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Vittorio Manes Associato di Diritto penale Università del Salento

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Academic year: 2022

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Vittorio Manes

Associato di Diritto penale Università del Salento

Il nuovo art. 73 del d.p.r. n. 309/1990: nodi risolti e questioni ancora aperte*

Può il principio di offensività vincolare, se non il legislatore, almeno l’interprete?

1. Premessa – 2. Il monologo politico sulla droga – 3. La parificazione del trattamento tra droghe pesanti e droghe leggere e le sue ricadute ermeneutiche - 3.1. La cessione di droga inoffensiva - 3.1.1. L’epoché dalle Sezioni Unite (sentenza 29 novembre-20 dicembre 2007, n. 47472) - 3.2. Il problema della coltivazione domestica: ancora un intervento delle Sezioni Unite (sentenza 24 aprile 2008) - 3.2.1. La coltivazione come reato di pericolo presunto e il principio di offensività - 3.3. Excursus: il mutamento giurisprudenziale sfavorevole e le garanzie per l’individuo - 3.4. La circostanza attenuante del fatto di lieve entità - 3.5. Le ricadute in tema di concorso di reati nell’ipotesi di cessione (o detenzione a fini di spaccio) avente ad oggetto sostanze diverse - 4. Il confine tra illecito penale e illecito amministrativo: la valenza dei parametri indiziari

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1. Premessa

E’ francamente difficile, a solo due anni dalla riforma di un settore così complesso come quello della disciplina sanzionatoria degli stupefacenti, tentare di cogliere le tendenze di fondo del sistema, o tentare persino di condurre un bilancio costi/benefici sulle opzioni politico-criminali sottese alle nuove soluzioni normative. Vi è chi ha cercato ottenere risposta analizzando dati quantitativi, come i tassi di carcerizzazione o le cifre statistiche concernenti segnalazioni e sequestri:

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ma è problematico valutare una riforma attraverso dati numerici perché il più delle volte le statistiche – come qualcuno scriveva – sono come un lampione per un ubriaco: servono per appoggiarsi, più che per illuminare.

Ciò che è possibile, semmai, è cercare di ripercorre i tracciati giurisprudenziali rilevabili nella breve ma copiosa produzione di questi due anni per individuare, ed esaminare, i nodi risolti e le questioni ancora aperte da una riforma che ha avuto, e giornalmente ha, una incidenza fortissima sulla penalità “materiale” - e sul sistema punitivo in action - in tutta la sua escursione: dall’attività della magistratura requirente, alle decisioni degli organi giudicanti, fino, appunto, ai tassi di carcerizzazione.

Quanto faticosa sia stata l’ambientazione giurisprudenziale di una novella legislativa che prometteva, anzitutto, maggior “certezza del diritto” (e minor discrezionalità giudiziaria) lo dimostra il fatto che le Sezioni unite della Cassazione sono state chiamate ad intervenire già due volte – sulla cessione di droga inoffensiva e sulla coltivazione domestica - in un margine di tempo tutto sommato limitato; e non occorre avere capacità divinatorie, né particolare intuito, per intravedere, sullo sfondo, altri possibili contrasti giurisprudenziali.

2. Il monologo politico sulla droga

Se è vero che non è più tempo, forse, per spendere geremiadi sulle rose che si sarebbero potute cogliere, e che non sono state colte, e di attardarsi su “indicazioni di metodo”, è vero pure che – ogni qualvolta il legislatore ritorna sulla rimodulazione

1* E’ il testo della relazione tenuta all’incontro di studi sul tema “Il punto sulla disciplina delle sostanze stupefacenti e psicotrope a due anni dalla legge n. 49 del 2006”, organizzato dall’Ufficio dei referenti per la formazione dei magistrati presso la Corte di Cassazione, Roma, 20 maggio 2008.

Si veda, per alcuni dati, la Relazione per l’anno 2007 presentata dalla Direzione centrale per i servizi antidroga, ove si segnala, ad esempio, un tasso crescente di segnalazioni per violazione alle leggi sugli stupefacenti nel biennio 2006-2007, incremento che da parte di taluno è stato letto come conseguenza dell’irrigidimento del sistema sanzionatorio a seguito della riforma del 2005; inoltre, può essere interessante la consultazione dei dati emergenti nell’Analisi dei mutamenti del consumo tra le persone segnalate ai prefetti per detenzione per uso personale di sostanze stupefacenti dal 1991 al 2006, rapporto del Ministero dell’Interno, Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie – Direzione centrale per la documentazione e la statistica.

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della disciplina sanzionatoria degli stupefacenti - sorprende la rarefazione, o l’assenza, di un dibattito teorico consapevole sull’an, prima ancora che sul quomodo e sul quantum, dell’intervento penale.

Questa materia, così sospesa tra costume ed etica, dovrebbe essere campo di sperimentazione di quel “test di criminalizzazione” che - nella cornice di una visione liberale dei rapporti tra autorità ed individuo - convoca il diritto penale di fronte ai propri “limiti morali”, esigendo uno strict scrutiny certo non limitato alle condotte self-regarding;

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una materia così divisa tra politica e scienza, dovrebbe essere – allo stesso tempo - osservatorio privilegiato della “scienza penale integrata” (gesamte Strafrechtswissenshaft) caldeggiata da von Liszt nel celebre Programma di Marburgo, dove si postulava già - in termini forse pionieristici per l’epoca - la necessità che il diritto penale cercasse la propria base di conoscenza nelle scienze empiriche (antropologia, psicologia, statistica criminale) per misurare la razionalità delle proprie soluzioni, attingendo dai più diversi settori per declinare in chiave dialogica – e, per così dire, “evidence based” - le scelte politico-criminali, senza imporle in modo autoreferenziale, “performativo” o autoritario.

Sono queste, d’altronde, le precondizioni per una razionalizzazione dell’intervento penale che valorizzi il contenuto sostanziale della riserva di legge,

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e che, su quella

2 La discussione coinvolge, anzitutto, i limiti dell’intervento penale su condotte di autodanneggiamento (harm o self), specie quando queste possano essere “involontarie” (come nella ipotesi di “dipendenza”); ma i termini del dibattito si aprono – e ciclicamente si rinnovano - anche con riferimento alla pericolosità e/ dannosità per altri (harm to others) di determinate condotte aventi ad oggetto stupefacenti (specie con riferimento alle c.d. droghe leggere).

In generale, muovendo da un approccio a cavaliere tra filosofia e diritto, HUSACK, Droghe illecite:

un test dei “Limiti morali del diritto penale” di Joel Feinberg, relazione svolta presso l’Università degli studi di Parma nell’ambito del ciclo di seminari su “Laicità, valori e diritto penale”, sulla traccia, appunto, dalla celebre opera di J. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, a partire dal volume III, Harm to Self, New York-Oxford, 1986, ove peraltro si affronta solo cursoriamente il problema delle droghe (pp. 127 ss.), e solo con riferimento al consumo di dangerous drugs (sull’opera di Feinberg, si vedano ora i ricchi saggi di M. DONINI, “Danno” e

“offesa” nelle materie eticamente pregnanti e nelle politiche penali della sicurezza. A proposito di Joel Feinberg e della c.d. tutela penale dei sentimenti, relazione svolta presso l’Università degli studi di Parma nell’ambito del ciclo di seminari su “Laicità, valori e diritto penale”, spec. 26 ss. del dattiloscritto, e di G. FRANCOLINI, L’harm principle del diritto angloamericano nella concezione di Joel Feinberg, in RIDPP, 2008, 276 ss.; inoltre, in prospettiva più ampia, G. FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, tra visioni “liberali” e paternalismi giuridici, in AA.VV., Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini-C.E.Paliero, vol. I, Milano, 283 ss.; e si veda anche – con ulteriori riflessioni sulle problematiche aperte dal consumo personale di stupefacenti - S. CAGLI, Principio di autodeterminazione e consenso dell’avente diritto, Bologna, 2007, 101 ss., 118 ss.).

Da diversa prospettiva, per una recensione dei limiti del diritto penale anche con riferimento al settore in questione, muovendo dalla categoria “continentale” del bene giuridico, cfr. anche, di recente, C. ROXIN, Was darf der Staat unter Strafe stellen? Zur Legitimation von Strafdrohungen, in Studi in onore di G. Marinucci, I, cit., 715 ss., 727 ss.

