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LA PORTA ORIENTALE LE MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE

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AllNO III- • FASC. 2 FEBBRAIO 19M-XI

LA PORTA ORIENTALE

RIVISTA MENSilE DI STUDI SULLA GUERRA E DI PROBLEMI GIULIANI E DALMATI Direttori: Bruno Coceaui - Federico Pagnu·co ~ Giu.seppe Stefaoi

LE MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE

DI FRANCESCO HERMET

Francesco Hermet è una delle figure più nobili ed alte della storia di Trieste. Ed! anche una delle più rappresentative. Nato nel 1813, quando ormai l'impero di Napoleone crollava, assistette nell'infanzia alla lenta e spesso faticosa ripresa dei commerci e provò il disagio della restaurazione .. Trascorse la giovinezza e raggiunse la piena ma•

turità in quella Trieste prequarantottesca, dove l'attività mercantile e l'afflusso di gente nova non impediva il fiorire delle lettere e delle arti, ma anzi giovava a rendere più vivaci ed agili gli spiriti dei gio- vani, affrancandoli da un classicismo un po' manierato e freddo e non scevro di pedanteria. Tramontava la generazione che aveva visto conchiudersi l'attività del Consiglio dei Patrizi e ancora ricordava con accorato rimpianto il reggimento antico, di cui aveva sperato lo.

rinnovazione; per vero i triestini attraverso lungo ordine di secoli s'erano tramandata intatta l'orgogliosa consapevolezza dell'origine romana e della nazionalità italiana, assieme al vigile e quasi esaspe- rato amore .per la piccola patria sì spesso insidiata, ma ora, in piena età romantica, il sentimento nazionale s'irrobustiva e si esaltava, rad/ducendo nei giusti limiti l'amore della città nataJe. Meditavano i giovani sulla rivoluzione francese, assistevano alla riscossa delle nazioni o alle magnanime lotte degli oppressi contro gli oppressori, leggevano commossi i versi dei grandi poeti romantici, plaudivano ai fieri sensi degli eroi alfieriani, auspicavano tra gli stati e i popoli\ rapporti novelli, ispirati a nuove vedute, economiche, sociali, poli-"'- tiche. Erano insomma romantici e liberali.

Nelle sue memorie lo Hermet esprime il rammarico di non aver potuto seguire un disciplinato e armonico corso .di studi, e di essersi prOCMciata da solo e q oasi a tentoni una cultura di cui sentiva le lacune e le disarmonie, e siffatto rammarico lo spinse, sin dai pri- mordl della sua attività politica, a concepire e ad attuare un bellis- simo e nobile programma di scuole primarie e secondarie, itaJiane

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MEMORIE AUTOBIOGRAFICH!ll

intelligenza, la maschia prestanza e l'imperiosa facondia. Non ama, le effimere chiassate piazzaiole, onde poi, vecchio, disperò dell'ef cada dell'irredentismo rumoroso, che nel Regno dava rapide e bre vampate senza disciplinarsi in una valida preparazione politica e n li tare; voleva le responsabilità chiare e precise, i programmi cc creti, e per questo rispetto presenta qualche somiglianza col car, tere del d'Azeglio. Vittoriosa la 1·eazione del 1849, egli riprese istruire i giovani filodrammatici in quella Società Filarmonica e sempre più diveniva un'accolta di patrioti e, fiducioso nell'utile ro sione del giornalismo, diede vita a una nuova Favilla. L' indefe, attività giornalistica è un altro dei suoi caratteri peculiari.

Agli amici e commilitoni del '48, vicini e lontani, rimase leg da affetto e solidarietà indefettibili. Non è certo se già in quel cennio si costituisse a Trieste, fra i patrioti più animosi e sicuri,

vero e proprio comitato o gruppo, come non è precisabile, almeno era, il momento in cui lo Hermet entrò in quella loggia masso, triestina che - è doveroso riconoscerlo - fu benemerita assai d azione irredentistica e, lungi dall'offrire ai suoi aderenti vant:

materiali e proficui reciproci appoggi, impose ·loro un'assidua d plina d'opere, di sacrifici e di pericoli. Ritengo probabile che un mitato triestino d'azione si formasse durante o dopo le felici <

pague del '59 e lo dirigessero, assieme al Nostro, Arrigo Hortis, C Nobile, Antonio Vidacovich, Ra,ffaele Costantini, Felice Mac

Sembra che questo comitato, ampliata la sfera d'azione e att a sè i capi de.I movimento nazionale delle altre città irredente, • tlesse, verso il 1864, la denominazione di tcComitato Nazionale>1 appare nella storica protesta contro le inconsulte parole del miI Lamarmora.

Eletto consigliere nel 1861, e rieletto poi nei consigli sncc, - eccettuato quello che amministrò il Comune dal 1863 al 1E egli via via accentrò tutta la sua -attività nel Comune e, dal nella Società del Progresso. Grazie alle sue attribuzioni stat e a quelle delegate dal governo, il Consiglio di Trieste era in di assurgere a singolare importanza politica, alla quale contr il fatto che esso fungeva anche da Dieta provinciale; il valo1

<·.apacità degli nomini che ne formarono la maggioranza da

alla 1-edenzione aecrebbe il suo prestigio, e la cittadinanza org- vedeva in esso il suo piccolo parlamento e nel Municipio il s, legittimo rappresentante e la roccaforte della sua italiani!

quasi due decenni Francesco Hermet fu il dominatore del Co a volte combattuto e discusso, non da tutti a.mato, come aeci nomini volitivi e imperiosi, ma da tutti rispettato e stimato.

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intelligenza, la maschia prestanza e l'imperiosa facondia. Non amava le effimere chiassate piazzaiole, onde poi, vecchio, disperò dell'effi- cacia dell'irredentismo rumoroso, che nel Regno dava rapide e brevi vampate senza disciplinarsi in una vaHda preparazione politica e mi- litare ; voleva le responsabilità chiare e precise, i programmi con- creti, e per questo rispetto presenta qualche somiglianza col carat- tere del d'Azeglio. Vittoriosa la reazione del 1849, egli riprese alt istruire i giovani filodrammatici in quella Società Filarmonica che sempre più diveniva nn'accolta di patrioti e, fidùcio·so nell'utile mis- sione del giornalismo, diede vita a una nuova Favilla. L' indefessa attività giornalistica è un altro dei suoi caratteri peculiari.

Agli amici e commilitoni del '48, vicini e lontani, rimase legato da affetto e solidarietà indéfettibili. Non è certo se già in quel de- cennio si costituisse a Trieste, fra i patrioti più animosi e sicuri, un vero e proprio comitato o gruppo, come non è precisabile, almeno per

~ra, il momento in cui lo Hermet entrò in quella loggfa massonica triestina che - è doveroso riconoscerlo - fu benemerita assai della azione irredentistica e, lungi dall'offrire ai suoi aderenti vantaggi materiali e proficui reciproci appoggi, impose ·loro un'assidua disci- plina d'opere, di sacrifici e di pericoli. Ritengo probabile che un co- mitato triestino d'azione si formasse durante o dopo le felici cam- pagne del '59 e lo dirigessero, assiPme al Nostro, Arrigo Hortis, Carlo Nobile, Antonio Vidacovich, Ra,ffaele Costantini, Felice Machlig.

Sembra che questo comitato, ampliata la sfera d'azione e attratti a sè i capi del movimento nazionale delle altre città irredente, pren- desse, verso il 1864, la denominazione di «Comitato Nazionale», che a.pparc nella storica protesta contro le inconsulte parole del ministro Lamarmora.

Eletto consigliere nel 1861, e rieletto poi nei consigli successivi, - eccettuato quello che amministrò il Comune dal 1863 al 1865 - egli via via accentrò tutta la sua -attività nel Comune e, _dal 1868, nella Società del Progresso. Grazie. alle sue attribuzioni statutarie e a quelle delegate dal governo, il Consiglio di Trieste era in grado

<li assurgere a singolare importanza politica, alla quale contribuiva il fatto che esso fungeva anche <la Dieta provinciale; il valore e la

<·.apacità degli nomini che ne formarono la maggioranza dal 1861 alla redenzione accrebbe il suo prestigio, e la cittadinanza orgogliosa vedeva in esso il suo piccolo parlamento e nel Municipio il solo suo legittimo rappresentante e la roccaforte della sua italianità. Per quasi due decenni Francesco Hermet fu il dominatore del Consiglio, a volte combattuto e discusso non da tutti amato, come accade agli uomini volitivi e imperiosi, ~a da tutti rispettato e stimato. Inclin.e

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98 FRANCESCO HERMET

per natura a preferire programmi concreti e coerenti alle azioni sal- tuarie e occulte, egli dedicò tutte le sue cure ecl energie all'ammini- strazione comunale, facendone l'organismo complesso e potente della difesa nazionale. Forse in sèguito ad una chiara e precisa divi- sione di mansioni, mentre l'amico suo Arrigo Hortis teneva desta, anzi avvivava la fiamma della passione irredentistica che permeava del suo ardore tutta l'attività del partito nazionale, egli si assunse l'ardua missione di incarnare e dirigere la tattica della resistenza tenace e intelligente, mantenuta nell'ambito della legalità, tattica difficile e talora incresciosa, ma indispensabile.

