syst Rev. 2015 Aug 7;(8):CD005128
2. Szemenyei C, Hahn D. Prevention of nephritis in Henoch-Schönlein purpura. J Paediatr Child Health. 2015;51(2):236-9
Scheda redatta dal gruppo di lettura di Ravenna:
Luca Casadio, Sara Dal Bo, Alfredo Di Caro, Massimo Farneti, Nadia Foschi, Vanna Graziani, Martina Mainetti, Federico Marchetti, Sara Pu- sceddu, Giovanna Valmori, Lucia Vignutelli, Elena Zamuner, Annalisa Martini, Marcella De Logu, Carlotta Farneti.
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.2 pag. 2 di 2
Newsletter Pediatrica
Tonsillectomia o vigile attesa nei bambini con tonsilliti
ricorrenti? Una revisione sistematica che ancora non risolve il dubbio
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)Revisione sistematica che compara l’approccio interventistico rispetto a quello conservativo nella popolazione pediatrica con tonsilliti ricorrenti per quanto riguarda il numero e la severità degli episodi di infezioni orofaringee, la qualità di vita e il ricorso ai servizi di cura.
P
opolazioneGli studi sono stati cercati in PubMed, Embase e Cochrane Li- brary utilizzando una combinazione di parole chiave quali “Ton- sillectomia”, “Adenotonsillectomia, “Streptococco”. Sono stati inclusi studi comparativi (RCT e studi di coorte prospettici e retrospettivi) pubblicati in lingua inglese. Non sono stati inclusi studi con elevato rischio di bias. Sono stati scelti 7 studi su 9.608 pubblicazioni (4 RCT, 1 trial non randomizzato, 2 studi di coorte retrospettivi) che includevano bambini con ≥ 3 episodi di infe- zione/anno nei precedenti 1-3 anni.
I
nterventoTonsillectomia o adenotonsillectomia.
C
ontrolloVigile attesa che potrebbe includere il trattamento di supporto con farmaci come antibiotici o steroidi nasali.
O
utcome/E
sitiNumero e severità delle infezioni faringee ricorrenti; qualità del- la vita; utilizzo dei servizi medici (numero di visite o contatti cli- nici, numero di cicli di antibioticoterapia). Nella maggior parte degli studi selezionati, gli outcome sono stati valutati dopo 1 e 2 anni dal reclutamento e confrontati con gli stessi item precedenti all’entrata nello studio (baseline).
T
empoSono stati analizzati gli studi pubblicati tra gennaio del 1980 e giugno del 2016. Il tempo di follow-up era variabile da un mini- mo di 12 mesi fino a 3 anni.
Risultati principali
Il numero di episodi di infezione e di giorni di faringodinia si
riduce in entrambi i gruppi rispetto al baseline. Si evidenzia un maggior decremento di giorni di malattia, visite mediche, dia- gnosi di infezioni streptococciche e assenze scolastiche nei bam- bini tonsillectomizzati, entro il primo anno dall’intervento. La qualità della vita non è marcatamente differente nei due gruppi.
Conclusioni
Le infezioni orofaringee, il ricorso ai servizi di cura e le assenza scolastiche migliorano nel primo anno post-operatorio nel grup- po di bambini tonsillectomizzati rispetto a quelli non sottoposti a chirurgia. I benefici di questo intervento non persistono nel tempo. La valutazione degli effetti a lungo termine è limitata. La forza delle prove è molto bassa per quasi tutti gli esiti, moderata solo per la diminuzione degli episodi di mal di gola nel breve termine.
Altri studi sull’ argomento
L’efficacia del trattamento di tonsillectomia è un problema su cui si è molto pubblicato. Una revisione sistematica pubblicata nel 1998 concludeva che le evidenze disponibili non permettevano delle conclusioni, ed invitava ad una maggior accuratezza degli studi su questo tema. Ad oggi sembra che non molto sia cambia- to [1]. Una revisione sistematica di Clinical Evidence del 2014 riporta, sulla base di 4 studi, evidenze di qualità molto bassa sul beneficio della tonsillectomia sugli episodi di tonsillite o mal di gola e sui giorni di scuola persi. Inoltre i benefici derivanti dal- la tonsillectomia potrebbero non bilanciare la morbosità asso- ciata alla chirurgia nei bambini affetti da tonsillite non severa [2]. Una recente revisione sistematica Cochrane afferma che i bambini con tonsillite acuta ricorrente possono avere un piccolo beneficio dall’ intervento chirurgico: questa procedura eviterà 0.6 episodi di qualsiasi tipo di mal di gola nel primo anno dopo l’intervento rispetto al trattamento non chirurgico (media di 3 contro 3.6 episodi all’anno). Bambini con tonsilliti più gravi o più frequenti possono avere un beneficio maggiore. Non esistono dati di buona qualità per valutare gli effetti oltre l’anno dall’in- tervento. Gli studi presi in considerazione in questa revisione non hanno evidenziato differenze per quanto riguarda la qualità della vita. I vantaggi sono modesti e da valutare rispetto ai rischi dell’intervento [3]. Una revisione di Barraclough et al. del 2014 si concentra sulla popolazione pediatrica e analizza diversi esiti della tonsillectomia, senza però avere un gruppo di confronto.
