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L’ITALIA FORESTALE E MONTANA

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– I.F.M. n. 6 anno 2008

ORAZIO CIANCIO (*) - FRANCESCO IOVINO (**)

GIULIANO MENGUZZATO (***) - ANTONINO NICOLACI (****)

STRUTTURA E TRATTAMENTO IN ALCUNE FAGGETE DELL’APPENNINO MERIDIONALE (

1

)

Nelle faggete dell’Appennino meridionale – malgrado i piani di assestamento e di gestione sistematicamente e univocamente prescrivano i tagli successivi – solo casualmen- te questa forma colturale è stata posta in essere. Quando lo è stata ciò è avvenuto nei boschi di proprietà pubblica, per i quali la gestione tendenzialmente prevede l’adozione degli schemi classici della selvicoltura.

Anche in questi casi però quasi sempre il trattamento a tagli successivi non è stato applicato nella forma canonica, ma con una sequenza molto ridotta di tagli, peraltro di intensità troppo elevata.

Nei boschi di proprietà privata, invece, è stato adottato il taglio a scelta che in lette- ratura è considerato inadatto e quindi inapplicabile per la tendenza spontanea del faggio a rinnovarsi formando strutture coetanee e per il timore che i tagli possano degenerare in selezioni commerciali delle piante migliori. Nella realtà operativa, invece, i privati da sempre operano in tal senso con ottimi risultati di redditività, conseguendo tra l’altro una elevata efficienza funzionale dei boschi di faggio.

Nel presente lavoro, sulla base delle analisi condotte in differenti tipologie struttu-

L’ITALIA

FORESTALE E MONTANA

RIVISTA DI POLITICA ECONOMIA E TECNICA

ANNO LXIII - NUMERO 6 - NOVEMBRE - DICEMBRE 2008

(*) Accademia Italiana di Scienze Forestali; ciancio@aisf.it

(**) Dipartimento di Difesa del Suolo, Università della Calabria, Rende (Cosenza);

iovino@dds.unical.it

(***) Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali, Università degli Studi Mediter- ranea di Reggio Calabria; gmenguzzato@unirc.it

(****) Dipartimento di Difesa del Suolo, Università della Calabria, Rende (Cosenza); nicola- ci@dds.unical.it

1

Il lavoro è stato svolto dagli A.A. in parti uguali nell’ambito del Progetto MIUR PRIN

2007 «Metodi innovativi per la identificazione, caratterizzazione e gestione dei boschi vetusti in ambi-

to mediterraneo» (Coordinatore nazionale Gherardo Chirici).

(2)

rali di alcune faggete dell’Appennino meridionale, ricadenti in proprietà pubblica e priva- ta e delle relative modalità di intervento, viene evidenziato come la gestione di questi boschi, basata su interventi svincolati da parametri derivanti da modelli predefiniti, favo- risca la disomogeneità e la diversificazione strutturale.

Parole chiave: faggete; tipologie strutturali; taglio a scelta.

Key words: beech forests; forest types; selection cutting.

1. P REMESSA

L’analisi della struttura consente di valutare il livello di complessità del bosco, mettendo in relazione la ricchezza di specie, la varietà di habitat (P IGNATTI , 1998, L ÄHDE et al., 1999, B ENGTSSON et al., 2000) e i processi dinamici connessi alla gestione. Inoltre, permette di verificare gli effetti degli interventi selvicolturali che si sono succeduti nel tempo e raffigura le moda- lità di gestione da adottare per promuovere, al massimo livello possibile, la complessità strutturale dei popolamenti e l’efficienza funzionale del sistema (C IANCIO e N OCENTINI , 1994).

La forma colturale maggiormente indicata e prescritta per la gestione dei boschi italiani è il trattamento a tagli successivi. Una metodica questa, lo si sa, che varia in funzione della stazione, delle esigenze delle specie, della strut- tura, della densità dei popolamenti e della durata del periodo di rinnovazio- ne. In relazione alle condizioni stazionali e, soprattutto, al temperamento delle specie i tagli si differenziano per numero e per intensità.

Così, per le specie eliofile i tagli successivi si possono ridurre a due:

quello di sementazione e quello di sgombero. Il primo è un taglio di intensità forte che in alcuni casi può raggiungere il 75-80% della massa in piedi, il secondo, con il quale si eliminano le piante rimaste, generalmente si effettua dopo 5-6 anni, e comunque sempre dopo che si sia affermata la rinnovazione.