L'opera di Francesco Hermet nel Comune e per il Comune è grandiosa e balza dalle pagine dei verbali ciel Consiglio, della Dieta e della Delegazione: primo vicepresidente del Consiglio, cioè vice- podestà, presidente della Commissione alla finanza e membro di in- numerevoli altre, egli, col concorso d' eminenti cooperatori, creò il magnifico complesso delle scuole primarie e secondarie italiane, diede vita alle aziende municipalizzate, cominciando da quella del gas, affrontò e condusse a buon fine ogni sorta di problemi e di imprese, la difesa dei diritti e delle libertà storiche, la riforma dello Statuto, del regolamento elettorale, degli uffici comunali, l'apertura, di nuove vie e piazze, la costruzione del nuovo palazw di città e d'altri edifici municipali, i depositi di petrolio, i lavori portuali, le linee ferro- viarie, la Cassa di Risparmio, il Monte di Pietà, la pubblica bene- ficenza, la costituzione del!' ufficio statistico-anagrafico, l'amplia- mento e l'efficienza dei musei, della biblioteca. Si sforzò anche d'av- viare a una soluzione le questioni dell'acquedotto e della canalizza- zione_. Nè si devono dimenticare la Presidenza della Società del Pro- gresso, l'attività giornalistica, l'impulso da.to alla fondazione della Banca Popolare, della Società Operaia e d'altre, la br'Ewe ma intensa attività parlamentare, durante la quale, d'intesa con Arrigo Hortis, provocò la caduta del ministero tedesco nazionale e centralizzatore.

Nel 1879, stanco ei! infermo, annunziò che, dopo le elezioni mu- nicipali e le nomine del podestà e dei vicepresidenti, si sarebbe riti- rato dalla politica attiva. Egli temeva che il Governo spiasse la prima occasione acconcia per un nuovo scioglimento del Consiglio, dopo il quale avrebbe posto a capo del Comune un commissario imperiale:

così tutto l'edificio costruito faticosamente in tanti anni sarebbe crollato e la città sarebbe ricaiduta in balla alla reazione. Questa prospettiva divenne l'incubo del vecchio patriota, la cui apprensione ingigantì dopo l'esito delle elezioni, che non diedero una vera e sicura maggioranza al suo partito. Egli si convinse che bisognasse tempo·

reggiare, adattarsi a un'intesa con la parte meno ostile dei conser-

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vatori e accettare un podestà incolore ; gli parve idoneo alla bisogna Francesco Dimmer che, di famiglia tedesca, poteva dissipare i so- spetti del Governo, e d'altro canto confidava di poter dirigere e con- sigliare. Ma il partito questa volta ricusò di seguirlo, e rivolle pod))stà Massimiliano d' Angeli; quando fu negata a questo la sanzione so- vrana, riusci a far spuntare con due soli voti

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maggiora11za l'av- vocato Riccardo Ba-zzoni, eleggendo il Dimmer a primo vicepresi- dente.

Francesco Hermet aveva errato e dignitosamente si trasse in disparte. Ai primi attacchi e alle fiere critiche <ii cui fu fatto segno rispose con un opuscolo «Ai mei elettori. Lettera aperta di Fran- cesco Hermet». In esso cerca di dimostrare che cd'on. Dimmer ri- sponda meglio al principio della salute della cosa pubblica e non meno a quello di nazionalità che l'on. d' Angeli)) e prova la sincerità della sua convinzione e la sua buona fede, insospettabili nel vecchio lottatore che consapevolmente mettevi), a rischio la sua bella popo- larità e poteva dir cli sè: ccnella avanzata mia età cfa un decennio affetto da. malattia cronica eil incurabile, io mi trovo nella condi- zione o fortunata o sciagurata, come meglio si voglia considerarla, di chi non ha più nulla a temere nè a sperare». L'opuscolo attizzò il fuoco delle passioni politiche, a seg!\O che un amico dello Hermet, temendo forse di non trovare accoglienza nei giornali triestini di parte nazionale, ritenne di dover prenderne le <iifese, sulh Gazzetta di Venezia (8 maggio 1879, n. 122). Dell'articolo, pacato e giusto, sarà opportuno riportare la chiusa : ccQuando Hermet dìce che Dimmer quale podestà di Trieste, ccper l'indipendente sua posizione sociale, le cospicue relazioni, la rispettabilità», si sarebbe intromes_so con efficada, ogni q uaJ volta fosse stato necessario, fra l'autorità del Governo e quella del Comune in caso di controversia e caneglio !M ogni aJtro ei sarebbe stato in grado di porre un argine effettivo ...

ai-conati che ogni qual tratto si manifestavano ostili ai nostri diritti

!\azionali e di autO!\Omie provinciale e comunale», potrà altri impu- targlielo ad errore, ma nessuno sarà in diritto di insinuare che Hermet non ne sia stato persua<1O.

Ed in realtà, dopo tutto, dove mi facessi a domandare ai miei concittadini' onesti che cosa pensino eglino sugli attuali sentimenti patriottici dell'on. Hermet, non uno troverei che in buona fede avesse a dichiararmi che la fede politica di Hermet non sia oggi quaJe fu ieri, quale fu sempre, quale era nel 1852, quando la sua fedina poli- tica lo descriveva ccfanatico partigano della sognata indipendenza italiana>). Ed allora perchè ieri al Campidoglio ed oggi alla Rupe Tarpea'? «E' il retaggio dii qualunque si adoperi per la cosa pubblica>)

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MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE 101

micìzia intrinseca e la fraternità di vita tra il 1838 e il 1848 conchiu- deva: «E' un conforto di aver avuto per amici uomini similbi e il Don Oh,isoiotte (21 febbraio 1883) accostava la figura dello Hermet a quella di Guglelmo Oberdan, di cui il patriota morente aveva se- guito con angoscia il martirio.

All'iniziir del 1879, il Nostro dettò le sue memori.e .alla figlia giovinetta: lo scrivere gli costava ormai fatica e pena. Ritoccò poi di suo pugno il manoscritto, del quale, così corretto, trasse copia il figlio Carlo. Il primo manoscritto, che nelle note ho chiamato A, consta di 25 fogli sciolti, da due facciate; il secor>do (B) di 19 fogli di carta protocollo, sui quali la scrittura copre, in colonna, la metà di ciasctma pagina. Del primo s'è perduto un foglietto : esso termina con lo scioglimento del Consiglio, avvenuto nel 1878.

Ho seguito il secondo, ricorrendo però al primo, quando appa- risse qualche errore materiale di trascrizione. Poichè nè l'uno nè l'altro sono di mano dell'autore, ho ritenuto lecito aggiungere qual- che virgola e correggere, in pochissimi luoghi, l'ortografia.

Le memorie appariscono disadorne e scarne. N e·ssuna cura di abbellirle, e di rado l'autore si abbandona al sentimento. Egli misura le parole, trattenuto da schivo pudore, come colui che preferiva l'opera ai detti. Anche lo frenava l'abitudine e la disciplina del si- lenzio e del segreto, per cui nulla dice della sua attività più stretta- mente politica e irredentistica, che però trapela qua e là attraverso la cauta narrazione.

Tuttavia mi pare che esse costituiscano un documento di notevole valore storico, e interessanti riescono in ispecie i tratti attinenti al- l'ambiente triestino di prima del '48, alla nuova Favilla, alle prime elezioni amministrative, agli episodi del 1868, all'attività parlamen- tare dello Hermet. Nè si possono leggere senza commozione le medi- tate e nobili parole con cui egli chiude la narrazione della sua operosa vita.

MARINO SZOMBATHElLY

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Ml!MORIEJ AUTOBIOGRAFICHllJ 101

micizia intrinseca e la fraternità di vita tra il 1838 e il 1848 conchiu- deva: «E' un conforto di aver avuto per amici uomini simili)) e il Don Ghism,otte (21 febbraio 1883) areostava la figura dello Hermet a quella di Guglelmo Oberdan, di cui il patriota morente aveva se- guito con angoscia il martirio.

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All'iniziJ del 1879, il Nostro dettò le sue memorie alla figlia giovinetta: lo scrivere gli costava ormai fatica e pena. Ritoccò poi di suo pugno il manoscritto, del quale, cosi corretto, trasse copia il figlio Carlo. Il primo manoscritto, che nelle note ho chiamato A, consta di 25 fogli sciolti, da due facciate ; il secondo (B) di 19 fogli di carta protocollo, sui quali la scrittura copre, in colonna, la metà di ciascuna pagina. Del primo s'è perduto un foglietto : esso termina con lo scioglimento del Consiglio, avvenuto nel 1878.