Un dato interessante è la differenza di efficacia di intervento per- cepita dai genitori rispetto a quella misurata clinicamente [4].
Morad A, Sathe NA, Francis DO, et al.
Tonsillectomy Versus Watchful Waiting for Recurrent Throat Infection: A Systematic Review Pediatrics 2017;139(2). pii:e20163490
Gli effetti dell’applicazione delle LLGG gallesi sulla tonsillecto- mia è valutata da uno studio che evidenzia una riduzione degli interventi chirurgici e un aumento delle complicanze delle in- fezioni tonsillari come gli ascessi peritonsillari, parafaringei e retrofaringei [5].
Che cosa aggiunge questo studio
Nulla di significativo.
Commento
Validità interna
Disegno dello studio: La mancanza di una definizione standar- dizzata nei singoli studi compromette la chiarezza del quesito di ricerca e conseguentemente delle conclusioni. Sebbene formal- mente la strategia di ricerca appaia adeguata, pur limitata alla lingua inglese, i criteri di inclusione degli studi sono descritti va- gamente; i criteri di esclusione degli studi ad alto rischio di bias non sono chiaramente esplicitati. L’eterogeneità degli studi non ha permesso l’effettuazione di una metanalisi strutturata, pertan- to il lavoro presenta una sintesi descrittiva dei risultati.
Esiti: gli esiti considerati dai singoli studi, sebbene singolarmente adeguati, sono eterogenei.
Conflitto di interesse: gli autori dichiarano assenza di conflitto di interesse.
Trasferibilità
Popolazione studiata: la maggior parte degli studi ha incluso bambini con una sintomatologia di grado lieve/moderato, per i quali la terapia chirurgica non è generalmente considerata in prima battuta.
Newsletter Pediatrica
Tipo di intervento: la tonsillectomia è un intervento praticato nei bambini anche in Italia.
Sarebbe auspicabile condurre RCT sull’argomento considerando le criticità rilevate nella revisione:
- miglior definizione degli episodi di infezione riguardo la gra- vità;
- miglior definizione della popolazione (sindromi, patologie con- genite ecc);
- miglior precisione diagnostica (febbre periodica, stomatiti afto- se, faringiti, PFAPA);
- miglior specificazione dell’intervento medico;
- necessità di follow-up a più lungo termine.
1. Marshall T. A review of tonsillectomy for recurrent throat infection.
Br J Gen Pract. 1998;48(431):1331-1335
2. Georgalas CC, Tolley NS, Narula PA. Tonsillitis. Systematic review 503. BMJ Clinical Evidence. 2014; pii: 0503
3. Burton MJ, Glasziou PP, Chong LY, et al. Tonsillectomy or adeno- tonsillectomy versus non-surgical treatment for chronic/recurrent acute tonsillitis. Cochrane Database of Systematic Reviews 2014;11:CD001802 4. Barraclough J, Anari S. Tonsillectomy for recurrent sore throats in children: indications, outcomes, and efficacy. Otolaryngol Head Neck Surg. 2014;150(5):722-9
5. Yap D, Harris AS, Clarke J. Serious tonsil infections versus tonsil- lectomy rates in Wales: A 15-year analysis. Ann R Coll Surg Engl.
2017;99(1):31-36
Scheda redatta dal gruppo di lettura di Asolo:
Claudia Grossi, Barbara Andreola, Valentina Savio, Silvia Cavinato, Laura Todesco, Patrizia Bonin, Paolo Schievano, Giacomo Toffol, Maria- Luisa Zuccolo.
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.3 pag. 2 di 2
Newsletter Pediatrica
Efficacia globale del vaccino antivaricella: una meta-ana- lisi
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)Metanalisi per valutare l’efficacia post-marketing, del vaccino contro la varicella in bambini sani.
P
opolazioneStudi sull’efficacia dose-specifica del vaccino antivaricella che ri- guardano bambini dai 12 mesi ai 18 anni immunocompetenti.
Sono stati esclusi gli studi sulla profilassi post-esposizione. Gli articoli sono stati cercati in Medline, Embase, Cochrane libraries e CINAHL. Dei 105 articoli potenzialmente rilevanti, 42 sono stati inclusi nella metanalisi: 27 di coorte retrospettivi, 2 coorte retrospettivi su database elettronico, 10 caso-controllo, 1 di coor- te prospettico, 1 riguardante i contatti domestici, 1 serie storica.