3 Sulla dimensione sostanziale della “riserva di legge” – “rappresentata dal controllo democratico sul contenuto delle decisioni assunte in sede parlamentare, un controllo reso possibile dal fatto che quelle decisioni siano veramente controllabili, che ci siano criteri di controllo, e non semplici

“luoghi” o “momenti” di controllo” – si vedano le pagine fondamentali di M. DONINI, Il volto

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traccia, aspiri a prendere sul serio l’istanza di sussidiarietà (e l’idea del diritto penale come ultima o extrema ratio), ponendo le basi epistemologiche per una pur minima

“controllabilità”

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che gli studi di scienza della legislazione stanno via via sollecitando, e che le “analisi di impatto della regolamentazione” recentemente condotte in sede nazionale come già in sede europea dimostrano quanto meno plausibile.

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Così non è, o per lo meno così – fino ad ora – non è stato, almeno in materia di stupefacenti; anzitutto, ma non solo, per quanto riguarda i rapporti tra politica e scienza.

Il recente intervento è apparso fortemente condizionato da intenti declamatori, da finalità di carattere simbolico che hanno ricordato una autentica “operazione di marketing”, non priva di una sua retorica e di una sua immediata fruibilità sul piano elettorale.

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Il legislatore – con il d. l. n. 272/2005, convertito nella l. n. 49/2006 (la c.d. legge “Fini-Giovanardi”) - si è sentito libero di surrogare le incertezze della scienza, accettando il rischio di strumentalizzare la pena a fini politico-criminali, o a fini politici tout court: irrigidendo un modello proibizionista – come quello italiano

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- già piuttosto severo, con la scelta della parificazione tra droghe pesanti e droghe leggere sotto un’unica, draconiana cornice edittale (salvo recuperare in sede commisurativa ed esecutiva amplissime possibilità di diversion); cercando di assicurare l’esiguo spazio di irrilevanza penale con criteri di prova di (quantomeno) ambigua collocazione dogmatica; rinvigorendo peraltro l’arsenale delle misure amministrative con sanzioni che – volendo andare “behind the appearences”, come invita a procedere la Corte EDU

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– manifestano un contenuto “intrinsecamente

attuale dell’illecito penale, Milano, 2004, 83 s. (ma anche 316 ss., 321 ss.), ove si ribadisce con forza l’idea-guida secondo la quale “il profilo sostanziale del controllo è garantito a sua volta solo dall’impiego di strumenti di conoscenza circa il metodo scientifico (verifica degli scopi dichiarati, sapere empirico, dati statistici, informazioni sull’effettività delle incriminazioni e degli strumenti extrapenali di prevenzione e tutela, etc.) non semplicemente conosciuto, ma applicato nella costruzione delle leggi”.

4 Sul percorso verso la controllabilità (e la giustiziabilità) del principio di sussidiarietà, si veda, ancora, M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, cit., spec. 85 ss..

5 In sede comunitaria, si vedano gli studi di impatto in materia di tutela penale dell’ambiente e del lavoro extracomunitario regolare: COM (2007) 51 final SEC (2007) 161, 9.02.2007, Accompanying document to the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council on the protection of the environment through law. Impact assessment; COM (2007) 249 final SEC (2007) 603, 16.05.2007, Accompanying document to the proposal for a directive of the European Parliament and of the Council providing for sanctions against employers of illegally staying third- country nationals. Impact Assessment. Entrambi i documenti si possono leggere in www.ec.europa.eu/governance/impact/.

6 Cfr., sul punto, le accattivanti riflessioni di F. SGUBBI, Prefazione a AA.VV., La legislazione penale compulsiva, a cura di G. Insolera, Padova, 2006.

7 Il modello italiano, come si sa, riflette un “proibizionismo temperato” dalla distinzione tra consumo personale e spaccio, cui dovrebbe sottostare la differenziazione tra tossicodipendente e spacciatore; differenziazione incrinata – anche questo è noto – dalla frequente sovrapposizione tra le due figure criminologiche.

8 L’approccio “sostanzialistico” della Corte europea dei diritti dell’uomo invita a superare etichette formali per misurare direttamente il coefficiente di afflittività (e, appunto, la natura

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punitivo” (art. 75-bis),

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e con moduli inclini a pericolosi automatismi (art. 75-bis, co.

6).

Ma il dominio della politica sulla scienza è stato riaffermato in modo persino più deciso dalla maggioranza politica subentrata, che – in linea con il proprio programma

“elettorale” - ha frettolosamente modificato i limiti tabellari imposti dal predecessore:

le novazioni legislative, del resto, sono un atto di potere carico di valenza espressiva, forse ancor più dell’originaria opzione incriminatrice.

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L’unico argine è stato imposto dalla sentenza del Tar Lazio,

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passata quasi inosservata perché forse imponeva un nec plus ultra tanto inatteso quanto sgradito, specie in tempi in cui i pubblici poteri – a diversi livelli – faticano a riconoscere i propri limiti:

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ci si riferisce alla decisione che ha annullato il d.m. con il quale il Ministro della Salute (in data 4.8.2006) aveva raddoppiato il parametro moltiplicatore adottato per stabilire la dose media singola [DMS] stabilita per la cannabis, ravvisando sia una eclatante carenza di motivazione dell’atto con riferimento alle ragioni delle scelte operate, sia, soprattutto, l’assenza di approfondimenti specifici sugli effetti delle sostanze stupefacenti; e ristabilendo così un equilibrio secondo il quale l’integrazione sublegislativa compatibile con il principio di cui all’art. 25 co. 2 Cost. presuppone pur sempre una discrezionalità tecnica correttamente esercitata.

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“intrinsecamente punitiva”) della sanzione in esame (quale che sia la nomenclatura utilizzata nel contesto domestico), al fine di estendere le garanzie di cui agli artt. 6 e 7 CEDU: ex plurimis, si veda, di recente, la sentenza 4 ottobre 2007, Anghel c. Romani, in LP, 2007, 631 s.

9 Sul punto, volendo, V. MANES, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti. Frasario essenziale alla luce dei principi di offensività, proporzione e ragionevolezza, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, a cura di G. Insolera, Padova, 2006, 95 ss., 119 ss.;

C. RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga: una legge “stupefacente” in nome della sicurezza pubblica, in RIDPP, 2006, 234 ss., 246 ss.; S. CAGLI, Principio di autodeterminazione e consenso dell’avente diritto, cit., 122; nello stesso senso, ora, gli accenni di M. DONINI, “Danno” e “offesa”

nelle materie eticamente pregnanti e nelle politiche penali della sicurezza, cit., 21 del dattiloscritto.

10 Cfr., ora, M. GAMBARDELLA, L’abrogazione della norma incriminatrice, Napoli, 2008, 2 ss.

11 TAR Lazio (sez. III-quater), sent. 14-21 marzo 2007, n. 2487, in Guida dir., n. 14/2007, 93 ss., ove si afferma che “solo […] ritenendo che l’atto amministrativo che individua i limiti massimi di quantità di principio attivo di sostanza stupefacente detenibile ad uso esclusivamente personale costituisce esercizio di discrezionalità tecnica, e quindi è basato su elementi scientifici in certo senso vincolanti, potrà ritenersi conforme al principio di riserva di legge di cui all’art. 25 c. 2 Cost.

l’art. 73 comma 1-bis del DPR 309/1990. Ove al contrario si ritenesse che tale atto implichi l’esercizio di un potere “politico” altamente discrezionale, la norma penale che conferisse all’amministrazione tale potere sarebbe incostituzionale, in quanto sottrarrebbe al Parlamento quel potere “politico” di individuare precise fattispecie di reato e relative sanzioni previsto dalla Costituzione, a vantaggio di una scelta della stessa natura rimessa a singoli soggetti certamente politici, ma deputati istituzionalmente ad indirizzare l’attività amministrativa nell’ambito del potere esecutivo. Una tale discrezionalità tecnica risulta nella specie malamente esercitata”.

12 La polemica più recente – come noto - ha riguardato le ordinanze dei sindaci, e i loro riflessi sulla potestà sanzionatoria penale: si veda, al riguardo, C. RUGA RIVA, Il lavavetri, la donna col burqa e il sindaco. Prove atecniche di “diritto penale municipale”, in RIDPP, 2008, 133 ss.

