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10. I RAPPORTI DI COLLABORAZIONE

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Academic year: 2021

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(1)

Isbn 9788828805984

Estratto dal volume:

G. Amoroso - V. Di Cerbo - L. Fiorillo - A. Maresca

IL LAVORO PUBBLICO

10.

(2)

AUTONOMO NELLA P.A.

di ADALBERTOPERULLI

NORME GENERALI

D.lg. 30 marzo 2001, n. 165. — Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (G.U. 9 maggio

2001, n. 106, suppl. ord. n. 112).

7

Gestione delle risorse umane. (Art. 7 del d.lg. n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 5 del d.lg. n. 546 del 1993 e poi modificato dall’art. 3 del d.lg. n. 387 del 1998). — 1-5. (Omissis).

5-bis. È fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di

colla-borazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, conti-nuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. I contratti posti in essere in violazione del presente comma sono nulli e determinano responsabilità erariale. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente comma sono, altresì, responsabili ai sensi dell’articolo 21 e ad essi non può essere erogata la retribuzione di risultato. Resta fermo che la disposizione di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, non si applica alle pubbliche amministrazioni(1).

6. Fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, per specifiche esigenze(2)cui

non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente (2)incarichi individuali, con contratti di lavoro

autonomo,(2)ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche

univer-sitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite

dall’ordi-namento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione confe-rente;

b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva

di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è

ammesso il rinnovo; l’eventuale proroga dell’incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell’incarico(3);

d) devono essere preventivamente determinati durata,(4)oggetto e compenso della

collaborazione.

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione(5)per attività che debbano essere svolte da

professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il

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colloca-mento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore. Il ricorso ai contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subor-dinati(6)è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i

contratti. Il secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 36, comma 3, del presente decreto e, in caso di violazione delle disposizioni di cui al presente comma, fermo restando il divieto di costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, si applica quanto previsto dal citato articolo 36, comma 5-quater(7) (8) (9) (10). 6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i

propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione(11).

6-ter. I regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto

legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6(11). 6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai

componenti degli organismi indipendenti di valutazione di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150(12)e dei nuclei di valutazione, nonché

degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144(13).

6-quinquies. Rimangono ferme le speciali disposizioni previste per gli enti pubblici

di ricerca dall’articolo 14 del decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 218(14).

(1) Comma inserito dall’art. 5 comma 1 lett. a) d.lg. 25 maggio 2017, n. 75. L’art. 1, comma 1131, lett. f), l. 30 dicembre 2018, n. 145, nel modificare l’art. 22 comma 8 d.lg. 25 maggio 2017, n. 75, ha conseguentemente disposto la modifica del presente comma.

(2) Le parole « Fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, per specifiche esigenze » sono state sostituite alle parole « Per esigenze », la parola « esclusivamente » è stata inserita, e le parole « di natura occasionale o coordinata e continuativa, » sono state soppresse dall’art. 5 comma 1 lett. b) n. 1 d.lg. n. 75, cit.

(3) Le parole da «; non è ammesso il rinnovo; » alla fine della lettera sono state aggiunte all’art. 1 comma 147 l. 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2013.

(4) La parola « luogo, » è stata soppressa dall’art. 5 comma 1 lett. b) n. 2 d.lg. n. 75, cit. (5) Le parole « di natura occasionale o coordinata e continuativa » sono state soppresse dall’art. 5 comma 1 lett. b) n. 3 d.lg. n. 75, cit.

(6) Le parole da « Il ricorso ai contratti » a « come lavoratori subordinati » sono state sostituite alle parole « Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati » dall’art. 5 comma 1 lett. b) n. 4 d.lg. n. 75, cit.

(7) Periodo così sostituito dall’art. 4 comma 2 d.l. 31 agosto 2013, n. 101, conv., con modif., in l. 30 ottobre 2013, n. 125. Il testo del periodo era il seguente: « Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 36, comma 3, del presente decreto ».

(8) Comma dapprima sostituito dall’art. 32 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modif., in l. 4 agosto 2006, n. 248 e dall’art. 46 comma 1 d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv., con modif., in l. 6 agosto 2008, n. 133, successivamente modificato dall’art. 22 comma 2 lett. a) e b) l. 18 giugno 2009, n. 69 e dall’art. 17 comma 27 d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv., con modif., in l. 3 agosto 2009, n. 102. Ai sensi dell’art. 35 comma 1 d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, conv., con modif., in l. 27 febbraio 2009, n. 14, le disposizioni di cui al presente comma, limitatamente agli enti di ricerca, non si applicano fino al 30 giugno 2009. V. anche l’art. 1 comma 2 l. n. 14, cit.

(9) V. art. 5 comma 9 d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 135, come da ultimo modificato dalla l. 7 agosto 2015, n. 124, che così dispone: « Art. 5 (Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni). — 1-8 (Omissis).― 9. È fatto divieto alle pubbliche ammini-strazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011, nonché alle pubbliche amministrazioni inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministra-zione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 nonché alle autorità indipendenti ivi inclusa la

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Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Alle suddette amministrazioni è, altresì, fatto divieto di conferire ai medesimi soggetti incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni di cui al primo periodo e degli enti e società da esse controllati, ad eccezione dei componenti delle giunte degli enti territoriali e dei componenti o titolari degli organi elettivi degli enti di cui all’articolo 2, comma 2-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. Gli incarichi, le cariche e le collaborazioni di cui ai periodi precedenti sono comunque consentiti a titolo gratuito. Per i soli incarichi dirigenziali e direttivi, ferma restando la gratuità, la durata non può essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ciascuna amministrazione. Devono essere rendicontati eventuali rimborsi di spese, corrisposti nei limiti fissati dall’organo competente dell’amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si ade-guano alle disposizioni del presente comma nell’ambito della propria autonomia.― 10-14-bis. (Omissis) ».

(10) V. art. 14 d.l. 24 aprile 2014, n. 66, conv., con modif., in l. 23 giugno 2014, n. 89 che così dispone: « Art. 14 (Controllo della spesa per incarichi di consulenza, studio e ricerca e per contratti di collaborazione coordinata e continuativa).― 1. Ad eccezione delle Università, degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti del servizio sanitario nazionale (omissis), le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministra-zione (omissis), a decorrere dall’anno 2014, non possono conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell’anno per tali incarichi è superiore rispetto alla spesa per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico, come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,2% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,4% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro.― 2. Ferme restando le disposizioni di cui ai commi da 6 a 6-quater dell’articolo 7 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, e i limiti previsti dall’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 e successive modificazioni, le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, con esclusione delle Università, degli istituti di formazione, degli enti di ricerca e degli enti del servizio sanitario nazionale, a decorrere dall’anno 2014, non possono stipulare contratti di collaborazione coor-dinata e continuativa quando la spesa complessiva per tali contratti è superiore rispetto alla spesa del personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico come risultante dal conto annuale del 2012, al 4,5% per le amministrazioni con spesa di personale pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,1% per le amministrazioni con spesa di personale superiore a 5 milioni di euro.― 3-4-ter (omissis) ». Successivamente i citati commi 1 e 2, art. 14 d.l. n. 66, cit., sono stati dichiarati costituzionalmente illegittimi con C. cost. 3 marzo 2016, n. 43 nella parte in cui si applicano « a decorrere dall’anno 2014 », anziché « negli anni 2014, 2015 e 2016 ».

(11) L’art. 32 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, conv., con modif., in l. 4 agosto 2006, n. 248, ha sostituito l’originario comma 6 con i commi 6, 6-bis e 6-ter.

(12) Le parole « indipendenti di valutazione di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 » sono state sostituite alle parole « di controllo interno » dall’art. 5 comma 1 lett. c) d.lg. n. 75, cit.

(13) Comma aggiunto dall’art. 3 comma 77 l. n. 244, cit. (14) Comma inserito dall’art. 5 comma 1 lett. d) d.lg. n. 75, cit.

NORME SPECIFICHE DI SETTORE

Enti locali: art. 110, comma 6, d.lg. 18 agosto 2000, n. 267.

BIBLIOGRAFIA

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CSDLE “Massimo D’Antona.IT”, 2017, n. 318.