Gli studi sono stati condotti negli USA (23), Cina (4), Germania (3), Israele (3), Italia (2), Spagna (2) Taiwan (2), Australia (1), Turchia (1), Uruguai (1).
E
sposizioneSomministrazione di una o due dosi di qualsiasi vaccino antiva- ricella, monovalente e, in uno studio, combinato (MMRV).
O
utcome/E
sitiVaricella, con diagnosi clinica o laboratoristica (5 studi). La gra- vità della varicella viene definita nella maggior parte degli studi in base al numero di lesioni (lieve < 50 lesioni, moderata 50-500 e grave > 500 lesioni), in alcuni in base ad altro numero di lesioni o ad altri parametri (giorni di febbre, complicanze, ospedalizza- zione).
T
empoDal 1995 (anno di commercializzazione del vaccino) al 2014.
Risultati principali
L’efficacia complessiva di 1 dose di vaccino è stata dell’81% (IC 95% 78%, 84%) per ogni tipo di varicella e del 98% (IC 95% 97%, 99%) per la varicella moderata-grave, senza significative diffe- renze in base al tipo di vaccino e al disegno di studio. L’efficacia verso la varicella grave è stata del 100%.
Per 2 dosi di vaccino l’efficacia complessiva contro ogni tipo di varicella era del 92% (IC95% 88%, 95%), con risultati simili nei diversi disegni di studio. Da sottolineare che la valutazione dell’efficacia vaccinale è stata effettuata in tempi diversi, media- mente entro 10 anni dalla vaccinazione.
Conclusioni
Una dose di vaccino antivaricella è moderatamente efficace nel prevenire qualunque tipo di varicella e altamente efficace nel prevenire la varicella moderata-grave, senza nessuna differenza significativa rispetto al tipo di vaccino. La somministrazione di una seconda dose aumenta l’efficacia preventiva verso qualsiasi manifestazione clinica di varicella.
Altri studi sull’ argomento
Uno studio pubblicato nel mese di marzo 2016 revisiona casi pediatrici in bambini di 1-4 anni che dal 2009 al 2014 riceve- vano due dosi di vaccino, con la seconda dose offerta da 4 set- timane dopo la prima fino a poco prima del secondo comple- anno [1]. La seconda dose offre un forte effetto addizionale specie se offerta precocemente. In un secondo studio pubblica- to il mese successivo condotto su 533 pazienti la schedula con due dosi offriva maggiore protezione contro la trasmissione in comunità rispetto a quella a singola dose [2]. Uno studio con- dotto in Germania, dove la vaccinazione viene fatta dal 2004 e dal 2009 vengono somministrate due dosi, verifica l’efficacia del vaccino in 1.4 milioni di bambini, con un follow-up di 8 anni.
L’efficacia risulta per 1 dose 81.9% (IC 95% 81.4, 82.5) e per due dosi 94.4% (IC 95% 94.2, 94.6). L’efficacia di una dose si ridu- ce al 32.2% (IC 95% 10.4, 48.6) se somministrata a distanza di 1-27 giorni dal vaccino anti-morbillo. I bambini non vaccinati hanno un rischio doppio di contrarre la malattia nelle zone con basso tasso di copertura [3]. Uno studio caso controllo condotto in Corea del Sud, dove la vaccinazione con una sola dose è attiva dal 2005, riscontra una efficacia globale del 75.8% (IC 95% 22.8, 92.4) ad un anno dalla vaccinazione, per poi abbassarsi progres- sivamente sino a -7.2% (IC 95% -130.9, -59.2) a distanza di 4 anni [4]. Una metanalisi del 2017 raccoglie 27 articoli che si oc- cupano dei casi di varicella nei vaccinati e conclude che 2 dosi sono più efficaci di una dose e l’efficacia si mantiene alta a 3-4 anni dalla vaccinazione [5]. Uno studio caso controllo condotto in Giappone tra settembre 2015 e settembre 2016 rileva che una dose di vaccino Oka/Biken è insufficiente per una buona pro- tezione (efficacia 76%, IC 95% 58.6%, 86.9%, p<0.001) mentre due dosi hanno una efficacia del 94.2% (IC 95% 85.7%, 97.6%, p<0.001) [6]. Uno studio caso controllo condotto in Australia, dove la vaccinazione con una dose a 18 mesi è stata introdotta nel 2005, riscontra una riduzione del tasso annuo di ospedaliz- zazione da 5.7 (anni 2000-2003) a 1.6 per 100.000 residenti [7].
Che cosa aggiunge questo studio
E’ la prima metanalisi che si pone l’obiettivo di valutare sul campo l’efficacia del vaccino anti-varicella. Una valutazione Marin M, Marti M, Kambhampati A, et al.
