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2 sì sì no no 15 giugno Fondatore: Don Francesco Maria Putti

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C ARISMI E CARISMATICI

31 maggio 2020, Domenica di Pentecoste.

All’uscita dalla Santa Messa, vis- suta con protocollare mascherina antivirus, ci siamo incontrati, sul sagrato, con altri fedeli per scam- biarci qualche opinione sulla situa- zione dell’attuale pandemìa. Ci complimentammo col celebrante che, diversamente da altri, aveva distribuito il Sacramento Eucaristi- co a mani nude e, per contro, espresse un giudizio critico verso quei fedeli che avevano ricevuto il Corpo-Sangue-Anima-Divinità di Gesù sulle mani inguainate in guanti di lattice a proteggere da un – non sia mai! – probabile contagio veicolato dalla santa ed immune particola.

Da lì, il discorso passò all’argomento della domenica, la Pentecoste, con la partecipazione del sacerdote il quale si soffermò, brevemente, sulla Pri- ma Lettera di San Paolo ai Corinti dove l’Apostolo parla dei doni dello Spirito Santo e dei carismi (12, 8 – 11).

Poco discosto ascoltava un tale che, nel momento in cui si accennò, per ovvio collegamento, all’episodio degli Apostoli e al prodigio delle lin- gue (Atti, 2, 4–12), si accostò al no- stro gruppetto e, presentatosi quali- ficandosi come “carismatico”, corte- semente chiese di poter intervenire sul tema, principiando a raggua- gliarci sul dono che, dopo l’effusione dello Spirito ricevuto dai “fratelli”, gli consente, tuttora, di parlare lin- gue straniere e sconosciute, né più né meno come gli Apostoli.

Ne nacque un dialogo che, sulle prime si manifestò a più voci crean- do, così, una certa qual confusione fino a quando venne dato a chi scri- ve il compito di riportare il discorso sul binario della chiarezza e dell’

ordine. Per evitare di andar per le lunghe – ché l’ora mattutina ci

chiamava alle giornaliere faccende – ci limitammo a parlare della così detta “effusione dello Spirito” e di quel fenomeno della “glossolalìa”, termine che trae l’origine dal greco

“glossa” – lingua – e “laleo” - parlo.

Riporteremo, in discorso indiret- to, ciò che in merito ai due argo- menti si dissero il carismatico e lo scrivente, e ciò per evitare inutili rimandi e, soprattutto, per riassu- mere con maggior precisione e pun- tualità il significato delle osserva- zioni. Diamo pertanto, in succinta esposizione la “dottrina” del cari- smatico e, di séguito, la nostra obiezione.

L’effusione dello Spirito – spiegò – è il momento finale di un percorso didattico per l’apprendimento e lo studio di dodici insegnamenti e un triduo di ritiro in preghiera, al ter- mine del quale la comunità riunita intorno al fratello, invoca su di lui la discesa dello Spirito Santo, novel- la Pentecoste, con l’infusione dei ca- rismi di cui i più eminenti sono la glossolalìa – la capacità di parlare lingue ignote – e il potere di guari- gione. Tutto ciò – affermò il nostro ospite – è in stretto rapporto con la parola di Cristo: “Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricor- derà tutto ciò che vi ho detto” (Gv.

14, 26). Questo spiega e legittima anche il passo paolino – I Cor. 12, 8-11) di cui sopra – secondo il quale non c’è da obiettare alcunché sulla procedura che la comunità carisma- tica segue per l’ottenimento dei do- ni.

In quanto a Gesù che promette lo Spirito Santo, il movimento cari- smatico – obiettammo – interpreta in modo scorretto e “pro domo sua”

il passo di San Giovanni. Il Figlio di Dio, seconda Persona della Santis- sima Trinità, parla agli Apostoli – i primi Vescovi – promettendo a lo-

ro, e a loro soltanto, lo Spirito Santo e soltanto loro, e i Vescovi loro suc- cessori, possiedono, in virtù del sa- cro ministero, il sommo ed esclusivo potere di infondere lo Spirito Consolato- re. Negli “Atti” si narra dell’istituzione dei sette diaconi sui quali gli Apostoli, dopo aver pregato, imposero le mani rendendoli pieni di Spirito Santo. È, perciò, tassativo: a nessun altro, quindi, è concesso questo carisma, né a un ordinario sacerdote – salvo circostanze particolari – né, tanto meno, a un semplice cristiano. In- tanto, definirsi “carismatici” si con- figura quale peccato di superbia e vanità, lo stesso con cui gli antichi eretici si autodefinivano “Càtari”, puri, cioè, perfetti quando, invece, come afferma il salmo 142, 2: “Nes- sun vivente, o Signore, sarà giustifi- cato al tuo cospetto”. Figuriamoci se uno possa, da sé, dirsi santo! Con ciò si qualifica, pertanto, vero abuso quello che i carismatici esercitano, pretendendo essere dispensatori di carismi e virtù. Così come scorrette sono quelle supposte veggenti di Medjugorie che, similmente al modo carismatico, impongono le mani sul capo dei presenti simulando il rito della Cresima. E ciò, per quanto at- tiene alla così detta “effusione” dello Spirito di carismatica connotazione.

Riguardo alla “glossolalìa”, vanta- ta dai carismatici quale tipica loro identitaria connotazione, l’obiezione fu breve e conclusiva dacché, di- cemmo, non è minimamente para- gonabile siffatto fenomeno al prodi- gioso evento della Pentecoste. In quel giorno, agli Apostoli fu conces- so di parlare un idioma di origine divina, e di sì arcana forma, da es- sere, però, perfettamente compren- sibile ad ogni persona di lingua di- versa che, quel giorno, sostava a Gerusalemme: giudeo, greco, elami- ta, egizio, mesopotamico che fosse.

Anno XLVI n. 11 11111111111111112993 911161

15 Giugno 2020 2017

Fondatore: Don Francesco Maria Putti

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Dunque, una misteriosa lingua che ciascuno intende come sua.