SOMMARIO

1. Introduzione. — 2. Il tentativo di armonizzazione delle collaborazioni ex art. 409, n. 3, c.p.c. tra

lavoro privato e lavoro pubblico. — 3. Una disciplina unitaria e speciale per i contratti di lavoro autonomo: i requisiti di legittimità del comma 6, art. 7. — 4. Procedura comparativa ex comma 6-bis e ipotesi di esclusione dalla medesima. — 5. Limiti soggettivi al conferimento di collaborazioni e incarichi. — 6. Prestazioni occasionali e Pubblica Amministrazione. — 7. Le collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità negli Enti Locali (comma 6, art. 110 del TUEL).

1. Introduzione. Nel difficile contemperamento tra le esigenze di

contenimento della spesa pubblica e l’organizzazione efficiente/flessibile delle risorse umane nella Pubblica Amministrazione, il legislatore ha da tempo, almeno a partire dall’entrata in vigore del d.lg. n. 276/2003, privilegiato l’idea secondo la quale le finalità istituzionali degli enti pubblici debbano essere perseguite in via quasi esclusiva attraverso rapporti di lavoro organici che rispondano ad esigenze organizzative permanenti (DI PAOLANTONIO, 2019). In questo scenario era naturale che il lavoro autonomo, già sospettato nel settore privato di rappresentare lo strumento per realizzare una massiccia “fuga” dalla subordinazione attraverso rapporti di collaborazione autonoma spesso non genuini, diventasse una sorta di “sorvegliato speciale” per la parallela (rispetto al settore privato) tendenza delle Pubbliche amministrazioni ad aggirare il divieto di assunzioni a tempo indeterminato attraverso l’affidamento di incari-chi a soggetti autonomi, esterni all’amministrazione (PINTO, 2010, 247), unita-mente a prassi clientelari di ricorso a collaborazioni non genuine, incentivate dall’assenza di quei requisiti stringenti (in termini di straordinarietà delle esi-genze e di elevata competenza degli esperti) che invece, in base al sistema del c.d. “doppio binario”, venivano richieste per gli incarichi professionali dall’art. 7 del d.lg. n. 165/2001.

In effetti, benché la forma standard di lavoro sia rappresentata dal lavoro subordinato a tempo indeterminato, la P.A. ha spesso ricorso in questi anni a fattispecie di lavoro temporaneo e flessibile, creando i presupposti per una dilagante tendenza al precariato pubblico (FIORILLO, 2008, 217; con specifico riferimento alle collaborazioni autonome FONTANA, 2016, 413). In questa pro-spettiva il ricorso al lavoro autonomo, specie nella forma delle collaborazioni

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coordinate e continuative di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., ha offerto ampi margini di flessibilità al datore di lavoro pubblico, impossibilitato a reclutare personale a causa del blocco delle assunzioni a tempo indeterminato; datore di lavoro pubblico che peraltro risultava “ protetto”, in caso di illegittimità dei contratti, dal rischio di subire gli effetti dei rimedi esperibili nel settore privato, non potendosi prospettare una trasformazione ope iudicis dei rapporti flessibili nelle forme del lavoro subordinato alle dipendenze della pubblica amministrazione, a ciò ostando l’art. 97 Cost.

Il legislatore, pur nell’ambito di quello che è stato definito il “doppio binario”, ha quindi seguito una strategia di progressiva limitazione tipologica, accompa-gnata da una specifica e restrittiva disciplina degli incarichi di lavoro esterni, al fine di evitare l’abuso delle collaborazioni autonome, nell’alveo di una generale tendenza alla predeterminazione delle ipotesi tassative e limitate di ricorso alle modalità flessibili di prestazione di lavoro, siano esse subordinate o autonome. Di tal guisa, e fermo restando che ex art. 36 del d.lg. n. 165/2001 il lavoro subordinato a tempo indeterminato rappresenta la forma esclusiva di recluta-mento del personale, in ipotesi di temporanee ed eccezionali esigenze e nei limiti e con le modalità previste per le amministrazioni pubbliche, è possibile il ricorso a forme flessibili di lavoro. Di queste forme flessibili, l’art. 7, rubricato “Gestione delle risorse umane”, disciplina quelle che si concretano in una prestazione di “lavoro autonomo” in favore della pubblica amministrazione (comma 6). Rispetto alla versione originaria, che riproduceva il testo dell’art. 7 del d.lg. n. 29/1993, la norma de qua ha subito diverse e successive interpola-zioni tese a limitare l’uso e l’abuso del conferimento di incarichi a personale esterno all’amministrazione e delle pratiche clientelari che sovente si sono, attraverso quelli, generate. L’introduzione dei commi 6-bis, 6-ter è stata disposta dal d.l. n. 233/2006, poi convertito con modificazioni nella l. n. 248/2006; in seguito la l. n. 244/2007 ha introdotto il comma 6-quater e il d.lg. n. 75/2017 ha introdotto il comma 5-bis (modificato anche dalla l. n. 205/2017) e 6-quinquies. Come è noto, in termini civilistici il fenomeno del lavoro autonomo si declina tanto nella forma “generale” ex 2222 c.c., quanto in quella specifica del lavoro autonomo “professionale” ex art. 2229 c.c., senza dimenticare il ponte che ex art. 2222 c.c. conduce alle forme di lavoro autonomo disciplinate nel libro IV del codice civile, nonché le collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409 c.p.c., che del lavoro autonomo rappresentano una peculiare forma “debole”, riconducibile a ciò che la dottrina giuslavoristica ha definito lavoro “parasubor-dinato”. Nella P.A. il ricorso al lavoro autonomo ha consentito nel tempo di introdurre margini di flessibilità organizzativa, in particolare sotto forma di incarichi o collaborazioni coordinate e continuative che hanno sopperito alla rigidità della selezione per concorso (DORONZO, 2018, 359). Per arginare la tendenza all’abuso di tali forme di lavoro autonomo, sono stati nel tempo predisposti diversi congegni contenitivi, che ruotano attorno all’idea di tassa-tività delle fattispecie ed eccezionalità del ricorso a contratti di lavoro flessibili di natura autonoma, in particolare quelli stipulati ex art. 409, n. 3, c.p.c. Da ultimo, la riformulazione dell’art. 7, comma 6 del cosiddetto Testo unico del

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lavoro pubblico ha soppresso il riferimento alle parole « di natura occasionale o coordinata e continuativa », onde la norma si riferisce esclusivamente ad « in-carichi individuali, con contratti di lavoro autonomo », da conferire ad « esperti di particolare e comprovata specializzazione » e solo in presenza di una serie di presupposti di legittimità (v. infra). Nasce quindi una nuova questione inter-pretativa, relativa alla scelta tra la valorizzazione delle interpolazioni subite dalla norma, in particolare la soppressione del riferimento a prestazioni « di natura occasionale o coordinata e continuativa » che condurrebbe ad escludere dal novero dei “contratti di lavoro autonomo” stipulabili della P.A. le collabo-razioni coordinate e continuative, ed una lettura sistematica del disposto, che legge quella soppressione in senso “inclusivo” secondo un argomento sistema-tico volto a confermare, nell’alveo dei “contratti di lavoro autonomo”, anche la forma specifica delle collaborazioni ex art. 409 n. 3, c.p.c.

2. Il tentativo di armonizzazione delle collaborazioni ex art. 409, n. 3, c.p.c. tra lavoro privato e lavoro pubblico. Riguardo alle collaborazioni

auto-nome, le interpolazioni subite nel tempo dal d.lg. n. 165/2001 hanno teso a valorizzare il personale in organico evitando un ricorso irragionevole al repe-rimento di competenze esterne, ma anche a rendere più omogenea possibile la disciplina del lavoro privato con quella del lavoro pubblico privatizzato. In questo senso devono essere lette sia l’introduzione del comma 5-bis, art. 7, ad opera dell’art. 5 del d.lg. n. 75/2017, sia le modificazioni, ad opera dello stesso decreto n. 75, dell’art. 6 in materia di incarichi di lavoro autonomo, con cui sono state disciplinate in modo originale le disposizioni dettate dal legislatore del cd. Jobs Act in materia di collaborazioni (tanto quelle organizzate dal committente che quelle coordinate e continuative).

