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La sentenza Montessori: esistenza dell aiuto di Stato, diritto ad impugnare, impossibilità del recupero di un aiuto illegale

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6/2019

Il Caso

La sentenza Montessori: esistenza dell’aiuto di Stato,

diritto ad impugnare, impossibilità del recupero di un aiuto illegale

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IN BREVE

Nella sentenza Montessori del 2 novembre 2018 la Corte di giustizia ha fornito alcuni importanti chiarimenti sull’applicazione della disciplina europea in materia di aiuti di Stato. Anzitutto, la Corte si sofferma sulle condizioni di applicabilità dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE quando un ente svolge sia attività commerciali sia attività di altra natura. In secondo luogo, la sentenza chiarisce le condizioni in presenza delle quali un’impresa concorrente del beneficiario dell’aiuto è legittimata a presentare ricorso contro una decisione della Commissione europea. Infine, la Corte chiarisce, per l’ipotesi in cui lo Stato membro adduca difficoltà nel recupero di aiuti illegali, quali siano gli oneri che ricadono rispettivamente in capo allo Stato membro e alla Commissione europea, sancendo che di norma la Commissione è tenuta a ordinare il recupero degli aiuti illegali e che eccezioni a questa regola vanno puntualmente motivate.

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IL COMMENTO

Sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione), 6 novembre 2018, cause riunite da C 622/16 P a C 624/16 P, Scuola Elementare Maria Montessori Srl c. Commissione;

Commissione c. Scuola Elementare Maria Montessori Srl; Commissione c. Pietro Ferracci

Introduzione

A partire dal 2012, la Commissione europea ha intrapreso un processo di modernizzazione della disciplina europea di controllo degli aiuti di Stato che ha tra i suoi elementi portanti, da un lato, il chiarimento della nozione di aiuto, dall’altro, una maggiore responsabilizzazione degli Stati membri.

Per il primo aspetto, la Commissione ha adottato una comunicazione sulla nozione d’aiuto (NOA) che riassume la principale giurisprudenza delle corti europee e il punto di vista della Commissione sull’interpretazione dei requisiti previsti dall’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. La comunicazione fornisce così un punto di riferimento per gli Stati rispetto al perimetro di applicazione del divieto generale1.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, ossia il maggiore coinvolgimento degli Stati membri nel controllo degli aiuti, a partire dal State Aid Action Plan del 2005 e soprattutto con la modernizzazione l’applicazione della disciplina è stata riorientata in ampia parte dalla notifica ex ante delle misure di aiuto alla Commissione europea a un sistema di controllo ex post. Attualmente, oltre il novanta per cento degli aiuti concessi dagli Stati membri alle imprese non viene notificato alla Commissione in quanto coperto dal nuovo regolamento generale di esenzione n. 651/2014 (RGEC); al tempo stesso, gli Stati sono tenuti ad obblighi di trasparenza in modo da favorire un efficace controllo successivo del rispetto della disciplina europea.

Peraltro, se uno Stato concede aiuti illegali, ad esempio perché non ha qualificato correttamente una misura di sostegno come aiuto di Stato o ha ritenuto erroneamente che si applicasse l’esenzione dall’obbligo di notifica, può essere chiamato dalla Commissione a recuperare gli aiuti illecitamente concessi.

1 Commissione Europea, Comunicazione della Commissione sulla nozione di aiuto di Stato di cui all’articolo 107, paragrafo 1 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, 2016/C 262/01, https://eur- lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016XC0719(05)&from=IT.

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In questo contesto, gli Stati membri devono verificare con attenzione se gli interventi di sostegno alle imprese configurino o meno aiuti di Stato e, in caso affermativo, se beneficino dell’esenzione dall’obbligo di notifica, per evitare che le misure adottate vengano poi classificate come aiuti illegali. Le possibili contestazioni da parte dei concorrenti delle imprese beneficiarie degli aiuti svolgono un ruolo importante ai fini dell’efficace applicazione della disciplina.

La sentenza della Corte di giustizia nelle cause riunite da C 622/16 P a C 624/16 P (“sentenza Montessori”), analizzata in questa nota, riguarda tutti questi profili della modernizzazione.

In particolare, sono tre le questioni di rilievo sollevate da questo caso.

Anzitutto, la sentenza fornisce indicazioni sui presupposti per l’applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE quando il beneficiario della misura di sostegno è un ente che svolge sia attività commerciale che attività di altra natura. Il controllo degli aiuti di Stato riguarda infatti soltanto gli aiuti alle imprese, definite dalla giurisprudenza come qualsiasi entità che svolge una attività economica, ossia un’attività di cessione di beni e servizi sul mercato.

In secondo luogo, nella sentenza Montessori la Corte affronta il tema del diritto ad agire in giudizio per l’annullamento di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato. Si tratta di una questione procedurale di grande rilievo, in quanto l’estensione della platea dei soggetti che possono intervenire nelle controversie in tema di aiuti incide fortemente sull’enforcement della disciplina.