Ho seguito il secondo, ricorrendo però al primo, quando appa- risse qualche errore mate,riale di trascrizione. Poichè nè l'uno nè l'altro sono di mano dell'autore, ho ritenuto lecito aggiungere qual- che virgola e correggere, in pochissimi luoghi, l'ortografia.

Le memorie appariscono disadorne e scarne. Nessuna cura di abbellirle, e di rado l'autore si abbandona al sentimento. Egli misura le parole, trattenuto da schivo pudore, come colui che preferiva l'opera ai detti. Anche lo frenava l'abitudine e la disciplina del si- lenzio e del segreto, per cui nulla dice della sua attività più stretta- mente politica e irredentistica, che però trapela qua e là attraverso la cauta narrazione.

Tuttavia mi pare che esse costituiscano un documento di notevole valore storico, e interessanti riescono in ispecie i tratti attinenti al- l'ambiente triestino di prima del '48, alla nuova Favilla, alle prime elezioni amministrative, agli episodi del 1868, all'attività parlamen- tare dello Hermet. Nè si possono leggere senza commozione le medi:

tate e nobili parole con cui egli chiude la narrazione della sua operosa vita.

MARINO SZOMBATHELY

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MEMORI.E AUTOBIOGRAFICHE DI FRANCESCO HERMET Nacqui il 30 novembre 1811 in Vienna da Paolo Hermet, nato in Venezia e da l\faria Zaccar-Hogenz da Smirne; il mio avo paterno Gregorio Hermet e la mia ava Maddalena, nata contessa Sceriman, nacquero in lspahan, antica capitale della Persia e pr~isamente nel sobborgo nominato Giulfa, abitato· esclusivamente da Armeni.

I miei progenitori da parte paterna erano oriundi di Francia, di religione protestanti (ugonotti) emigrati in Persia dopo la rivo- cazione dell'editto di Nantes. Cosa strana! Emigrarono per causa di religione ed in Persfa la mutarono e si fecero cattolici di rito i a,rmeno.

Quelli di parte materna appartenevano ad! una antica famiglia armena, domiciliata in Persia. In sul principio del secolo passato, in seguito ad una delle tante rivoluzioni di palazw che travagliavano quello stato, fuggirono e si stabilirono in Venezia').

Le grandi ricchezze della famiglia Sceriman andarono _divise fra numerosi discendenti ed in gran parte caddero in mano dei francesi alla caduta della Repubblica Veneta.

Tornando al mio curriculum vitae, mio padre che nel 1811 erasi da Trieste (dove il mio avo Gregorio Hermet nella seconda metà del secolo scorso aveva piantato domicilio, fatto acquisto di fond1, co- struita la casa detta dei bagni, nei pressi della Chiesa di S. Antonio Nuovo e nell'area adiacente eretto un grandioso stabilimento di bagni ad uso orientale) per ragioni di commercio trasportato in Vienna, ove, come ho già detto, sortii i natali nello stesso anno, riprese stabile dimora a Trieste nel 1818.

Mi misero in iscuola e profittai malamente _delle quattro classi elementari dell'unico pubblico istituto scolastico esistente in quel- l'epoca a Trieste, cioè dell' I. R. Capo Scuola Normale con insegna- mento in lingua tedesca, salvo due ore per settimana di lingua ita- liana, nella quarta classe soltanto ').

E' a notare che ebbi a condiscepolo Giuseppe Revere, e tutti e due, piuttosto che subire la tortura dell'istruzione esotica, preferi- vamo di passare, segnatamente le ore del dopopranzo, sdraiati sugli erbosi prati dell'Acquedotto leggendo e declamando a squarciagola un'enorme quantità di commedie, drammi e tragedie,, senza dire della Gerusalemme, del Furioso e dell'Iliade tradotta da Vincenzo Monti.

Queste letture eccitarono in me maggiormente la passione, che in età.

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ancor più tenera avevo concepita per il teatro e per tutto ciò che vi avesse analogia, cosicchè nelle mattine frequentavo le sacrestie per servire la messa e la sera, in una o nell'altra brigatella d'amici, mi divertivo a recitare commedie, alcune delle quali da me improvvisate e scarabocchiate in carta tre-capelli.

Frequentai un anno l'Accademia di Commercio e Nautica e nel 1825 con mio cognato dott. Fendtll'l rividi Vienna; per mezzo anno studiai latino in uno dei Ginnasi di quella città.

Per circostanze di famiglia l'anno appresso rimpatriai e fui messo al lavoro, cioè feci il garzonato in un magazzino e scrittoio, nettando le lampade, andando alla posta e sorvegliando una ventina di donne e di ragazze che cernevano gli stracci che poi si spedivano in Inghilterra ed in America. Passavo il tempo con le mie letture predilette, alle quali avevo aggiunto opere di miglior polso, cioè Vol- taire, R-Ousseau, Schiller, Goethe, Wieland, Byron, una sterminata quantità di libri di poesie, romanzi, ecc., perchè nel frattempo aveva, in parte coll'aiuto di un maestro, in parte da me, appreso il francese e pizzicato un poco di inglese; il tedesco lo conosceva abbastanza bene, più che per gli studi per le molte letture fatte.

Tutta questa roba, cacciata nella mente senza metodo e studi preparatori, rimase mal digerita e ne raccolsi purtroppo poco buon frutto. Quante volte malediva alla sorte che non mi permise di pro- seguire i miei studi regolarmente e pel veicolo della lingua mia ma- terna!

Nel 1829 feci la mia prima comparsa qual dilettante filodramma- tico nella Società Filarmonica-Drammatica novellamente istituita, che aveva piantate le sue tende nell'attuale Teatro Filodrammatico.

Vi appartenni in qualità di attore, più tardi anche di istruttore drammatico, fino al 1860, e 11e fo parte ancora in qualità di direttore (1879) ').

L'istruttore drammatico della Società nel 1829 era Filippo Ca- sari d'a Ferrara, autore di forse 200 opere drammatiche, tra originali, traduzioni e riduzioni, più le ultime che le prime'). Questi voleva che assumessi le parti del caratterista che troppo non mi andavano a genio. Dopo qualche tempo cambiai ruolo seguendo le mia inclina- zione e sostenni per molti anni, cioè dal 1834 al 1860, le parti di primo attor,e, di preferenza quelle in tragedia. E perchè parlo di teatro, era naturale che, secondando la mia passione facessi conoscenza, o come si suol dire, vita, coi più distinti artisti drammatici, fra i quali mi piace ricordare i nomi di Luigi Vestri, Luigi Domenicani, Luigi Gat- tinelli, la Internari, la Pelzet, Amalia Bettini, Gustavo Modena') (col quale ebbi l'onore di recitare nella prima rappresentazione del

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Marco J:!ozzari di Antonio Somma '), al Teatro Corti, sostenendovi la parte -del bascià turco, Mustafà; era nel 1847 ed Ernesto Rossi in allora giovanetto faceva la parte di un greco Giorgio), Adelaide Ristori, al cui fianco recitai per due sere al Teatro Comunale la parte di Nicolò nella Parisina del Somma, Ernesto Rossi, amicissimo mio, con cui recitai egualmente per due sere, - una al Teatro Corti e l'altra al Mauroner - , la parte di Lanciotto, nella Francesca da Rimini. Ciò avvenne nel 1849 nel tempo del colera, e la priRla donna, Amalia Ferrari, pochi giorni dopo la recita, rimase vittima del morbo.

Recitai con la Giovannina Rosa e con Luigi Capodaglio in diverse produzioni a beneficio della compagnia che trovavasi a m;tl partito.

Ne era direttore Francesco Augusto Bon che mi era amico. Ebbi in- trinseca amicizia con Adamo Alberti, Luigi Romagnoli, Alemanno Morelli, Bellotti-Bon e molti altri').

Essendo, nel 1839, stato nominato dal Municipio attuario del.la direzione del Teatro Grande, ora Comunale, ebbi conoscenza e pra- tica personali con la maggior parte de' celebri cantanti e danzatori ') di quell'epoca. Direttore del Teatro per qualche anno era Antonio Somma, ed io tenni quel carico ') fino al principio del 1848.

Nel 1845 eressi a mie spese il Teatro Corti ") che d'arò fino al 1857. In quest'anno ebbi la concessione dal Governo pel Teatro Armonia, che venne. eretto ed aperto nel 1858, sopra disegno dell'ar- chitetto Andrea Scala per conto di una società di dieci azionisti. Per due anni ne ebbi la direzione, che lasciai, non convenendomi di sotto- stare ai capricci di uno dei dieci proprietari.