Quanto al primo aspetto, relativo alle collaborazioni organizzate dal commit-tente, è noto che l’art. 2 del d.lg. n. 81/2015, ha sancito, al comma 1, che tali collaborazioni di lavoro che concretamente si realizzino come prestazioni esclu-sivamente personali e continuative, organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luoghi di esecuzione, debbano essere sottoposte alla disciplina del lavoro subordinato; al successivo comma 4 la norma ha statuito che la ricaduta nell’alveo del lavoro subordinato, in ogni caso, non interessa le collaborazioni cd. etero organizzate il cui committente sia una pubblica ammi-nistrazione, precisando altresì, anche alla luce di successive modifiche, che in ogni caso a partire dal primo luglio 2019 le pubbliche amministrazioni sono sottoposte al divieto di stipulare contratti di collaborazione etero-organizzata (l’iniziale scadenza fissata al 31 dicembre 2016 è stata posticipata dapprima dal d.lg. n. 75/2017, come modificato dalla l. n. 205/2017 e da ultimo dalla l. n. 145/2018).

Allo scopo di armonizzare i due testi normativi, all’art. 7 del d.lg. n. 165/2001 è stato aggiunto il comma 5-bis che ribadisce quanto stabilito dal d.lg. n. 81/2015. Le pubbliche amministrazioni non possono quindi fare ricorso alle collabora-zioni organizzate dal committente, onde i contratti che abbiano ad oggetto

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rapporti che assumano concretamente tali modalità operative sono nulli e comportano una responsabilità erariale in capo al dirigente che li ha promossi; allo stesso dirigente verrà applicato altresì l’art. 21 dello stesso d.lg. n. 165/2001 che disciplina le ipotesi di responsabilità dirigenziale. Si conferma infine che l’art. 2, comma 1, del d.lg. n. 81/2015, vale a dire l’estensione della disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni che si concretino in prestazioni di lavoro etero-organizzate, non si applica alle pubbliche amministrazioni. Seppure possa apparentemente affermarsi che l’introduzione del comma 5-bis non abbia una valenza innovativa, e dunque, sostanziale (per taluno sarebbe meramente “pleonastica”, DORONZO, 2018, 381), limitandosi la disposizione a operare una trasposizione di quanto già disciplinato dal legislatore nel d.lg. n. 81/2015 e a confermare la specialità del diritto pubblico rispetto a quello privato (DORONZO, 2018, 381; C. conti, sez. centr. contr. atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, delib. 23 dicembre 2015), il disposto assume, in realtà, una parti-colare valenza nella misura in cui non si limita a ribadire l’inapplicabilità della norma del Jobs Act al settore in esame (peraltro posticipata nel tempo a più riprese, consentendo a VOZA, 2017, di avanzare la tesi secondo la quale le collaborazioni etero-organizzate ex art. 2, comma 1, d.lg. n. 81/2015 non erano in contrasto con l’art. 7, comma 6 del d.lg. n. 165/2001), ma ne sancisce espressamente un definitivo (nel senso di non più sottoposto a proroghe tem-porali) divieto.

Alla luce di quanto precede, assume particolare importanza, nella materia de

qua, il discrimen logico-giuridico che intercorre tra le collaborazioni

etero-orga-nizzate, vietate per le pubbliche amministrazioni, e le collaborazioni coordinate e continuative, ritenute invece in thesi lecite. Tale actio finium regundorum ricalca necessariamente la distinzione che si è venuta faticosamente a delineare nel settore privato, riproponendosi in subiecta materia il complesso dibattito dottri-nale che ha interessato l’interpretazione dell’art. 2, comma 1, d.lg. n. 81/2015 in rapporto alla “fattispecie” delineata dall’art. 409, n. 3, c.p.c. Ma se nel settore privato quel delicato distinguo appare cruciale al fine di opporre una fattispecie (lecita) di lavoro autonomo (benché etero-organizzato dal committente) cui il legislatore ha inteso estendere la disciplina del rapporto di lavoro ad una (altrettanto lecita) fattispecie di lavoro autonomo coordinato e continuativo ex art. 409, n. 3, c.p.c. (non sottoposta alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato), nell’ambito del lavoro pubblico quel distinguo appare ancor più rilevante in quanto riguarda due fattispecie di lavoro autonomo l’una delle quali (quella etero-organizzata) è espressamente vietata dal legislatore ex comma 5-bis dell’art. 7, d.lg. n. 165/2001 (così come novellato dall’art. 5 del d.lg. n. 75/2017), mentre l’altra è in thesi lecita.

È stato, al riguardo, affermato che i due istituti non si pongono in rapporto di reciproca estraneità bensì di continenza, poiché uno, la collaborazione coordi-nata e continuativa, ricomprende l’altro, la collaborazione etero-organizzata (PALLINI, 2018, 134). In tal prospettiva, sostenendo la tesi secondo la quale nella collaborazione etero-organizzata sia maggiormente pervasivo il potere del committente, da un punto di vista quantitativo, rispetto al potere esercitabile

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dal medesimo in un rapporto di collaborazione coordinata, si è affermato che « l’etero organizzazione spazio-temporale » assume le vesti di un « carattere fattuale, piuttosto che negoziale », tanto nel settore privato ex art. 2 d.lg. n. 81/2015, tanto in quello pubblico ex art. 7 d.lg. n. 165/2001 (PALLINI, 2018, 135). Questa tesi, foriera di gravi fraintendimenti, non può certo essere accolta. Anzitutto non esiste alcun rapporto di continenza tra la fattispecie di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c. e quella delineata dall’art. 2 del d.lg. n. 81/2015, in quanto si tratta di due situazioni giuridiche ben differenti, caratterizzate l’una dall’eser-cizio da parte del committente di un potere di etero-organizzazione, anche con riferimento ai tempi e luoghi della prestazione, che riguarda l’esecuzione della prestazione stessa, l’altra da una completa autonomia del prestatore nell’ese-cuzione della propria attività, nell’ambito di un coordinamento bilaterale sta-bilito nel contratto. La tesi qui criticata non tiene conto della diversità struttu-rale delle due situazioni giuridiche soggettive in cui versa il prestatore (di lavoro ex art. 2, d.lg. n. 81/2015, d’opera ex art. 409, n. 3, c.p.c.), in un caso assoggettato ad un potere organizzativo del committente (e quindi soggiacente ad una prerogativa unilatera di autorità), nell’altra ipotesi completamente libero di autodeterminarsi nel rispetto di un coordinamento stabilito di co-mune accordo con il committente (e quindi non soggiacente ad alcuna prero-gativa unilaterale di autorità) (in tal senso anche VOZA, 2017, 12, secondo cui le collaborazioni etero organizzate « non sono riconducibili » alle collaborazioni coordinate, in quanto « non assoggettate al vincolo negoziale di coordina-mento, bensì al potere unilaterale di organizzazione da parte del commit-tente »). In sostanza, accedendo alla tesi qui criticata viene completamente obliterato sia quanto statuito dal legislatore dell’art. 2, d.lg. n. 81/2015, che espressamente evoca un potere di organizzazione del committente (che non può quindi essere ridotto ad elemento di “carattere fattuale”, come erronea-mente sostenuto dalla dottrina in esame), sia quanto statuito dal cd. Statuto del lavoro autonomo (d.lg. n. 81/2017) con cui il legislatore ha operato un’impor-tante interpolazione alla disposizione di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c., eliminando il carattere unilaterale/potestativo dell’elemento del “coordinamento”. Difatti, con quella modifica, il legislatore ha statuito che si intende coordinata la colla-borazione organizzata autonomamente dal collaboratore, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti contraenti. Da una lettura sistematica dell’art. 409 così come novellato e dell’art. 2 del d.lg. n. 81/2015 si ricava che un rapporto di lavoro potrà dirsi etero-organizzato solo qualora in modo continuativo al collaboratore vengano imposte da parte del committente le modalità con cui eseguire la prestazione, nonché i vincoli spa-zio-temporali entro cui la prestazione di lavoro è astretta, diversamente da quanto accade per il lavoratore autonomo coordinato e continuativo. La tesi sostenuta nel testo è stata accolta di recente nell’ambito della vicenda giudizia-ria che ha riguardato i ciclo-fattorini di Foodora, da parte della Corte d’Appello di Torino, la quale ha statuito che i ricorrenti non sono lavoratori subordinati, ma collaboratori etero-organizzati dal committente, ai sensi dell’art. 2 del d.lg. n. 81/2015. La Corte ritiene che la fattispecie vada inquadrata nell’ambito