Infine, la sentenza Montessori si sofferma sugli oneri che ricadono, rispettivamente, sulla Commissione europea e sullo Stato membro laddove quest’ultimo evidenzi difficoltà nel recupero di un aiuto concesso illegalmente.

1. I fatti

Il caso origina da due denunce presentate alla Commissione europea nel periodo 2006-2007, rispettivamente da Pietro Ferracci, proprietario di una struttura ricettiva turistico-alberghiera di tipo bed and breakfast e dalla Scuola Elementare Maria Montessori, che è un istituto di istruzione privato.

I denuncianti segnalavano anzitutto l’incompatibilità con l’articolo 87 CE (ora 107 TFUE) di una modifica normativa adottato dalla Repubblica italiana in relazione

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all’ambito di applicazione dell’imposta comunale sugli immobili (ICI). In sostanza, tale modifica stabiliva che l’esenzione dall’ICI della quale dal 1992 beneficiavano gli enti non commerciali che svolgono nei loro immobili esclusivamente attività assistenziali, previdenziali, sanitarie didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, di religione e di culto, si applicava a tali attività anche “a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”. L’esenzione dall’obbligo di pagare l’imposta veniva quindi ricondotta esclusivamente al fatto che il soggetto fosse qualificabile come ente non commerciale, senza una valutazione delle attività svolte.

Analoga questione veniva sollevata con riferimento all’articolo 149, quarto comma del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR), che esentava gli enti ecclesiastici e le associazioni sportive dilettantistiche dall’applicazione delle condizioni previste in tale articolo che determinano, per tutti gli altri enti, la perdita della qualifica di ente non commerciale. Anche questa disposizione, secondo i denuncianti, avrebbe conferito un vantaggio selettivo a tali soggetti e avrebbe pertanto violato l’articolo 107, paragrafo 1, TFUE.

Nel frattempo, le autorità italiane avevano comunicato alla Commissione che l’esenzione ICI sarebbe stata sostituita dal regime relativo alla nuova imposta municipale unica (IMU) in forza del quale l’esenzione sarebbe stata limitata alle attività svolte da enti non commerciali in modalità non commerciale e, nel caso in cui l’immobile fosse stato utilizzato a fini sia commerciali che non commerciali, sarebbe stata applicata solo alla porzione non interessata dalle attività commerciali.

La decisione della Commissione è stata adottata il 19 dicembre 2012. La Commissione, accogliendo in parte gli argomenti dei denuncianti, ha qualificato come aiuto di Stato illegale l’esenzione dall’ICI concessa dallo Stato italiano agli enti non commerciali che svolgono nei loro immobili anche attività economiche, come quella di istruzione o di ricezione di tipo alberghiero2. Diversamente, la Commissione ha ritenuto che non costituissero aiuto di Stato né l’esenzione concessa con il nuovo regime di tassazione degli immobili a livello locale IMU, né la disciplina delle condizioni per la perdita della qualifica di ente non commerciale contenuta nell’articolo 149 quarto comma del TUIR. Infine, pur avendo qualificato l’esenzione dal pagamento dell’ICI come aiuto illegale, la Commissione non ne ha ordinato il recupero, accogliendo la posizione dello Stato italiano che riteneva tale aiuto impossibile da recuperare.

La Scuola Montessori e il signor Pietro Ferracci hanno presentato ricorso al Tribunale dell’Unione europea contro la decisione della Commissione, chiedendone

2 Decisione 2013/284/UE della Commissione del 19 dicembre 2012, relativa all’aiuto di Stato S.A. 20829.

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l’annullamento e basando la propria legittimazione a ricorrere sulla circostanza di essere concorrenti degli enti beneficiari dell’aiuto.

La Commissione ha eccepito l’irricevibilità del ricorso affermando che i concorrenti degli asseriti beneficiari dell’aiuto non sono legittimati ad agire in giudizio per l’annullamento di una decisione della Commissione in materia di aiuti di Stato, non ricorrendo i presupposti del ricorso previsti dall’articolo 263 TFUE.

Con due sentenze del 15 settembre 2016 il Tribunale ha ritenuto ricevibili i due ricorsi ma li ha respinti nel merito3. Le sentenze del Tribunale sono state a loro volta impugnate di fronte alla Corte di Giustizia che ha riunito le due cause ed emesso il 6 novembre 2018 la sentenza oggetto di questa nota.

2. Attività economica di enti non commerciali

La disciplina del controllo degli aiuti di Stato si applica solo laddove il beneficiario sia un’impresa. Com’è noto non esiste nel TFUE una definizione di che cosa si intenda per impresa, ma la giurisprudenza ha definito impresa “qualsiasi ente che esercita un’attività economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento”4 e ha inoltre precisato che per attività economica deve intendersi

“qualsiasi attività consistente nell’offrire beni e servizi in un mercato” 5.