13 Al di là dell’importanza dell’idea-guida che ha mosso la decisione del TAR Lazio, è chiaro, peraltro, che l’inquadramento e la problematizzazione dei limiti tabellari al cospetto dell’art. 25 co.

2 Cost. dipende anche dal ruolo e/o dalla natura “dogmatica” che agli stessi si assegna, e può essere sdrammatizzato se si finisce con il riconoscergli – come vuole la giurisprudenza finora unanime -

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3. La parificazione del trattamento tra droghe pesanti e droghe leggere e le sue ricadute

Questo lo sfondo dei rapporti tra il legislatore e la propria coscienza; ora occorre esaminarne le ricadute non sul piano della razionalità politico-criminale (dove sono stati già segnalati profili di irragionevolezza alla luce di tertia comparationis ricavabili sia dalla normativa domestica sia da quella comunitaria

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), ma sul piano applicativo (e dello stesso inquadramento dogmatico), sul quale ha inciso, anzitutto, la scelta della parificazione del trattamento tra le diverse droghe, e la “giostra” delle oggettività giuridiche che tale scelta ha germinato, con peculiare riferimento alla norma cardine dell’assetto sanzionatorio penale, e cioè l’art. 73 d.p.r. n. 309/1990.

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natura di meri indici probatori (e non di elementi costitutivi del tipo: sul punto, cfr. infra, § 4): sul punto, si vedano ad es. i rilievi di C. RUGA RIVA, Droga: il superamento dei limiti tabellari non costituisce prova della finalità di spaccio, e neppure integra di per sé un grave indizio di colpevolezza (nota a Trib. Trieste, ord. 28 dicembre 2006), in CMer n. 10/2007, 1176 ss., 1178.

14 Sul punto, C. RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga, cit., 258 ss.; ID., Il ruolo della decisione quadro nell’interpretazione del diritto interno e nel giudizio di legittimità costituzionale: l’esempio della legislazione antidroga, in F.SGUBBI-V.MANES, L’interpretazione conforme al diritto comunitario in materia penale, Bologna, 2007, 125 ss.; V. MANES, La riforma della disciplina sanzionatoria in materia di stupefacenti. Frasario essenziale alla luce dei principi di offensività, proporzione e ragionevolezza, in AA.VV., La legislazione penale compulsiva, a cura di G. Insolera, Padova, 2006, 95 ss., 106 ss.; sinteticamente, cfr. anche M. DONINI, “Danno” e “offesa” nelle materie eticamente pregnanti e nelle politiche penali della sicurezza, 26 del dattiloscritto, secondo il quale “[l]’attuale politica penale italiana in materia di stupefacenti, che equipara droghe leggere e droghe pesanti in cornici edittali altissime (…), non è razionale e pare destinata a sicuri cambiamenti (…)”.

Solo per inciso, i dubbi sono stati rigettati, pur in maniera fugace, da Cass., sez. IV, 21 maggio-5 giugno 2008, n. 22643, rilevando come l’“assimilazione è frutto di una scelta discrezionale del legislatore basata sull’adesione ad una determinata opinione scientifica, cui ovviamente può opporsi, in modo legittimo, l’opinione basata sulla non assimilabilità delle sostanze sotto il profilo della gravità degli effetti che queste sono in grado di determinare”.

15 Per un primo inquadramento dell’art. 73 nel contesto della riforma, cfr. i commenti, in calce alla l.

21 febbraio 2006, n. 49, a cura di GIUS. AMATO, in Guida dir., n. 12/2006, 69 ss. e di A. MANNA, La nuova disciplina in tema di stupefacenti ed i principi costituzionali in materia penale, in DPenPr, 2006, 823 ss.; inoltre, GIUS. AMATO, Stupefacenti. Teoria e pratica, Roma, 2006, 51 ss.;

C. RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga, cit., 234 ss.; C. A. ZAINA, La nuova disciplina penale delle sostanze stupefacenti, Rimini, 2006, 19 ss.; S. ZANCANI, La riforma dei delitti di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, in AA.VV., Commento pratico sistematico alle modifiche al testo unico sugli stupefacenti, a cura di S. Riondato, Padova, 2006, 17 ss.; da ultimo, cfr. S. GRILLO, sub Art. 73 d.p.r. n. 309/1990, in F. PALAZZO-C.E. PALIERO (a cura di), Commentario breve alle leggi penali speciali, Padova, 2007, 2742 ss.; inoltre, volendo, V. MANES, Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze, in G. INSOLERA (a cura di), La disciplina penale degli stupefacenti, Milano, 2008, 13 ss., cui si rimanda anche per ulteriori approfondimenti.

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Una simile scelta – che, come accennato, avrebbe dovuto radicarsi su un rigoroso confronto con le valutazioni empiriche ricavabili dagli studi di settore

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- non sembra confortata da acquisizioni indiscusse della letteratura scientifica, in seno alla quale – se appare ancora incerta la valutazione sulla dannosità o pericolosità delle c.d. droghe leggere (o di condotte aventi ad oggetto modiche quantità), soprattutto rispetto ad analoghe forme di consumo (o di abuso) aventi ad oggetto sostanze come alcol o tabacco – l’unico punto di convergenza sembra limitarsi a segnalare l’esigenza di mantenere, in linea di principio, una distinzione tra le due categorie.

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16 Si noti che la stessa Corte costituzionale, in una materia non distante da quella qui trattata - la distinzione, operata dagli art. 94 e 95 c.p., tra ubriachezza abituale e cronica intossicazione - ha sottolineato che, nella materia penale, il riscontro di costituzionalità concernente i riferimenti scientifici e la rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso definire “deve essere compiuto con particolare rigore, per le conseguenze che ne discendono sia per la libertà dei singoli che per la tutela della collettività” (C. cost., sent. 114/1998). Sui rapporti tra scienza e diritto penale, da ultimo, cfr. le riflessioni di D. PULITANÒ, Il diritto penale tra vincoli di realtà e sapere scientifico, in RIDPP, 2006, 795 ss., segnalando anche (nt. 34) come proprio in un tale orizzonte di controversie scientifiche e di ‘valore’ si pongano “delicati problemi – anche di legittimità costituzionale – relativi alla disciplina delle sostanze stupefacenti”.

17 In sede scientifica, in particolare, pur non mancando studi che segnalano la crescente pericolosità della cannabis (di recente, cfr., ad es., PATZAK-MARCUS-GOLDHAUSEN, Cannabis – wirklich eine harmlose Droge?, in NStZ, 2006, 259 ss.; e soprattutto lo studio divulgato con mediatico sul quotidiano inglese Independent del 18 marzo 2007 - di NUTT-KING-SAULSBURY-BLAKEMORE, Development of a rationale scale to assess the harm of drugs of potential misure, Lancet, 2007, [369], 1047 ss.), residua una perdurante incertezza, e vengono sovente messi in dubbio i postulati teorici alla luce dei quali risulterebbe giustificata la parificazione di trattamento tra droghe pesanti e droghe leggere: in particolare, la tesi delle c.d. “droghe di passaggio” e – appunto - la tesi dei cannabinoidi come “nuove droghe pesanti”, argomento centrale nell’economia delle più recenti revisioni legislative, non solo nel contesto italiano.

Quanto alla prima, è oggetto di frequente polemica l’assunto in base al quale i consumatori di cannabinoidi sarebbero “naturalmente” destinati alla tossicodipendenza da droghe pesanti, poiché risultano ancora indimostrate relazioni causali di tipo farmacologico, chimico, neurofisiologico o psicologico che avallino un tale automatismo.

Quanto alla seconda, si afferma che il principio attivo (THC) contenuto nei derivati della cannabis attualmente in circolazione sarebbe sensibilmente aumentato: la stessa relazione di accompagnamento al progetto di legge governativo italiano, giustificando la scelta della parificazione legislativa alla luce dell’esigenza di aderire alle “più recenti ed accreditate conclusioni della scienza tossicologica” secondo cui il principio attivo presente in alcune sostanze stupefacenti è

“incomparabilmente” maggiore che in passato, segnalava, appunto con riguardo alla cannabis, amenti vertiginosi (dallo 0,5/1,5 % che caratterizzava i derivati dela cannabis negli anni ‘70/’80 a valori attuali pari al 20/25 %, con punte anche superiori); tali aumenti – si è rilevato da più parti - sarebbero emblematizzati dalla c.d. skunk, una varietà di cannabis creata sin dalla fine degli anni

’80 ibridando alcune varietà già al tempo esistenti (cannabis sativa e cannabis indica), con fortissimo potenziamento del principio attivo.