Per le specie che sopportano l’aduggiamento, le cosiddette sciafile come il faggio, invece, il numero e l’intensità dei tagli varia notevolmente.

Qualora non siano stati effettuati i diradamenti o questi siano stati troppo moderati, il trattamento prevede uno o più tagli di preparazione in modo da predisporre le piante alla fruttificazione e il terreno ad accogliere i semi.

Segue il taglio fondamentale di questa forma colturale: il taglio di sementazio- ne. Questo si effettua alla scadenza del turno, eliminando, nel caso delle fag- gete pure e coetanee, il 25-30% della massa in piedi.

In relazione, poi, al trend della disseminazione, più o meno abbondan-

te, e all’andamento della rinnovazione, dopo 5-7 anni si esegue un taglio

secondario e, dopo altri 5-7 anni, qualora ve ne sia bisogno, un secondo taglio

secondario. I tagli secondari sono particolarmente necessari per le specie a

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467

ANALISI STRUTTURALE DELLE FAGGETE

rinnovazione lenta o sensibili alle avversità meteoriche. Per favorire l’affer- mazione del novellame, con i due tagli secondari complessivamente si asporta il 30-40% della massa in piedi. Se la rinnovazione è insufficiente, il primo taglio secondario può assumere la funzione di secondo taglio di sementazio- ne. Quando la rinnovazione si è affermata e si presenta diffusa uniformemen- te sul terreno, si effettua il taglio di sgombero, eliminando il più presto possi- bile le piante rimaste in piedi in modo da attenuare i danni al novellame. Nella fattispecie, la durata del periodo di rinnovazione, salvo casi particolari, è di 10-15 anni e, comunque, non dovrebbe superare i 20 anni.

I tagli successivi nella forma canonica prima descritta hanno avuto scarsa o nulla applicazione in Italia, tranne in alcune determinate aree del Nord. Nelle faggete dell’Appennino meridionale – malgrado i piani di asse- stamento e di gestione sistematicamente e univocamente prescrivano i tagli successivi – solo casualmente questa forma colturale è stata posta in essere.

Quando lo è stata ciò è avvenuto nei boschi di proprietà pubblica, per i quali la gestione tendenzialmente prevede l’adozione degli schemi classici della selvicoltura.

Si sottolinea però che anche in questi casi quasi sempre il trattamento a tagli successivi non è stato applicato nella forma canonica, ma con una sequenza molto ridotta di tagli, peraltro di intensità troppo elevata. In sintesi, la forma colturale a tagli successivi è stata snaturata e attuata in modo non coerente con quanto previsto dalla tecnica selvicolturale.

D’altra parte, in letteratura il trattamento a tagli successivi è considerato ottimale per le faggete pure e coetanee che vegetano nell’ottimo stazionale, destinate alla produzione di legname di qualità (H OFMANN , 1956, 1991;

M AYER , 1977; C ANTIANI , 1983). Il taglio saltuario e i tagli successivi a gruppi, invece, sono previsti nelle faggete al di fuori dell’ottimo stazionale aventi fun- zioni protettive (H OFMANN , 1956), oppure per favorire le mescolanze con abete e/o picea (S USMEL , 1955).

La struttura di molti boschi di faggio dell’Appennino meridionale sca- turisce da un sistema di gestione selvicolturale che certamente non può consi- derarsi sostenibile: il taglio raso con riserve ha avuto ampia diffusione in applicazione della legge forestale borbonica del 21 luglio del 1826, con gravi conseguenze sulla rinnovazione e sulla struttura dei popolamenti (H OFMANN , 1991). Si fa rilevare che, malgrado i progressi compiuti in selvicoltura negli ultimi lustri, questo modo di operare non è stato del tutto abbandonato.

Nella realtà operativa delle faggete meridionali, infatti, molto spesso tagli eccessivamente intensi si usa farli passare come taglio di sementazione.

Ovvero, si effettua un taglio molto più forte di quanto sia utile e necessario

in relazione alle esigenze della specie: un taglio improprio e contrastante

con la tecnica selvicolturale. Di più: a un simile deprecabile modo di opera-

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re quasi sempre non segue il taglio di sgombero perché in genere non è considerato finanziariamente utile.