Chi ha assistito, come lo scriven- te, a un raduno carismatico, testi- monia di un brusìo che, a poco a poco, diventa cicaleccio, e poi cla- more: è il momento in cui si mani- festa l’evento della glossolalìa che, secondo il nostro carismatico, altro non è che il dono di parlare lingue sconosciute. Ad onor del vero, in questo vociare non vi si trova la benché minima corrispondenza col miracolo della Pentecoste tale che

italiano, francese, spagnolo che sia, lo decodifichi nella rispettiva lingua.

No, tutto resta un urlato ammasso di vocali e sillabe ove, talora, si pos- sono individuare tracce millesimali assonanti al greco, all’ebraico, al la- tino e financo al francese. Ma ciò è comprensibile che, fra tante lalla- zioni, una possa arieggiare qualche lemma che sia. Tutto, insomma, re- sta una cascata di suoni, di spezzo- ni verbali cantati che si intersecano, incomprensibili anche agli stessi parlanti, e che di prodigioso niente

possiede; piuttosto – e lo dicemmo seriamente e con senso di carità cristiana – configurabile, come pri- ma e severa ipotesi, quale alterazio- ne patologica del parlato o, come seconda e benevola ipotesi, di caco- fonìa.

Il nostro amico, il carismatico, non replicò, ma lasciò la compa- gnìa, limitandosi a scuotere il capo, non sappiamo se per disaccordo, non motivato, o per causa persa.

L. P.

VERA MISTICA E FALSO MISTICISMO

(seconda e ultima parte)

II - IL FALSO MISTICISMO Nella prima parte di questo artico- lo abbiamo trattato la natura della vera mistica1, in questa seconda ed ultima parte studieremo la contraffa- zione della mistica.

♣♣♣

«La prima via purgativa dello svi- luppo spirituale o vita ascetica, cor- risponde – grosso modo – alla pu- bertà, i 12-14 anni, in cui l’essere umano comincia a svilupparsi fisio- logicamente e psicologicamente, ed inizia a diventare un uomo atto a generare cessando di essere un bambino; la seconda via illuminativa o mistica iniziale corrisponde all’

adolescenza, in cui si continua a crescere dalla pubertà e si tende al- la maturità, dai 15 ai 20 anni; la terza via unitiva o mistica perfetta, corrisponde alla maturità dell’ adul- to, che ha completato lo sviluppo e si trova nella maturità fisiologica e psicologica; è cresciuto negli anni, possiede un certo grado di discer- nimento, di prudenza, di giudizio e di equilibrio, ossia è giunto al pieno sviluppo delle potenze intellettuali e morali, al compimento e perfezione.

Essa è imperfetta dai 21 ai 35 anni e perfetta dopo i 35 anni» (Garrigou- Lagrange). La spiritualità comporta tutti questi elementi (conoscenza e amore di Dio, di sé e del prossimo, ossia sana vita morale individuale e sociale). È errato misconoscere il sano sviluppo della sfera affettiva nel cammino spirituale, che è ac- quisito nelle prime esperienze fami- liari e che ci permette di controllare più facilmente le nostre reazioni, modificare e correggere i sentimenti negativi (sfiducia, disistima, vergo- gna, senso di colpa, paura). Questi

1 ANTONIO ROYO MARIN, Teologia della perfezione cristiana, tr. it., Roma, Pao- line, 1960; A TANQUEREY, Compendio di Teologia Ascetica e Mistica, Proceno - Viterbo, Efffedieffe, ristampa, 2020.

sentimenti negativi hanno origini lontane, sono sepolti nella nostra memoria anche se non ne abbiamo piena coscienza attuale ed esplicita, e possono influire sulla nostra vita individuale e sociale. I difetti dovuti ad una carente sfera affettiva pos- sono essere corretti con la direzione spirituale, l’esame di coscienza, la meditazione, la conoscenza di sé e soprattutto la fiducia in Dio.

Vero e falso cristianesimo La VERA VITA non consiste solo e unicamente nel mangiare e bere, nel divertirsi e provare emozioni e pia- ceri. Tutto ciò da solo non ha sboc- co, non ha fine né ideale: porta alla morte senza speranza di resurrezio- ne. È una vita puramente animale alla quale manca l’essenziale di ciò che ci rende uomini: il “razionale”, ossia conoscere la Verità e amare il Bene con una prospettiva sopran- naturale ed eterna. L’uomo, infatti, è un “animale razionale” (Aristotele).

Il cristiano oltre che uomo ha in sé l’ordine soprannaturale, Dio, pre- sente nella sua anima, tramite la Grazia santificante, ma in maniera limitata e finita.

Il CRISTIANESIMO INTEGRALE è una cosa seria, non conosce le mezze misure, i compromessi, gli accomo- damenti, le mescolanze dei princìpi.

Da princìpi assolutamente certi (Fede e Morale) tira conclusioni lo- giche, che portano ad una vita fatta di Conoscenza della Verità (Fede) ed amore del Bene (Carità). Ma non si può conoscere il Vero senza com- battere il falso e l’errore; non si può amare il Bene senza odiare o sepa- rarsi dal male. “Militia est vita homi- nis super terram” (Giobbe). Occorre essere assolutamente integri e in- transigenti nei princìpi, anche se

“elastici”, misericordiosi e compren- sivi della umana fragilità e limita- tezza nelle questioni di mezzi e di pratiche.

“LA GRAZIA NON DISTRUGGE LA NA- TURA, la presuppone e la perfeziona”

(SAN TOMMASO D’AQUINO, S. Th., I, q.

1, a. 8, ad 2). Perciò dobbiamo pri- ma essere veri uomini e poi buoni cristiani. Infatti, la vita naturale è l’unione dell’anima col corpo, la vita soprannaturale o cristiana è l’unione dell’anima con Dio. La morte è la sepa- razione dell’anima dal corpo, la dan- nazione è la separazione dell’anima da Dio a causa del peccato.