Tuttavia, questi dati non sembrano confortati dalle rilevazioni statistiche, che mediamente registrano un incremento minore di THC (con valori medi, quanto al contesto italiano, del 5-6%, e solo in taluni casi dell’8-9 % o più, come ad es. capita spesso di verificare sulla piazza di Milano;

anche le rilevazioni riportate, relativamente al contesto tedesco, da PATZAK-MARCUS- GOLDHAUSEN, Cannabis, cit., che pur dimostrano trend costantemente crescenti, segnalano per il

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Trascurando questa esigenza, il livellamento operato dal legislatore italiano, finisce invece col tramandare un messaggio - almeno in parte fuorviante - di medesima pericolosità di tutte le sostanze droganti; messaggio peraltro smentito dagli stessi criteri adottati dal legislatore, posto che anche gli esperti ministeriali successivamente chiamati a comporre le tabelle in cui sono stati stabiliti i limiti di “quantità massima detenibile” (Qmd) hanno opportunamente applicato alla “dose media singola” (intesa come “la quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo”) un

“moltiplicatore variabile”

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molto più alto nei confronti delle (ex) “droghe leggere”

2004 valori medi dell’8 % per la marijuana, e del 9 % con riferimento all’hashish), e, soprattutto, tanto variabile (a seconda della località di provenienza, del metodo di lavorazione, etc.) e discontinuo da sfuggire a regole precise (non a caso, un articolo pubblicato su The Guardian il 17 settembre 2007 segnalava i risultati di due autorevoli studi scientifici inglesi secondo i quali – se da un lato il contenuto medio di THC presente nella cannabis in circolazione nel 2005 raggiungerebbe livelli doppi rispetto al 1995, attestandosi a circa il 14% - solo il 4% della skunk raggiungerebbe un livello di THC superiore al 20%, così smentendo l’allarmismo destato dalla diffusione della c.d.

“super-strenght skunk”, e, confermando al tempo stesso che la cannabis “tradizionale”, ancora prevalente sul mercato, conterrebbe livelli di THC attestati sul 3-4 %).

Anche di recente, del resto, di fronte alla richiesta del Segretario di Stato britannico di spostare nuovamente la cannabis in classe B, cioè tra le sostanze a rischio intermedio quali le anfetamine e i barbiturici, l’organo di consulenza scientifica del governo, ossia l’Advisory Council on the Misuse of Drugs (ACMD), ha replicato in senso negativo, affermando che “La cannabis è una sostanza a basso rischio per la salute, come i comuni antidolorifici e le benzodiazepine”, a conclusione di uno studio sulla base del quale – dopo aver esaminato accuratamente tutte le evidenze epidemiologiche disponibili - si è ritenuto che non vi sia alcun rapporto di causa effetto tra l’uso della cannabis e i disturbi psicotici, invitando il governo a lasciare inalterata l’attuale classificazione che ricomprende la cannabis in classe C (cfr., in particolare, la recommendation 3 del report dal titolo “Cannabis.

Classification and public health”, aprile 2008), ma al contempo ad aggiornare costantemente e ad approfondire le relative ricerche, anche in relazione alle “more potent forms” (recommendation 2, 14 e 16).

In definitiva, di fronte alla perdurante instabilità delle diverse opinioni scientifiche, da più parti si sottolinea, comunque, come risulti davvero difficile giustificare un generalizzato trattamento parificato tra droghe “pesanti” e droghe “leggere”, e, in relazione a queste ultime, affermare la razionalità di una così radicale diversità di risposta a fenomeni come l’uso (o l’abuso) di “droghe legali” come alcol o tabacco, in relazione ai quali gli stessi studi segnalano con vigore potenzialità ancor più nocive di quelle riconosciute ai (vecchi e nuovi) cannabinoidi, oltre che a droghe tradizionalmente qualificate come “pesanti” (ad es., lo studio di NUTT-KING-SAULSBURY- BLAKEMORE, Development of a rationale scale to assess the harm of drugs of potential misure, cit., suggerisce un nuovo sistema di classificazione dove la cannabis viene considerata più nociva di LSD ed ecstasy, ma dove alcol e tabacco sono riconosciuti significativamente più nocivi delle tre droghe illegali citate; in particolare, nel nuovo drug ranking system proposto l’eroina e la cocaina continuano ad occupare, rispettivamente, il 1° e il 2° posto, l’alcol compare al 5°, il tabacco al 9°, la cannabis all’11°, l’LSD al 14° e l’ecstasy al 18°; tanto che, nelle conclusioni, si afferma che “the fact that the most widely used legal drugs lie in the upper half of the ranking of harm is surely important information that should be taken into account in public debite on illegal drug use.

Discussion based on a formal assessment of harm rather than on prejudice and assumptions might help society to engage in a more rationale debate about the relative risks and harms of drugs”).

18 Il moltiplicatore variabile, peraltro, non è apparso criterio particolarmente felice, perché non vorrebbe richiamare soglie parametrate sul consumo “giornaliero” (ovvero, in ipotesi,

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(20, per la cannabis), rispetto a quello utilizzato per altre sostanze ritenute più pericolose (come l’eroina, per la quale è stato utilizzato un moltiplicatore pari a 10; o come cocaina, extasy, ed anfetamine, per le quali si è utilizzato un moltiplicatore pari a 5; ovvero come l’LSD, moltiplicatore 3).

Comunque sia, la classificazione adottata sembra strumentale ad una nuova ricognizione - e ad una nuova gerarchizzazione - degli interessi tutelati.

Come si sa, lo sfondo dell’intervento penale in questa materia è quello di una assunzione pubblicistica della tutela, che di fronte a condotte ad offensività indeterminata appare razionale dal punto di vista politico-criminale, e che appare l’unica plausibile al cospetto di un compasso edittale tanto violento quale quello del’art. 73: tuttavia, le fattispecie appaiono ora vistosamente attratte in un’orbita plurioffensiva, dove il bene giuridico della “salute pubblica”

19

– cui l’art. 32 Cost.

può garantire un preciso spazio di legittimazione – risulta quantomeno secondario, o persino recessivo

20

rispetto ad altre più immediate oggettività o (mere) rationes di tutela.

21

Infatti, se è plausibile continuare a ritenere – almeno nella più parte dei casi - che le condotte concernenti le (ex) “droghe leggere” possano visualizzare solo un pericolo limitato per la “salute”, la loro equiparazione, sul piano del disvalore, alle condotte concernenti (ex) “droghe pesanti” – indubbiamente capaci di configurare ben altra esposizione a pericolo del medesimo “bene” – rilancia la valorizzazione di interessi diversi: tra questi, emerge con nettezza l’“ordine pubblico”, che nelle sue indefinite potenzialità di realizzazione – e nelle sue persistenti ambiguità – ha registrato una maturazione ormai consolidata nella sua forma superlativa, la

“sicurezza pubblica”

22

(un concetto che deve la sua fortuna anche al forte ascendente

“settimanale”), bensì la soglia di accumulo tollerato perché (ancora ritenuta) compatibile con un uso personale: cfr., sul punto, FROLDI, Commento all’art. 4 quinquies, d.l. 30.12.2005 N. 272, in LP, 2007, 365 ss., 368, rilevando come con il “moltiplicatore variabile” “si è preferito azzerare la validità di un dato rigoroso (dose media singola efficace) moltiplicandolo per un fattore che non mostra evidenza scientifica specialmente se si guarda nell’ottica dell’uso esclusivamente personale”.

19 Per un recente approfondimento, cfr. M. DONINI, Modelli di illecito penale minore. Un contributo ala riforma dei reati di pericolo contro la salute pubblica, in M. DONINI-D. CASTRONUOVO, La riforma dei reati contro la salute pubblica, Padova, 2007, 201 ss., 207 ss., peraltro ribadendo – sulla scia della lezione di Carrara – l’autonomia (e quindi l’indisponibilità) di un tale oggetto di tutela rispetto a quelli “atomizzati” nelle singole posizioni individuali.