Nella ricostruzione compiuta dalla Commissione europea nella sua comunicazione sulla nozione d’aiuto (NOA)6 viene specificato come gli elementi importanti per la definizione di impresa siano: l’irrilevanza dello stato giuridico attribuito all’ente dal diritto nazionale; l’irrilevanza della presenza di uno scopo di lucro, così che anche enti senza scopo di lucro possono essere considerati imprese; il collegamento tra la qualifica d’impresa e lo svolgimento di una specifica attività. Da quest’ultimo punto segue che

“un ente che svolga sia attività economiche sia attività non economiche è considerato come un’impresa solo per quanto riguarda le prime”7.

3 Causa T 220/13, Scuola elementare Maria Montessori, e causa T 219/13, Ferracci c. Commissione (2016/C 392/24). Per le argomentazioni della sentenza del Tribunale ci limiteremo a considerare solo la prima delle due, tenendo anche conto del fatto che analoghe argomentazioni ritornano anche nella seconda.

4 In particolare, sentenza della Corte di giustizia del 12 settembre 2000, Pavlov e altri, cause riunite da C 180/98 a C 184/98.

5 Sentenza della Corte di giustizia del 16 giugno 1987, Commissione c. Italia, causa C 118/85.

6 Commissione europea, 2016/C 262/01, cit.

7 NOA punto 10 con richiamo allesentenza del Tribunale del 12 dicembre 2000, Aéroport de Paris c.

Commissione, T 128/98, punto 108.

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Nella stessa comunicazione, riferendosi al caso dell’istruzione la Commissione fa riferimento al criterio della prevalenza, chiarendo che il carattere non economico è associato al fatto che l’attività sia prevalentemente finanziata dalle casse pubbliche8 . Nel caso in esame, la questione della errata applicazione dell’articolo 107 da parte della Commissione in relazione all’attività svolta dai beneficiari delle esenzioni fiscali è stata sollevata dai ricorrenti sia rispetto all’articolo 149, TUIR sia rispetto all’esenzione dall’IMU.

Articolo 149 TUIR

L’articolo 149 TUIR stabilisce che un ente è qualificabile come commerciale in funzione del criterio della prevalenza dei redditi da attività commerciale rispetto a quelli da attività non commerciale. Un ente perde la qualifica di ente non commerciale se esercita prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta. Il quarto comma afferma che le disposizioni appena citate non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili.

Secondo i ricorrenti l’articolo 149, quarto comma TUIR consentiva agli enti ecclesiastici di non perdere mai la qualifica di enti non commerciali a prescindere dalla natura commerciale della loro attività.

La Commissione aveva avviato il procedimento con riferimento a questa norma per la sua presunta selettività prima facie. Questo sarebbe sufficiente secondo la ricorrente per chiedere l’annullamento della decisione nella parte in cui qualifica tale articolo come non conferente aiuto.

Il Tribunale ha replicato che la valutazione fatta nella fase di avvio da parte della Commissione non è stata confermata in fase di valutazione. Ciò perché da altre disposizioni risulta evidente che l’articolo 149, quarto comma TUIR, non implica l’impossibilità di perdita della qualifica di ente non commerciale. Innanzitutto, la circolare del 12 maggio 1998 n.124/E precisa che il trattamento fiscale riservato agli enti non commerciali può essere goduto dagli enti ecclesiastici solo se l’oggetto principale della loro attività non ha natura commerciale. Inoltre, l’articolo 16 della legge del 20 marzo 1985 n. 222 (c.d. Concordato tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede) dispone che le attività commerciali o a scopo di lucro non possono in alcun caso essere considerate attività di religione o di culto e il mutamento della destinazione dei beni che faccia perdere uno dei requisiti per il suo riconoscimento comporta la revoca della qualifica di ente ecclesiastico con fine religioso o di culto. Ne segue, nota il

8 NOA, punto 29.

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Tribunale, che nel sistema non vi è una qualifica permanente di ente non commerciale per gli enti ecclesiastici e che l’articolo 149, quarto comma, TUIR non conferisce loro alcun vantaggio selettivo.