Se avessi a citare le parti da me sostenute con qualche buon ~uc- cesso e che mi procurarono l'amicizia e la stirua di egregi artisti drammatici, dovrei dire dell'Eteocle nel Polinice, del Filippo, del- l'Egisto nell'Oreste, del Saul, eseguito più volte, di Ugo e Nicolò nella Parisina, dell'Aristodemo del Monti, e di varie altre. Il novero delle parti da me sostenute arriva quasi a, 300.

Nel 1830 fui c01·rispondente in lingua italiana, francese e tedesca presso la ditta bancaria ((Panzera & Coz.7,h> .ihe liquidò dopo tre mesi;

trovai impiego presso un certo L. l,ieven che aveva un piccolo negozio di manifatture : teneva i libri, la cassa, la corrispondenza. Anche costui dopo pochi mesi se ne andò in Russiit lasciandomi procura e non ritornò più. Poco dopo trovai collocamento presso la ditta I. A.

Reinelt, padre del vivente Carlo Reinelt, erede del defunto Reyer.

A questi aveva alcuni anni addietro dato lezioni di lingua italiana.

Mi davano f. 10 al mese, avevo l'incombenza di tenere dei libri ausi- liari e di parte della corrispondenza, quand'o nel 1832 mi venne fatta

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MEMORIB AUTOBIOGRAFICHE io,

l'offerta di passare in Lubiana nella Raffineria di zuccheri di Czeicke, Duthiel Fidy & Comp. con buona paga e migliori prospettive per . J'a,vvenire, senonchè dopo d'ue anni, annoiato a morte di trovarmi in quel paese, approfittai di una buona occasione e ritornai a Trieste ( ad occupare, il posto di corrispondente nelle tre lingue che conoscevo i. presso le Assicurazioni Generali, in allora Austro-Italiche.

" Disgrazia volle che nel 1836 il colera rapisse alla famiglia mio

fratello maggiore Gregorio, che ne era in gran parte il sostegno, ed era ottimamente incamminato in commercio, facendo l'agente di 10 a. 12 case estere, dei maggiori centri commerciali marittimi.

Assunsi di punto in bianco questo incarico per me nuovo affatto e tirai innanzi con discreta fortuna fino al 1848.

Nel 1841 nel 29 di giugno venne a morire mio pad're, in Capo- distria, dopo una malattia di poche ore. Esso e là famiglia si trova- vano da due anni colà, dove eransi ritira.ti per ragioni di economia e perchè mio padre, perduta la vista, dovette rassegnare un impiego di contabile che in tarda età aveva dovuto accettare presso una Ca- mera di Sicurtà.

Gli sconvolgimenti politici del 1848 ebbero per conseguenza al- trettanti mutamenti commerciali, segnatamente causa del deprezza- mento della valuta e della crisi che ne fu la conseguenza. Le mie relazioni commerciali si trovarono spostate, ed' io che m'ero dato con ardore a seguire il movimento politico, non ebbi agio o forse nem- meno volontà di andare in cerca di nuove vie e risorse per riparare ai danni economici che i rivolgimenti commerciali mi avevano ca- gionato.

Avevo alcuni anni prima, cioè nel 1839 come ho già _detto, accet- tato il posto di attuario nella direzione del Teatro, nel 1844 quello di tenitore di libri e corrispondente presso l'Agenzia Generale della Prima Società Austriaca di Assicurazione, nel 1845 aveva impreso per mio conto la conduzione del Teatro Corti, nel 1842 aveva in so- cietà con Federico Wagner istituito l'Istituto di Mutuo Soccorso per commercianti, ed' aveva conservata la relazione di d'ue a tre case estere.

Con questi mezzi potei sostenere alla meglio la famiglia paterna, provvedere a me stesso e alla mia, giacché nel 1845 avevo presa mo- glie e cou essa accolte in casa due cognate e provveduti di impiego d'ue cognati. In tntto erano ben. dieci individui per i quali dovevo provvedere.

In tutto questo tempo non avevo mai tralasciati i miei studi fa- voriti, cioè, lingue, letture di buoni libri, e continuava sempre a pren- dere parte attiva nelle rappresentazioni drammatiche della Soçietà;

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106 FRANCESCO HlilRMlìl'f

avevo anche per uno o due anni prese lezioni di canto, ma non potei applicarmi di proposito, per quanto lo avrei desiderato, sicchè poco buon profitto ne ho potuto ricavare.

Alcuni anni dopo il 1830. a poco a poco andò formandosi a Trieste una piccola colonia di uomini di lettere, venuti in parte dal Veneto e dal Trentino. Giovani tutti volonterosi di piantarvi stabile dimora sia adoperandosi con l'insegnamento della lingua e delle belle lettere, sia in qualità di legali. Trovarono liete accoglienze non solo da parte dei maggiorenti, ma più ancora dalla gioventù, riguardo la quale fu- rono nello stretto senso della parola, la favilla che ((g-ran fiamma secondalr ").

Dall'Ongaro, Antonio Somma, Pacifico Valussi, Girolamo Fanti, veneti, Antonio Gazzoletti, dal Trentino, formarono il nucleo di una raccolta di giovani i quali, sera,lmente adunandosi a lieti convegni, si intrattenevano di arti e di letter<l e forma.vano un centro a cui accorrevano a quando a quando dalle propinque provincie italiane lettera.ti, poeti, pittori, scultori, maestri di musica, artisti di canto e di drammatica, infine tutti quanti che per un titolo o l'altro eranvi attirati dall'amore alle lett<1re ed alle arti e dal proposito di mante- nere vivo lo spirito nazionale e recarvi di continuo nuovo e potente alimento"). Non è a dire quanto io profittassi da quelle amicizie. da quelle conversazioni e come le ore passate frammezzo a quegli egregi fossero le più belle e gradite della mia vita.

Ebbi occasione di conoscere Tommaseo, Andrea Maffei, i d'ne Zec- chini, Jacopo Cabianca, Cesare Betteloni, Zandomenegbi padre e figlio (scultori), i due Cameroni, l'uno autore drammatico e l'altro scultore,, i Bosa padre e figlio, scultori, Lipparini, Paoletti, Grigo•

letti, pittore, e altri tanti ancora ").

Fra quelli della nostra città e delle provincie vicine, vanno ricor- dati Antonio Madonizza, Besenghi degli Ugbi, Michele Facchinetti.

Duplancich, i due fratelli Ricci, Alberto Mazzucato, maestro di mo sica, Caffi pittore").

Assiduo lettore di giornali fino dall'adolescenza, la rivoluzione del luglio 1830 divenne incentivo a uno studio speciale dei periodici e scritti politici,. francesi, inglesi e tedeschi, per seguire da vicino le vicissitudini politiche che da quell'epoca fino a qui mutarono la faccia d'Europa.

E' da lì che ebbe principio l'interesse che ho di poi sempre portato alle cose di pubblica ragione. Precisamente nel 1831, trovandosi n~l Castello di Trieste un buon numero cli polacchi, detenuti in attesa di essere trasportati in America, ebbi relazione con qualcuno di loro,

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MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE 107

e questa circostanza diede adito ad una mia prima manifestazione dei miei sentimen.ti politici, che noto per la singolarità del caso.

Eravamo una dozzina di giovinotti a passarsela in una birreria. l)i fronte a noi ad altro tavolo una dozzina di militari, per lo più giovani cadetti e qualche basso ufficiale. Questi sparlavano dei po- lacchi che si trovavano chiusi nel Castello e contemporaneamente noi esaltavamo le prodezze dei loro connazionali. Se pure da noi si discor-- resse in italiano e quelli in tedesco, pure non tardò molto che parole più o meno pungenti si scambiassero tra le due parti : il diverbio divenne minaccioso e poco mancava che dai detti non si passasse ai fatti.

Vedendo la mala parata, noi pochi e disarmati, essi in maggior numero e coll'arma al fianco, io a calmare l'ardenza dei contendenti pronunciai il mio mnaid:en speechJJ politico, e, vedi caso strano, in lingua tedesca. Riuscii nell' intento e la cosa finì con degli evviva ai valorosi di qualsiasi nazionalità.

Nel 1848 trattavasi che Trieste doveva inviare due deputati al parlamento di Francoforte, eletto a suffragio universale. Mi trovavo nelle liste tra gli elettori. Il circondario elettorale a cui appartenevo era presieduto dal dott. G. B. Scrinzi, ora membro della Camera d<,i Signori al Parlamento di Vienna ").

Esso propugnava la candidatura del signor de Bruck che fu poi ministro, e dell'avv. Burger che fu poi luogotenente in Lombardia e poscia ministro in Vienna.

L'adunanza constava di circa, 300 elettori e le candidature che erano governative sarebbero indubbiamente passate, se non mi fossi fatto oppositore: proponeva di inviare a Francoforte due nostri con- cittadini e riusciva a far sospendere la seduta e trasportarla per il giorno appresso in altro locale, precisamente nel Teatro Corti .di cui io era proprietario. Ciò ebbe luogo e passarono le candidature da me propugnate, però senza risultato definitivo, perchè i nostri voti si trovarono in minoranza di fronte agli altri 10 collegi elettorali. Scopo delle candidature da me proposte, era la protesta contro l'aggreg>t- zione di Trieste alla Confederazione Germanica.