Essere VERO E INTEGRALE CRISTIA- NO significa camminare verso una meta che è Dio, senza deviare a de- stra o a sinistra, per quanto umana limitatezza possa permetterlo. Una delle raccomandazioni principali che dobbiamo farci sempre è quella di non mentire mai a noi stessi e a Dio che vede ogni cosa, anche i pen- sieri più reconditi. Bisogna aderire alla Verità anche se non ci piace e se ci ripugna.

Il vero CRISTIANESIMO è il contra- rio del MODERNISMO (“la cloaca in cui confluiscono tutte le eresie”, SAN

PIO X, Enciclica Pascendi, 1907) per il quale non esiste una Verità asso- luta, oggettiva, stabile, ma tutto è prodotto dalle esigenze o dal capric- cio umano. Dio è il prodotto dell’

uomo! Che assurdità, depravazione, degenerazione! Il modernismo è una religione rovesciata, infera, degene- rata e invertita. Invece il vero cri- stianesimo integrale ha un unico Fine, oggettivo, per cogliere il quale bisogna essere disposti a tutto an- che a rinnegare o dire no a noi stes- si, ai nostri capricci, interessi, gusti e piaceri, in breve all’io corrotto dal peccato originale che invece è idola- trato dal modernismo soggettivisti- co. Ecco la contrapposizione irre- conciliabile tra cristianesimo e mo- dernismo, tra Cristo e Satana, tra luce e tenebre, tra “io” falso e ferito e Dio.

Questa è la nostra Fede, ma “LA

FEDE SENZA LE OPERE È MORTA” (Giac.

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II, 20). Quindi bisogna tirarne delle conclusioni e applicarle alla vita pratica e quotidiana. Sapere e volere debbono camminare assieme, la so- la conoscenza “gonfia”, la sola vo- lontà è cieca. Noi siamo fatti per

“conoscere, amare e servire Dio e mediante questo salvare la nostra anima” (Catechismo di San Pio X).

IL BUON USO DELLE CREATURE è in- dispensabile per la vera e buona vi- ta cristiana. Le creature (noi com- presi) sono mezzi e strumenti atti a farci cogliere il Fine ultimo che è uno solo: Dio. Quindi non dobbiamo servirle ma servircene (nel senso buono e non utilitaristico del termi- ne). Ossia, le si impiegano “tanto quanto ci aiutano a cogliere il Fine, né più né meno” (S. Ignazio da Loyola). Anche noi siamo creature e mezzi per gli altri. Non dobbiamo scambiarci per il Fine. Questo è narcisismo disordinato non cristia- nesimo. L’ordine è il mezzo ordinato al Fine.

IL DISORDINE è quando l’uomo si mette al posto di Dio. Tutti i mali derivano da questo disordine, che è il ribaltamento dell’ordine divino. Il MODERNISMO è essenzialmente que- sta rivoluzione antropocentrica. Non è un peccato di debolezza o fragilità, ma dello spirito e di fermo proposi- to, scientificamente studiato e fer- mamente voluto. Dio non è il primo o il Fine né nell’intelletto, né nella volontà e neppure nella sensibilità dell’uomo, ma l’Uomo è “Fine” a se stesso (Gaudium et spes, 24) e Dio una sua produzione!

ORGOGLIO e UMILTÀ. La vera umil- tà di cuore e non di sole parole con- siste nella verità. La nostra vita è creata e ci è data da Dio per Dio. La falsità è pensare che la nostra vita è diretta da noi e per noi.

DOLCEZZA eFORTEZZA sono le due virtù che occorrono al vero cristiano per sopportare, accettare e per agi- re. Docilità nell’accettazione e virili- tà nell’azione. Senza docilità la for- tezza si tramuterebbe in crudeltà e senza fortezza la dolcezza in codar- dia. Dobbiamo unire queste due vir- tù, come l’intelletto e la volontà. Per fare un esempio: abbiamo amici, ma anche nemici. È facile vivere con gli amici (anche se uno solo è il vero amico che non tradisce mai: Gesù Cristo). “Il nemico di oggi forse sarà l’amico di domani e l’amico di oggi sarà il nemico di domani” (Imitazio- ne di Cristo). È difficile umanamente parlando vivere con i nemici. Allora bisogna saper far tesoro, sopranna- turalmente, delle gioie degli uni e delle pene degli altri per esercitare la virtù di pazienza e di fortezza.

Pene e gioie sono mezzi che debbo- no aiutarci a raggiungere il Fine che è Dio. Tutto deve servire al nostro sviluppo: lodi e affronti. Se viviamo solo per il nostro piacere non met- tiamo Dio al primo posto. Invece se Dio è realmente il Fine ultimo della nostra vita allora le gioie degli amici e le pene dei nemici ci aiuteranno come strumenti per unirci a Dio.

Chiediamogli la grazia di “saper sopportare chi ci avversa e di evita- re chi ci adula e lusinga” (Imitazione di Cristo).

ACCETTARE e FARE.Questa è la vi- ta cristiana. Accettare tutto quel che Dio permette, anche ciò che ci ripugna, per fare la Volontà di Dio, anche se è crocifiggente. Croce deri- va dal latino cruciari ossia essere tormentato. Chi rifiuta di essere tormentato rifiuta la Croce e Gesù e quindi si preclude il Paradiso. La vera unione con Dio è l’unione mo- rale o della Volontà, è l’uniformità alla Volontà di Dio. Sono realmente in comunione o in unione di vita comune con Dio, se accetto la Sua Volontà in tutto ciò che mi accade e faccio il mio dovere anche se mi pe- sa e non mi piace.

Ancora una volta ci si trova di fronte alla opposizione per diame- trum tra CRISTIANESIMO e MODERNI- SMO. Il primo accetta dalle mani di Dio tutto, gioie e dolori: “Dio ha da- to, Dio ha tolto, sia benedetto il Nome del Signore!” (Giobbe). Il se- condo ci dice che “Dio” è un prodotto dei bisogni del subconscio umano, per rendere l’uomo felice e soddi- sfatto di sé nell’esperienza o nel sentimentalismo religioso. Dio è un’escrescenza dell’egoismo umano per saziarsi maggiormente di sé, è qualcosa che l’uomo si dà per esse- re ancora più realizzato come Uo- mo. Che stravolgimento totale del cristianesimo!