20 D’altronde, come rileva M. VERGA, Gli “effetti collaterali” del proibizionismo, cit., 2789, “è facile constatare che, oggi come allora, la distinzione tra sostanze “buone” o “cattive” non avviene in base alla loro reale pericolosità, ma a partire dal grado di accettazione sociale di quest’ultima. Se così non fosse, non potremmo spiegarci altrimenti perché la nostra cultura ammette e talvolta promuove le bevande alcoliche, mentre vieta l’uso di altre sostanze, come ad esempio la cannabis, la cui pericolosità non è certo superiore”.

21 Sui rischi di un livellamento che accetti di accogliere “una co-tutela “paritaria” di interessi vicini, o magari anche tra di loro radicalmente eterogenei”, ovvero di riconoscere “la presenza di oggetti

“primari” e oggetti “secondari”, senza selezionare quello preponderante, si vedano - in un settore che presenta diversi tratti di analogia con quello oggetto di analisi, ed in particolare la accentuata vocazione a sovrapporre e confondere la tutela della salute con istanze di tutela fortemente eticizzate – le osservazioni di S. BONINI, Doping e diritto penale, cit., 156 ss.

22 Sul punto, in chiave critica, cfr. C. RUGA RIVA, La nuova legge sulla droga, cit., 246 ss.

(10)

mass-mediatico);

23

ma non sembrano trascurate – in via di progressiva astrazione - persino istanze di tutela maggiormente eticizzate, come la “tranquillità” e la “quiete pubblica”, la “serenità delle famiglie” o persino l’“educazione (e/o il normale sviluppo) delle giovani generazioni”, tutte peraltro apertamente confessate in sede politica, e già assunte a punto di fuga della protezione penale in consolidati ed autorevoli orientamenti giurisprudenziali.

24

Ognuno vede quanto una siffatta ricostruzione dell’oggetto di tutela – che sembra coerente e pressoché obbligata al cospetto dell’attuale normativa – rischi di depistare le possibili prestazioni del principio di offensività, ed aggiri, di fatto, lo sforzo di rintracciare un plausibile fondamento costituzionale a base giustificativa dell’opzione penale, proiettando nel fuoco dell’offesa interessi incapaci di significative prestazioni selettive;

25

interessi la cui collocazione ermeneutica nello spettro dell’offesa dovrebbe

23 Al riguardo, cfr. le recenti riflessioni di C.E. PALIERO, La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in RIDPP, 2006, 467 ss., 521 s., nel contesto di una più generale, penetrante analisi.

24 Cfr. Corte cost., n. 333/1991, sulle cui ambiguità si è insinuata l’argomentazione di Cass., Sez.

Un., 24 giugno-21 settembre 1998, n. 9973, Kremi, in Foro it., 1998, II, 760 ss., con note di GIUS. AMATO e G. RICCARDI; per una sintesi sui vari orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in ordine al bene giuridico tutelato dall’art. 73 TUSTUP, cfr. ora S. GRILLO, sub Art. 73 d.p.r. n. 309/1990, cit., 2754 ss..

25 In sintesi, “ordine pubblico” e “salute pubblica” sono gli oggetti di tutela prescelti da chi ricostruisce in chiave seriale le condotte di “spaccio” aventi ad oggetto qualsiasi sostanza (cfr., ad es., M. RONCO, Il controllo penale delle droghe alla luce del principio di offensività, in Legisl.

pen., 2007, 475 ss., 476), al prezzo tuttavia di omologare diversi quadri di pericolosità livellandoli su contrappunti di offesa, per così dire, difficilmente “falsificabili” (sollecita una distinzione “in relazione a tutti i possibili ambiti di tutela coinvolti nella (…) materia: la salute individuale, la salute pubblica, l’ordine pubblico”, infatti, D. PETRINI, Per una disciplina giuridica degli stupefacenti che sostenga il disagio senza criminalizzarlo, ivi, 479 ss., 482.).

Il tema meriterebbe ben più ampia trattazione: ma anche la individuazione, al fianco della salute individuale e pubblica, di oggettività giuridiche che assumono l’impiego di droga (anche) come fatto pericoloso per l’autodeterminazione degli intossicati e la sicurezza dei terzi, quali ad es. la

“sicurezza dei trasporti” nella circolazione stradale e dei “rapporti sociali e lavorativi in generale”

(in relazione ad attività lavorative compiute sotto l’effetto di sostanze stupefacenti), pur avendo il pregio – rispetto ad interessi maggiormente spiritualizzati - di tenere ancorati i quadri di disvalore all’effettiva tossicità delle sostanze, accetta forse il rischio di contaminare la ricostruzione dello specifico lesivo della condotta (ad esempio, di “spaccio”), con valutazioni prognostiche (e/o statistiche) di taglio criminologico, che peraltro potrebbero essere replicate, forse persino con maggior vigore, in altri settori (come il consumo di alcol) dove lo “Stato penale” (o “disciplinare”

tout court) è purtuttavia assente. A chi autorevolmente sostiene una simile posizione (DONINI,

“Danno” e “offesa” nelle materie eticamente pregnanti e nelle politiche penali della sicurezza, relazione presentata al seminario organizzato presso l’Università di Parma, 14 gennaio 2008, sul tema “Laicità, valori e diritto penale”, p. 27 del dattiloscritto) potrebbe forse replicarsi evidenziando la necessità che a tali oggetti di tutela sia – almeno - data la opportuna evidenza nella descrizione del tipo legale, ad es., mediante elementi di fattispecie (o quanto meno condizioni obiettive di punibilità “offensivizzanti”) capaci di individuare un (maggior) disvalore in condotte caratterizzare da specifiche direzionalità lesive (la cessione di droga che, per le caratteristiche soggettive del cessionario, o del contesto in cui la condotta è realizzata - ad es. una discoteca - lascia presupporre l’uso dell’autoveicolo).

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essere attentamente sorvegliata,

26

tante sono le conseguenze che possono derivare dalla ricostruzione in chiave di plurioffensività.

27

Di qui la domanda di fondo, alla luce della quale possono essere affrontate (e valutate) diverse questioni, e tra queste anche quelle di cui finora si è discusso davanti alle sezioni Unite della Cassazione: può il principio di offensività vincolare – se non il legislatore – quantomeno l’interprete?

3.1. La cessione di droga inoffensiva

Per una severa critica sull’impiego di beni giuridici “di inafferrabile astrattezza”, quali “pace pubblica” (“öffentliche Friede”) o “salute pubblica” (“Volksgesundheit”) – quest’ultima spesso richiamata dalla giurisprudenza e dal legislatore tedeschi proprio per legittimare la penalizzazione delle più diverse condotte aventi ad oggetto droghe -, si veda, di recente, C. ROXIN, Was darf der Staat unter Strafe stellen?, cit., 731 ss.; più in generale, con riferimento ai beni giuridici “vaghi” e allo schema della plurioffensività, come precipue tecniche di aggiramento del principio di offensività, cfr., volendo, V. MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino, 2005, 74 ss., 79 ss., 84 ss.

26 Sul punto, anche di recente, è stata richiamata l’attenzione sull’esigenza di una corretta definizione dell’oggetto protetto e della sua titolarità, considerata la “rilevanza determinate, tra i diversi beni aggrediti, di quello che rappresenta ed esprime l’essenza (…) del contenuto offensivo di una data fattispecie”: C. FIORE-S. FIORE, Diritto penale. Parte generale, I, 2ª ed., Torino 2004, 184.