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dell’art. 2 e su questo punto esprime un principio di diritto molto importante, già espresso, da chi scrive, nel dibattito dottrinale sviluppatosi in questa mate-ria. Sconfessando la tesi sostenuta dalla difesa di Foodora e dal Tribunale in primo grado, secondo cui l’art. 2 è una norma “apparente” e quindi inutile, meramente confermativa della tradizionale concezione della subordinazione come assoggettamento del lavoratore al potere direttivo-organizzativo del da-tore di lavoro, la Corte afferma che ogni norma di legge deve avere un conte-nuto precettivo, e nel caso di specie l’interprete, per fornirgli un significato, è chiamato a identificare i confini tra subordinazione (art. 2094 c.c.), etero-organizzazione (art. 2) e prestazione d’opera coordinata e continuativa (art. 409 n. 3 c.p.c.). La Corte d’Appello riafferma il primato dell’interpretazione te-stuale e teleologica e, più in generale, il ruolo della dogmatica giuridica: la norma in esame esprime un nuovo concetto normativo (l’etero-organizzazione) e una precisa ratio legis, volta ad ampliare l’ambito delle tutele, per far fronte all’evoluzione del mercato del lavoro e agli effetti su di esso prodotti da un pervasivo impiego delle nuove tecnologie digitali. La questione teorico-pratica più spinosa riguarda il sottile distinguo tra l’art. 2 e gli artt. 2094 c.c. e 409 n. 3 c.p.c. Correttamente la Corte afferma che mentre la subordinazione richiede l’esercizio di un potere direttivo, gerarchico, e disciplinare, il lavoro etero-organizzato postula l’integrazione funzionale del prestatore nell’organizza-zione produttiva, onde il committente non si limita a coordinare l’attività ma impone le modalità organizzative con cui la prestazione si attua (nel caso di specie stabilendo i turni, le zone di partenza, gli indirizzi di consegna e i tempi di consegna). Guardando invece alle co.co.co. il confine con l’art. 2 è ravvisabile nella distinzione tra etero-organizzazione e coordinamento di cui all’art. 409 c.p.c., i cui caratteri — diversamente da quanto accade per l’etero-organizza-zione — sono definiti consensualmente dalle parti (senza quindi alcun elemento di organizzazione unilaterale della prestazione). La Corte si riferisce all’art. 2 come ad un “terzo genere” che si colloca tra subordinazione e collaborazione coordinata e continuativa. Il riferimento, descrittivo più che normativo, non deve tuttavia trarre in inganno: le collaborazioni organizzate dal committente rientrano nel genere “lavoro autonomo”, tant’è che la Corte, accogliendo la tesi di chi scrive, afferma che l’applicazione dell’art. 2 non comporta la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e che la collaborazione autonoma man-tiene la propria natura. Il lavoratore etero-organizzato rimane quindi auto-nomo, ma “per ogni altro aspetto” la disciplina sarà quella del rapporto di lavoro subordinato. Come dire, insomma, che l’art. 2 è una norma di estensione delle tutele, non di fattispecie.

Chiarito che il divieto espresso di cui all’art. 5-bis, d.lg. n. 165/2001, riguarda unicamente le collaborazioni organizzate dal committente ex art. 2, d.lg. n. 81/2015, e che queste si distinguono giuridicamente (e non “fattualmente”, o per una asserita diversa intensità del potere di organizzazione) dalle collabora-zioni coordinate e continuative ex artt. 409, n. 3., c.p.c., si tratta di capire se le interpolazioni operate dal legislatore con l’art. 6 del d.lg. n. 165/2001 (in particolare l’eliminazione del riferimento alle collaborazioni coordinate e

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con-tinuative) abbia sancito il venir meno della legittimità del ricorso da parte della P.A. alle fattispecie riconducibili all’art. 409, n. 3, c.p.c.

Invero, la volontà legislativa di restringere l’alveo delle collaborazioni auto-nome si riflette ulteriormente nel settore del lavoro pubblico laddove il d.lg. n. 75/2015 stabilisce una disciplina speciale rispetto a quella delineata dal d.lg. n. 81/2015 (ed in generale rispetto al sistema giusprivatistico di disciplina del lavoro autonomo), la quale impone il simultaneo rispetto sia della disposizione vietativa di cui al comma 5-bis (divieto di rapporti di collaborazione etero-organizzata), sia dei requisiti di cui al comma 6 per i contratti di lavoro auto-nomo lecitamente stipulabili.

Ora, il divieto ribadito così frequentemente di stipulare contratti di collabora-zione attraverso le interpolazioni operate dall’art. 5 del d.lg. sui commi 5-bis e 6 dell’art. 7 del d.lg. n. 165/2001 (il primo nel senso di vietare le collaborazioni organizzate, il secondo nel senso di eliminare dal testo della norma il riferimento espresso alle collaborazioni coordinate), potrebbe condurre a ritenere che il legislatore abbia inteso statuire il principio (ricavabile appunto dalla lettura combinata delle suddette interpolazioni) secondo il quale le pubbliche ammi-nistrazioni non potranno più servirsi, in caso di eccezionali necessità, non solo delle collaborazioni organizzate dal committente ex art. 2, d.lg. n. 81/2015, ma neppure di quelle coordinate e continuative ex art. 409, n. 3.

È stato rimarcato in dottrina, in un’ottica volta ad ammettere il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., che « il mancato espresso richiamo a questa tipologia contrattuale non è decisivo per escluderne l’applicazione, in quanto per la loro natura si pongono al di fuori dello statuto protettivo del rapporto di lavoro subordinato e, quindi, sono coerenti con la

ratio legis che intende reprimere le elusioni al sistema di reclutamento dei

dipendenti pubblici e contenere la spesa del personale » (così DEMARCO, 2018, 49). A mio avviso, tuttavia, il problema interpretativo non è dato dal mancato espresso richiamo alle collaborazioni coordinate e continuative, quanto dalla testuale eliminazione di ogni riferimento a dette collaborazioni nell’enunciato normativo che espressamente le contemplava, e dalla loro sostituzione con il concetto di “contratti di lavoro autonomo”, peraltro assoggettati ad una spe-ciale disciplina che contiene stringenti requisiti di legittimità (art. 7, comma 6, d.lg. n. 165/2001; v. infra, § 3).

Ci si deve quindi domandare quale significato assuma la volontaria ed espressa eliminazione testuale delle co.co.co. Si tratta di una norma di risulta che, eliminando quel riferimento, implicitamente vieta il ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative, consentendo solo il ricorso ai “contratti di lavoro autonomo”? Ovvero è un disposto di razionalizzazione del micro-sistema rego-lativo del lavoro autonomo nell’ambito della P.A. che ricomprende implicita-mente le collaborazioni coordinate e continuative nell’alveo delle fattispecie lecite di gestione delle risorse umane (i “contratti di lavoro autonomo”)? Contrariamente a quanto affermato in dottrina (PALLINI, 2018), tale seconda lettura non può dirsi sia stata confermata dalla circ. n. 3 del 2017 del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, con la quale è stato

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specificato che è consentito per le pubbliche amministrazioni stipulare, « nel-l’ambito degli incarichi consentiti » contratti di « collaborazione che non ab-biano le caratteristiche di eterorganizzazione vietate dall’art. 7, comma 5-bis, d.lg. n. 165/2001 », purché vengano contestualmente rispettati i criteri stabiliti dal successivo comma 6 dello stesso articolo. La circolare non richiama affatto, in via generale, i contratti di collaborazioni coordinata e continuativa di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c., limitandosi a parlare di “incarichi consentiti” di colla-borazione, laddove il termine generico “collaborazione” non può certo riferirsi

tout-court a quella specifica forma di lavoro autonomo coordinato e continuativo

contemplato nell’art. 409 n. 3 c.p.c. Anzi, se dovessimo trarre indicazioni sistematiche da questa circolare, dovremmo concludere in senso contrario alla tesi che ammette in via generale il ricorso alle collaborazioni coordinate e conti-nuative, giacché nella nota 10 del testo in esame il Ministro indica espressa-mente le tipologie contrattuali che implicano una “collaborazione” previste in “settori speciali”, quali i contratti per attività di insegnamento, gli assegni di ricerca, il rapporto dei tecnologi a tempo determinato e dei lettori di scambio, le attività di tutorato universitario, le collaborazioni a tempo parziale alle attività connesse ai servizi di tutorato (con i relativi riferimenti normativi cui si rimanda). In tal modo, citando espressamente le tipologie contrattuali speciali che includono le forme di “collaborazione”, e mai citando espressamente la norma generale di cui all’art. 409 n. 3 c.p.c., il Ministro sembra fornire una lettura assolutamente restrittiva e specifica del concetto di “collaborazione”, che certo non coincide con quella generale e astratta prevista dalla norma proces-suale.