Disciplina IMU

Il Tribunale ha osservato che la disciplina dell’ IMU limita l’esenzione alle sole attività che hanno modalità non commerciale e, qualora l’ente svolga attività sia commerciali sia non commerciali, stabilisce i criteri per l’individuazione della porzione dell’immobile beneficiaria dell’esenzione.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il Tribunale richiama i requisiti previsti dal regolamento di attuazione della disciplina dell’IMU (decreto ministeriale 19 dicembre 2012, n. 200) per escludere che le attività abbiano natura commerciale. Non solo deve mancare lo scopo di lucro (circostanza solitamente non sufficiente ad escludere l’attività economica): occorre anche che le attività, per loro natura, non si pongano in concorrenza con quelle offerte da operatori del mercato che perseguono fini di lucro, e che costituiscano espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà. Occorre inoltre che per disposizione statutaria sia preclusa la distribuzione di utili e sia previsto l’obbligo di reinvestire gli eventuali profitti in attività che contribuiscono alle finalità di solidarietà sociale. Nel caso di scioglimento dell’ente, il suo patrimonio deve essere trasferito a un altro ente che svolga un’analoga attività. Per gli enti che esercitano attività didattiche, in aggiunta, sono richieste tre condizioni cumulative: la qualità dei servizi resi deve essere paragonabile per qualità a quella dell’educazione pubblica e va garantita la non discriminazione rispetto all’accettazione degli alunni; occorrono trasparenza della contabilità, servizi adatti agli studenti con disabilità, strutture adeguate agli standard previsti e l’applicazione della contrattazione collettiva; infine l’attività deve essere fornita a titolo gratuito o contro pagamento simbolico, che copra solo una frazione del costo del servizio senza una relazione con quest’ultimo9. Il Tribunale enfatizza quindi l’aspetto della remunerazione nell’ambito di uno scambio per giungere alla definizione della natura economica dell’attività (assente nel caso di specie) e al contempo accetta l’assimilazione dell’attività degli enti ecclesiastici

9 Per alcuni commenti, cfr. P. Nicolaides, Non- Economic Activities, Absolute Impossibility to Recover Incompatible Aid and the Powers of National Courts, 11 ottobre 2016, http://stateaidhub.eu/blogs/stateaiduncovered/post/7255; E. Szyszczak, Article 263 (4) TFEU and the Impossibility of Challenging Recovery Decisions in State Aid, European State Aid Law Quarterly, 4/2016, pp. 637-641.

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interessati con quella tipica dell’autorità pubblica, assimilazione di fatto operata dal sistema giuridico italiano10.

Viene in tal modo chiarito che confinando l’esenzione alle sole attività non economiche i beneficiari non possono essere considerati imprese.

Inoltre, il Tribunale respinge l’argomento dell’asserita vaghezza della disciplina osservando che quando non sia possibile identificare la frazione dell’immobile nella quale si svolge l’attività non commerciale, l’esenzione è applicata in proporzione all’utilizzo non commerciale dell’immobile che deve risultare da un’apposita dichiarazione11.

La Corte di giustizia, rispetto a questi profili, richiama la propria giurisprudenza in base alla quale, nel caso in cui corsi di insegnamento impartiti da istituti siano finanziati essenzialmente da fondi di provenienza privata, allora vanno considerati servizi offerti in cambio di una remunerazione12. Nel caso di specie i servizi didattici offerti dagli enti ecclesiastici che godono dell’esenzione IMU sono forniti a titolo gratuito oppure dietro un compenso simbolico non correlato ai costi del servizio. Ne deriva, secondo la Corte, la correttezza dell’impostazione della Commissione confermata dal Tribunale sulla non economicità di tale attività.

Alcuni commentatori hanno osservato che resta aperta la questione del confine tra pagamento simbolico, o comunque non collegato al servizio reso, e la remunerazione per un servizio13. Anche lo stesso criterio della prevalenza andrebbe a parere di qualche autore precisato meglio, definendo ad esempio soglie percentuali14.

3. Legittimazione a impugnare la decisione della Commissione

In base all’articolo 263, quarto comma, TFUE, come modificato dal Trattato di Lisbona,

“Qualsiasi persona fisica o giuridica può proporre, alle condizioni previste al primo e secondo comma, un ricorso contro gli atti adottati nei suoi confronti o che la riguardano

10 E. Szyszczak (2016), Article 263 (4) TFEU : Third Party Challenges to State Aid Decisions, 2016, http://stateaidhub.eu/blogs/stateaid/post/7230.

11 Sentenza del Tribunale, punto 135.

12 Sentenza del 27 giugno 2017, Congregacion de Escuelas Pias Provincia Betania, C 74/16, punto 48 e giurisprudenza ivi citata.

13 P. Nicolaides (2018), The Recovery of Incompatible Aid Cannot be Absolutely Impossible unless it is First Attempted, http://stateaidhub.eu/blogs/stateaiduncovered/post/9372.

14 E. Szyszczak (2016), cit., p. 639 e nota 11.

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direttamente e individualmente, e contro gli atti regolamentari che la riguardano direttamente e che non comportano alcuna misura di esecuzione”15.

I ricorsi Montessori e Ferracci erano fondati sull’ultimo periodo del quarto comma dell’art. 263, ossia sulla circostanza che la decisione della Commissione costituisse un atto regolamentare che riguardava direttamente i soggetti ricorrenti e non comportava alcuna misura di esecuzione. La Commissione ha contestato la legittimità del ricorso contro la sua decisione argomentando che, nel caso di specie, non sussistevano questi presupposti.