27 In linea generale, si pensi, da un lato, alla possibilità di riconoscere l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p. (e un discorso analogo vale anche per l’aggravante di cui all’art. 61 n. 7 c.p.) e alla necessità di individuare le manifestazioni riparatorie dell’interesse assunto (o, appunto, degli interessi assunti) a contrappunto dell’offesa [attenuante ammessa – in prospettiva simmetrica e contraria a quella che viene in rilievo in materia di stupefacenti - in materia di reati contro la fede pubblica, quanto meno con riferimento alla falsità in scrittura privata, dove la tesi della plurioffensività ha guadagnato progressivo consenso facendo emergere, al fianco dell’interesse pubblico, l’interesse del privato: ex plurimis, Cass., 2 giugno 1999, Poce, Foro it., Rep., voce Falsità in atti, n. 44; ma cfr. anche Cass. pen., Sez. Un., 29 ottobre 1984, n. 145 (dep. 7.01.1984), in Cass. pen., 1984, 846; peraltro, in materia di stupefacenti si è sino ad ora esclusa la configurabilità dell’attenuante in esame in ragione del rapporto di specialità favorevole all’attenuante del “fatto di lieve entità”, ex art. 73 co. 5° d.p.r. n. 309/1990: così, ad es., Cass. pen., sez. IV, 27 aprile 1999, n.

12323 (dep. 30.10.1999), in Cass. pen., 2000, 3452 ]; ovvero alla configurabilità dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 5 c.p. (concorso del fatto doloso della persona offesa), che secondo un indirizzo giurisprudenziale formatosi proprio in relazione al delitto di “spaccio” andrebbe negata in ragione del fatto che la parte offesa del suddetto reato non sarebbe l’acquirente delle sostanze, ma la collettività sociale [così Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 1990, n. 12576 (dep. 20.09.1990) in Cass.

pen., 1992, 301], mentre in materia di favoreggiamento della prostituzione ha condotto a posizioni divergenti (cfr., al riguardo, E. PALERMO FABRIS, sub Art. 62, in A.CRESPI-F.STELLA-G.ZUCCALÀ, Commentario breve al codice penale, Padova, 2004, 301 ss.), data la difficoltà di individuare il profilo della tutela (sul punto, tuttavia, Cass., sez. III, 2 settembre 2004, n. 35776, secondo la quale il bene tutelato dalla l. n. 75/1958 deve individuarsi nella libertà di determinazione della donna nel compimento di atti sessuali; sulla stessa linea, sia pur in prospettiva di plurioffensività, Cass., sez.

III, 21 gennaio 2005, n. 1716, secondo la quale “oggetto concorrente della norma è anche quello di tutelare la libertà e la dignità delle persone che si prostituiscono di fronte alle insidie di terzi”).

(12)

La risposta a questa domanda è carica di effetti, anzitutto, con riferimento ad una questione divenuta ormai topica (se non “di scuola”) per la teorica del principio di necessaria offensività, ossia quella della cessione di un quantitativo di sostanza concretamente privo di efficacia drogante.

Di fatto, si è temuto – e tuttora si teme - che la costellazione di oggettività giuridiche proliferate all’ombra della parificazione - operando in direzione simmetrica e contraria rispetto a quella che ha consentito alla tesi della plurioffensività di maturare prestazioni significative ad esempio sul terreno dei delitti di falso

28

- potesse persino condurre a pietrificare l’orientamento giurisprudenziale che, assumendo ad oggetto di tutela il bene salute ed argomentando appunto alla luce del principio di offensività, ha ritenuto l’irrilevanza penale – spesso con la formula

“perché il fatto non sussiste” – di cessioni di sostanza in astratto “stupefacente”, ma in concreto priva di efficacia drogante.

29

Per non precludere ogni spazio a tale argomentazione sarà utile ricordare che il nuovo sistema di “soglie”, reintrodotto – come si vedrà - come criterio (quantomeno indiziario) per distinguere le condotte di “spaccio” (art. 73) dalle condotte finalizzate ad uso esclusivamente personale (artt. 75), ruota comunque attorno alla percentuale di principio attivo contenuto nella sostanza,

30

sollecitando comunque una valorizzazione della concreta capacità psicotropa della singola droga ricompresa nelle tabelle, e dunque una considerazione della sua potenzialità nociva per la “salute”. Senza contare che, a fronte di ipotesi simili, sarebbe difficile sostenere un pur potenziale perturbamento nei confronti di qualsiasi oggettività giuridica che non sia il semplice simulacro del “divieto in sé”: e sul punto – ancora una volta – l’esperienza

Dall’altro, all’individuazione dei soggetti legittimati a proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, ex art. 410. 1° co., c.p.p. (tale legittimazione è stata di recente riconosciuta anche al privato “danneggiato” da un reato di falso, appunto alla luce di una ricostruzione plurioffensiva che ha affiancato al “bene” della “fede pubblica”, inteso come “fiducia nella genuinità materiale e nella veridicità di determinati documenti”, anche “gli specifici interessi concreti delle persone che subiscono un pregiudizio dalla falsificazione del documento”: Cass., Sez. Un., 25 ottobre-18 dicembre 2007, n. 46982, in Foro it., 2008, II, 203 ss., con nota di I. GIACONA, Delitti di falso documentale: il problema dell’individuazione della vittima; e in Guida dir., n. 5/2008, 65 ss., con nota di A. NATALINI, Si assottiglia la differenza tra persona offesa e danneggiato).

28 Sul tema del falso inoffensivo, si veda, ampiamente, I. GIACONA, La problematica dell’offesa nei delitti di falso documentale, Torino, 2007, 37 s., cui si rinvia anche per i necessari riferimenti giurisprudenziali.

29 Orientamento apprezzabile pur se recessivo: cfr. - dopo la contraria decisione di Cass., Sez. Un., 24 giugno-21 settembre 1998, n. 9973, cit. - ad es. Cass., sez. IV, 12 gennaio-20 marzo 2000, n.

3584, Proc. gen. App. Catanzaro in proc. Fucile e Trib. Milano 21 gennaio 1999, Ben Amara.

30 Cfr., ora, il d.m. Min. Salute 11.4.2006, recante “Indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze elencate nella tabella I del Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, come modificato dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, ai sensi dell’art. 73, comma 1° bis” (in Guida dir., n. 19/2006, 16 ss.).

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giurisprudenziale sul falso documentale inoffensivo dovrebbe risultare decisiva per depurare la mineralogia delle fattispecie da incrostazioni formalistiche.

3.1.1. La questione decisa dalle Sezioni Unite (sentenza 29 novembre-20 dicembre 2007, n. 47472)

In effetti, come si accennava, la questione della sanzionabilità di condotte di cessione di stupefacenti che abbiano ad oggetto un quantitativo di sostanza che presenti un principio attivo inferiore alla c.d. soglia drogante si è già presentata davanti alla Cassazione, ed è stata portata all’attenzione delle Sezioni Unite;

31

ed una delle argomentazioni articolate nell’ordinanza di rimessione contro la tesi dell’irrilevanza della concreta capacità psicotropa ai fini della configurabilità del reato, si è incentrata proprio sul ruolo che, expressis verbis, il legislatore riconosce, seppur nei limiti di cui si dirà, al (superamento del) principio attivo contenuto nella sostanza stupefacente

32

.

Una tale impostazione è rimasta “sotto traccia” nelle argomentazioni con le quali il massimo collegio ha risposto all’ordinanza di rimessione, anche se sembra affiorare nel complessivo iter argomentativo: da un lato, infatti, la Corte ha ritenuto non necessario affrontare e risolvere la questione giuridica proposta, escludendo, nel caso di specie, che il quantitativo della sostanza oggetto della condotta di cessione (contenente 33 mg. di eroina) non producesse un apprezzabile effetto stupefacente;

31 Ci si riferisce all’ordinanza del 29 marzo-18 luglio 2007 n. 28661, con la quale la sesta sezione penale ha rimesso alle SS.UU. la questione relativa all’irrilevanza, ai fini dell’esclusione del reato di cessione ex art. 73, co. 1, del mancato raggiungimento della c.d. “soglia drogante” del quantitativo di droga ceduto.

32 “Ad avviso del collegio, gli interventi normativi nel frattempo intervenuti e, in particolare, l’introduzione del d.p.r. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1-bis, che conferisce un rilievo specifico, ai fini del presuntivo superamento della destinazione della droga ad esclusivo uso personale, alla quantità dello stupefacente e, soprattutto, l’approfondimento dei principi già affermati dalla Corte costituzionale in tema di offensività riguardo alla coltivazione della droga (sent. n. 360 del 1995), inducono a dubitare della condivisibilità del citato indirizzo delle Sezioni Unite.