APPARENZA e REALTÀ. Scorza e so- stanza. Tutto ciò che l’egoismo chiama avversità o felicità è l’apparenza, la su- perficie, sotto la quale si cela la so- stanza: la Volontà di Dio, come Ge- sù è realmente presente sotto le ap- parenze o specie di pane nell’ostia.

Ebbene se vogliamo fare la Volontà di Dio dobbiamo accettare dalle sue mani tutto: le gioie e i dolori. La Vo- lontà di Dio è dappertutto e noi dobbiamo essere felici in ogni occa- sione, anche nelle apparenze dell’

avversità, vedendo la sostanza della divina Volontà, che sola può darci la vera pace dell’anima. Certamente questa pace, imperturbabilità del cuore, che nulla altera nel fondo dell’anima, anche se la sensibilità ne risente, non è frutto dei nostri

sforzi, ma della Grazia di Dio. Chie- diamola a Dio: è il dono più prezio- so che possiamo ottenere: calmi e composti nella gioia, calmi e sereni nel dolore.

LA VERA PACE SOCIALE. “Non esi- stono mestieri bassi, esistono solo uomini bassi”. Qualsiasi mestiere, qualsiasi condizione sociale è voluta da Dio. Come nel corpo umano vi sono i piedi, le gambe, il cuore e la testa, così è nel corpo sociale. E come i piedi non possono fare a meno della testa, così la testa non può disprezzare i piedi, perché sono

“bassi” (TITO LIVIO, Apologo di Me- nenio Agrippa).

LA MEDITAZIONE non serve a pie- gare Dio a fare la nostra volontà, ma ad ottenerci la forza per fare la Sua volontà. Pregare soprattutto mentalmente significa avvicinarsi a Dio, entrare in comunione di pen- siero e di volontà con Lui. Se tutti i nostri pensieri e le nostre riflessioni diventano orazione allora troveremo la vera unione con Dio e la vera pa- ce dell’anima.

Tutto ciò sembra ESAGERATO E IM- POSSIBILE. Dal punto di vista pura- mente naturale lo è ma: “Tutto pos- so in Colui che mi fortifica” (San Paolo). Tuttavia l’egoismo, il proprio comodo, il capriccio sono quasi on- nipresenti nelle nostre opere e nella nostra natura ferita dal peccato ori- ginale. Occorre sempre rifarci a princìpi del cristianesimo, decisi a seguirli sin nelle loro ultime conclu- sioni, senza accomodarli ai nostri capricci. I princìpi non conoscono accomodamenti: 2 + 2 = 4, sempre 4 non quasi 4 o 4 e qualcosa. Invece quando si tratta di metodo, di come adoperare i mezzi possiamo essere elastici e concreti. Fermezza nei princìpi perché si crede, dolcezza nei mezzi perché si ama. Se ci lasciamo sopraffare dai capricci nel campo di princìpi siamo “canne agitate dal vento”. I capricci per definizione mutano continuamente e senza un perché. Se mancano i princìpi o si annacquano, vengono meno i veri cristiani per dar luogo ai mezzi- cristiani. Il cristiano deve sforzarsi di essere un alter Christus. Ora 1°) Cristo è Dio e come Dio non muta, così il cristiano deve cercare di non cambiare continuamente i princìpi del suo agire. 2°) Cristo è vero uo- mo, quindi non dobbiamo distrug- gere la natura umana in noi, ma educarla ed elevarla soprannatu- ralmente. 3°) In Cristo la natura umana e quella divina sono unite nella Persona del Verbo, ma non sono mescolate, confuse, sono man- tenute nella loro integrità dalla Per-

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sona divina. Così il cristiano deve cercare di subordinare e unire la natura alla Grazia, ricorrendo al Verbo divino. 4°) Cristo non ha per- sona umana, vi è una sola Persona divina che fa sussistere in Sé la na- tura divina e quella umana. Così il cristiano dovrebbe cercare di perde- re la sua falsa personalità umana ferita dal peccato originale, per far vivere in sé la Persona di Cristo.

“Vivo, iam non plus ego, sed Chri- stus vivit in me”; “Mihi vivere Chri- stus est et mori lucrum” (San Paolo).

Solo i santi, che hanno fatto vivere perfettamente Cristo in sé ed hanno perso la loro vecchia personalità fe- rita e disordinata, sono uomini normali e cristiani perfetti e integra- li, poiché hanno annientato la indi- pendenza del falso “io” di fronte all’Io di Cristo. Perciò 1°) dobbiamo lavorare al perfezionamento dell’

elemento divino in noi, mediante la Grazia santificante; 2°) dell’umano mediante l’educazione e la sottomis- sione della sensibilità all’intelletto e alla volontà; 3°) dobbiamo poi unire la nostra persona umana a quella di- vina, allontanando ogni ostacolo tra Lui e noi; 4°) ed infine perdere o uniformare totalmente la nostra vo- lontà o personalità alla Volontà di- vina, facendoci condurre da Lui.

SAN PAOLO CI INVITA “Siamo forti nel Signore, affidiamoci alla sua po- tenza. Rivestiamoci dell’armatura di Dio per resistere agli assalti del dia- volo. Poiché la lotta che dobbiamo sostenere non è contro gli esseri fat- ti di carne e sangue, ma contro i prìncipi delle tenebre, contro gli spi- riti maligni. Ai reni la cintura della verità; al petto la corazza della giu- stizia; ai piedi la calzatura del Van- gelo; al braccio lo scudo della fede;

al capo l’elmo della speranza; alla mano la spada dello spirito” (Efes., IV, 10-17).