Nei boschi di proprietà privata, invece, è stato adottato il taglio a scelta che in letteratura è considerato inadatto e quindi inapplicabile. Tale convin- zione si basa su due motivazioni: la tendenza spontanea del faggio a rinnovar- si formando strutture coetanee (D I T ELLA , 1916-1917; C RIVELLARI , 1955;

H OFMANN , 1991); il timore che i tagli possano degenerare in selezioni com- merciali delle piante migliori (B ERNETTI , 1995). La realtà è ben diversa: i pri- vati da sempre operano in tal senso con ottimi risultati di redditività, conse- guendo tra l’altro una elevata efficienza funzionale dei boschi di faggio.

Il presente contributo evidenzia la struttura e il trattamento di alcune faggete dell’Appennino meridionale; analizza le modalità di intervento che hanno originato le diverse tipologie strutturali, la forte disomogeneità e l’e- levata diversificazione dei boschi presi in esame.

2. M ATERIALI E METODO

L’iter metodologico seguito si è sviluppato in tre fasi.

1. Individuazione delle diverse tipologie strutturali di faggete in relazione alle modalità di insediamento della rinnovazione: sono stati presi in esame alcuni dei più significativi popolamenti di faggio presenti lungo l’Appennino Calabrese e in particolare, quelli posti sul versante occiden- tale della regione, dove le condizioni ecologiche sono particolarmente favorevoli alla specie.

2. Inquadramento climatico delle aree: si è fatto riferimento alle serie stori- che dei dati pluviometrici delle stazioni prossime ai siti rilevati, mentre i valori termici sono stati stimati applicando le equazioni di regressione di C IANCIO (1971). Le informazioni pedologiche sono state desunte dalla Carta dei Suoli della Regione Calabria (ARSSA, 2003).

3. Studio dei diversi tipi strutturali e analisi delle modalità di intervento che hanno originato le relative strutture: i dati relativi ai diversi tipi indivi- duati, sono stati acquisiti mediante analisi di dettaglio condotte in tran- sect di dimensioni variabili da 30x50 m (1500 m

2

) a 10x30 m (300 m

2

).

Complessivamente sono stati delimitati 35 transect, dei quali 25 hanno interessato le strutture coetanee e 9 quelle disetanee.

All’interno di questi è stata rilevata, per ogni pianta, la posizione

rispetto a un vertice del transect (con le coordinate polari), il diametro a

1,30 m, a partire da una soglia minima di cavallettamento di 6 cm, l’altezza

totale e di inserzione della chioma verde e la proiezione a terra della stessa

nelle quattro direzioni cardinali. La determinazione dell’età delle piante è

(5)

469

ANALISI STRUTTURALE DELLE FAGGETE

stata effettuata prelevando con il succhiello di Pressler una carotina a 1,30 m da terra su un campione di circa il 30% delle piante con diametro supe- riore a 17,5 cm. Su queste è stata eseguita anche l’analisi degli accrescimenti di diametro al fine di valutare la sequenza temporale e l’entità degli inter- venti eseguiti nelle faggete coetanee.

Tutti gli elementi rilevati sono stati utilizzati per disegnare i profili strutturali applicando il software SVS (Standard Visualization System) ver- sione 3.31 dell’USDA F OREST S ERVICE (1999). Per la stima dei volumi sono state applicate le tavole generali a doppia entrata dell’Inventario Forestale Nazionale (MAF-ISAFA, 1988).

3. A REE DI STUDIO

Le tipologie strutturali esaminate ricadono in boschi di proprietà pub- blica e privata, ubicati in due contesti pedoclimatici peculiari dell’Appenni- no Calabrese: Aspromonte e Piano di Limina e Serre Vibonesi (Tabella 1).

Tabella 1 – Elementi identificativi delle aree di studio.