Se, infatti – come puntualizzato dal Giudice delle leggi (che, del resto, aveva già espresso analoghe affermazioni nelle sentenze nn. 333 del 1991 e 62 del 1986) – è innegabile che l’assoluta inidoneità dell’offensività specifica della singola condotta , in concreto accertata, a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato, fa venir meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta, in quanto l’indispensabile connotazione di offensività in generale di quest’ultima implica di riflesso la necessità che anche in concreto la offensività sia ravvisabile almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente (in difetto di ciò venendo la fattispecie a rifluire nella figura del reato impossibile), non si vede come nel caso – quale quello di specie – in cui oggetto di cessione sia un definito e isolato quantitativo di droga recante principio attivo in misura talmente esigua da essere sicuramente insufficiente, ove assunto, a determinare un apprezzabile stato stupefacente, possa riconoscersi sussistente la detta offensività concreta e considerare, quindi, penalmente rilevante la condotta dell’agente” (Cass. 29 marzo-18 luglio 2007, n. 28661, cit.).

(14)

dall’altro ha puntellato questa argomentazione sul dato più affidabile

33

utilizzato nella ridefinizione delle tabelle – la “dose media singola” efficace – per stabilire la quantità massima di sostanza compatibile con un “uso esclusivamente personale”, in particolare ritenendo che il superamento dei limiti fissati nel D.M. 11 aprile 2006 per tale “dose media singola” (25 mg., in particolare, per l’eroina) deponga univocamente per la concreta capacità drogante della sostanza ceduta.

34

Quando la questione si riproporrà, le Sezioni Unite si troveranno a dover scegliere se considerare il principio di offensività come canone interpretativo vincolante non solo “dal basso” – come vuole un orientamento consolidato della Corte costituzionale

35

– ma anche “verso l’alto”, sollecitando una corretta fisionomizzazione (costituzionale) dell’oggetto di tutela che assuma la “salute pubblica” a punto di riferimento (“bene” da cui muovere per parametrare il grado di offensività della condotta “concreta”); oppure se cedere a ricostruzioni che – sulla scia dello schema della plurioffensività – avallino una versione debole (se non una

“tecnica di aggiramento”) del principio stesso, affievolendo ulteriormente le (già esigue) prestazioni “sostanzialistiche” della tematizzazione costituzionalmente orientata dell’illecito penale.

33 Cfr. retro, n. 17.

34 Cfr. Cass., Sez. Un., 29 novembre-20 dicembre 2007, n. 47472, Di Rocco, ove le Sezioni Unite hanno rigettato il ricorso appunto osservando che, nel caso di specie – concernente la cessione di una dose di eroina (0,3 g.) con principio attivo al 13,3 % pari a 33 mg. - la questione sottoposta risultava priva di rilevanza, poiché “l’accertamento che la quantità di eroina spacciata…supera la

“soglia drogante” e cioè ha effetto stupefacente anche su persona costantemente dedita al consumo di eroina, consente di affermare la responsabilità penale del ricorrente senza fare riferimento al principio della irrilevanza del mancato superamento della soglia drogante, richiamato dalla sentenza impugnata”; e ritenendo dunque (giustamente) irrilevante la circostanza che il quantitativo, benché superiore alla “dose media singola”, fosse inferiore a quella che può ritenersi essere mediamente la

“dose media giornaliera”, come evidenziato nelle analisi tossicologiche.

Alla luce della soluzione adottata, resta dunque aperta – come si vede – la questione del trattamento penale di condotte aventi ad oggetto sostanza contente un principio attivo inferiore alle soglie stabilite per la dose media singola: stando alle argomentazioni della Corte, se il parametro assunto resta quello utilizzato appunto dalle tabelle ministeriali (e cioè l’assuntore mediamente tollerante e dipendente), dovrebbe desumersene la incapacità psicotropa; se invece dovesse optarsi per un accertamento “in concreto”, parametrato sulle caratteristiche del singolo cessionario “caso per caso”, potrà valutarsi se la sostanza, rispetto alle caratteristiche dell’assuntore considerato, avesse o meno capacità psicotropa (segnatamente, abbassando la soglia, volta a volta, fino a dosimetrie molto più basse, come emerso nella giurisprudenza precedente giunta a ritenere capace in concreto di effetti psicotropi anche un quantitativo di principio attivo di 5-6 mg.). Sempre che – ovviamente - si ritenga di voler accogliere argomentazioni tese a valorizzare il principio di offensività (e fermo restando, ovviamente, che la valutazione potrà cambiare se lo stupefacente è tagliato con altre sostanze capaci di amplificare gli effetti, a volte con conseguenze devastanti, come nelle ipotesi della c.d. “eroina killer” tagliata, ad esempio, con caffeina e barbiturici), e non si preferiscano, in relazione alla condotta di “cessione”, chiavi di lettura più tranchant come quelle da ultimo affacciatesi in relazione alla condotta di “coltivazione”: sul punto, cfr. infra, § 3.2., e nota 70.

35 A partire dalla nota Corte cost., n. 62/1986, in Cass. pen., 1986, 1693 ss., con nota di C.F.

PALAZZO, Ragionevolezza delle previsioni sanzionatorie e disciplina delle armi e degli esplosivi.

(15)

3.2. Il problema della coltivazione domestica: ancora un intervento delle Sezioni Unite (sentenza 24 aprile 2008)

Anche il tema della c.d. coltivazione domestica presenta intersezioni con la tematica dell’offensività, pur se tali intersezioni dovrebbero prescindere dalla preliminare e non necessariamente connessa questione della sua esatta collocazione normativa, che oscilla tra il comma 1 e il comma 1-bis dell’art. 73.

Al riguardo, come noto, la recente riforma, perdendo forse l’occasione per una più attenta razionalizzazione legislativa, ha ribadito l’estromissione – tra le altre - della condotta di coltivazione dall’ambito di operatività (pur solo a livello indiziario) degli indici quantitativi (art. 73 co. 1-bis), conservandola - al fianco di produzione, raffinazione, vendita, cessione, distribuzione, commercio, trasporto etc. - tra le condotte ex se penalmente rilevanti (a prescindere cioè dalla dimostrazione della destinazione ad un uso “esclusivamente personale”, ammissibile solo per condotte come importazione ed esportazione, acquisto, ricezione o detenzione).

Si è così riproposto un contrasto giurisprudenziale di cui - come accennato – è stata investita la Cassazione a Sezioni Unite.

36

Sono noti, peraltro, i termini del dilemma interpretativo, ripresentatosi anche nella vigenza della nuova disciplina secondo le medesime cadenze argomentative affermate in precedenza.

Da un lato, un indirizzo rigoristico e forse prevalente riteneva - specie alla luce della lettera della norma e della ritenuta tassatività dell’elencazione delle condotte compatibili con l’uso personale (ubi lex voluti dixit) - la condotta di coltivazione insuscettibile di distinzioni a seconda della dimensione “domestica” ovvero

“imprenditoriale”, ritenendola sempre penalmente rilevante a prescindere dalla finalizzazione delle sostanza ricavabile dalle piante coltivate ad uso esclusivamente personale (argomentazioni ex art. 26 e 73, co. 1, d.p.r. n. 309/1990). E traendo l’ulteriore corollario per cui – declinata la fattispecie sul paradigma del reato di pericolo – nessuno spazio dovesse essere concesso ad argomentazioni sostanzialistiche orientate al principio di offensività e volte a sancire l’irrilevanza penale dell’ipotesi concreta in ragione dell’esiguo numero di piante coltivato (ovvero del grado di tossicità delle stesse).

37

Dall’altro, invece, si è a più riprese affermato – a partire da un precedente giurisprudenziale ormai risalente

38

- che occorrerebbe appunto distinguere tra coltivazione in senso “tecnico-agrario” ovvero “imprenditoriale” (definita negli artt.

26-28 del Dpr n. 309/1990 e caratterizzata dalla disponibilità di un terreno di

36 Con l’ordinanza di Cass., sez. IV, 7 febbraio-7 marzo 2008, n. 10495.

37 Così, da ultima, Cass., sez. IV, 28 novembre 2007-10 gennaio 2008, n. 871, Costa (in Guida dir., n. 9/2008, 62 ss., con nota di G. AMATO, Serve un intervento risolutivo sulla “piantagione domestica”), secondo la quale appunto “La coltivazione di canapa indiana è reato di pericolo e va sanzionata indipendentemente dall’ampiezza del numero di piante contenenti sostanze tossiche”

(per precedenti in termini, cfr. Cass., sez. VI, 9 giugno-16 luglio 2004, n. 31472, De Rimini, in Cass. pen., 2005, 2729 ss., con nota di G. AMATO, Ancora sulla coltivazione di piante da stupefacente).