NON POSSIAMO RESTARE INDIFFE- RENTI agli assalti contro ciò che per noi vi è di più prezioso: la nostra Fede, la nostra Religione, il nostro Dio e la Sua Chiesa. Se riusciremo ad essere fedeli alla severità dei princìpi e della disciplina tracciata, nulla potrà atterrirci e la vittoria fi- nale sarà nostra e soprattutto di Dio con noi. Se abbiamo idee vere e non annacquate in testa, amore so- prannaturale nel cuore e nella vo- lontà, sangue rigenerato dal Sacrifi- cio di Cristo nelle vene, potremo fa- re qualcosa (di “piccolo” anche nel mondo presente. Infatti, vi è una potenza, che non è nostra ma alla quale possiamo partecipare, in que- sto mondo che trionfa su tutto e questa è la nostra Fede (I Gv., V, 4).

Natura del falso misticismo Il falso misticismo perverte, so- prattutto, la nozione dello stato

“passivo” della mistica, la quale è detta “passiva” non assolutamente o totalmente; ma soltanto relativa- mente alla Grazia sovrabbondante dello Spirito Santo. Infatti, la misti- ca consiste nel non ostacolare l’azione di Dio sulle nostre anime;

tuttavia essa non consiste affatto nella passività assoluta dell’uomo quanto all’agire spiritualmente, con l’aiuto del Paraclito, vivendo eroica- mente le Virtù infuse e specialmente quelle teologali.

L’ascetica è costituita soprattut- to dallo sforzo (askéo = mi sforzo) umano abituale, aiutato dalla Gra- zia attuale ordinaria o sufficiente di Dio, per vivere nello stato di Grazia santificante, lottando contro il pec- cato mortale e facendo un’orazione mentale soprattutto discorsiva (prima via detta “purgativa” o dei “principianti”);

poi consiste nell’imitazione delle Vir- tù di Cristo e nel fare un’orazione mentale soprattutto affettiva (se- conda via “illuminativa” dei “progre- dienti”) ed infine nella mistica (terza via “unitiva” dei “perfetti”)2, in cui l’anima è simile ad una barca a ve- la, che è fatta correre (passività rela- tiva), ma non si rifiuta di correre (at- tività eroica) sulle onde spinta dal soffio impetuoso dello Spirito Santo;

mentre nell’ascetica l’anima somi- glia piuttosto alla barca a remi, con cui si naviga sulle acque con l’aiuto della Grazia attuale ordinaria di Dio e colla cooperazione della forza delle braccia dei navigatori, che vivono le Virtù infuse in maniera umana o non ancora eroica. Perciò la vera mistica è caratterizzata da una atti- vità eroica o sovrumana, da parte dell’uomo, nell’esercizio delle Virtù infuse, il quale tuttavia è mosso so- prattutto dallo Spirito Santo, al quale non deve resistere o porre ostacoli di cattiva volontà (“passività relativa”). Invece il falso misticismo parla di passività totale anche nell’

agire, il che porta all’errore del Quietismo, ossia al non “far assolu- tamente nulla”. Però Gesù nel Van- gelo ci ha detto: “Non chi dice ‘Padre Padre’ entrerà nel Regno di Dio, ma colui che fa la sua volontà”. Infatti

“la Fede senza le buone opere è morta” (San Giacomo, Epist., II, 16).

Il Quietismo

È una tendenza pseudo-mistica, che ripone la perfezione nella con- templazione passiva, in cui l’anima

2 S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., II-II, q.

24, a. 9.

rinunzia totalmente ad ogni sforzo e alla sua libera attività anche nella pratica delle Virtù, ed anche al con- trollo della sensualità e delle passioni, sino al punto di conciliare il più basso sensualismo con l’adesione “misticoi- de” a Dio. Il Quietismo disprezza l’ascetica. In Spagna si diffuse sin dal Cinquecento con la setta degli Alumbrados (Illuminati), in Francia con François Fénelon (+1715) e Ma- dame Jeanne Marie Guyon (+1717),

“un’esaltata che al misticismo con- templativo univa il misticismo sen- suale, con la teoria della passività dell’anima nelle tentazioni e nei peccati di lussuria”3, in Italia per opera di Miguel Molinos.

Il pervertimento della passività o non-resistenza dell’uomo alla Gra- zia sovrabbondante del Paraclito, estesa anche alla pratica delle Virtù e alla lotta contro il male è l’essenza della falsa mistica. Nei primi secoli della Chiesa il MONTANISMO4 cadde in eccessi perniciosi dal punto di vi- sta dommatico, ascetico e morale.

Nel medioevo i BEGUARDI5 e le BE-

3 P. PARENTE, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, 1957, IV ed., voce Quietismo; ristampa Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2018.

4 Il MONTANISMO è un’eresia d’indole ascetico-spirituale, sorta verso il 170 d.

C. nella Frigia (Asia minore) ad opera di un certo MONTANO, convertito al cristia- nesimo. Egli cominciò ad avere strani fenomeni “misticoidi” di natura patolo- gica o preternaturale. Due donne, PRI- SCILLA e MASSIMILLA, lo seguirono ed eb- bero fenomeni analoghi. Montano pre- dicava anche la fine del mondo come prossima e la seconda venuta di Cristo sulla terra, letta in chiave millenaristica più che escatologica. Più che una dot- trina dogmatica il Montanismo è una prassi ascetica rigoristica. Infatti Mon- tano si dichiarava ripieno di Spirito Santo per dar nascita ad un Cristiane- simo più perfetto (una sorta di Terza Alleanza gioachimita ante litteram).

Dall’Asia il Montanismo giunse a Roma dove guadagnò TERTULLIANO nel 213, che morì montanista fuori dalla Chiesa cattolica. Papa ZEFIRINO condannò il Montanismo. (Cfr. PIO PASCHINI, Lezioni di storia ecclesiastica, Torino, 1930, I vol., p. 99; A.MAYER,voce Montanismo, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, XII voll., 1949-1954).