Area Comuni Località Tipi strutturali Quota Latitudine Longitudine

(m s.l.m.) N E

Reggio Montagna Faggeta a 1350/1450 38° 08’ 15° 50’

Calabria di Reggio struttura Calabria monoplana

S. Eufemia d’A., Monte Scorda Faggeta 1100/1450 38° 12’ 15° 59’

Scido a struttura

pluristratificata

S. Cristina d’A., Monte Scorda Faggeta a 1100/1400 38° 12’ 15° 59’

Oppido M struttura

bistratificata

Molochio, Monte Scorda Faggeta a 1100/1600 38° 12’ 15° 59’

Cosoleto, Scido struttura monoplana

Giffone Monte Locardi Faggeta a 950/1100 38° 25’ 16° 10’

struttura monoplana

San Pietro Monte Crocco Faggeta a 900/1100 38° 28’ 16° 02’

di Caridà struttura

pluristratificata

Brognaturo Monte Pecoraro Faggeta a 1050/1150 38° 34’ 16° 22’

struttura monoplana Serre Vibonesi

Aspromonte e

Piano di Limina

(6)

a. Aspromonte e Piano di Limina: il faggio costituisce l’elemento peculiare dei boschi del piano montano a partire da 1200-1300 m di quota nel set- tore sud-occidentale; in quello nord-occidentale, nettamente più umido, scende fino a 800-900 m mescolandosi con il leccio e, localmente, lungo le valli nelle quali si creano particolari condizioni mesoclimatiche, si spin- ge ancora più in basso, determinando una inversione dei piani di vegeta- zione, testimoniata dalla presenza della lecceta al di sopra della faggeta.

In questa area, sono stati studiati i tipi strutturali delle faggete ricadenti nei settori settentrionale (Monte Scorda) e meridionale (Montagna di Reggio Calabria), del versante occidentale dell’Aspromonte, oltre a quelli di Monte Locardi sul Piano di Limina.

La piovosità media annua generalmente risulta oltre 1500 mm e supera di poco i 2000 mm nella stazione di Limina C.C.; la distrubuzione è tipica del regime mediterraneo con il 55% circa delle piogge concentrate nel periodo autunno-invernale e solo il 10% in estate. Dalla fine di dicembre a tutto marzo, sono frequenti le precipitazioni nevose ma la permanenza della neve al suolo è di breve durata. L’umidità dell’aria, che si manifesta con presenza di nebbie anche durante la stagione estiva, è generalmente eleva- ta; alla stazione igrometrica di Gambarie d’Aspromonte (1300 m s.l.m.) i valori medi mensili non risultano mai inferiori al 60%. Alle quote inferiori e superiori di vegetazione del faggio i valori della temperatura media annua sono risultati, rispettivamente, di 12 e 8°C, quelli del mese più freddo e più caldo, rispettivamente, di 3 e 21°C e di -0,5 e 18°C.

I suoli rientrano prevalentemente nei Dystrudepts, sviluppatisi su rocce ignee e metamorfiche.

b. Serre Vibonesi: il faggio forma popolamenti puri e a tratti misti ad abete a partire da 800-900 m di quota. I tipi strutturali esaminati hanno interes- sato le faggete del versante meridionale di Monte Crocco e di quello nord-occidentale della dorsale di Monte Pecoraro.

In quest’area la piovosità media annua supera 1700 mm, con il 58% con- centrate nel periodo autunno-invernale e solo l’8% in estate. Da dicem- bre a febbraio-marzo parte delle precipitazioni assumono carattere nevo- so. L’umidità dell’aria è elevata durante tutto l’anno, tanto che i valori medi mensili delle stazioni di Mongiana e di Serra San Bruno non risulta- no mai inferiori al 70% (I OVINO et al., 1988; 2005). La temperatura media annua riferita alle quote dei transect è di 12°C per l’area di Monte Crocco e 10°C per quella di Monte Pecoraro; i valori del mese più fred- do e più caldo, rispettivamente, sono di 3 e 21°C nella prima area e di 1 e 19°C nella seconda.

I suoli rientrano nel grande gruppo dei Dystrudepts, formatisi su rocce

ignee.

(7)

471

ANALISI STRUTTURALE DELLE FAGGETE

4. A NALISI DELLE STRUTTURE

Le faggete esaminate sono riconducibili alle strutture coetanee e dise- tanee e nell’ambito di queste due tipologie, rispettivamente al tipo mono- plano, bistratificato e pluristratificato.

4.1. Faggete a struttura coetanea

In questa tipologia sono stati eseguiti 25 transect in boschi di età da 100-110 a 60-70 anni, ricadenti tutti in proprietà demaniale dei comuni e della Regione. La variabilità dell’età è da attribuire sostanzialmente a due ordini di fattori: ritardate utilizzazioni rispetto alla scadenza del turno con- suetudinario (100 anni); tagli di forte intensità praticati durante e subito dopo l’ultimo conflitto mondiale.