Atto che riguarda direttamente i ricorrenti

La Commissione ha innanzitutto sostenuto che la decisione non riguardava direttamente i soggetti ricorrenti. Il Tribunale ha respinto questo argomento ricordando che, secondo la giurisprudenza, l’incidenza diretta sussiste se sono soddisfatti due requisiti: produzione diretta di effetti sulla situazione giuridica del singolo e assenza di discrezionalità da parte dei destinatari dell’atto per ciò che riguarda l’applicazione della misura, che ha carattere automatico e deriva dalla sola normativa dell’Unione europea. I rilievi della Commissione, su cui si sono pronunciati prima il Tribunale e poi la Corte, si erano incentrati sul primo requisito, ossia se la decisione della Commissione producesse effetti diretti sulla situazione giuridica dei ricorrenti.

A questo riguardo, il Tribunale, sottolineando che un concorrente del beneficiario dell’aiuto è direttamente interessato da una decisione della Commissione che avvantaggia quest’ultimo, ha osservato che nel caso Montessori la ricorrente “potrebbe trovarsi in concorrenza” con enti ecclesiastici che forniscono analoghi servizi di istruzione e pertanto le misure oggetto della controversia, alterando le condizioni di concorrenza nel mercato, potevano incidere direttamente sulla sua situazione giuridica della ricorrente. Analoghe considerazioni sono state espresse anche rispetto all’altro ricorso.

La Commissione ha contestato davanti alla Corte di giustizia l’argomentazione del Tribunale riguardo all’incidenza diretta della decisione sulla posizione dei ricorrenti, osservando che la loro posizione concorrenziale rispetto ai beneficiari della misura sarebbe stata solo potenziale. Il Tribunale avrebbe in tal modo contraddetto la

15 La previgente formulazione prevedeva che qualsiasi persona fisica o giuridica potesse proporre, alle stesse condizioni previste dai primi commi, un ricorso contro le decisioni prese nei suoi confronti e contro le decisioni che “pur apparendo come un regolamento o una decisione presa nei confronti di altre persone, la riguardano direttamente e individualmente”.

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giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia in sentenze come T & L Sugars del 201516 e Confederazione Cooperative Italiane del 2015, in base alle quali il mero fatto che disposizioni adottate nell’ambito della politica agricola comune pongano un ricorrente in una posizione concorrenziale svantaggiosa non consente di per sé di concludere che esse incidano sulla posizione giuridica dello stesso17. Secondo questo orientamento per esserci incidenza diretta dovrebbe essere dimostrato che si sono realizzati effetti concreti sulla situazione del ricorrente.

Nel caso qui in esame, la Corte di giustizia ha confermato i criteri generali individuati dal Tribunale, in base ai quali affinchè vi sia incidenza diretta occorre che vi sia produzione diretta di effetti sulla situazione giuridica di un soggetto e automatismo di applicazione della decisione, ma ha ritenuto che il Tribunale abbia compiuto un errore di diritto laddove ha inferito l’esistenza di effetti diretti dal fatto che i servizi offerti dai ricorrenti erano simili a quelli offerti dai beneficiari dell’esenzione per cui “potrebbe esserci” un rapporto di concorrenzialità. La Corte ritiene errata questa motivazione, negando che si possa dedurre l’incidenza diretta dalla mera possibilità di un rapporto di concorrenza tra i soggetti, essendo necessaria la produzione diretta di effetti su una specifica situazione giuridica. Il giudice, nel valutare la legittimazione ad agire del ricorrente è quindi tenuto a verificare se questi abbia illustrato in modo pertinente le ragioni per cui la decisione della Commissione può porlo in una situazione di svantaggio concorrenziale.

La circostanza che la motivazione addotta dal Tribunale fosse viziata da un errore di diritto non determina l’annullamento automatico della sentenza se il dispositivo della stessa è fondato per altri motivi di diritto: in tale ipotesi è sufficiente sostituire la motivazione18. Nel caso in esame, secondo la Corte i ricorsi dei ricorrenti dimostravano in modo sufficiente che le loro imprese, situate nelle immediate vicinanze di enti beneficiari dell’aiuto e attive nel medesimo mercato rilevante, potessero essere poste in situazione concorrenziale svantaggiosa dalle misure contestate.

La situazione giuridica incisa è quella del diritto a una concorrenza non falsata, in linea con l’obiettivo proprio delle norme in materia di aiuti di Stato. La Corte ha ritenuto inappropriato il richiamo della Commissione alle sentenze T & L Sugars e Confederazione Cooperative Italiane, che richiedono la dimostrazione di un pregiudizio concreto per il ricorrente: queste sentenze, infatti, riguardavano la politica agricola e

16 Sentenza del 28 aprile 2015, T & L Sugars and Sidul Acùcares c. Commissione, C 456/13 P.

17 Sentenza del 17 settembre 2015, Confederazione Cooperative Italiane e a. c. Anicav e a., C 455/13 P, C 457/13 P, e C460/13 P.