Global Varicella Vaccine Effectiveness: A Meta-analysis Pediatrics 2016;137(3):e20153741
post-marketing ha ricadute più significative sia dal punto di vista clinico che nella pianificazione di interventi e politiche di sanità pubblica, con possibili importanti vantaggi di salute ed econo- mici.
Commento
Validità interna
Disegno dello studio: l’articolo riporta in maniera chiara i limiti dello studio. E’ presente una importante eterogeneità (I2 > 75%) tra i vari studi: la definizione di varicella lieve/moderata/grave è differente, così come il tempo trascorso tra la vaccinazione e la valutazione dell’efficacia. Non è stata valutata la qualità dei lavori inseriti nello studio ed é stato riscontrato un bias di pubblicazio- ne. La strategia di ricerca è ben definita; non è chiaro tuttavia se i due autori che hanno selezionato i lavori hanno lavorato indi- pendentemente. Manca un numero di registrazione della revi- sione.
Esiti: non sono ben definiti, a causa della già citata variabilità nella definizione di varicella lieve, moderata o grave. Per quanto riguarda la rilevanza degli esiti considerati, questa è tuttora di- scussa e per valutarla è necessario chiarire quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere (limitare tutti i casi di varicella, o ridurre i casi gravi di varicella). I periodi di follow-up considerati nei diversi studi sono ancora brevi.
Conflitto di interesse: gli autori dichiarano l’assenza di conflit- to di interesse; un autore per questo lavoro ha ricevuto fondi da Oak Ridge Institute for Science and Education del Dipartimento USA per l’Energia in accordo con il Centers for Disease Control and Prevention.
Trasferibilità
Popolazione studiata: è del tutto sovrapponibile a quella del no- stro territorio.
Tipo di intervento: è fattibile e di fatto già iniziato.
Newsletter Pediatrica
1. Siedler A, Rieck T, Tolksdorf K. Strong Additional Effect of a Second Varicella Vaccine Dose in Children in Germany, 2009-¬2014. J Pediatr.
2016;173:202¬206.e2
2. Perella D, Wang C, Civen R, et al. Varicella Vaccine Effectiveness in Preventing Community Transmission in the 2-Dose Era. Pediatrics.
2016;137(4):e20152802
3. Rieck T, Feig M, An der Heiden M, et al Assessing varicella vaccine effectiveness and its influencing factors using health insurance claims data, Germany, 2006 to 2015. Euro Surveill. 2017;22(17). pii: 30521 4. Lee YH, Choe YJ, Cho SI, et al Effectiveness of Varicella Vaccination Program in Preventing Laboratory-Confirmed Cases in Children in Se- oul,Korea. J Korean Med Sci. 2016;31(12):1897-1901
5. Zhu S, Zeng F, Xia L, et al. Incidence rate of breakthrough varicella observed in healthy children after 1 or2 doses of varicella vaccine: Re- sults from a meta-analysis. Am J Infect Control. 2017 Sep 18, pii: S0196- 6553(17)30945-8
6. Hattori F, Miura H, Sugata K, et al. Evaluating the effectiveness of the universal immunization program against varicella in Japanese children Vaccine. 2017;35(37):4936-4941
7. Sheridan SL, Quinn HE, Hull BP, et al. Impact and effectiveness of childhood varicella vaccine program in Queensland, Australia. Vaccine, 2017;35(27):3490-3497
Scheda redatta dal gruppo di lettura di Modena:
Bosi Roberta, Bussetti Chiara, Chiarolanza Jennifer, Cionini Roberto, Denti Sara, Giubbarelli Francesca, Guaraldi Nicola, Latorraca Angela, Mangialavori Claudio, Marchi Silvia, Massari Maila, Prodi Miriam, Ro- safio Cristiano, Tediosi Giulia.
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.4 pag. 2 di 2
Newsletter Pediatrica
L’ utilizzo dei dispositivi digitali nei bambini tra 6 e 36 mesi di età è associato ad una riduzione del sonno e a difficoltà dell’ addormentamento
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)Studio osservazionale retrospettivo per valutare la possibile as- sociazione tra utilizzo giornaliero dei dispositivi digitali touch- screen (digital device, DD) e il sonno nei bambini tra 6 e 36 mesi di età.
P
opolazione715 coppie di genitori inglesi con bambini di età compresa tra 6 e 36 mesi, arruolati utilizzando gli indirizzari di siti per i genitori di università Inglesi, di agenzie e di riviste per l’infanzia, hanno risposto ad un questionario online.
E
sposizioneE’ stato valutato il tempo giornaliero di utilizzo dei DD e di espo- sizione alla televisione.