Tutte le strutture analizzate evidenziano profili di tipo monoplano a copertura continua (Figura 1), con le piante di maggiori dimensioni che, pur avendo altezze leggermente superiori rispetto a quelle più piccole, non riescono a caratterizzare un piano ben differenziato. La forma dei fusti, soprattutto, nei soprassuoli più densi, è sufficientemente regolare e la chio- ma è inserita in alto. L’area di insidenza, il grado di copertura e di sovrap- posizione delle chiome presentano, particolarmente nei transect di Monte Pecoraro e di Monte Scorda, valori elevati.

Il sottobosco è limitato alla presenza di agrifoglio, pungitopo, dafne e ciclamino; la felce è presente nei tratti più luminosi anche se generalmente è poco abbondante perché le piante hanno chioma molto ampia e sufficien- temente densa.

Figura 1 – Faggeta a struttura monoplana. Vista prospettica.

(8)

La tipologia strutturale è la conseguenza di tagli di forte intensità, come emerge dall’analisi degli accrescimenti di diametro misurati su caroti- ne. A seguito di tali tagli si è insediata la rinnovazione. Successivamente, nella fase di perticaia i popolamenti, essendo stati diradati con intensità dif- ferenti nelle diverse aree, presentano importanti variazioni di densità (Tabella 2) e, quindi, una diversa distribuzione delle piante nelle classi di diametro. Questa ha un andamento di tipo gaussiano, con la moda nelle classi di diametro di 30, 35 e 40 cm (Figura 2) e una differente percentuale di soggetti di grosse dimensioni, in maggior numero dove la densità dei popolamenti è ridotta. Insieme ai diradamenti è stato praticato l’abbatti- mento delle piante del vecchio ciclo.

4.2. Faggete a struttura disetanea

Sono state riscontrate due differenti tipologie strutturali in relazione alle modalità di intervento che i popolamenti hanno subito. L’analisi è basata su 9 transect, delimitati sia in boschi di proprietà comunale, sia privata, ricon- ducibili a profili strutturali di tipo bistratificato e pluristratificato.

Il profilo bistratificato, tipico nei boschi di proprietà pubblica, presenta uno strato costituito da piante del vecchio ciclo e uno da una giovane perti- caia. Le prime, distribuite più o meno regolarmente sul terreno, presentano fusti abbastanza regolari e di grosse dimensioni; hanno la chioma piuttosto ampia, inserita sufficientemente in alto (Figura 3). Mediamente sono presenti da 60 a 90 piante a ettaro, con diametro da 45 a 70 cm ed età da 100 a 120-130 anni. La giovane perticaia, occupa prevalentemente gli spazi fuori dalla proie- zione delle chiome delle piante del vecchio ciclo. Presenta un profilo a cono con i soggetti di maggiori dimensioni localizzati al centro e quelli più piccoli in prossimità della proiezione delle chiome delle piante del vecchio ciclo, dove diminuisce anche la densità. Mediamente si riscontrano 400-500 piante a ettaro con età da 30 a 40 anni e tale densità favorisce l’allungamento dei fusti e il contenimento della chioma che risulta inserita in alto.

Il grado di insidenza, di copertura e di sovrapposizione risulta sempre elevato (Tabella 3); in queste condizioni non si ha insediamento né di novella- me né del sottobosco.

Il profilo è il risultato dell’applicazione di tagli che, per l’intensità con cui sono stati praticati (eliminazione del 70% del numero delle piante) e per la tipologia fisionomica di bosco, non possono essere assimilati a tagli di sementazione.

Il profilo pluristratificato è stato riscontrato, invece, in boschi di pro-

prietà privata nei quali tradizionalmente viene applicato il taglio a scelta che

determina una struttura disetanea per piccoli gruppi (Figura 4). In conse-

guenza di ciò si ha la giustapposizione di gruppi di piante di differenti età e

(9)

Tabella 2– Faggeta a struttura monoplana. Parametri caratteristici del soprassuolo.