18 Sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio c. LTTE, C 599/14 P, punto 75 e giurisprudenza ivi citata.

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non le norme sugli aiuti di Stato il cui obiettivo specifico è quello della tutela della concorrenza.

La decisione della Commissione come atto regolamentare ex art. 263

Il secondo argomento addotto dalla Commissione per contestare la ricevibilità dei ricorsi era che la decisione impugnata non doveva essere qualificata come atto regolamentare ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Sia il Tribunale che la Corte hanno respinto l’argomento.

In premessa, è stato chiarito che la distinzione tra atti legislativi e atti regolamentari ai fini dell’applicazione dell’articolo 263 TFUE dipende dalla procedura seguita per l’adozione dell’atto. La decisione impugnata, non essendo stata adottata nell’ambito di una procedura legislativa ai sensi dell’articolo 297 TFUE, non costituisce atto legislativo.

Riguardo alla questione se si tratti o meno di un atto regolamentare ai sensi dell’articolo 263 TFUE, è sufficiente fare riferimento all’argomentazione della Corte di giustizia, che riprende e sviluppa la posizione del Tribunale. La Corte di giustizia ha ricordato che l’articolo 263 TFUE è stato modificato dal Trattato di Lisbona attenuando i requisiti di ricevibilità dei ricorsi di annullamento proposti, eliminando la condizione dell’incidenza individuale per tutti gli atti di portata generale con l’unica eccezione degli atti legislativi. In questo contesto, secondo la Corte, la nozione di atto regolamentare si riferisce agli atti di portata generale con esclusione di quelli legislativi19 e non è possibile, se non violando lo stesso articolo 263 TFUE, restringere ulteriormente la categoria degli atti non legislativi di portata generale impugnabili.

Per quanto riguarda la portata generale dell’atto, la Corte ricorda la propria costante giurisprudenza in base alla quale essa consiste nella applicabilità a situazioni che sono determinate oggettivamente e a effetti prodotti nei confronti di un insieme di persone definito in modo astratto e generale20. Nell’ambito del controllo degli aiuti di Stato la Corte ha più volte dichiarato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale21.

19 Cfr. sentenza del 3 ottobre 2013, Inuit Tapiriit Kanatami e a. c. Parlamento e Consiglio, C 583/11 P, punti 57 e da 58 a 61.

20 Cfr ad es. sentenza del 15 gennaio 2002, Libéros c. Commissione, C 171/00 P, punto 28 e giurisprudenza ivi citata, e sentenza del 17 marzo 2011, AJD Tuna, C221/09, punto 51 e giurisprudenza ivi citata.

21 Cfr sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates c. Commissione, C 487/06 P, punto 31, e sentenza del 28 giugno 2018, Lowell Financial Services c. Commissione, C 219/16 P, punto 42 e giurisprudenza ivi citata.

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La portata generale della decisione ai fini dell’articolo 263 TFUE è stata riconosciuta, nel caso in esame, anche per quanto riguarda l’ordine di recupero. L’ordine di recupero è tipicamente diretto ai soli beneficiari della misura ma, dal momento che la Commissione in questo caso ha ritenuto che non si dovesse ordinare il recupero degli aiuti illegalmente concessi, la decisione comporta il perdurare degli effetti anticoncorrenziali dell’esenzione all’ICI, che si esplicano nei confronti di una platea indeterminata di concorrenti dei beneficiari. Anche la decisione di non ordinare il recupero è stata ritenuta quindi un atto regolamentare ai fini della legittimazione ad agire dei concorrenti dei beneficiari dell’aiuto.

Assenza di misure di esecuzione

Un ultimo argomento addotto dalla Commissione a sostegno dell’irricevibilità del ricorso sosteneva che la decisione contestata dai ricorrenti non soddisfaceva il requisito dell’assenza di misure di esecuzione previsto dall’articolo 263, quarto comma, ultimo periodo.

Ricordiamo che l’articolo 263 prevede il diritto di ricorrere contro l’atto regolamentare di interesse immediato per la ricorrente che non comporta misure di esecuzione in quanto, in caso contrario, la persona fisica o giuridica direttamente interessata dall’atto regolamentare, non potendo contestare indirettamente l’atto regolamentare attraverso le sue misure di esecuzione, rimarrebbe priva di una tutela giurisdizionale effettiva22. Per questo profilo, il Tribunale ha chiarito che la presenza di misure di esecuzione è da verificarsi con riferimento all’oggetto del ricorso; la Corte aggiunge che occorre fare riferimento inoltre alla posizione della persona che invoca il diritto al ricorso a norma dell’art. 263.