Questo successo, sebbene passivo, mi diede animo a suscitare un po' di risveglio nella vita pubblica, e da li a pochi giorni indirizzai un invito alla cittadinanza di radunarsi a comizio popolare nel Tea- tro Corti il dopopranzo di un giorno festivo, allo scopo di istituire una società politica democratica, che doveva far fronte ad un comi- tato sedicente patriottico che erasi costituito con intendimenti ultra- conservativi, nella sala del Casino vecchio"), ora del Gabinetto di Minerva in Piazza della Borsa.

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108 FRANCESCO HERMET

Circa 1000 persone aecorsero al mio invito. Esposi lo scopo al l'adunanza, che non trovò opposizione se non da parte di un vecchio avvocato (dott. Baseggio) il quale voleva sa,pere in virtù di quale autorizzazione eravamo adunati ed a cui risposi : per la volontà del popolo.

La costituzione della società venne per acclamazione adottata, La Società prese nome <<Società dei Triestini», ebbe per Presidente Pietro Kandler e Vice Presidente Costantino Cumano, io con alcuni

altri formavamo parte del Comitato"). ·

Durò pochi mesi fino alla reazione avvenuta nell'ottobre seguente, tenne molte-sedute pubbliche, trattando di interessi nazionali e citta, dini e compilò un progetto di «Costituzione su base democratica>> che venne spedito in Vienna alla Costituente e giungeva proprio in tempo onde essere confiséato dalle truppe che assediavano quella città.

Nel 1850 fondai un foglio politico che esciva due volte per setti- mana ed era intitolato c<La Favilla)). Nei primi tempi vi collabora- vano egregie persone tanto di qui quanto del Veneto, dell'Istria e del Goriziano. Queste però dovettero ben presto ritirarsi dinnanzi ai ri- gori della reazione, che incalzava sempre più; nel secondo anno il giornale si ridusse ad una semplice cronaca, ma anche questa non garbava per quanto fosse innocua, ed avute le tre ammonizioni che in quel tempo erano richieste per far morire i giornali di morte violenta, esso soggiaeque all'inevitabile suo destino nel novembre 1852,

Oltre alla compilazione in genere del giornale, avevo assunta in ispecie la redazione della cronaca cittadina, cioè cose patrie, sedute del consiglio, cronaca dei teatri e simili. L'amministrazione andava per mio conto, ed avrebbe potuto dare qualche utile, ma si liquidò con perdita per effetto delle persecuzioni su accennate.

E' rimarchevole un processo politico cbe venne iniziato a mio ca- rico in causa del giornale. Vi era inserita una notizia tolta dal «Cor- riere Italiano)) che si stampava in Vienna per ordine e conto dd go- verno, redattore Alessandro Mauroner. Era una relazione dei di- scorsi tenuti da. Kossuth a Nuova York ed in altre città degli Stati Uniti. I. despoti di Europa non, vi erano accennati troppo benigna- mente. Ciò diede sui nervi alla Procura di Stato, che vi ravvisò il crimine di lesa Maestà in primo grado, crimine passibile di una pena fino a dieci anni di carcere duro. Il responsabile del foglio se la cavò indicando me quale autore dell'articolo, Venne aperto pro- cesso di inquisizione. In quell'epoca la procedura ammetteva la difesa anche per questo primo stadio del processo. Invano cercai fra gli avvocati del paese chi volesse assumere la mia difesa, Avevano paura, Mi difesi da me.

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M!lMORI!l AUTOBIOGRAFICHE 109

Il giudice istruttore era un nostro triestino, il consigliere Rava- sini, degno galantuomo. I miei mezzi di .difesa consistevano nel foglio originale del Corriere Italiano e nel vocabolario della lingua italiana del Bazzarini. Dettai otto a dieci pagine di roba facendo ridere a crepapelle il mio giudice che mi diceva: la diga, la diga, la v8c(fa avanti, bello ! bello ! Erano canzonature solla circostanza abbastanza bizzarra di un giornale incriminato che il Governo pagava e sul signi- ficato del vocabolo «despota)) che il Bazzarini decifrava: «dignità dell'impero greco)), sul titolo assunto e dato comunemente dallo czar di autocrate di tutte le Russie, su quello prediletto /fal Sultano, Pa- discià, cioè «Re dei Re>J, e finalmente, ciò che in senso giuridico riuscì decisivo, feci cenno della patente sovrana del dicembre 1851, con cui l'iinperatore aveva dichiarato di riassumere in sè tutti i poteri dello stato. L'esito di questa difesa fatta a modo mio fu soddisfacentis- simo. La Procura desistette dal processo e nel decreto di desistenza si pregava la redazione di non far cenno dell'avvenuto nel giornale.

Qualora mi fosse toccato un altro giudice inquirente, oppure - chi lo sa? - se fossi stato difeso d'a qualche avvocato formalista adoratore di paragrafi del codice di procedura, avrei potuto di leg- gieri andare in gattabuia per un quafohe mesetto a figurare senza grave danno nel martirologio della reazione. Erano bei tempi quelli

e durano ancora! ·

Il processo mi diè adito a conoscere l'opinione che dei fatti miei aveva Madonna la Polizia. Ispezionai la mia mia fedina politica, e questa suonava testualmente : «fanatico partigiano 9.illa sognata in- dipendenza italiana)). Eravamo nel 1852 ! !

Da Il fino al 1859 marasma. assoluto nella vita pubblica, la ple- iade dei letterati ed artisti che aveva illustrato Trieste per circa due decenni, il 18<l8 erasi dispersa al di là dell'Isonzo, i più con sacri- ficio di onorate e lucrose posizioni acquistate col lavoro indefesso nei vari rami dello scibile e nell'esercizio delle belle arti. Trieste ripiombò nell'antica atonia, pur sempre mantenendo viva sotto la cenere la favilla benefica che da lì a non molto doveva mandare sprazzi di luce .e di calore.

Il Consiglio della città ") (che era rimasto immutato, tal quale era stato eletto nel 1850 giusta le disposizioni dello Statuto di quel- l'anno, ad eccezione di pochi nuovi aggregati nei casi di morte, di- missione, ma non in via <li elezione, sibbene per opzione dello stesso Consiglio) teneva seduta, verso la metà dell'anno 1859, per deliberare in argomento d'istruzione pubblica. I liberali credettero opportuno il momento di dar segno di vita e tentarono di organizzare una di- mostrazione per far sì che il Consiglio petizionasse, onde ottenere

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110 FRANCESCO HERM!ilr

dal governo che nelle scuole elementari e medie venisse introdotta ed adottata la lingua italiana quale lingua d?insegnamento.

M' interpellarono perchè prendessi parte alla dimostrazione. Fui sempre avverso agli schiamazzi di piazza; rifiutai, anche perchè ne prevedevo il mal esito, non solo per ciò che si attendeva dal Con- siglio, ma più ancora causa i dimostranti stessi. Però, essendo corsa la. parola «paura))! promisi di andarvi ed ebbi a compagno Eugenio Solferini ").

I dimostranti dovevano essere in numero di 5 a 600. Furono, in sul principiare della seduta, alle 6 pomeridiane, da cinquanta a sessanta! I passanti che si fermavano per curiosare accrebbero a quando a quando il numero fino a 200 o giù per li. Ma la seduta durò ad un bel circa due ore, e quando la fu finita,

i'

dimostranti si potevano contare sulle dita, fra qu:esti due avevano preso posto proprio sotto l'arco della loggia, ed erano Solferini ed io. Usciti i consiglieri, uno fra essi, vedendo questi d'ue in sentinella., esclamò : Ah, ora comprendo! («Jetzt begreife ich)) !).

Pochi giorni dopo comparve nella Gazzetta Universale d' Augu- sta («Allgemeine Z<!itung») un articolo fulminante contro i dimo- stranti che osavano pretendere che l'insegnamento venisse dato a Trieste nella lingua nazionale, ed i loro capi qualificavansi per i due famigerati uccelli nunzi della tempesta («SturmvéigebJ) Hermet e Solferini ! L' articolo fece gran chiasso a Trieste, specialmente quando lo lessero riprodotto in tutti i fogli di Vienna, con i rispettivi nomi e commenti saturati d'acido solforico e pepe di Caienna.

Da quell'epoca i fogli tedeschi, e segnatamente quelli di Vienna, cominciarono ad occuparsi del pregiato mio individuo. Era il capro espiatorio che ad ogni occasione doveva pigliare sulla groppa botte da olio santo, ogni qual volta sentivano il bisogno di sfogare la bizza, che gli avvenimenti in generale, ed ispecialità poi quelli delle pro- vincie austro italiche, cioè il Lombardo-Veneto e le altre di nostra nazionalità, appartenenti al nesso austriaco, loro cacciava nel- l'animo.