Rimane quindi aperta l’ipotesi interpretativa che conduce a ritenere non più agibile, da parte della P.A., il ricorso ad entrambe le tipologie di collaborazioni, sia quelle “organizzate” dal committente sia quelle coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c. (in tal senso, sembra, FONTANA, 2016, 434, sul presupposto che l’art. 7 comma 6 cit. « impone che le indicazioni temporali e di luogo debbano essere addirittura predeterminate nel bando della procedura compa-rativa per l’attribuzione di un incarico di collaborazione », onde la fattispecie ricadrebbe senz’altro entro il divieto delle collaborazioni organizzate anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro; tuttavia la tesi in esame non tiene conto che, come spiegato nel testo, il discrimen tra contratti di lavoro autonomo leciti e contratti di lavoro illegittimi è dato, a monte, dal distinguo tra collabo-razioni che prevedono la eteroorganizzazione o il coordinamento, onde può ben darsi che il coordinamento — e non l’eteroorganizzazione — specifichi le caratteristiche spazio-temporali della prestazione, senza per ciò dar vita ad una fattispecie (vietata) di collaborazione eteroorganizzata). Ciò nell’ottica, decisa-mente adottata dalla più recente riforma, di limitare al massimo il ricorso allo stesso lavoro autonomo, sia in funzione del contenimento dei costi (da qui il requisito delle “specifiche esigenze” e della “mancanza di persona in servizio”) sia in funzione antielusiva e di contenimento del precariato, in una con la valorizzazione, nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 97 Cost., delle profes-sionalità da tempo maturate e poste al servizio delle pubbliche amministrazioni

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(in tal senso la circ. 3/2017). In tal senso deporrebbe, fra l’altro, l’ulteriore interpolazione dell’art. 35 del d.lg. n. 165/2001, relativamente al reclutamento del personale, laddove individua delle procedure di assunzione mediante con-corso pubblico, per titoli ed esami, finalizzate a valorizzare l’esperienza profes-sionale maturata nell’ambito di contratti di “lavoro flessibile”, mentre scompare il riferimento al (solo) contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Se è vero che la ratio della modifica è di ampliare la platea di soggetti che possano usufruire di tale procedura di valorizzazione della pregressa professionalità, può essere significativo che la circ. n. 3/2017 affermi che potranno essere valorizzati “anche” i contratti di collaborazione coordinata e continuativa « sti-pulati nel rispetto della normativa vigente ratione temporis », quindi con uno sguardo che sembra più retrospettivo che prospettico. Se si accedesse a questa interpretazione, invero piuttosto radicale, secondo cui le collaborazioni coor-dinate e continuative non sono più ammesse nell’ambito dei contratti di lavoro autonomo stipulabili dalla P.A., non si tratterebbe, comunque, di un divieto assoluto, in quanto sarebbero fatte comunque salve — come indicato dalla circ. n. 3/2017 — almeno le fattispecie di collaborazione previste dalle norme spe-ciali, anche laddove presentino i tratti delle collaborazioni coordinate e conti-nuative di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c.

Giova anche ricordare, a conferma della specialità del comparto del lavoro pubblico, che, come ribadito dall’art. 36 comma 5 nella attuale formulazione, anche qualora il giudice accertasse che una collaborazione a favore di una pubblica amministrazione avesse mascherato un vero e proprio rapporto su-bordinato di lavoro, si troverebbe nell’impossibilità di convertirlo, valendo il principio per cui laddove l’amministrazione usufruisca di rapporti flessibili di lavoro in violazione di norme imperative che ne regolano l’utilizzo, detti rap-porti non potrebbero in ogni caso subire una trasformazione in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Pertanto, come confermato anche dalla giurisprudenza più recente (CC 8 febbraio 2017 n. 3384; CC 18 aprile 2018 n. 9591), il prestatore avrà diritto ad una tutela meramente risarcitoria. Secondo univoca giurisprudenza, infatti, non si applica nemmeno l’art. 2126 c.c. sulla tutela dei diritti maturati dal collaboratore durante l’esecuzione della prestazione di lavoro, valendo la norma de qua esclusivamente per il lavoro subordinato (CS, V, 24 ottobre 2006 n. 6352; CS 30 agosto 2006 n. 5062). Il collaboratore che volesse farla valere dovrebbe provare pertanto che il suo rapporto di lavoro si sia concretato non nelle forme della etero-organizzazione di cui al comma 5-bis, art. 7, bensì nella maniera stringente dell’etero-direzione caratterizzante il lavoro subordinato (PALLINI, 2018, 139).

Qualora poi l’amministrazione abbia illegittimamente stipulato contratti di collaborazione ora vietati ai sensi dell’art. 7, commi 5-bis e 6, e art. 36, comma 5, e quindi nulli per violazione di norme imperative, il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno come perdita della “chance” di reperire un’occupazione alternativa migliore e più stabile (CC, SU, 15 marzo 2016 n. 5072; in dottrina DORONZO, 2018, 376).

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3. Una disciplina unitaria e speciale per i contratti di lavoro auto-nomo: i requisiti di legittimità del comma 6, art. 7. Se per un periodo ha

prevalso, anche sulla scorta della giurisprudenza amministrativa, una imposta-zione dualista (cd. del doppio binario) del lavoro autonomo nel pubblico im-piego, la quale ravvisava la disciplina delle collaborazioni coordinate nell’art. 36 del d.lg. n. 165/2001 e quella relativa agli incarichi per prestazione d’opera professionale nell’art. 7 dello stesso decreto, successivamente le due diverse declinazioni hanno trovato composizione nella l. n. 248/2006 (cd. Decreto Bersani). Quest’ultimo ha provveduto ad unificare la disciplina applicabile agli incarichi individuali e alle collaborazioni coordinate e continuative, introdu-cendo un divieto al ricorso a queste forme di lavoro autonomo se non nei casi eccezionali e con i requisiti indicati dal decreto, e prevedendo altresì una responsabilità erariale in capo all’ente.

Per una migliore comprensione delle modifiche legislative intervenute è op-portuno in questa sede precisare che il riferimento al lavoro autonomo si declinava sia nella figura della prestazione d’opera professionale occasionale di cui all’art. 2222 ss. c.c. sia nelle collaborazioni coordinate e continuative ex art. 409, n. 3, c.p.c., tanto che in dottrina si è parlato di “sineddoche” poiché il termine collaborazione si riferisce in senso ampio a qualunque tipo di presta-zione autonoma (BORGOGELLI, 2013, 506). Poiché il carattere della durata rap-presentava l’unico criterio distintivo, l’incarico poteva assumere le vesti di un conferimento momentaneo od episodico ovvero quelle di una collaborazione continuativa. Nel primo caso rientrano le ipotesi di incarichi che hanno ad oggetto attività di studio, consulenza o ricerca che si esauriscono nella produ-zione di una relaprodu-zione scritta; nel secondo quelle prestazioni che, benché autonome, si coordinano con l’organizzazione del committente, che un tempo esercitava unilateralmente un coordinamento di tipo spaziale e temporale e che oggi, in seguito alla modifica dell’art. 409 n. 3 c.p.c., deve concordare con il prestatore le modalità del coordinamento. Pur essendo la disciplina unitaria, dal punto di vista fiscale e contributivo le due ipotesi presentano alcune pecu-liarità. Il Dipartimento di Funzione pubblica attraverso successive circolari (n. 4 del 2004, n. 2 del 2006, n. 2 del 2008) ha illustrato le premesse per un legittimo ricorso al lavoro autonomo che deve nascere da esigenze del tutto eccezionali.

Ciò premesso, per espressa previsione normativa del 2006 sopra citata, la P.A. può ricorrere a forme flessibili di lavoro e a professionalità esterne solamente allorché non siano disponibili in organico risorse umane dotate di equivalenti professionalità (C. conti, sez. centr. contr. atti Governo e Amministrazioni Stato, 13 gennaio 2012 n. 1; C. conti, sez. giur. Sicilia, 31 luglio 2014 n. 951; C. conti, sez. centr. contr. atti Governo e Amministrazioni dello Stato, 21 aprile 2015 n. 8).