Nel caso in questione, i giudici europei non hanno constatato la sussistenza di misure di esecuzione né rispetto alla parte della decisione che non ordina il recupero degli aiuti illegali relativi all’esenzione ICI, né rispetto alla parte della decisione che non ha considerati aiuti l’articolo 149, quarto comma TUIR e l’esenzione IMU. Per quest’ultima parte, la Corte ha sottolineato che sarebbe artificioso obbligare i concorrenti a chiedere alle autorità nazionali di accedere al beneficio e a impugnare l’atto di diniego davanti ai giudici nazionali per indurre questi ultimi a interrogare la Corte di giustizia circa la legittimità della decisione della Commissione. Pertanto, secondo la Corte il Tribunale ha ritenuto correttamente che la decisione controversa non comportasse alcuna misura di esecuzione dei confronti dei ricorrenti e fosse quindi direttamente impugnabile.

22 Sentenza del 19 dicembre 2013, Telefònica c. Commissione, punto 28.

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Alcune considerazioni

Riguardo al diritto ad impugnare la decisione della Commissione la Corte di Giustizia, pur restringendo rispetto all’atteggiamento del Tribunale e quindi non ritenendo sufficiente addurre la mera possibilità che vi sia un rapporto di concorrenza tra il beneficiario della misura e il ricorrente, opera un’apertura rispetto alla possibilità di parti terze rispetto al procedimento di ricorrere davanti ai giudici europei contro una decisione della Commissione.

La questione è delicata e di importanza rilevante per la materia degli aiuti di Stato in quanto tipicamente le decisioni della Commissione producono effetti sui concorrenti e quindi su soggetti terzi rispetto al procedimento. Molto spesso la Corte ha negato il diritto ad agire rilevando che le decisioni della Commissione nei casi di specie non erano atti di applicazione generale23. Uno dei passaggi maggiormente problematici è in questi casi stabilire se il ricorrente abbia un interesse diretto.

4. Impossibilità di recuperare l’aiuto

La constatazione da parte della Commissione dell’impossibilità assoluta di procedere al recupero dell’aiuto illegale consistente nell’esenzione ICI sin dalla fase dell’indagine formale, e non solo in sede di esecuzione di un’ingiunzione di recupero, è stata contestata dalla Scuola Montessori ai sensi dell’articolo 108 TFUE e dell’articolo 14, paragrafo 1 del regolamento di procedura in materia di aiuti di Stato n. 659/1999. La Commissione avrebbe al riguardo commesso sia un errore di diritto che un errore di valutazione.

Argomenti della ricorrente e valutazione del Tribunale

Per quanto riguarda il presunto errore di diritto, la ricorrente ha sostenuto che l’impossibilità di recuperare l’aiuto avrebbe dovuta essere preceduta da un ordine di recupero e dall’accertamento da parte dello Stato membro dell’impossibilità effettiva ad eseguire l’ordine24. Secondo la Commissione invece non sarebbe stato appropriato adottare un ordine di recupero che ex ante risulti impossible da realizzare; nel caso di specie, in particolare, né le banche catastali né quelle fiscali permettevano di identificare il tipo di attività (commerciale o non) svolta negli immobili di proprietà degli enti non commerciali.

23 Sentenza del 17 settembre 2015, Mory S.A. e a. c. Commissione, causa C 333/14 P .

24 Per la giurisprudenza addotta a sostegno, cfr. sentenza del Tribunale, Montessori c. Commissione, punto 75.

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Il Tribunale ha respinto l’argomentazione della ricorrente, sostenendo che la giurisprudenza da essa indicata riguarda casi nei quali era possibile adottare un ordine di recupero, a differenza del caso in questione, e ricordando come la stessa Corte di Giustizia nella causa Belgio /Commissione25 abbia sancito che la Commissione non può imporre obblighi la cui esecuzione sia fin dall’origine obiettivamente e assolutamente impossibile da realizzare. Lo Stato membro si sarebbe inoltre comportato in linea con il principio di leale collaborazione, unico obbligo che grava in capo allo Stato, enunciando prima dell’adozione della decisione impugnata le ragioni per cui era assolutamente impossibile recuperare l’aiuto. Secondo il Tribunale, quindi, la Commissione non ha commesso alcun errore di diritto.

Per quanto riguarda l’asserito errore di valutazione, secondo la ricorrente non sussisteva nessuna circostanza eccezionale che giustificasse da parte della Commissione una dichiarazione di impossibilità a recuperare l’aiuto e che, in base alla giurisprudenza della Corte, non sarebbe sufficiente opporre l’impossibilità di recuperare l’aiuto richiamandosi alla difficoltà di calcolare l’ammontare dell’aiuto stesso. Il Tribunale non ha accolto il rilievo, evidenziando come la Commissione abbia dichiarato aiuto illegittimo l’esenzione ICI solo per quanto riguarda le attività commerciali e non tutte le attività svolte negli immobili. Ora, dal momento che non risultava possibile distinguere le due attività utilizzando le banche dati catastale e immobiliare, il recupero dell’aiuto è stato considerato dalla Commissione impossibile in termini assoluti e oggettivi non tanto con riferimento alla quantificazione dell’aiuto, quanto con riferimento all’identificazione dell’attività rilevante alla qualifica d’impresa (cioè all’esistenza del presupposto di applicazione dell’articolo 107, paragrafo 1 TFUE).