Il meno che mi toccava di veder stampato in bei caratteri gotici era: il rinnegato, l'armeno tedesco, nato in Vienna e mascherato da italianissimo, l'istrione, il clown, il dilettante politico e cosi via di trotto.

Vedi, figliolo, quanta messe di allori ho raccolto, e questo non dico in senso ironico, perchè me ne tengo onorato.

La petizione domandata al Consiglio non ebbe luogo, e non se ne parlò più. Io però venni chiamato ad' «audiendum verbum)) dall'in allora f.f. di Luogotenente che, in istile agro-dolce, mi fece una lunga

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MIDMORI!il A UTOBIOGRAFICIDJ 111 paternale, a scanso di spiacevoli conseguenze/ Era il barone ·cario Pascotini, di lì a non molti anni mio stimatissimo ed amabilissimo collega aJ Consiglio di e tale della città di Trieste ").

Una o due settimane dopo, la battaglia di Magenta ed il con- seguente «Tede.uro laudamusii cantato ufficialmente da Antonio An- tonaz nell'«Osservatore Triestinoii, spazzarono via il barone f. f. di Luogotenente e le sue ammonizioni").

Nel 1860 uscì la patente del 20 ottobre che chiamava a vita co- stituzionale i Regni e i Paesi dell' Impero. A Trieste venne mante- nuta la sua provincialità, il titolo diplomatico e le prerogative di città immediata dell'impero e fu richiamato in vigore lo statuto civico del 1850.

Appena nel marzo del 1861 potè riunirsi il Consiglio dietale della città, costituito da 54 consiglieri, dei quali 48 eletti dagli abitanti della città propriamente detta e sei d'agii abitanti del territorio. Que- sti ultimi quasi esclusivamente conta_dini e dl nazionaJità slava.

A formare il Consiglio e preparare le· elezioni eransi costituiti tre Comitati elettorali; uno aveva colore pronunciatissimo conservativo, gli altri due preparavano le elezioni in senso liberale. Il primo dl questi era composto dalla parte, diremo. aristocratica, dei liberali, l'altro aveva tend'enze più democratiche").

Venni proposto quaJe candidato nel primo Comitato liberale, che teneva le sue sedute in casa Ara"), ma non ottenni la maggioranza dei voti: mi ritenevano di opinioni troppo avanzate. I democratici non si curavano di me. Si venne alla vigilia delle elezioni. Le sorti dell'esito erano dubbie; i conservativi comprendevano che il risul- tato del 4° corpo elettorale, composto di capi d'arte, piccoli nego- zianti ed industriali, avrebbe avuto un' influenza decisiva sull'esito degli aJtri tre corpi elettorali, essendo il primo a votare e rappre- sentando questi la parte popolare della cittadinanza.

Piantarono su una macchina per tirarli dalla loro, mediante promissioni di vantaggi pecuniari ed assicurando ad essi d'ei posti in Consiglio. I liberali si credettero a mal partito; un'adunanza pre- paratoria doveva aver luogo la sera prima della elezione nella Sala del Teatro Mauroner "), ed era voce pubblica che gli elettori del 4° Corpo si fossero determinati di assecondare le intenzioni dei con- servativi. In tale frangente i liberali si ricordarono di me e mi asso- ciarono perchè intervenissi all'adunanza e perorassi la loro causa, che del resto era anche la mia. Mi trovarono a letto per forte costi- pazione ma, veduto il pericolo, mi vestii e mi portai all'adunanza.

Giunsi in ritardo e per poco fuori di tempo (stavano per effet- tuare la votazione di prova), presi la parola, scoprii gli altarini e

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112 FRANCEJSCO HEJRMET

fui fortunato, perchè nel giorno dopo i 12 consiglieri che dovevano essere eletti dal 4' Corpo riuscirono, quasi senza eccezione, di parte liberale. Com'era previsto, questa elezione influì favorevolmente sul- l'esito delle altre tre, e la grande maggioranza del Consiglio riuscì in senso nazionale e liberale ").

Nel maggio successivo si verificò il caso di alcune elezioni sup- pletorie. Da parte liberale venni indotto di accettare una candida- tura nel .4° Corpo, che accettai, e che venne accolta dagli elettori con decisa maggioranza. Così entrai a formar parte del Consiglio della Città.

Venni dal Consiglio nominato in varie Commissioni e princi- palmente in quella dell'istruzione pubblica. Questa occupavasi di ri- formare il piano d'insegnamento delle scuole elementari e medie, ed ebbi anzitutto cura d'introdurre la lingua nazionale, qual mezzo di istruzione, in luogo dell'idioma tedesco.

In unione dei civici maestri di scuole elem.entari Francesco Ti- meus ") e Francesco Zucca compilai un referato ed un completo si- stema didattico-peda,gogico.

Preletto questo in seno alla Commissione, parve troppo avanzato ed essendomi io assentato per la cura dei bagni di Abano, il referato venne dato adi un collega che, senza nemmeno nominare né i due maestri né me, modificato il nostro progetto in alcuna parte onde renderlo meno pronunciatamente nazionale, lo presentò al Consiglio, e venne da questo accettato"). Su quella base e con i cangiamenti richiesti dalle posteriori leggi dello stato in fatto d'istruzione pub- blica, è ancora oggi in vigore presso tutte le scuole, macntennte esclu- sivamente a spese del Comune, e quanto sia grande il beneficio che ne deriva") alla scolaresca d'ambo i sessi è troppo noto perchè io mi fermi più a lungo sull'argomento.

Sebbene il Consiglio avesse mai sempre adottata e seguita") una politica di somma '") prudenza entro i limiti della più scrupolosa legalità, cionullameno le sue tendenze liberali e nazionali erano troppo in uggia al governo ed al partito retrivo perchè potesse andare a lungo. Difatti, dopo un anno e quattro mesi di esistenza, venne, senza motivo apparente o legale, sciolto per effetto di sovrana risoluzione del 4 agosto 1862 e vennero in pari tempo indette le elezioni per una nuova Rappresentanza entro il limite di quattro settimane.

Riteneva il governo, avvalorato dalle assicurazioni di quelli di parte retriva, che le nuove elezioni avessero dato colore diverso al Consiglio. Per meglio riuscire protrasse, in onta della legge, l'atto elettorale, per modo che il nuovo Consiglio non potè radunarsi se non appena nel 13 luglio 1863 ").

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MEMORI!l AUTOBIOGRAFICHl!l 11~

Fra le altre misure onde vie meglio assicurare la vittoria pensò bB!le il governo di privar me (tanto gli ero già venuto a noia) del diritto elettorale attivo e passivo, col pretesto della mia posizione sociale, da altri dipendente, perchè rappresentante di una società di assicurazione. Questione questa che era già stata messa in campo al tempo della mia prima elezione e giudicata in mio favore dal Con- siglio, confermandola con decisione inappellabile! Ma un decreto ministeriale troncò il nodo gordiano e fui ritenuto nou eleggibile.

Cionullameuo mi misi cou alcuui pochi amici energicamente al lavoro per contrastare agli avversari la vittoria. Costituimmo iu 10 o 12. di uoi un comitato elettorale e, benchè privi di influenza e di mezzi, organizzammo una tale agitazione, che produsse effetti in- sperati, perchè, in onta della pressione governativa e le mene dei retrivi, il Consiglio riusci con maggioranza liberale, se non pari a quella del 1860, però sufficiente a tenere in iscacco la parte conser- vativa. In prova di ciò il Consiglio nominò a suo podestà l'istessa persona che ne aveva antecedentemente occupato il seggio, cioè il signor Stefano de Conti").

Il gove1mo non approvò quella scelta, pi'J' non dargliela vinta il Consiglio elesse a Podestà l'avv. dott. Baseggio; anche questa ele- zione non venne approvata e fu giocoforza, onde evitare un altro scio•

glimento, eleggere persona grata, che si rinvenne nel!' i. r. Consi·

gliere del Tribunale Provinciale, il sig. Carlo dott. Porenta ").

Questo secondo Consiglio così costituito durò fino al gennaio d·e1 1865. Venne sciolto in seguito a quanto avvenne in seno al me- desimo nella seduta del 16 gennaio. Il Podestà dott. Porenta, pren- dendo argomento di una protesta che, a no;,ue della città di Trieste, era stata spedita al Pl'esidente del Consiglio dei Ministri a Torino, il generale Lamarmora, contro una dichiarazione di lui, con la quale annunciava alla Camera in Torino che la città di Trieste non era compresa nelle aspirazioni del Governo Italiano, protesta di cui fa- oevano cenno i giornali di Vienna ecl anche quelli di Trieste, invitava il Consiglio, quale unica legale rappresentanza della città, di mani- festare mediante alzata che la succitata protesta era contra.ria ai sentimenti della città di Trieste. Il consigliere de Rin, appoggiato dal cons. Costantini 34) , dichiarava. non essere l'oggetto cli competenza del Consiglio, che in altre circostanze aveva stabilito di non entrare nel campo politico, e perchè il Consiglio sedeva in qualità di semplice amministratore delle sostanze comunali.