Aree di studio età n. transect Soglia minima di cavallettamento > 5 cm Soglia minima di cavallettamento > 17,5 cm n. p. Ø H G/ha V/ha Grado Grado n. p. Ø H G/ha V/ha (cm) (m) (m

2

)( m

3

) insidenza copertura (cm) (m) (m

2

)( m

3

) (%) (%) Monte Pecoraro 100/110 4 500 39,2 19,67 60,48 685,3 175 83 478 40,0 22,65 60,17 682,6 Monte Locardi 80 10 259 38,5 25,75 30,16 446,3 150 77 218 41,7 25,89 29,69 441,3 Monte Scorda 80 3 382 36,3 25,49 39,45 565,9 190 99 358 37,2 25,64 39,01 561,6 Montagna di Reggio Calabria 60/70 8 848 24,1 15,12 33,86 444,1 152 72 725 23,7 16,59 32,08 428,7

Tabella 3– Faggeta a struttura disetanea: profilo bistratificato. Parametri caratteristici del soprassuolo.

Aree di studio n. p. n. transect Soglia minima di cavallettamento > 5 cm Soglia minima di cavallettamento > 17,5 cm Ø H G/ha V/ha Grado Grado n. p. Ø H G/ha V/ha (cm) (m) (m

2

)( m

3

) insidenza copertura (cm) (m) (m

2

)( m

3

) (%) (%)

Monte Scorda529328,423,033,47464,11908535633,424,5531,27442,9

(10)

diversa densità (Figura 5). Questa varia da uno a pochi soggetti nei gruppi di maggiore età, fino a qualche decina in quelli più giovani. In questi ultimi la riduzione della densità è legata prevalentemente all’autodiradamento piutto- sto che a interventi selvicolturali.

La forma dei fusti, favorita dall’elevata densità del popolamento, è generalmente buona. La chioma delle piante, molto contenuta e inserita in alto nei gruppi più giovani, tende ad ampliarsi quando le piante hanno rag- giunto lo strato superiore. In entrambi i casi il grado di insidenza, di coper- tura e di sovrapposizione risulta elevato.

Monte Locardi. Faggeta pura coetanea a struttura monoplana.

Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 5 10 15 20 25

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 diametro (cm)

numero piante (%)

Monte Scorda. Faggeta coetanea a struttura monoplana.

Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 5 10 15 20 25

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 diametro (cm)

numero piante (%)

Montagna di Reggio Calabria. Faggeta coetanea a struttura monoplana. Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 5 10 15 20

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 diametro (cm)

numero piante (%)

Monte Pecoraro. Faggeta coetanea a struttura monoplana.

Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 diametro (cm)

numero piante (%)

Figura 2 – Faggeta a struttura monoplana. Distribuzioni delle piante in classi di diametro.

Monte Scorda. Faggeta disetanea a copertura bistratificata.

Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 2 4 6 8 10 12 14 16 18

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70

diametro (cm)

numero piante (%)

Figura 3 – Faggeta a struttura disetanea: profilo bistratificato. Vista prospettica e distribuzione delle

piante in classi di diametro.

(11)

475

ANALISI STRUTTURALE DELLE FAGGETE

Figura 4 – Faggeta disetanea a gruppi in località Prateria, Monte Crocco (Comune di San Pietro di Caridà, Reggio Calabria) (foto Antonino Nicolaci).

Figura 5 – Faggeta a struttura disetanea: profilo pluristratificato. Vista prospettica.

(12)

Il taglio a scelta consiste nell’eliminazione in media di 70-100 piante a ettaro di diametro da 35 a 50 cm che, in questo peculiare contesto pedoclima- tico, vengono raggiunti all’età di 40-60 anni. La massa asportata mediamente varia da 60-80 a 100 m

3

ha

-1

, la struttura si caratterizza per la presenza di sei gruppi di piante di differenti dimensioni ed età. Nel primo gruppo media- mente si riscontrano 16 piante con diametri da 6 a 9 cm; nel secondo 11 pian- te da 12 a 15 cm; nel terzo 10 piante da 18 a 24 cm; nel quarto 9 piante da 27 a 36 cm; nel quinto 3 piante da 39 a 45 cm e nell’ultimo gruppo 2 piante di dia- metro maggiore di 45 cm. Le differenze di età fra i singoli gruppi sono pari all’intervallo tra due utilizzazioni, che è di 8-10 anni (Tabella 4).