38 Cass., sez. VI, 12 luglio 1994, n. 3353, Gabriele.

(16)

significative dimensioni, dalla sua preparazione, dalla relativa semina, dal governo dello sviluppo delle piante, dalla presenza di locali destinati alla raccolta dei prodotti, etc.), e c.d. coltivazione “domestica” (consistente nella coltivazione artigianale, presso la propria dimora, di un numero esiguo di esemplari destinati al fabbisogno personale): mentre la prima tipologia di condotta integrerebbe gli estremi del reato a prescindere da qualsiasi ricognizione in ordine alla finalizzazione della sostanza estraibile dalle piante coltivate, la seconda sarebbe nient’altro che una possibile

“forma” della detenzione (intesa quale nozione “di genere e di chiusura”), la cui rilevanza penale sarebbe dunque vincolata alla dimostrazione della finalità di

“spaccio”.

39

Tanto al fine di “escludere che un legislatore (non tanto razionale, quanto) ragionevole possa aver previsto la pena […] da anni sei di reclusione ed euro 26mila di multa ad anni venti di reclusione ed euro 260.000 di multa per la coltivazione di un numero circoscritto di piante di marijuana (dotate di effetto drogante) per chi non intenda fare commercio della “coltivazione” o del suo risultato, ma coltivi la cannabis per uso personale (consumo voluttuario o curativo, studio, etc.)”.

40

Come noto, il primo indirizzo è stato valorizzato nella recente decisione delle Sezioni Unite,

41

forse anche sulla scia delle preoccupazioni politico-criminali ingenerate dall’aggravarsi del fenomeno della coltivazione più o meno artigianale della cannabis, che registra picchi molto alti specie nelle regioni meridionali.

42

Pur non essendo ancora state depositate le motivazioni, possono comunque essere affacciate talune perplessità sulla soluzione accolta dal massimo collegio (peraltro in dissenso rispetto alle conclusioni del Procuratore generale).

Da un lato, la considerazione unitaria della condotta di coltivazione (con conseguente abbandono della nozione di coltivazione “domestica”), ormai ratificata nel “diritto vivente”, ripropone profili di illegittimità costituzionale, in relazione al principio di ragionevolezza-uguaglianza (art. 3 Cost.), rispetto alle condotte ad essa assimilabili in termini di disvalore (ad es., importazione o esportazione) che - ai sensi della norma del comma 1-bis dell’art. 73 – richiedono invece una precipua dimostrazione della destinazione a terzi per essere penalmente perseguibili (oltre all’ulteriore riscontro – nell’interpretazione corrente – di una pur minima significanza

39 Cass., sez. VI, 18 gennaio-10 maggio 2007, n. 17983, Notaro, in Guida dir., n. 23/2007, pp. 53 ss., con nota adesiva di GIUS. AMATO, Conclusione sicuramente da condividere se il ricavato basta solo all’uso personale, ivi, 65 ss.; Cass., sez. VI, 19 novembre 2007, n. 42650; inoltre, Cass., sez.

VI, 11-31 ottobre 2007, n. 40362, Proc. gen. App. Genova in proc. Mantovani, in Guida dir., n.

45/2007, 107, con nota adesiva di GIUS. AMATO, Va verificato che il fine ornamentale non nasconda un’attività di spaccio, ivi, 108 s., decisione con la quale si è rigettato il ricorso avverso la sentenza di assoluzione pronunciata nei confronti di un soggetto che era stato sorpreso a coltivare cinque piante di canapa indiana, una delle quali immersa in una vasca piena d’acqua, destinate, secondo l’assunto difensivo, ad adornare l’interno di vasetti di vetro che, riempiti di paraffina e muniti di stoppino, venivano messi in commercio come lumini; analogamente.

40 Cass., sez. VI, 18 gennaio-10 maggio 2007, n. 17983, Notaro, cit.

41 Sez. Un., 24 aprile 2008, rel. Fiale.

42 Si veda, sul dilagare del fenomeno della coltivazione di canabis, che ha registrato nei primi sei mesi del 2007 228 arresti a fronte dei 155 dell’intero 2006, PALAZZOLO, Cannabis, l’oro verde del Sud, in La Repubblica, venerdì 15 febbraio 2008.

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offensiva): questioni, peraltro, già affacciatesi all’attenzione della Corte delle leggi e declinate in modo non del tutto convincente, alla luce della ritenuta incomparabilità delle diverse condotte (essendo alcune, a parere della Consulta, “collegate immediatamente e direttamente all’uso stesso”; altre, come appunto la coltivazione, prive di un tale “nesso di immediatezza con l’uso personale”; e “rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all’approvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale”).

43

Ognuno vede quanto tale argomento appaia debole, specie al cospetto della riconosciuta compatibilità con l’uso personale di condotte quali importazione o esportazione, logicamente più contigue all’attività di “spaccio” che non all’approvigionamento ad uso proprio.

Se è così, già una interpretazione conforme al principio (costituzionale) di ragionevolezza, quindi, dovrebbe condurre a ritenere anche la coltivazione differenziabile a seconda della destinazione finalistica della condotta, così come, d’altronde, per stemperare il rigore del dettato legislativo si distingue tra trasporto in senso tecnico – configurabile quando l’utilizzo di un mezzo (automobile, autoarticolato, etc.) non sia occasionale ma sia necessitato dal quantitativo della sostanza - e trasporto come semplice modalità di detenzione.

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Ma è soprattutto il principio di proporzione – a più riprese riconosciuto dalla Corte costituzionale come direttrice fondamentale non certo confinata alla fase della commisurazione della pena - a pretendere una differenziazione, vincolando l’interprete – prima di un intervento di “ortopedia giuridica” da parte della Consulta - ad una esegesi calibrata sulla severità della comminatoria edittale, e tale da valorizzare (e “concretizzare”) la “pregnanza” semantica del termine “coltivazione”

(non diversamente da quanto avvenuto – ad esempio - con riferimento al reato di cui

43 In questi termini, Corte cost. n. 360/1995, § 5 (in Cass. pen., 1995, 2820 ss., con nota di G.

AMATO, Nuovi interventi giurisprudenziali in tema di coltivazione di piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti), che – affermato che in relazione alla condotta di coltivazione mancherebbe appunto “il nesso di immediatezza con l’uso personale” (nesso che caratterizzerebbe, invece, condotte come la detenzione, l’acquisto e l’importazione) – ha ulteriormente argomentato sottolineando che, in tale condotta, sarebbe peraltro non preventivabile “ex ante con un sufficiente grado di certezza la quantità di prodotto ricavabile dal ciclo più o meno ampio della coltivazione in atto, sicché anche la previsione circa il quantitativo di sostanza stupefacente alla fine estraibile dalle piante coltivate, e la correlata valutazione della destinazione della sostanza stessa ad uso personale, piuttosto che a spaccio, risultano maggiormente ipotetiche e meno affidabili”.

44 Al riguardo, non va peraltro trascurato che la stessa legge penale distingue – ad esempio in materia di armi - l’ipotesi di semplice detenzione (“porto”) da quella di vero e proprio “trasporto”

(cfr. artt. 4 e 18 l. n. 110/1975); e – sotto un profilo diverso ma utile a ricercare una lettura sistematicamente coerente - la stessa giurisprudenza riconosce la possibilità della confisca

“facoltativa” (ex art. 240 co. 1 c.p.) del mezzo di trasporto nelle ipotesi in cui esso sia stato – per quanto qui maggiormente interessa – funzionalmente necessario per il trasporto delle sostanze, in relazione, in particolare, alla loro quantità (oltre che alle ipotesi in cui lo stesso sia stato strutturalmente modificato per occultare le sostanze): Cass., sez. VI, 11 gennaio-17 aprile 2007, n.

15304, Cannizzo ed altri, in Guida dir., n. 18/2007, 98; Cass., sez. VI, 4 dicembre 2006-3 gennaio 2007, n. 31, ivi, n. 15/2007, 59 ss.

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