5 I BEGUARDI sono una delle tante sette religiose pullulanti tra il XII e XIII seco- lo in Europa. Essi sono una derivazione delle BEGUINE donne consacrate di vita casta e povera. All’inizio essi erano or- todossi, ma poi cominciarono a deviare, debolmente le Beguine, ma fortemente i Beguardi. Il Concilio Ecumenico di Vienne (1311-1312) condannò Beguardi e Beguine (DB 471-478) soprattutto nella dottrina dell’impeccabilità degli

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GUINE conobbero consimili deviazio- ni e disordini. Nell’epoca moderna dal QUIETISMO (di cui abbiamo già parlato) procede l’AMERICANISMO6 ossia

iniziati della setta, i quali giunti a un dato grado di perfezione non debbono più pregare, mortificarsi, resistere alle tentazioni, ubbidire alla Gerarchia e possono concedere al corpo ogni soddi- sfazione, che per gli altri è peccaminosa ma per i “perfetti” no. I “perfetti” posso- no vedere Dio faccia a faccia già in terra con le loro capacità, senza il Lumen glo- riae, non debbono attardarsi nel culto verso l’Umanità di Cristo e verso l’Eucarestia. (Cfr. F.VERNET,Béghardes, Béguines, in “D. Th.. C.”). Essi ebbero dei punti di contatto con i FRATICELLI

eterodossi allontanatisi dal Francesca- nesimo spirituale, sorti ai tempi di papa NICCOLÒ III, caduti in disgrazia con BO- NIFACIO VIII e condannati nel 1316 da papa GIOVANNI XXII (Costituzione Glo- riosam Ecclesiam, DB 484-490). La loro dottrina è riassunta dalla suddetta Co- stituzione apostolica come ribellione contro l’Autorità della Chiesa, di cui vi sarebbero due specie: una petrina, car- nale, corrotta e ricca con a capo il Pa- pa; l’altra giovannea, spirituale, pura e povera di cui fanno parte i Fraticelli ed i loro seguaci. Il Matrimonio sarebbe in- trinsecamente malvagio, la fine del mondo vicina. Tuttavia essi stessi in- dulgevano al sensualismo e negavano il diritto della proprietà privata, tendendo ad una forma di comunismo ante litte- ram (cfr. F.VERNET,voce “Fraticelles”, in

“D. Th. C.”).

6 L’AMERICANISMO nacque alla fine dell’

Ottocento da un sacerdote americano di nome P. HECKER. Egli, consapevole dell’indole esuberante ed avida di liber- tà assoluta del popolo americano, in- sensibile alla metafisica e amante del Pragmatismo, portato dalle ricchezze ad un certo edonismo ascetico o naturali- smo almeno pratico, aveva cercato di adattare o aggiornare la Religione catto- lica allo spirito della filosofia pragmati- stica americana. LEONE XIII nella Lette- ra al card. Gibbons Testem benevolen- tiae (1889) ha condannato la possibilità dell’adattamento o aggiornamento della dottrina cattolica alle esigenze della fi- losofia e civiltà moderna, sacrificando la metafisica classica e scolastica, miti- gando lo sforzo ascetico, orientandosi versi il democraticismo. Dal punto di vista spirituale l’americanismo svaluta le Virtù infuse e nascoste per attaccarsi alle virtù attive e naturali (azione, orga- nizzazione, pastorale, associazionismo, attivismo). Il Papa ha riaffermato il primato della contemplazione (cui si giunge dopo lo sforzo ascetico) sull’

azione e l’attivismo (“eresia dell’azione”);

anzi ha messo in guardia dal pericolo di rovinarsi moralmente, dimenticando la vita interiore e gettandosi nell’attivismo naturale e forsennato, che prepara alla caduta nel peccato mortale e alla dan- nazione eterna.

il MODERNISMO ASCETICO. Il Quietismo ha conosciuto varie forme: quella più radicale e quella moderata o semi/quietista.

Quietismo radicale

Il Quietismo ha origine con MI- GUEL MOLINOS7, nato in Spagna nel 1640, ma vissuto soprattutto a Ro- ma, ove disseminò i suoi errori me- diante le sue opere principali: La guida spirituale e L’orazione di quie- te, condannate da INNOCENZO XI (Costituzione Coelestis Pastor, 19 novembre 1687, DB 1221-1288).

Secondo Molinos la perfezione della vita cristiana o mistica consiste nell’assoluta passività dell’anima umana, la quale è dispensata anche dal resistere alle tentazioni; il suo motto precorre quello del liberismo economico: “Laissez faire”, così tra- sposto nella religione: “Lasciamo fa- re a Dio”, e toccherà l’apice nel LI- BERALISMO O MODERNISMO ASCETICO

chiamato da LEONE XIII AMERICANI- SMO. Secondo Molinos vi è una sola via, che è quella mistica o dei per- fetti, alla quale ci si arriva da sé, con le proprie forze. Onde per lui la vita spirituale s’inizia con la via uni- tiva, che per la Chiesa è la terza ed ultima e alla quale si giunge dopo una lunga vita ascetica (prima e se- conda via, degli incipienti e dei pro- gredenti) e vi si entra per un dono gratuito di Dio, che attua tramite la Grazia transeunte speciale dello Spirito Santo i sette Doni del Para- clito. In questa via puramente e as- solutamente passiva, secondo Moli- nos, si vive costantemente e abi- tualmente nella contemplazione in- fusa, la quale, invece, per la dottri- na cattolica è concessa da Dio solo in atti di contemplazione, che dura- no poco tempo. Siccome la contem- plazione è perpetua, per Molinos, l’anima è dispensata da tutti gli atti espliciti di Virtù, dalla resistenza alle tentazioni e dalla mortificazione. Si giunge quindi, immancabilmente, a dei disordini morali, poiché l’uomo ferito dal peccato originale mantiene sempre in sé sino alla morte il fo- mes peccati, che è la tendenza al male, cui deve resistere negativa- mente non facendo il male e, positi- vamente, ponendo atti di Virtù. In- vece per il Quietismo il misticoide è talmente perfetto da non poter più peccare e quindi non deve curarsi delle tentazioni cui è sicuro di non dare mai il consenso della volontà, presumendo di essere confermato in

7 Cfr. P. DUDON, Le Quiétiste espagnol Michel Molinos, Parigi, 1921.

Grazia, anche se compie esterior- mente atti oggettivamente immorali.