O
utcome/E
sitiMediante l’utilizzo di un questionario validato (The Brief Scre- ening Questionnaire for Infant Sleep Problems) sono stati inda- gati: la durata del sonno notturno (7.00 pm – 7.00 am) e diurno, il numero di risvegli notturni ed il tempo di addormentamento dei bambini.
T
empoIl questionario è stato somministrato tra giugno 2015 e marzo 2016.
Risultati principali
L’età media dei bambini era di 19.52 mesi (DS 8.26 mesi). La TV nelle abitazioni rimaneva accesa in media per 200 minuti al giorno. Il 75% dei bambini utilizzava giornalmente i DD per un tempo medio di 24.45 minuti al giorno. L’utilizzo dei DD è risul- tato in aumento con l’età dei bambini, passando dal 51% tra 6 e 12 mesi (con una durata media di 8.53 minuti) al 92% di quelli tra 25 e 36 mesi (durata media di 45 minuti al giorno). Dopo aver controllato per età, sesso, esposizione alla TV ed educazione ma- terna, si è evidenziata una significativa associazione tra utilizzo dei DD e durata del sonno notturno e diurno e tempo dell’addor- mentamento. In corrispondenza dell’aumento di utilizzo dei DD è stata osservata una riduzione del tempo di sonno notturno, un aumento del sonno diurno ed un incremento del tempo necessa-
rio per l’addormentamento serale. Il tempo di sonno complessi- vo (notturno più diurno) si riduce all’aumentare dell’uso dei DD.
Non si sono invece osservate associazioni tra l’utilizzo dei DD ed il numero di risvegli notturni.
Conclusioni
Questo studio evidenzia una significativa correlazione tra l’uti- lizzo dei DD e indicatori importanti di sonno disturbato quali minor durata e maggior difficoltà di addormentamento. Gli au- tori ipotizzano quattro possibili meccanismi per spiegare questa correlazione: 1) una semplice riduzione del tempo disponibile per il sonno; 2) l’ipereccitazione causata dal contenuto dei giochi utilizzati con i DD; 3) una alterazione del ritmo circadiano con soppressione della melatonina causata dalla luce brillante pro- dotta dagli schermi dei DD; 4) alcune caratteristiche dei bambini quali ad esempio l’iperattività, che a sua volta dipende in parte dell’ambiente familiare, e che possono produrre pattern irrego- lari del sonno e nello stesso tempo un aumento dell’utilizzo dei devices. Dato che una riduzione della durata del sonno nei primi anni di vita ha conseguenze negative per lo sviluppo, siamo di fronte ad un ulteriore motivo per usare molta cautela nell’utiliz- zo dei DD nei primi anni di vita.
Altri studi sull’ argomento
L’associazione tra tempo trascorso davanti agli schermi di televisione, computer, videogame e DD portatili e difficol- tà del sonno di bambini in età scolastica ed adolescenti è già stata dimostrata da numerosi studi [1-2-3]. Un recente stu- dio italiano basato su una indagine questionaria ha rileva- to come i DD vengano utilizzati occasionalmente anche dai bambini di età inferiore ad un anno in una percentuale varia- bile tra il 17 ed il 30% delle famiglie intervistate, con un in- cremento fino a più del 60% a partire dall’anno di età [4].
Che cosa aggiunge questo studio
Si tratta del primo studio che analizza specificamente la corre- lazione esistente tra utilizzo dei devices elettronici e disturbi del sonno nei bambini di età inferiore a 36 mesi. Tale correlazione, già note per le età successive, viene confermata anche nell’età compresa tra 6 e 36 mesi, nella quale i disturbi del sonno posso- no determinare conseguenze ancora più negative per lo sviluppo dei bambini.
Cheung CHM, Bedford R, Saez De Urabain I et al.
Daily touchscreen use in infants and toddlers is associated with reduced sleep and delayed sleep onset Sci Rep. 2017 Apr 13;7:46104; doi: 10.1038/srep46104
Commento
Validità interna
Disegno dello studio: si tratta di uno studio osservazionale ba- sato su un questionario compilato online dai genitori. I genitori potevano accedere allo studio solo se i loro indirizzi compari- vano negli indirizzari di specifici siti universitari o di agenzie e riviste per l’infanzia. Ciò potrebbe aver determinato un bias di selezione dei partecipanti, che verosimilmente rappresentano un target di persone di livello sociale elevato. La modalità scelta per l’indagine, che ha il vantaggio di essere molto economica e velo- ce, non permette inoltre un controllo oggettivo delle risposte. La modalità di questo tipo di raccolta dati non offre indicazioni su possibili relazioni causali tra modalità di esposizione ai touch- screen e il sonno; inoltre non sono raccolti dati sulle abitudini, i luoghi (ad esempio camera da letto, soggiorno ecc) e le attività svolte con i DD, dati utili per comprendere l’influenza di questi dispositivi sul sonno.