Il Podestà insisteva, ed i consiglieri Scrinzi e Staliz ") lo appog- giarono. De Rin, a sensi d'el regolamento, domanda che si votasse prima l'urgenza, non essendo l'oggetto portato all'ordine del giorno.

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114 FRANCESCO HERMET

Il Podestà non trova qualificato l'oggetto a una speciale discussione invita di nuovo il Consiglio ad esternarsi mediante albata per la su~

proposta. Una parte della destra e del centro soltanto si alzano e la mozione del Podestà è caduta. Poco dopo seguì il decreto di scio- glimento.

Il nuovo Consiglio non venne con vocato che dopo ben nove mesi e tenne la sua prima seduta all' 8 novembre 1865 "). Questo lungo intervallo è dovuto anche alla circostanza che nel frattempo, me- dia.nte diploma del 20 settembre, venne sospesa la costituzione del 1861, licenziato il parlamento e tutte le diete provinciali, quindi anche il Consiglio di Trieste, che funge quale dieta.

Per questa elezione il Governo ed il partito retrivo lavoravano con macchine a dopJlia pressione affine di esautorare la maggioranza, e vi riuscirono, perchè il numero dei liberali, compresi fra questi anche i soliti tentennini, si trovò ridotto a 21, ossia a sette votant.\

di meno di quanto importa la maggioranza assoluta fra i 54 consi- glieri. È rimarchevole che in questa elezione il 4• Corpo elettorale, ritenuto il più pronunciato per sentimenti liberali, fece difetto e, fra i 12 da esso eletti nominò quattro candidati governativi, mentre gli altri otto libera.li passarono con una piccola maggioranza dai 5 ai 20 voti.

Per paralizzare gli effetti dell'nkase ministeriale che mi privava dell'eleggibilità, io aveva nel frattempo avuto ricorso al Consiglio perchè mi conferisse il caxattere di cittadino triestino, al quale, per disposizione statutaria, va annesso l'esercizio del diritto elettorale attivo e passivo. La mia domanda era stata accolta d_al Consiglio, meno i voti dei conservativi, e così figurai nelle liste elettorali per la formazione del nuovo Consiglio. Caddi nel 4" Corpo, fui proposto nel 2° e riuscii eletto per una piccola maggioranza di 8 voti.

In quel tempo, o giù di lì, avvenne che la direzione della società di assicurazione «La Fenice», di cui tenevo la rappresentanza, e d·a cui ritraevo gli unici mezzi di sostentazione per me e la famiglia, mi chiamasse per telegrafo sollecitamente in Vienna. Dopo cinque o sei giorni di dimora colà, non giungevo ancora a conoscere il motivo della chiamata, e ne feci richiesta al direttore sig. Cristiano Heim, ottima persona e che mi era molto amico. Dopo aver esit'1to alquanto dovette convenire che la chiamata non era punto motivata da affari di ufficio, ma che persona altolocata neJ.le sfere governative lo aveva a ciò indotto, perchè egli mi persuadesse di rinunciare alla costante energica opposizione che io faceva al governo, che gli riusciva di grave imbarazzo, appunto perchè tenuta, entro gli stretti limiti rlclla legalità.

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MEMORllll AUTOBIOGRAFICHE 115

Mi faceva comprendere che la Società, trovandosi nella dipen- denza del governo per i continui diuturni rapporti con quello, deri- vati dall'eseJ'cizio delle sue operazioni, potrebbe risentirne danno qualora io persistessi in f]uella via.

Feci presente al direttore Heim clte la giustificazione della mia condotta stava precisamente in ciò che il governo stesso aveva rile- vato : essere cioè la mia opposizione rimasta strettamente entro i limiti delle leggi, e che perciò io non credeva compatibile coi miei doveri di cittadino se vi avessi rinunciato ; che altro non gli poteva prométtere se non di non volermi mai allontanare dalla ma-;sima che avevo spontaneamente adottata, cioè di attenermi alle vie legali, e che, se cionullameno il governo volesse esigere di più, usando pres- sione su di me a motivo della mia posizione di confronto alla Società di assicurazione, io sarei pronto a rassegnare la rappresentanza.

Il direttore Heim lodò la mia ferm~zza e mi assicurò che dal canto suo non avrebbe usata alcuna pre~sione nè influenza sulla mia condotta politica, ma che, per i riguardi che egli era tenuto di osser- vere verso la persona influentissima presso il governo, non aveva po- tuto evitare il passo fatto. La cosa non ebbe ulteriori conseguenze.

La minoranza libemle del nuovo Consiglio ebbe a lottare forte- mente per opporre un argine alle velleità retrogmt'le della maggio- ranza e, se non potè riuscire a far progredire il Consiglio nelle vie di libertà e progresso, pose un argine al malvolere del partito avver- sario, che tentava di ricondurre la cosa pubblica alle condizioni tri- stissime durate fino al 1861.

Trascorso il primo anno, quelli di 1,arte liberale che or ora qua- lificai quai tentennini piegarono a de,;(:ra ed il partib liberale si ridusse a cinque o• sei. Tale era la sfiducia di questi pochi che avevano quasi deciso di dimettersi tutti. Io ebbi la buona ispirazione di oppormi a tale partito, li esortai ,:t l'im:.nere e perseverare con energia e fermezza, e vi riuscii. F-u ventura, che seguissero il mio consiglio, come si vedrà in appresso, per quanto avvenne due anni dopo, nel 1868.

La reazione, trovando il campo lib0ro, spadroneggiava, trovava però un ostacolo alle sue mire in quel picee.lo nucleo di liberali e, cosa degna di rilievo, nella piega che l'indirizzo politico aveva preso in Vienna.

Colà in conse"uenza della guerra rlel 1866, si riaccese la lotta fra feud~li, clericali e slavi da una e tra te.deschi e liberali dall'altra parte. Que,sti ultimi, stretti in alleanza coi Magiari, ebbero il so- pravvento.

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116 FRANCEJSCO HERMET

Ne risultò la modificazion<> della costituzione del febbraio 1861.

mediante le leggi fondamentali del dicembre 1867. Quindi sgoruent~

a Trieste fra i reazionari, e ciò tanto più che si avvici_nava l'epoca della rinnovazione -del Consiglio.

Era luogotenente a Trieste il barone Bach, direttor·,! di polizia il consigliere di reggenza Kraus, tutti e due reazionari ,, dericali di purissima lega, Gli avvenimenti politici del 1866 indussero qui il governo ad allontanare dalla città una trentina di persone, fra Je quali mi trovava ancor io, più per consiglio confidenziale che non per ordine esp1·esso. Mi recai in Vienna nel principio dei giugno e dopo qualche tempo a Graz. ove rimasi a guerra flnitél,.

Avendo da colà fatto indagine se avessi potuto rimpatr-iare senza ostacoli, non ebbi risposta, sicché, annoiato da troppo lunghi indugi, tornai a casa, senz'altro, e non venni molestato.

La promulgazione delle nuove leggi fondamentali e segnatamente di quelle concernenti i diritti generali dei cittadini, del 21 dicembre 1867, sul diritto di riunione e di associazione, del 15 novembre 1867, sulla relazione della scuola colla Chiesa, del 25 m,tggio 1868, sulle condizioni interconfessionali di ugual data, ed altre analoghe disposi- zioni legislative di minor importanza, avev;:,,no da un_ canto rialzato lo spirito e rianimate le speranze dei liberali e dall'altro amareg- giate ed intristite quelle dei reazionari; ne venne una sel'ie cli con- flitti più o meno gravi fra le autorità governative, quelle delia Chiesa e la rappresentanza del Comune, attriti frequenti fra la popolazione della città, nella sua immensa maggioranza di sentimenti nazionali e liberali, e quella del territorio e delle contrade esterne, consistente quasi esclusivamente di cittadini di nazionalità slava, dunque, per sentimenti e per influenza, interamente dediti al clericalismo ed' al panslavismo.

Rappresentavano, in città, la parte liberale l'Associazione dì Gin- nastica") e la Società Politica del Progresso, istituita per mia ini- ziativa nell'aprile del 1868. Nella città e nel territorio le varie «citau- nize» (assocfàzioni) di partito slavo o clericah .

La Società di Ginnastica aveva la sua sede al Boschetto, sito all'estremo lembo di nna contrada esterna della città, quindi spessi conflitti fra quegli associati e i rurali dei dintorni. Questa tensione fra le autorità cittadine e le governative ed· ecclesiastiche, fra citta- dini e rurali, durò, con più o meno violente manifestazioni, tutto -l'anno 1869. La Curia vescovile convocava, nel giugno 1868, una con-

ferenza magistrale, ritenendosi a ciò autorizzata per il diritto di su- prema sorveglianza sulle scuole che le leggi antecedenti, derivate dal

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MEMORIE AUTOBIOGRAFICHE 117

Concordato stipulato dallo Stato con lit Sede Pontificia, le avevan conceduta.