La graduale riduzione di densità è attribuibile a mortalità per autodira- damento nei primi tre gruppi, a interventi di diradamento, invece, nel quarto

Tabella 4 – Faggeta a struttura disetanea: profilo pluristratificato. Distribuzione dei gruppi in classi di età e parametri dendrometrici.

Età (anni) n. piante per gruppo Hm (m) Diametro (cm)

> 50 2 > 22 > 45

40-50 3 21 - 22 38-45

30-40 9 18 - 21 27-36

20-30 10 16 - 18 18-24

10-20 11 13 - 14 12-15

< 10 16 < 10 6-9

e nel quinto gruppo, nei quali vengono eseguiti per stimolare l’incremento diametrico dei soggetti che saranno eliminati poi con il taglio a scelta.

A seguito del taglio si ha l’apertura di gap (da 20 a 30 a ettaro), distribui- ti a macchia di leopardo, con superfici tra 40-60 e 100 m

2

in relazione al numero e alle dimensioni delle piante tagliate, all’interno dei quali si insedia la rinnovazione di faggio.

Tali valori hanno trovato conferma in rilievi eseguiti a distanza di cinque anni da un taglio praticato nel 2003: con l’eliminazione di singole piante la superficie dei gap è risultata di 40-50 m

2

e al proprio interno sono state rileva- te mediamente 25 piante con diametri inferiori a 3 cm e altezze massime di 2 metri. Con il taglio di due piante, invece, i gap hanno dimensioni di 95 m

2

e il numero di piantine è mediamente 45, con diametri inferiori a 3 cm e altezze massime di 2 metri.

I boschi nel loro complesso presentano densità generalmente elevate;

le piante con diametro inferiore a 17,5 cm rappresentano in media il 56%

del totale e la loro distribuzione in classi di diametro, a partire dalla pianta

di 20 cm, presenta un andamento di tipo esponenziale, tipico dei boschi

disetanei (Tabella 5, Figura 6).

(13)

Tabella 5– Faggeta a struttura disetanea: profilo pluristratificato. Parametri caratteristici del soprassuolo.

Aree di studio n. transect Soglia minima di cavallettamento > 5 cm Soglia minima di cavallettamento > 17,5 cm n. p. Ø H G/ha V/ha Grado Grado n. p. Ø H G/ha V/ha (cm) (m) (m

2

)( m

3

) insidenza copertura (cm) (m) (m

2

)( m

3

) (%) (%) Monte Scorda 2 1047 20,0 19,6 32,85 420,0 267 96 467 27,3 22,6 27,40 368,5 Monte Crocco 4 1057 22,3 16,95 41,33 443,6 242 85 461 31,4 19,17 35,65 403,0

(14)

5. C ONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

I tipi strutturali studiati sono il risultato dell’applicazione di differenti modalità di utilizzazioni delle faggete che sono state ricondotte a tagli di forte intensità nelle proprietà pubbliche (demani regionali o comunali) e al taglio a scelta nei boschi prevalentemente di proprietà privata.

Le analisi condotte nelle faggete ricadenti nelle proprietà pubbliche, hanno consentito di evidenziare come l’attuale struttura sia la risultante non dell’applicazione dei tagli successivi, bensì di tagli a raso con riserve praticati su superfici più o meno ampie. Ciò ha determinato, a seguito della successiva utilizzazione delle riserve, la formazione di faggete coetanee a profilo monoplano. Dove, invece, le riserve non sono state utilizzate si hanno strutture disetanee a profilo bistratificato.

Nelle proprietà private e, in minor misura, in taluni demani comunali, l’applicazione del taglio «a scelta» praticato con interventi puntuali, cali- brati in base alle diverse situazioni, ripetuti a brevi intervalli di tempo, determinano strutture a profilo pluristratificato che nell’insieme del bosco risultano disetanee per piccoli gruppi.

La gestione delle faggete, così come già evidenziato per altre tipologie boschive (I OVINO e M ENGUZZATO , 2004; C IANCIO et al., 2004; 2006; 2008), basata su interventi svincolati da parametri derivanti da modelli predefiniti, favorisce la disomogeneità e la diversificazione strutturale con effetti positi- vi sulla biodiversità e sulla conservazione del suolo.

Tale modalità di intervento, definita per le pinete di laricio da C IAN -

CIO et al. (2004) «taglio a scelta a piccoli gruppi», può assumere, pertanto,

Monte Crocco. Faggeta disetanea a struttura pluristratificata.