L’antichissima dottrina cabalisti- ca dell’anti-nomismo, o santifica- zione contro (“anti”) la Legge morale (“nomè”) tramite il peccato, è stata ripresa dal movimento moderno chassidico prima elitario (v. SABBA- TAI TZEVI +1666, JACOB FRANK

+1791) e poi dallo chassidismo con- temporaneo di massa (V. MARTIN

BUBER +1965, EMMANUEL LEVINAS

+1995, i quali tanto hanno influen- zato Woytjla e Ratzinger), dopo es- sere stata rinnovata da MARTIN LU- TERO col suo “pecca fortiter sed for- tius crede” e dal MODERNISMO ASCE- TICO o AMERICANISMO, condannato da LEONE XIII (Testem benevolen- tiae, 1889), ma oggi rinato con viru- lenza parossistica soprattutto col NEO-MODERNISMO o SENTIMENTALI- SMO RELIGIOSO tanto in voga nei

“movimenti” o “cammini” pseudo- cattolici (Neo-catecumenali8, Co- munione e Liberazione, Rinnova- mento dello Spirito, Carismatismo e Pentecostalismo9 detti “cattolici”).

Il Quietismo o MOLINOSISMO (dal sacerdote spagnolo Michele Molinos +1696, da non confondere col Moli- nismo da padre Ludovico de Molina, gesuita spagnolo che affrontò la questione della Predestinazione nel 1582) è un sistema pseudomistico (condannato da papa Innocenzo XI nel 1687 con la Bolla Coelestis Pa- stor, DB 1221-1288) secondo cui l’oggetto principale della contempla- zione sia Dio e non Gesù Cristo, che, essendo vero Dio e vero uomo, sembra meno perfetto e non degno dei quietisti, che sarebbero ‘più che perfetti’. Essi parlano di ‘Cuore di Dio’, ma non del S. Cuore di Gesù, poiché quest’ultimo è troppo mate- riale mentre il primo è unicamente l’Amore puramente spirituale, mise- ricordioso e “tutto-fare”, il quale di- spenserebbe il “perfetto” o l’iniziato da ogni azione buona e da ogni resi- stenza al peccato.

Quietismo moderato

Il Quietismo radicale di Molinos fu ripreso e temperato, per sfuggire le condanne della Chiesa, da MA- DAME JEANNE MARIE GUYON, padre P.

LACOMBE e FRANÇOIS FÉNELON, il quale ultimo sistematizzò e addolcì da certi eccessi la pietà sentimenta- listica e fantasiosa dell’amor puro o disinteressato della signora Guyon

8 Cfr. E. ZOFFOLI, Verità sul cammino neocatecumenale. Testimonianze e do- cumenti, Udine, Il Segno, 1996.

9 Cfr. F. SPADAFORA, Pentecostali & Te- stimoni di Geova, Rovigo, Istituto Pada- no Arti Grafiche, 1980.

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nel suo libro Maximes des Saints del 1697. In esso Fénelon sosteneva che la perfezione consiste nello sta- to abituale di puro amore di Dio, di- sinteressato o senza la Speranza del Paradiso. Inoltre si può essere per- suasi nella parte superiore dell’

anima (intelletto) di essere riprovati da Dio ed accettare pienamente (vo- lontà) tale stato di dannazione, of- frendo a Dio il sacrificio della pro- pria felicità eterna. Infine l’anima perfetta deve essere indifferente alla pratica delle Virtù ed all’Umanità di Gesù Cristo, pensando solo a Dio Padre. Tali proposizioni furono con- dannate nel 1699 da INNOCENZO XII (DB 1327-1349) poiché sostanzial- mente identiche a quelle di Molinos anche se espresse, quanto al modo, in maniera meno radicale o più mo- derata.

Falsa “spiritualità” orientaleg- giante10

Qual è la differenza tra la spiri- tualità e la meditazione cattolica ed i “metodi” estremo-orientali di “con- centrazione”?11 La spiritualità cri- stiana si fonda sulla Fede in un Dio personale e trascendente, Creatore dell’uomo, il quale Lo prega come Padre divino, Lo conosce e Lo ama soprannaturalmente, mediante le Virtù infuse di Fede, Speranza e Ca- rità ed infine “colloquia” con Lui, nella meditazione o orazione menta- le. Infatti, per la Grazia santificante Dio abita realmente e fisicamente nell’anima del giusto. Onde la vita spirituale è conoscenza ed amore reciproco, altruistico e di conviven- za tra Dio e l’uomo, che comporta un vero dialogo tra Dio e l’uomo (simile a quello che avviene tra il pastore e il suo gregge. Il pastore conosce ed ama le sue pecorelle e le chiama a seguirlo nel pascolo; esse riconoscono la sua voce e lo seguo- no). Tuttavia Dio è sempre infinita- mente distinto e distante dall’uomo, il quale partecipa della vita intima divina in maniera finita e limitata o creaturale. Vi è unione, ma non con- fusione tra Dio e uomo, che cercherà di conformare la sua volontà a quel- la di Dio.

La filosofia estremo-orientale (in- duista e buddista)12 è tendenzial-

10 Cfr. M.ELIADE (diretta da), Enciclope- dia delle religioni, vol. 13, Religioni dell’Estremo Oriente, Milano-Roma, Ja- ca Book-Città Nuova, 2007.

11 Cfr. M.ANIOL,Può un cristiano prega- re utilizzando i “metodi orientali” di con- centrazione?, Pessano (MI), Mimep- Docete, 1990.

