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Academic year: 2021

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INTERVISTA A GALILEO GALILEI

“Maestro, perché l'abiura?” - Dialogo immaginario nella villa di Arcetri

Mi feci indicare da un contadino la strada per raggiungere la villa di Arcetri.

Bussai discretamente e fui introdotto in un’ampia stanza dove il vecchio scienziato, ormai quasi cieco, soleva passare i pomeriggi tra i suoi vecchi strumenti per esperimenti di fisica. Era la mia prima intervista: l'anno, il 1637, e il luogo, la villa di Arcetri dove era stato confinato, non erano frutto di una mia libera scelta. Avrei preferito incontrarlo in un periodo più sereno della sua vita: tra il 1592 e il 1610, ad esempio, quando insegnava a Padova. Dopo l'abiura di Galileo il clima nel nostro paese era mutato: nessuna nuova idea scientifica era più stata pubblicata. Anche fuori d'Italia ci fu chi chiuse nei cassetti le nuove opere scientifiche: a Parigi, ad esempio, Cartesio rinunciò a

pubblicare il suo trattato dedicato alla natura della luce. Fui catapultato, invece, nei pressi di Arcetri nel novembre del 1637.

“Professore, deve sapere che le scienze, nella mia epoca, sono dominate dal metodo sperimentale, il suo metodo...”.

“Bravo, giovanotto, bravo. Ecco la parola che caratterizza il mio metodo! Sperimentale! Già Sperimentale. Perché, vede, non basta osservare. L'osservazione passiva della natura non è sufficiente! Non dobbiamo, semplicemente, stare a guardare i fenomeni. Dobbiamo interrogare!

Capisce? Dobbiamo essere capaci di formulare le giuste domande!”.

“Intende dire che lo scienziato non deve accontentarsi di essere testimone dei fenomeni? Che deve, in qualche modo, partecipare al gioco?” .

“Certo, esatto! Quando progetto un esperimento non lo realizzo a caso. Lo penso immaginando o, meglio, intuendo la risposta che la natura mi fornirà. Effettuo in tal modo quella che mi piace definire come una sensata esperienza. Perché spoglio i fenomeni dagli impedimenti esterni”.

“Può chiarire questo punto? Cosa intente per impedimenti esterni?”.

“I fenomeni naturali dipendono da numerosi parametri, essendo governati da molte variabili.

Alcuni di questi parametri sono essenziali. Gli altri, quelli secondari, sono di disturbo e vanno eliminati se desideriamo comprendere. Formulare la giusta domanda, interrogare la natura, consiste proprio in questo: individuare gli impedimenti esterni e poi spogliare da essi il fenomeno. Guardi, ecco un esempio: consideri il principio d'inerzia. Solo se eliminiamo gli attriti, che rappresentano il fattore secondario, possiamo interrogare la natura attorno al fenomeno essenziale; e scoprire in tal modo che i corpi non soggetti a forze si muovono di moto rettilineo e uniforme”.

Ho capito, professore. Ma poi? Una volta formulata la domanda, una volta realizzata quella che lei chiama la sensata esperienza, in che lingua ci risponde la natura?”.

“L'universo è un libro scritto in lingua matematica. I suoi caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche. Deve sapere, giovanotto, che non si può comprendere il libro della natura se prima non si impara ad intenderne la lingua. Dobbiamo conoscere i caratteri con i quali esso è scritto. Se non si conosce la matematica, la natura assume l'aspetto di un oscuro labirinto”.

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“Professore, chiedo scusa, è ora per me di far ritorno al mio tempo. Ho solo un’ultima domanda che fatico a porle. Perché l’abiura?”.

Sorrise, sinceramente commosso, annuendo impercettibilmente:

“Come molti anche lei non ha capito i motivi che mi hanno spinto all'abiura. Qualcuno ha convinto il Papa che, con i "Massimi Sistemi", avessi inteso metterlo in ridicolo. Mi hanno mostrato gli strumenti: questo è vero. Il dolore fisico mi fa paura! Ma la verità è un'altra. Ho deciso di non fare l'eroe perché mi fanno sorridere gli eroi! Deve sapere, caro giovanotto, che la ricerca scientifica aveva bisogno dei "Dialoghi" e non delle mie ceneri”.

Si chinò e riprese i suoi esperimenti: la sua attenta lettura del libro della Natura.

DAPOR MAURIZIO (Tratto da Tuttoscienze - La Stampa)

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