Il civico maestro sig. Francesco Timeus, dirigente di una scuola popolare,_ pro~stò, in b~e-alla nuova legge scolastica contro questa convocazione, m forma di interpellanza, perchè il rappresentante del Governo _<Jfchiaras~ in virtù di qual diritto, di qual legge si fossero convocati 1 maestri a conferenza e, non avendo ottenuto soddisfacente risposta, abbandonò la sala con altri 19 suoi colleghi.

Questo fatto fece profonda impressione nella cittadinanza mentre il governo, pochi giorni appresso, fece pubblicare un viole~tissimo articolo nel foglio ufficiale «L'Osservatore Triestino>>, col quale pren- deva le parti del Concistoro vescovile, biasimando aspramente la eondotta del Timeus ed indirettamente quella del Consiglio della città.

Nella seduta pubblica del Consiglio del 26 giugno successivo ri- levai lo stato delle cose, l'importanza del succitato articolo, lo sfre- gio fatto all'autorità del Consiglio, feci motivata mozione pei·chè il Consiglio dichiarasse la condotta del Timeus e dei suoi colleghi con- forme alle leggi del dicembre 1867 e del maggio 1868, mozione che venne adottata quasi ad unanimità.

Il Luogotenente dal canto suo diresse un rescritto all'Ordinaria- to vescovile, pel quale riconosceva la competenza dell'Ordinariato a convocare la conferenza, biasimava la condotta del Timens e dei suoi colleg·hi, e di questo rescritto trasmetteva copia al Magistrato civico, quale organo esecutivo del Consiglio. Ecco apertamente mani- festato il conflitto tra Governo e Municipio; le conseguenze non tardarono a farsi palesi.

La cittadinan-,;a inasprita attendeva impaziente una seduta del Consiglio. Il Podestà dott. Porenta, volend'o temporeggiare, la pro- trasse fino al 10 luglio successivo. I cittadini accorsero in massa per assistervi, ma il partito retrivo, che formava la maggioranza, non intervenne, sicchè la seduta non potè aver luogo per mancanza '1.i numero legale. Non volendo io d'arla vinta si a buon mercato agli avversari, domandai l'appello nominale. In qual modo fossero ac- colti dal pubblico i nomi degli assenti, non occorre dirlo.

Il popolo, assembrato in piazza, visto il mal esito della seduta, irritatosi maggiormente, si riversò con grida di viva Giskra (in allora ministro dell'Interno) abbasso Bach, sotto il palazzo della Luogote- nenza, più tardi si rivolse al palazzo vescovile ed al consolato pon- tificio, ove abbattè lo stemma, indi al convento dei cappuccini, ed in altri luoghi ancora. Le guardie militari di polizia, istigate dagli ispet- tori e commissari, investirono la folla colle baionette in canna e si

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118 FRANCESCO HERMEI'

ebbero vari feriti, molti contusionati e non pochi arrestati. Anche la cosidetta civica milizia territoriale, che in sostanza era composta tutta quanta da contadini ed alla quale, con pessimo consiglio, era affid'ata la cura della sicurezza pubblica in città, mediante piantoni e pattuglie notturne, prese parte al conflitto.

Da quella notte i contadini armau;-vooendosi appoggiati ed anzi venendo eccitati dagli organi delle autorità governative, crebbe!'o smisuratamente di baldanza ed i cittadini non potevano allontanarsi dalla· città senza essere insultati, ag·grediti, presi a sassate e per- cossi. Quindi inasprimento crescente da una parte e dall'altra, che giunse al culmine e produsse la catastrofe, avvenuta nella sera del

·13 luglio.

Troppo mi avrei a dilung·are se avessi ad entrare nei dettagli d:ì quel tragico avvenimento. Per conoscerli, valutarne più ,fa vicino lu causa e le conseguenze, è necessario ricorrere ai processi verbali delle sedute riservate del Consiglio del 14, 17 e 18 luglio, ed ai resoconti stenografici della V e VI seduta pubblica della Dieta dell'll e 12 settembre 1868.

Da questi ultimi e dalla riferta che li accompagnava si rileva il fatto nelle più minute particolarità e si desume a tutta evWenza come l'azione della Polizia fosse premeditata e diretta ad un.o scopo preconcetto. Appare chiaramente che si sentisse il bisogno di promuo- vere un conflitto, sia perchè in Vienna si ritenesse la popolazione, o una gran parte di essa, in flagrante ·opposizione alle leggi costitu- tive dello stato, tendente a promuovere scopi separatistici anche con atti di aperta perdueUione e, per converso, venisse colà apprezzato il previdente ed energico procedere d·ene autorità politiche e perdò 8i consolidasse la posizione dei capi dei dicasteri di luogotenenza e po- lizia, la quale erasi resa vacillante per effetto del mutamento di si- stema del governo in Vienna, sia per terrorizzare, in vista delle pros- sime elezioni municipali, il popolo, e preparare le vie al potere al partito retrogmdo e clericale.

Nella sera dunque del 13 luglio, le guardie militari di polizia, quelle civili (i travestiti) e buon numero di militi territoriali, assal- tarono da più parti circa 500 a 600 persone che stavano raccolte al caffè e sotto i volti di Ohiozza, in attesa di una processione di con- tadini che era annunziata già da più giorni e che doveva scendere in città colla tricolore slava, circondata da fiaccole e lampioni, ad ef- fettuare una grandiosa dimostrazione clericale e panslavista con 1~

obbligate grida di cczivio slovenskj !JJ <cabbasso gli italiani!)) e similL Il popolo, mant,mendosi tranquillo ed inoffensivo, venne ad arte, mediante falsi allarmi, indotto a portarsi nel luogo innanzi al caff~.

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MEMORIE AUTOBJOGRAFICHl!J 119

e Il, senza intimazioni di sorta, assalito òa più parti a fucilate, colpi di baionetta e di calcio di fucile. Due morti e 34 feriti ") furono le vittime, cognite, di questo inaudito attentato. Fu gran ventura che la truppa di linea fu fatta intervenire e potè comparire in tempo a far cessare il massacro, che in maggiori proporzioni sarebbe stat-0 consumato, tanta era la furia di chi dava gli ordini alle guardie di polizia ed ai militi territoriali già per sè disposti a bene esegurli, ed erano questi i commissari e gli agenti subalterni della polizia.

Nel giorno addietro la città trovossi in uno stato di straordinaria fermentazione. I cittadini di buon mattino si raòunavano sul luogo del misfatto e qua e là per le piazze e vie, a capannelli, reclamando provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza e punizione degli aut'ori morali e degli esecutori ,dell'atroce misfatto. A torme _si mo- stravano in Piazza Grand'e ed affluivano al Municipio domandando provvedimenti istantanei ed energici. Dall'altro canto le autorità di luogotenenza, sgomentate alla lor volta del sanguinoso risultato delle tenebrose lor-0 mene, risultato che aveva di certo sorpassato i loro intendimenti e gravemente compromessa la loro responsabilità ,di fronte ai superiori dicasteri della capitale, non sapevano a qual par- tito appigliarsi. Nella massima confusione se ne stettero passivi e trepidanti in attesa delle conseguenze d-el perpetrato misfatto.

Il Municipio aveva preso alèuni provvedimenti, di cui verrà fatto cenno in appresso. La Presidenza ed una Commissione aà hoc erano in permanenza. L'effetto immediat-0 degli adopramenti del Municipio

•·fu la soppressione e le chiusura d'el corpo di guardia della milizia

territoriale, ed il servizio di sicurezza venne provvisoriamente affi- dato alla. truppa di linea.

Cionullameno poco mancò che nuove scene di sangue funestas- sero la città. La sera del 15, truppe della feccia della plebe, evidente- mente pagata, percorrevano la città insultando i passanti, infestando le osterie e le botteghe da caffè. I villici anch'essi continuarono nel provocare con insulti al nome italiano, violenze di persone, e fu opera dela truppa di linea e dell'energia mostrata dall'autorità municipale se gli eccessi della plebe ubriaca e dei villici furibondi trovarono pronta repressione e la tranquillità, venisse ristabilita.

Nelle prime ore <lei mattino del giorno 15 comparve a casa mia il commissario superiore di polizia Hoffmann, il quale mi fece cono- scere lo stato di agitazione in cui trovavasi la città e la imminenza di nuove perturbazi-0ni, forse più gravi di quelle della sera antece- dente; la mancanza di og-ni autorità e di consiglio nei capi della luogotenenza e della polizia, il massimo pericolo a cui si andrebbe incontro qualora insorgessero nuovi disordini e segnatamente in oc-

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