Esiti: l’esito considerato nello studio, data la correlazione del sonno con lo sviluppo neurologico dei bambini piccoli, è impor- tante.
Conflitto di interesse: gli autori dichiarano assenza di conflitto di interesse; due autori hanno ricevuto fondi da due organizzazioni indipendenti di ricerca (Philip Leverhulme Prize; Sir Henry Wel- lcome Postdoctoral Fellowship).
Newsletter Pediatrica
Trasferibilità
Popolazione studiata: la popolazione studiata è sovrapponibile a quella italiana per l’elevato utilizzo domestico dei dispositivi elettronici anche da parte dei bambini piccoli.
Tipo di intervento: l’ indagine è facilmente riproducibile nel no- stro contesto.
1. Hale L, Guan S. Screen time and sleep among school-aged children and adolescents: a systematic literature review. Sleep Med Rev. 2015; 21:
50-58
2. Hale L, Emanuele E, James S. Recent updates in the social and envi- ronmental determinants of sleep health. Current sleep medicine reports.
2015; 1(4):212-217
3. Carter B, Rees P, Hale L, et al. Association between portable scre- en-based media device access or use and sleep outcomes: a systematic review and meta-analysis. JAMA pediatrics 2016;170(12):1202-1208 4. Balbinot V, Toffol G, Tamburlini G. Tecnologie digitali e bambini:
un’indagine sul loro utilizzo nei primi anni di vita. Medico e Bambino 2016;10:631-6
Scheda redatta per il gruppo Pediatri per Un Mondo Possibile da:
Giacomo Toffol, Valeria Balbinot e Giorgio Tamburlini.
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.5 pag. 2 di 2
Newsletter Pediatrica
Screening celiachia, tante domande ancora senza risposta da una revisione sistematica
Metodo
O
biettivo (con tipo studio)Verificare con una revisione sistematica le evidenze di benefici e danni legati allo screening di malattia celiachia nella popolazione asintomatica (adulti e bambini >3 anni).
P
opolazioneRevisioni sistematiche, RCT, studi di coorte, studi caso controllo su benefici e danni legati allo screening per malattia celiaca in adulti, adolescenti e bambini sopra i 3 anni asintomatici, e sulle differenze tra trattamento e non trattamento nei pazienti celiaci individuati allo screening; studi sull’accuratezza diagnostica dei test sierologici per celiachia. Sono stati seguiti criteri di inclusio- ne ed esclusione specifici per i seguenti quesiti:
1. efficacia dello screening rispetto al non screening in adulti, adolescenti, o bambini asintomatici riguardo a morbilità, mor- talità e qualità di vita;
2. efficacia dello screening per celiachia mirato (familiarità, fat- tori di rischio per celiachia) rispetto all’universale in adulti, ado- lescenti, o bambini asintomatici riguardo a morbilità, mortalità e qualità di vita;
3. danni legati allo screening per celiachia;
4. accuratezza dei test utilizzati per lo screening di celiachia;
5. miglioramenti riguardo a morbilità, mortalità e qualità di vita nei celiaci individuati con lo screening e trattati rispetto a quelli non trattati;
6. miglioramenti riguardo a morbilità, mortalità e qualità di vita dei celiaci individuati dallo screening e trattati rispetto a quelli trattati dopo una diagnosi clinica;
7. danni associati al trattamento per malattia celiaca.
I
nterventoScreening per malattia celiaca (test sierologici e questionari). Ac- curatezza diagnostica dei test sierologici.
O
utcome/E
sitiEsiti gastrointestinali, esiti psicologici (umore, ansia), disturbi di crescita, esiti di salute derivanti da eventuali deficienze nutrizio- nali inclusa l’anemia sintomatica, morbilità, mortalità, qualità di vita, compreso il danno da screening.
T
empoCochrane Central Register of Controlled Trials, Cochrane Data- base of Systematic Reviews e Ovid MEDLINE sono stati consul- tati rispettivamente dal 1991, dal 2005 e dal 1946 fino al giugno 2016.