Il comma 6 dell’art. 7, nella sua attuale formulazione, fermo il divieto di stipulare rapporti di lavoro che si concretino in collaborazioni etero-organiz-zate dal committente (retro, § 3), consente, qualora vi siano esigenze specifiche che non possono essere soddisfatte dal personale in organico, di conferire

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« esclusivamente » (avverbio aggiunto a seguito del d.lg. n. 75/2017) incarichi individuali di lavoro autonomo ad esperti di dimostrata e particolare specializ-zazione anche universitaria, laddove l’avverbio « esclusivamente », unitamente alla soppressione del riferimento ad incarichi « di natura occasionale o coordi-nata e continuativa », depone nel senso di ritenere non più conferibili da parte della P.A. contratti di co.co.co. La norma pone, infine, una serie di stringenti « presupposti di legittimità »: a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze che l’ordinamento attribuisce all’amministrazione commit-tente, essere quindi in linea con le finalità della medesima, e corrispondere altresì ad obiettivi e progetti specifici e determinati; b) l’amministrazione deve aver verificato preliminarmente che le risorse al suo servizio non abbiano le competenze necessarie; c) l’incarico deve essere temporaneo e altamente qua-lificato; d) l’incarico deve preventivamente contemplare l’oggetto, la durata e il compenso dello stesso. Il d.lg. n. 75/2015 ha invece eliminato il riferimento al luogo della prestazione, che ora non deve più essere preventivamente specifi-cato. Inoltre, il rinnovo dell’incarico non è ammesso, laddove la proroga è consentita, in via eccezionale, solamente per ultimarlo (C. conti 3 luglio 2015 n. 16; C. conti, sez. contr. Molise, 10 dicembre 2015 n. 226), e senza maggiorazioni del compenso, e comunque per ritardi che non possano essere imputabili al collaboratore. Costante giurisprudenza ha più volte ribadito che il ricorso a incarichi esterni rappresenta un rimedio eccezionale a fronte di esigenze tem-poranee e che pertanto la reiterazione dell’incarico non può tradursi in una forma di assunzione posta in essere eludendo sia le disposizioni sul contingen-tamento dei costi per il personale sia le procedure ordinarie per accedere all’impiego nelle pubbliche amministrazioni (C. conti, sez. Veneto, 21 gennaio 2014 n. 26). In queste ipotesi la proroga implica una posticipazione del termine finale inizialmente concordato e senza alcuna integrazione economica.

Il d.lg. n. 75/2017 non ha toccato il secondo periodo del comma 6, onde, qualora le collaborazioni debbano essere prestate da professionisti iscritti a ordini o albi ovvero che operino nel campo artistico, dello spettacolo, dell’arti-gianato, dell’informatica, o che siano chiamati a supportare attività didattica e di ricerca o di orientamento e collocamento, si potrà prescindere dalla « com-provata specializzazione universitaria ». Il rigido requisito della comcom-provata specializzazione universitaria, non più necessario per talune categorie di inca-richi, è stato mitigato ad opera dell’art. 22, comma 2, della l. n. 69/2009 e successivamente dall’art. 17, comma 27, della l. n. 102/2009 che ha convertito il d.l. n. 78/2009. Con il parere del 20 gennaio 2011 n. 202/4, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha precisato che la laurea triennale vada intesa come requisito minimo purché integrato da un titolo di specializzazione. In capo all’amministrazione, inoltre, secondo consolidata giurisprudenza, sussiste un potere discrezionale in merito alla specificazione dei titoli di studio ritenuti indispensabili per l’ammissione a una selezione pubblica (CS, V, 13 aprile 2012 n. 2098), tanto che possono essere richiesti elementi ulteriori quali il voto finale di laurea o la data di conseguimento per selezionare i candidati ovvero una pregressa esperienza in attività equivalenti a quelle oggetto dell’incarico (C.

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conti, sez. centr. contr., 17 dicembre 2015 n. 24; FUSO-MASSAGLI-TIRABOSCHI, 2010, 67).

Dalla lettura complessiva e sistematica del disposto in esame pare potersi confermare la tesi, affacciata nel precedente paragrafo, secondo la quale i contratti di lavoro autonomo previsti come legittimi dalla norma in esame non coincidono con le collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c., onde il generale sistema di declinazione del lavoro autonomo nel settore della pubblica amministrazione si connota per una spiccata specialità che ne affranca i connotati rispetto al sistema giusprivatistico.

A prescindere dalle limitazioni soggettive (gli « esperti di particolare e compro-vata specializzazione » cui gli incarichi devono essere affidati) e funzionali (il divieto di ricorrere a contratti di lavoro autonomo per l’espletamento di « fun-zioni ordinarie »), sono i « presupposti di legittimità » indicati dalla norma a confermare questa postura interpretativa.

Anzitutto l’oggetto della prestazione deve corrispondere ad « obiettivi e pro-getti specifici e determinati », come prescrive l’art 7, comma 6, lett. a. Orbene, l’oggetto della prestazione di lavoro autonomo riguarda un’opera o un servizio non altrimenti specificati (art. 2222 c.c.; art. 409, n. 3, c.p.c.), mentre il requisito di legittimità rappresentato dal « progetto specifico e determinato » non può che richiamare alla mente la fattispecie dell’abrogato « lavoro a progetto » (art. 61 d.lg. n. 276/2003), ideato dalla c.d. legge Biagi per porre un argine al dilagare delle collaborazioni coordinate e continuative fasulle. Nella fase ter-minale di quell’esperienza, in seguito alle modifiche apportate dalla legge Fornero, una circolare del Ministero del lavoro aveva chiarito che « il contenuto del progetto deve necessariamente indicare l’attività prestata dal collaboratore in relazione al quale si attende il raggiungimento di un determinato risultato obiettivamente verificabile ». Come dire che il collaboratore doveva realizzare un risultato finale “compiuto”, consistente nella « modificazione della realtà materiale che il collaboratore si impegna a realizzare in un determinato arco temporale », idoneo a realizzare « uno specifico e circoscritto interesse del committente » (circ. 29/2012). Utilizzando questi chiarimenti è agevole dimo-strare che il riferimento agli « obiettivi e progetti specifici e determinati » di cui all’art. 7, comma 6, lett. a produce lo stesso effetto di limitazione, sul piano tipologico, realizzata dall’art. 61 del d.lg. n. 2376/2003 con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c. Benché in quel caso le collaborazioni coordinate e continuative non a progetto fossero espressamente vietate (pena la loro conversione in contratti di lavoro subordi-nato a tempo indetermisubordi-nato: artt. 61 del d.lg. n. 276/2003), deve ritenersi che lo stesso effetto di limitazione tipologica della fattispecie si realizzi mediante l’individuazione del presupposto di legittimità ad opera dell’art. 7, comma 6, lett. a, che elimina dal campo delle prestazioni autonome legittime tutte quelle che, non avendo ad oggetto un “progetto specifico e determinato”, si conno-tano vuoi nei termini di una mera faciendi necessitas, vuoi in un generico facere autonomo, sia esso collegato o meno ad un risultato finale dedotto in

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obbliga-zione (secondo il risalente schema distintivo tra le obbligazioni di “risultato” e le obbligazioni di “mezzi”, MENGONI, 1954, 185, 280 366).

Un altro elemento che connota in senso peculiare l’incarico di lavoro autonomo presso la P.A. è dato dal carattere temporaneo della prestazione (art. 7, comma 6, lett. c), ciò che esclude la stabilità o continuatività del rapporto: in senso tecnico non si può trattare di un contratto di durata, bensì di una prestazione “spot” di breve durata (infatti, non è consentito il rinnovo e la stessa proroga è ammessa solo in via eccezionale per il completamento del progetto, laddove un normale incarico di lavoro autonomo continuativo e/o reiterato nel tempo è del tutto lecito in ambito privatistico). L’elemento della durata, che trova nella tecnica legislativa referenti classici nella « stabilità dell’incarico » (riferita al-l’agenzia: art.1742 c.c.), ovvero nella « continuatività » della prestazione d’opera (art. 409 c.p.c.), costituisce un criterio valorizzato dalla giurisprudenza, la quale considera essenziale il tratto della durata in quanto l’attività del pre-statore di lavoro risponda all’esigenza di soddisfare un bisogno stabile del committente, sia che essa si riferisca in senso tecnico all’esecuzione di un’atti-vità, ovvero alla ripetizione di più opera collegati da un nesso di continuità (SANTOROPASSARELLI, 2002, 249), sia che attenga — in una accezione atecnica — all’esecuzione di un opus unico che richieda un’attività prestatoria prolungata (secondo lo schema del contratto che prevede un adempimento istantaneo ma un’esecuzione prolungata). Nel caso dell’art. 7, comma 6, lett. c, è evidente che queste caratteristiche di stabilità/continuatività degli incarichi non sono am-messe e non si confanno alla previsione legislativa. Del resto, a fronte del rilievo assegnato dal legislatore agli “obiettivi e progetti specifici e determinati” nella struttura dell’obbligazione di facere, la caratteristica della continuità della pre-stazione, tipica della fattispecie di cui all’artt. 409, n. 3, c.p.c., non appare ammissibile, onde il protrarsi dell’attività prestatoria non collegata al comple-tamento del progetto (cioè una continuità della prestazione in senso tecnico, finalizzata all’adempimento uno actu) dovrebbe suggerire all’interprete di re-vocare decisamente in dubbio la qualificazione del contratto di lavoro auto-nomo nei termini di cui all’art. 7, comma 3.