Distribuzione delle piante in classi di diametro

0 5 10 15 20 25

5 10 15 20 25 30 35 40 45 50 55 60 65 70 75 80 diametro (cm)

numero di piante (%)

Figura 6 – Faggeta a struttura disetanea: profilo pluristratificato. Distribu-

zione delle piante in classi di diametro.

(15)

479

ANALISI STRUTTURALE DELLE FAGGETE

identica definizione anche per le fustaie di faggio. Un trattamento questo che è basato sulla tradizione selvicolturale locale e in quanto tale è capace di soddisfare le tre dimensioni di base su cui poggia la gestione forestale soste- nibile: tutela dell’ambiente, rispetto delle esigenze sociali ed efficienza eco- nomica.

La sua applicazione nella fattispecie prevede un intervallo di 8-10 anni e il taglio di singole piante o di gruppi di 2-3 piante di grosse dimensioni che forniscono gli assortimenti richiesti dal mercato. A seguito del taglio di queste piante si formano numerosi gap (da 70 a 100 a ettaro) distribuiti a macchia di leopardo, con superfici tra 40-60 e 100 m

2

in relazione al nume- ro e alle dimensioni delle piante tagliate. In questi vuoti, in pochi anni, si insedia il novellame di faggio che non presenta mai densità particolarmente elevate, per cui i fenomeni di concorrenza risultano piuttosto limitati.

La massa asportata mediamente varia da 60-80 a 100 m

3

ha

-1

e corrispon- de all’incremento prodotto dal bosco nell’intervallo tra due utilizzazioni; dopo l’intervento essa non è mai inferiore a 300-350 m

3

ha

-1

, valori che C IANCIO

(1998) indica come provvigione minimale per i boschi nei quali si attui la selvi- coltura sistemica che è alla base della gestione forestale sostenibile.

La gestione delle faggete dell’Appennino meridionale è stata realizzata con utilizzazioni che poco o nulla hanno a che fare con i tagli successivi, così come previsto dalla scienza e dalla tecnica selvicolturale. Ciononostante, le condizioni stazionali particolarmente favorevoli e la straordinaria capacità del faggio di rinnovarsi naturalmente ha ugualmente portato alla formazione di popolamenti che attualmente presentano profili strutturali anche di una certa complessità per la presenza delle riserve, mai utilizzate, giustapposte a popolamenti più giovani.

Questo studio porta a una conclusione che dovrebbe fare riflettere stu- diosi e tecnici forestali: la prescrizione di tagli successivi nelle faggete meri- dionali è un errore che si tramanda dagli inizi del XX secolo sulla base di esperienze del Centroeuropa. Esperienze effettuate in condizioni ambientali assolutamente diverse e non confrontabili con quelle appenniniche.

Questa forma colturale è stata prescritta per le faggete meridionali senza alcun attributo sperimentale e in contrasto con i «saperi locali».

Ebbene, senza una adeguata sperimentazione e senza il consenso delle

popolazioni locali, che fa leva sulle tecniche colturali applicate da svariati

secoli ed esperite da generazione in generazione, non si favorisce lo svilup-

po del settore forestale. Imporre dall’alto sistemi e metodi colturali in

determinati contesti sociali induce nelle popolazioni montane un rigetto

dell’attività selvicolturale proposta dai tecnici forestali e, consapevolmente

o inconsapevolmente poco importa, produce «asfissia culturale», con tutte

le gravi conseguenze che ne derivano.

(16)

SUMMARY

Structure and treatment in some South Apennines beech forests

Shelterwood cuttings have hardly been applied in Apennines beech forests, although regularly prescribed in management plans. When applied, it happened exclusively in public forests, where classic silviculture criteria are usually followed.

However, also in those cases shelterwood cuttings have not been applied in accordance with their theoretical principles, but through the application of few, intense cuttings.

On the contrary, selective cutting has been applied in private forests. Despite literature considers this cutting type unsuitable to be applied in beech forests, selective cutting has largely been applied by private owners, with good results both in terms of profitability and functional efficiency of beech forests.

On the basis of structural analysis realized in South Apennines private and public beech forests, and their cutting types, the present paper underlines how forest management characterized by the application of selective cutting enhances unhomogeneity and structural diversification.

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