Risultati principali
Sono stati identificati 3.036 lavori di cui 2.819 sono stati esclusi per titolo ed abstract non attinente. Dei 217 rimanenti, ne sono stati esclusi 213. Quattro studi, una revisione sistematica e tre RCT, rispondevano ai criteri di inclusione. Non sono stati identi- ficati studi sullo screening di malattia celiaca che dessero risposta alle domande 1, 2 e 3. In risposta alla domanda 4, una recente re- visione sistematica di buona qualità, di 56 studi originali e 12 pre- cedenti revisioni sistematiche, ha dimostrato che le IgA transglu- taminasi tissutali (TGT) posseggono una elevata accuratezza per la diagnosi di celiachia con sensibilità del 92.8% (IC 95% 90.3%, 94.8%) ed una specificità del 97.9% (IC 95% 96.4%, 98.8%). Per quanto riguarda gli anticorpi IgA anti-endomisio (EMA) è stata evidenziata una sensibilità del 73% (IC 95% 61%, 83%) e una specificità del 99% (IC 95% 98%, 99%). Per la Gliadina Deami- data IgA: sensibiltà 87.8% (IC 95% 85.6%, 89,9%) e specificità 94.1% (IC 95% 92.5%, 95.5%). Per l’endoscopia con video capsu- la: sensitività 89% (IC 95% 82%, 94%) e specificità 95% (IC 95%
89%, 99%). Solo 2 studi di buona qualità, sempre inclusi nella revisione sistematica, con bassa numerosità (62 e 158 pazienti svolti rispettivamente in Iraq e Repubblica Ceca), utilizzavano test sierologici (TGT IgA, EMA) in persone asintomatiche con fattori di rischio dimostrando dimostrato una più bassa sensi- bilità (57% e 71%). Domanda 5: adulti asintomatici, positivi ai test sierologici (EMA), in uno studio finlandese di buona qualità, svolto su 40 pazienti in dieta senza glutine, confrontati con un gruppo di controllo non trattato (l’esito della biopsia è stato na- scosto ai ricercatori fino a fine studio) mostravano a 1 anno un modesto miglioramento di alcuni sintomi gastrointestinali (diar- rea, dispepsia, reflusso) e dei sintomi di ansia ma con nessuna differenza su stipsi e dolori addominali, su depressione, autocon- trollo e altri outcome di qualità di vita. A distanza di un anno nel gruppo a dieta gluten-free si sono registrati miglioramenti dei reperti istopatologici. Non sono trovati lavori che danno risposta alla domanda 6. In risposta alla domanda 7 non è stato segnalato nessun abbandono per eventi avversi o altri danni segnalati nel corso dell’unico studio valutabile.
Conclusioni
Sebbene siano state trovate alcune evidenze riguardo l’accuratez- za dei test diagnostici per celiachia nessuna o comunque poche evidenze sono state identificate in relazione ai benefici e danni legati allo screening di celiachia negli asintomatici. Servono ulte- riori ricerche per conoscere l’efficacia dello screening e del trat- tamento della malattia celiaca, l’accuratezza dei test negli asinto- matici e le migliori strategie di screening.
Chou R, Bougatsos C, Blazina I, et al.
Screening for Celiac Disease Evidence Report and Systematic Review for the US Preventive Services Task Force JAMA. 2017;317(12):1258-1268
Altri studi sull’ argomento
Questa revisione sistematica é alla base di un Recommenda- tion Statement della USPSTF che propone comportamenti cli- nici secondo un grading di evidenze. Questo documento indica una insufficienza di prove per valutare il bilancio tra benefici e danni al fine di eseguire uno screening nella popolazione univer- sale o asintomatica. Anche nelle persone con aumentato rischio di malattia celiaca (storia familiare positiva, parenti di primo o secondo grado, persone con malattie autoimmuni, sindrome di Turner, sindrome di Down, deficit di IgA, nefropatia da IgA), lo Statement indica una insufficienza di prove relative al bilancio di beneficio vs danno per l’esecuzione dello screening di malattia celiaca [1]. Le linee guida ESPGHAN del 2012 per la diagnosi di celiachia indicano che nei bambini e adolescenti sintomatici, con livelli elevati di anticorpi antitransglutaminasi e HLA DQ2/DQ8 positivi, la celiachia può essere diagnosticata senza ricorrere alla biopsia intestinale (per una lettura commentata vedi anche Valletta E, et al. Quaderni ACP 2010;17:19-22) [2]. L’appli- cazione delle nuove linee ESPGHAN è stato monitorato attra- verso uno studio prospettico che ha evidenziato, con la stretta applicazione delle linee guida ESPGHAN per la diagnosi senza esecuzione della biopsia duodenale, la fattibilità e attendibilità nell’11% dei casi. In un follow-up a medio termine di circa 2 anni, questo approccio diagnostico non ha conseguenze negative sulla remissione clinica, l’adesione alla dieta e la qualità di vita dei pazienti (per una analisi commentata di questo studio vedi Pagine elettroniche Quaderni ACP 2016;23(4):n.3) [3]. Le linee guida britanniche del 2014 segnalano che non tutti i kit com- merciali per gli anticorpi antitransglutaminasi sono affidabili e pertanto le linee guida ESPGHAN non possono essere utilizzate in UK. In più, il 2% dei pazienti con celiachia presenta un deficit di IgA (0.2% di tutta la popolazione); questo dato può condurre a falsi negativi e a una riduzione della sensibilità del test. Pertanto, per la popolazione adulta britannica la biopsia è considerata il gold standard per la diagnosi di celiachia [4]. L’aggiornamento delle linee guida italiane del Ministero della Salute indica, per la sola popolazione pediatrica, la possibilità di effettuare la diagnosi di celiachia senza eseguire la biopsia della mucosa duodenale.