Rimane ferma la responsabilità amministrativa del dirigente che stipuli con-tratti di collaborazione o di incarichi esterni per svolgere funzioni che non siano eccezionali ma ordinarie o qualora utilizzi i lavoratori come subordinati (TAR Piemonte, I, 29 settembre 2009 n. 2106). La responsabilità del dirigente ri-chiede in ogni caso, per sussistere, la prova di una condotta colpevole del medesimo; altresì deve essere provato anche un danno patrimoniale in capo alla pubblica amministrazione. Si applica invece in maniera automatica al diri-gente la sanzione della perdita totale della retribuzione di risultato, sanzione che pertanto si collega ad una responsabilità di tipo oggettivo (PALLINI, 2018, 140-141).

In conclusione, una corretta interpretazione dell’art. 7, comma 6, sembra escludere la legittimità del ricorso, da parte della P.A., a forme di lavoro coordinato e continuativo ex art. 409 n. 3, c.p.c., in ragione del fatto che le forme di lavoro autonomo previste dall’art. 7, comma 6 (« incarichi individuali

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con contratti di lavoro autonomo ») sono sottoposte a una serie di requisiti di ammissibilità che ne modificano i connotati tipologici generali, rendendole inidonee ad assumere la specifica morfologia delineata dall’art. 409, n. 3, c.p.c.

4. Procedura comparativa ex comma 6-bis e ipotesi di esclusione dalla medesima. Il comma 6-bis dispone che le amministrazioni, sulla base dei

propri ordinamenti, disciplinano e pubblicizzano le procedure comparative utilizzate per selezionare i collaboratori e conferire gli incarichi. In diverse occasioni la Corte dei Conti ha ribadito l’obbligo per la pubblica amministra-zione di affidare l’incarico a seguito di una procedura comparativa quale strumento necessario per appurare la competenza degli affidatari (C. conti, sez. centr. contr. atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, 3 febbraio 2012 n. 2; C. conti, sez. centr. contr. gestione Amministrazioni dello Stato, 16 aprile 2014 n. 8; cfr. PINTO, 2010, 256). Al fine di assicurare una piena attua-zione del principio di trasparenza (FIORILLO, 2018, 171) le amministrazioni adottano specifici regolamenti che disciplinano le forme di pubblicità e le procedure comparative a seguito delle quali vengono conferiti gli incarichi esterni (circ. Dipartimento funzione pubblica n. 2/2008). Il successivo comma 6-quater stabilisce espressamente, invece, le ipotesi in cui l’amministrazione possa optare per l’affidamento diretto evitando la procedura comparativa de-lineata dal 6-bis: è questo il caso degli organismi indipendenti di valutazione (prima delle modifiche apportate dall’art. 5 del d.lg. n. 75/2017 la norma si riferiva agli organismi di controllo interno) di cui all’art. 14 del d.lg. n. 150/ 2009, vale a dire l’organismo indipendente di valutazione della performance di cui è dotata ogni amministrazione, singolarmente ovvero in forma associata. Vi sono poi ipotesi, non espresse, di esclusione dalle procedure comparative e alle forme di pubblicità, in cui occorrono competenze così eccezionali e specifiche da non permettere neppure un confronto tra diversi collaboratori (C. conti Basilicata, 16 settembre 2004 n. 229; in dottrina cfr. RICCI, 2008, 259), così come collaborazioni meramente occasionali che si esauriscono per loro stessa natura in un rimborso spese. La circolare n. 2/2008 del Dipartimento di fun-zione pubblica, fa riferimento ad esempio a collaborazioni per una singola docenza o traduzione di pubblicazioni oppure la partecipazione a convegni e seminari (v. anche C. conti, sez. contr. Emilia Romagna, 19 settembre 2014 n. 188).

Non si applicano le procedure nemmeno alle collaborazioni cd. minime, vale a dire quelle il cui compenso non superi una determinata soglia ovvero una certa durata, come le prestazioni di lavoro occasionale di cui, ora, all’art. 54-bis del d.lg. n. 50/2017 convertito con modificazioni dalla l. n. 96/2017 di cui infra.

5. Limiti soggettivi al conferimento di collaborazioni e incarichi. Il

legislatore prevede espressamente dei limiti al conferimento degli incarichi di collaborazione a talune categorie di soggetti. In primis, l’art. 25, comma 1, della l. n. 724/1994 vieta che possano essere conferiti incarichi di consulenza,

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colla-borazione, studio e ricerca a soggetti che volontariamente abbiano cessato il servizio, benché privi del requisito previsto per il pensionamento, avendo invece usufruito del requisito contributivo per l’ottenimento della pensione di anzianità anticipata. Non potranno pertanto, a tali soggetti, essere conferiti incarichi da parte delle amministrazioni con le quali gli stessi abbiano avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni antecedenti alla cessazione del servizio. Il divieto di cui alla disposizione, che si pone come obiettivo espresso la piena ed effettiva trasparenza e imparzialità della macchina amministrativa, mira in tal modo a contrastare il diffuso fenomeno che spingeva i dipendenti in servizio a richiedere anticipatamente la pensione cessando volontariamente l’attività presso la pubblica amministrazione, per poi continuare a collaborarvi attraverso incarichi o collaborazioni, con il vantaggio di avere assicurate due entrate economiche contestuali (C. cost n. 406/1995). Successivamente anche l’art. 5, comma 9 del d.l. n. 95/2012, convertito dalla legge n. 135/2012 ha imposto alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lg. n. 165/2001, quelle inserite nel conto economico consolidato della pubblica am-ministrazione, nonché alle autorità indipendenti, il divieto di conferire incari-chi di studio e di consulenza a lavoratori già in quiescenza, sia del settore pubblico che privato. Il divieto decade qualora l’incarico sia invece attribuito a titolo gratuito.

6. Prestazioni occasionali e Pubblica Amministrazione.

Inizial-mente esclusa nell’ipotesi di committente pubblico dalla versione originaria di cui agli all’art. 70 ss. del d.lg. n. 276/2003, l’applicazione del lavoro occasionale di tipo accessorio è stata estesa anche alle pubbliche amministrazioni mediante le modifiche operate dal comma 12, art. 7-ter della legge n. 33/2009. Benché infatti l’intera riforma c.d. Biagi non fosse applicabile al settore del pubblico impiego, attraverso una espressa eccezione di esclusione, le integrazioni del 2009 hanno consentito che prestazioni relative a manifestazioni sportive, cul-turali, fieristiche e caritatevoli così come lavori in caso di emergenza o di solidarietà potessero essere rese anche in favore di un committente pubblico (laddove per committenti pubblici si intendono quelli contemplati dall’art. 1, comma 2, del d.lg. n. 165, cit.) e finanche in favore degli enti locali in relazione a specifiche categorie di soggetti, subordinandone in ogni caso il ricorso al rispetto dei limiti di spesa previsti per il personale e, laddove previsti, dai vincoli dettati dal patto di stabilità interno. La successiva legge n. 191/2009 ha infatti concesso anche agli enti locali la possibilità di ricorrere a questa tipologia flessibile di contratto, ma solamente con riferimento a pensionati; giovani con meno di venticinque anni di età ma solo se iscritti regolarmente ad un corso di studi e compatibilmente con gli impegni scolastici ovvero regolarmente iscritti ad un corso universitario; percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito nel limite annuo di 3.000 euro. La successiva Riforma Fornero, legge n. 92/2012, ha modificato l’art. 70 del d.lg. n. 273/2006 al fine di semplificare la disciplina dell’istituto, vincolandone l’utilizzo ad un criterio

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meramente economico (dell’ammontare di 5.000 euro), talché, anche i com-mittenti pubblici (amministrazioni, enti e società inserite nel conto economico consolidato individuate ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196), spariti i riferimenti alle causali oggettive e soggettive, potevano ricorrere al lavoro occasionale in relazione a tutti i settori produttivi e attenen-dosi ai soli limiti, ribaditi dal legislatore della riforma, rappresentati dal patto di stabilità interno, ove presente, e dai tetti di spesa previsti per il personale. Il successivo d.lg. n. 81/2015, emanato in attuazione della l. delega n. 148/2014 cd. Jobs Act, non ha apportato rilevanti modifiche in merito alla disciplina applicabile: prima che il lavoro accessorio venisse interamente abrogato (per evitare il referendum abrogativo, la disciplina è stata abrogata con il d.l. n. 25/2017), il comma 4 dell’art. 48 ne circoscriveva l’utilizzo nel rispetto dei limiti di spesa succitati, mentre il successivo comma 7 rinviava alla disposizione di cui all’art. 36 del d.lg. n. 165/2001 sull’utilizzo dei contrati flessibili da parte delle pubbliche amministrazioni.