La ricorrente ha eccepito inoltre che la Commissione avrebbe avuto a disposizione dei metodi alternativi al ricorso alle suddette banche dati per l’individuazione della natura della attività svolte. Ad esempio, considerato che la disciplina IMU sostituisce la precedente ICI, sarebbe stato possibile desumere una continuità nella destinazione d’uso degli immobili dalla quale emerge la natura delle attività ivi svolte. Tuttavia il Tribunale, rifacendosi alla giurisprudenza in materia26, ha risposto che la Commissione non può stabilire che un’impresa ha ricevuto un vantaggio basandosi su una semplice presunzione, senza addurre ulteriori elementi di prova, e ha sottolineato come la stessa ricorrente non abbia addotto alcuna prova della continuità di destinazione degli immobili. Nemmeno le alternative ventilate dalla ricorrente sono apparse soddisfacenti per il Tribunale: un’eventuale autocertificazione andrebbe verificata, cosa impossibile in assenza di dati; l’ispezione da parte di organi di controllo avrebbe potuto verificare solo

25 Sentenza del 17 giugno 1999, Belgio c. Commissione, C 75/97, punto 86.

26 Sentenza del 17 settembre 2009, Commissione c. MTU Friedrichshafen, C 520/07, punto 58.

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la situazione con riferimento al periodo in cui si applica l’IMU, ma non fornire infomazioni sul periodo precedente.

Valutazione della Corte

La Corte ha riconosciuto che il principio secondo cui “ad impossibilia nemo tenetur” è un principio generale del diritto europeo27 e che la giurisprudenza per cui l’unico mezzo difensivo per lo Stato è la dimostrazione dell’assoluta impossibilità al recupero riguarda i motivi che possono essere addotti dallo Stato a propria difesa, ma non il fatto che tale impossibilità possa essere già riscontrata nella fase del procedimento di indagine formale28. Come indicato dal Tribunale, la giurisprudenza della Corte ha già riconosciuto che la Commissione non può adottare un ordine di recupero la cui esecuzione sarebbe impossibile fin dall’origine: un ordine del genere sarebbe invalido29.

Tuttavia, con riferimento alla verifica dell’impossibilità del recupero, la Corte rileva come il Tribunale abbia invece commesso un errore di diritto nell’approvare il comportamento della Commissione. Infatti, nel caso in esame la Commissione, in contrasto con la giurisprudenza della Corte30, non ha accertato dopo un esame minuzioso l’esistenza delle difficoltà addotte dallo Stato italiano e l’assenza di modalità alternative di recupero, due condizioni che vanno cumulativamente soddisfatte, limitandosi ad accettare le difficoltà interne citate dallo Stato con riferimento alle informazioni derivanti dalle banche dati catastali e fiscali italiane.

La Corte sottolinea che, per la Commissione, l’astenersi dall’adottare un ordine di recupero di un aiuto illegale va considerato un’eccezione alla regola generale del recupero dettata dall’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n.659/1999 e che le condizioni di tale eccezione vanno dimostrate dalla Commissione. Il Tribunale ha quindi errato nel confermare la linea adottata dalla Commissione e nel porre in capo al ricorrente l’onere di dimostrare la possibilità di modalità alternative di recupero.

27 Sentenza del 3 marzo 2016, Daimler, C 179/13 punto 42.

28 Ad esempio sentenza del 9 novembre 2017, Commissione c. Grecia, C 481/16, punto 28 e giurisprudenza ivi citata.

29 Sentenza del 17 giugno 1999, Belgio c. Commissione, C 75/97, punto 86.

30 Sentenze del 13 novembre 2008, Commissione c. Francia, C 214/07, punto 50 e del 12 febbraio 2015, Commissione c. Francia, C 37/14, punto 66 e giurisprudenza citata.

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Gli oneri per lo Stato e per la Commissione

Nella sentenza Montessori la Corte ha quindi posto paletti stringenti alla possibilità di evitare il recupero di un aiuto illegale, chiarendo gli oneri che incombono sia sullo Stato membro che sulla Commissione.

Occorre in questi casi la verifica dell’incompatibilità del recupero con un principio fondamentale del diritto europeo, individuato nel caso di specie con quello per cui “ad impossibilia nemo tenetur”. Lo Stato non può invocare l’impossibilità a recuperare se non dimostra di avere compiuto sforzi in tal senso. La Commissione, da parte sua, non può esimersi dall’ordinare il recupero se non ha esaminato nel dettaglio sia le difficoltà al recupero avanzate dallo Stato sia le eventuali soluzioni alternative che possano consentire il recupero, anche parziale, degli aiuti in questione. Solo se in seguito a tale analisi non emergono soluzioni alternative la Commissione può legittimamente esimersi dall’ ordinare il recupero dell’aiuto illegale.

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