I pazienti devono rispettare specifici criteri clinici e laboratori- stici: sintomi clinici fortemente suggestivi, titolo anticorpale an- ti-TG IgA 10 volte sopra la norma, EMA positivo, assetto HLA compatibile (DQ2/DQ8). In queste linee guida lo screening è inteso come lo studio sierologico da effettuare nella popolazione a rischio, clinicamente silente, e non nella popolazione in gene- rale [5]. Da segnalare che le più recenti linee guida USA pedia- triche della NASPGHAN sulla diagnosi della celiachia risalgono al 2005 e prevedono l’esecuzione della biopsia con la conferma istopatologica prima di iniziare la dieta senza glutine [6]. Infine, per una interpretazione dell’assetto HLA e la comprensione dei diversi livelli di rischio nella popolazione suscettibile, Quader- ni ACP ha presentato una review a cura di Enrico Valletta uti- le per poter fornire ai genitori una comunicazione corretta [7].
Che cosa aggiunge questo studio
Documenta la scarsità delle evidenze su un tema che suggerisce una serie di domande per le quali ci sono poche risposte e per le quali c’è necessità di studi ulteriori.
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Commento
Validità interna
Disegno dello studio: la revisione comprende precisi quesiti di ricerca, tuttavia la strategia presenta dei limiti di completezza e riproducibilità. La validità interna della forza delle evidenze per ognuna delle domande chiave è stata fatta secondo i metodi svi- luppati dalla USPSTF.
Esiti: gli esiti considerati sono rilevanti e ben definiti.
Conflitto di interesse: tutti gli autori hanno dichiarato l’assenza di conflitto di interessi.
Trasferibilità
Popolazione studiata: le caratteristiche della popolazione studia- ta, soggetti asintomatici con o senza fattori di rischio sono simili nella nostra realtà.
Tipo di intervento: lo screening dei soggetti asintomatici non a rischio non è attualmente previsto in Italia. Lo screening su po- polazione a rischio viene normalmente eseguito secondo le nuo- ve linee guida ministeriali, che hanno recepito e raccomanda- zioni EPSGHAN, e le disposizioni di appropriatezza nazionali e regionali. In particolare per l’età pediatrica è codificato il ricorso al test genetico, oltre che per l’individuazione dei familiari di I°
grado a rischio, anche per la diagnosi senza biopsia. In questo la- voro non vengono presi in considerazione i costi, nel significato più complessivo del termine, di tutti gli interventi considerati, costi sicuramente da valutare assieme a benefici non ancora ben definiti e dimostrati. Inoltre, non prende in considerazione stra- tegie attualmente proposte di screening che partono dall’identifi- cazione dei bimbi geneticamente predisposti, strategie che ancor di più necessitano di valutazione attenta.
1. US Preventive Services Task Force, Bibbins-Domingo K, Grossman DC, et al. Screening for Celiac Disease: US Preventive Services Task For- ce Recommendation Statement. JAMA. 2017;317(12):1252-1257 2. Husby S, Koletzko S, Korponay-Szabó IR, et al. European Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology, and Nutrition guideli- nes for the diagnosis of coeliac disease. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2012;54:136–60
3. Benelli E, Carrato V, Martelossi S, et al. Coeliac disease in the ERA of the new ESPGHAN and BSPGHAN guidelines: a prospective cohort study. Arch Dis Child. 2016;101(2):172-6
4. Ludvigsson JF, Bai JC, Biagi F, et al. Diagnosis and management of adult coeliac disease: guidelines from the British Society of Gastroente- rology. Gut. 2014;63(8):1210-28
5. Ministero della Salute. Protocollo per la diagnosi e il follow-up della celiachia. Aggiornamento 2015. G.U. n.191 del 19 agosto 2015
6. Hill ID, Dirks MH, Liptak GS, et al. Guideline for the diagnosis and treatment of celiac disease in children: recommendations of the North American Society for Pediatric Gastroenterology, Hepatology and Nu- trition. J Pediatr Gastroenterol Nutr. 2005;40(1):1-19
7. Valletta E. HLA e celiachia: a ciascuno il proprio rischio. Quaderni acp. 2014;21(3):127-129
Scheda redatta dal gruppo di lettura di Verona:
Paolo Brutti, Paolo Fortunati, Donatella Merlin, Federica Carraro, Claudio Chiamenti, Franco Raimo, Mara Tommasi.
Pagine elettroniche di Quaderni acp 2017; 24(5):n.6 pag. 2 di 2