Da ultimo le prestazioni occasionali di lavoro sono state disciplinate dall’art. 54-bis del decreto legge n. 50/2017, poi convertito dalla l. n. 96/2017. In deroga alla previsione di cui al comma 14, lett. a, cioè a dire anche qualora il commit-tente pubblico abbia alle proprie dipendenze più di cinque lavoratori subordi-nati a tempo indeterminato, il comma 7 dell’art. 54-bis prevede che le ammini-strazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lg. n. 165/2001, possano fare ricorso al contratto di prestazione occasionale nell’esclusiva ipotesi di esigenze temporanee o eccezionali e comunque rispettando i vincoli derivanti dal con-tenimento delle spese per il personale: a) per progetti destinati a determinate categorie di soggetti che beneficiano di ammortizzatori sociali ovvero in stato di povertà, disabilità, detenzione o tossicodipendenza; b) per attività che si ren-dano necessarie in ipotesi emergenziali di calamità o eventi naturali improvvisi;

c) per attività di solidarietà in collaborazione con associazioni di volontariato o

altri enti pubblici; d) in occasione di manifestazioni culturali, caritative, sociali o sportive. Le quattro ipotesi elencate dal legislatore fanno riferimento a situa-zioni emergenziali e temporalmente circoscritte in cui il personale in organico non risulta essere sufficiente per farvi fronte, benché qualche dubbio in merito possa nutrirsi per le circostanze descritte ex lett. a) e c) nelle quali pare difettare il requisito della emergenzialità (DEMARCO, 2018, 47; per MONDA, 2018, 227 il lavoro occasionale nel pubblico impiego ha una valenza di strumento per tutelare i soggetti socialmente deboli, una finalità sociale tutelata finanche dalla Carta costituzionale). Il successivo comma 20 dell’art. 54-bis, esclude, poi, espressamente le pubbliche amministrazioni dalla trasformazione del contratto di lavoro occasionale in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato qualora il committente superi il tetto economico previsto dalla disciplina ovvero il limite massimo di durata della prestazione, fissato in 280 ore nel corso dell’anno civile (sostiene MONDA, 2018, 224, che il problema si riscontra nella identificazione della sanzione applicabile in queste ipotesi, laddove il silenzio del legislatore ha lasciato un vuoto normativo che l’A. propone di colmare con il rimando all’art. 36, comma 5, d.lg. n. 165/2001 e nello specifico, al diritto al

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risarcimento del danno, a causa di prestazioni di lavoro in violazione di norme imperative, per perdita di chance di un lavoro migliore).

In dottrina si è sostenuto che il legislatore avrebbe potuto corredare le nuove disposizioni sul lavoro occasionale con un’integrazione anche nell’art. 36 del d.lg. n. 165/2001, al fine di predisporre regolamenti per disciplinare aspetti non direttamente previsti dalla legge e in tal modo garantire il rispetto dei principi di imparzialità e trasparenza nella scelta dei soggetti dai quali acquisire le prestazioni (DEMARCO, 2018, 47).

Da ultimo l’art. 2-bis del d.l. n. 87/2018 (cd. Decreto Dignità), convertito dalla l. n. 96/2018, ha previsto un regime precipuo per gli enti locali, fermo restando che la disciplina del contratto di prestazione occasionale si applica esclusiva-mente alle pubbliche amministrazioni contemplate all’art. 1, comma 2, del d.lg. n. 165/2001, come per altro ribadito dal comma 7 dell’art. 54-bis del d.lg. n. 50/2017. Gli enti locali possono fare ricorso a questo strumento contrattuale nelle sole ipotesi ed attività temporanee ed eccezionali già elencate dal suddetto comma 7, fermi restando il limite di durata annuale che non può superare le 280 ore e il rispetto della disciplina in materia di contenimento della spesa per il personale. Gli enti locali, almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione di lavoro, comunicano attraverso la piattaforma informatica INPS i dati anagrafici del prestatore; il luogo e l’oggetto della prestazione; il compenso pattuito dalle parti. La novella legislativa ha poi introdotto la possibilità per il committente pubblico di indicare la data di inizio della prestazione e un monte orario complessivo presunto con riferimento ad un periodo massimo di dieci giorni, che potrà essere tuttavia incrementato previa comunicazione, con le stesse modalità, in cui verrà specificato altresì il nuovo compenso. Come per la generalità delle pubbliche amministrazioni, anche agli enti locali non si applica la disposizione di cui al comma 14 dell’art. 54-bis che vieta l’utilizzo del contratto di prestazione occasionale per i datori che alle loro dipendenze abbiano più di cinque lavoratori a tempo pieno e indeterminato; vengono inoltre esonerati dalle limitazioni soggettive imposte per le aziende del settore agricolo e turi-stico che impongono ai datori di ricevere le prestazioni unicamente da talune categorie di soggetti (pensionati, disoccupati, percettori di integrazioni salariali o di misure di sostegno al reddito, giovani con meno di 25 anni di età se regolarmente iscritti ad un corso di studi).

7. Le collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità negli Enti Locali (comma 6, art. 110 del TUEL). Ai sensi dell’art. 7 del d.lg. n.

165/2001, anche gli enti locali possono conferire incarichi a personale esterno per ragioni eccezionali. Il comma 6-ter dell’art. 7 del d.lg. n. 165/2001 espres-samente statuisce che i regolamenti sull’ordinamento degli uffici e dei servizi di cui al comma 6 dell’art. 110 del d.lg. n. 267/2000 (TUEL) debbano conformarsi ai principi delineati per la regolamentazione delle collaborazioni e incarichi esterni conferiti dalle pubbliche amministrazioni (C. conti, sez. contr. Friuli Venezia Giulia, 28 ottobre 2008 n. 252).

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Il comma 6 dell’art. 110 del d.lg. n. 267/2000 (TUEL) prevede che con conven-zioni a termine e per obiettivi determinati, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi possa prevedere, oltre ai contratti determinati discipli-nati dai commi precedenti dello stesso articolo, contratti di collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità.

La legge finanziaria per il 2008 (l. n. 244/2007), ai commi 55, 56, 57 ha inoltre predisposto una disciplina specifica per le collaborazioni esterne negli enti locali, i quali, ai sensi dell’art. 3, comma 55 della l. n. 244/2007, indipendente-mente dall’oggetto della prestazione, possono stipulare contratti di collabora-zione, ma solo con riferimento alle attività istituzionali previste dalla legge o nel programma approvato dal Consiglio dell’ente, così come indicato all’art. 42, comma 2, del d.lg. n. 267/2000. Sempre la l. n. 244/2007, al comma 56 dell’art. 3, stabilisce che limiti, criteri e modalità con cui vengono affidate le collabora-zioni esterne, sono fissati con il regolamento di cui all’art. 89 del TUEL. Qualora le disposizioni contenute nel regolamento vengano violate, l’illecito disciplinare conseguente da luogo altresì a responsabilità erariale. Il bilancio preventivo degli enti territoriali fissa il limite massimo di spesa annua riservata agli incarichi esterni. Ai sensi poi del successivo comma 57, la disciplina del regolamento di cui al comma 56, è sottoposta al controllo della Corte dei Conti alla quale viene trasmessa entro 30 giorni dall’adozione del regolamento me-desimo.

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