12 Cfr. J.M. DE LA CROIX,La Religione e le religioni, Pessano (MI), Mimep-

mente panteista ed esoterica o gnosti- cheggiante, perché identifica l’uomo e la

“divinità”. Non concepisce Dio come Persona trascendente il mondo, in- finito, immutabile, determinato, At- to puro, Creatore, ma come un

“Tutto immanente al mondo” (in- duismo) o un “Silenzio o Vuoto uni- versale” (buddismo), che non tra- scende il mondo, ma s’identifica con esso; più che di Dio si tratta di una

“vaga divinità” indeterminata13, in- differenziata, anonima ed identifica- ta al mondo, che è assorbito in es- sa.

La “preghiera” o meglio la “con- centrazione” orientale induista o buddista (che non è una religione la quale unisce l’uomo a Dio, ma una filosofia immanentistica, naturali- stica e panteistica) non è una cono- scenza amorosa tra l’uomo e Dio, che sfocia in un colloquio vicende- vole “come un Amico parla all’

amico” (Sant’Ignazio da Loyola), ma è piuttosto un ripiegamento dell’

uomo su se stesso, poiché la “con- centrazione” orientale non conosce un Essere distinto dall’uomo e quindi il pensiero umano deve concentrarsi su se stesso, coincidente con la “di- vinità”, concepita come un “Grande Sé indifferenziato ed impersonale”.

Docete, 1990. Per l’induismo si legga M.

QUÉGUINER, Introduzione all’induismo, Milano, EMI, 1984; M. ELIADE, Enciclo- pedia delle Religioni (diretta da), vol. 9, Induismo, Milano-Roma, Jaca Book- Città Nuova, 2006; G.FILORAMO,(diretta da), La grande storia delle religioni, vol.

5, Induismo. Spiritualità e tradizione sulle rive del Gange, Bari, Laterza, 2005. Per il buddismo v. M.ZAGO,Bud- dismo e Cristianesimo in dialogo, Roma, Città Nuova, 1985; M. ELIADE, (diretta da) Enciclopedia delle religioni, vol. 10, Il Buddhismo, Milano-Roma, Jaca Book-Città Nuova, 2006; H. DE LUBAC, Buddismo e occidente, Milano, Jaca Book, 1987; G. FILORAMO (diretta da), La grande storia delle religioni, vol. 4, Buddismo. Religioni dell’Estremo Orien- te, Bari, Laterza, 2005.

13 Attenzione a non confondere “In- finito”, con “in-determinato”. Infatti ‘non- finito’ è assenza di limiti o di creaturali- tà. Il limite o la creaturalità sono un’imperfezione dell’uomo in quanto creatura, solo l’Infinito, che non ha li- miti e non è creato, è perfetto ed è Dio.

Mentre ‘determinato’ significa attuato.

Ora atto dice perfezione rispetto a po- tenza, indeterminazione dice potenziali- tà e imperfezione. Quindi Dio è Infinito e Determinatissimo o Atto puro da ogni potenzialità o indeterminazione. Invece l’indeterminato è ciò che manca di atto, perfezione. Perciò indeterminato e Infi- nito sono due concetti contrari, come Dio Essere Creatore ed ente creato, li- mitato e finito.

Nelle filosofie misteriche ed eso- teriche dell’estremo oriente non c’è spazio per una conoscenza amorosa di Dio, in quanto non c’è un Dio di- stinto dall’uomo; non c’è un collo- quio tra uomo e Dio, ma un solilo- quio dell’«uomo-“dio”» con se stesso o un’immersione dell’uomo nel Tutto impersonale ed indeterminato.

Il fine della concentrazione orien- tale è far prendere coscienza all’

uomo di non essere una creatura di Dio, ma una Totalità di identità con la “divinità”. Perciò, concentrandosi l’uomo deve giungere a concepirsi come impersonale e come un amal- gama tra mondo, “divinità” e se stesso personalmente inesistente, ossia una particella del Tutto inde- terminato. L’annullamento della co- scienza della propria personalità, individualità (essere indiviso in sé e distinto da ogni altro) e la coscienza dell’unità con il Tutto o ‘Sé indeter- minato’ è il fine ultimo della con- centrazione e della filosofia orienta- le. Il fatto di conoscersi come “indi- viduo”, io, persona è una illusione (“maya”) che l’uomo deve perdere tramite la concentrazione, che lo li- bera così dalla sofferenza (“nirvana”, stato d’indifferenza o liberazione), la quale è la coscienza della realtà og- gettiva, che spesso ostacola i desi- deri dell’iniziato.

La preghiera cristiana ci fa pren- dere coscienza di questa difficoltà e coll’aiuto di Dio ci ottiene la forza di accettarla e sormontarla; mentre la

“concentrazione” o “sdoppiamento”

orientale ci fa perdere la nozione della realtà oggettiva e ci illude di non essere “illusi”, ossia di essere una parte del Tutto.

Pregare alla familiare con Dio La meditazione o orazione menta- le, in cui si riflette con l’intelletto il- luminato dalla Fede soprannaturale su Dio, Lo si ama con la volontà in- fiammata dalla Carità infusa e si colloquia con Lui è mezzo infallibile, se la si fa ogni giorno, anche soltan- to per una ventina di minuti, per perseverare in Grazia di Dio, avan- zare in santità e salvarsi l’anima. S.

IGNAZIO DA LOYOLA nei suoi Esercizi spirituali ci insegna vari modi di fare orazione mentale. L’importante è farla sempre, poco ma sempre, pian piano si giunge sulla vetta. “Nihil violentum durat”, dicevano i nostri padri.

Purtroppo l’esperienza insegna che coloro i quali fanno gli Esercizi spirituali imparano sì a meditare, ma solo pochi poi, tornati a casa, perseverano nel meditare tutti i giorni. Poco ma sempre è il segreto

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di riuscita. Infatti si sbaglia sovente per eccesso: troppa orazione menta- le i primi mesi, e poi più nulla, op- pure per difetto: molta incostanza e discontinuità. Invece occorre farla sempre possibilmente una mezz’ora al dì, se non si riesce a mantenere la mezz’ora, bisogna continuare tut- ti i giorni, anche più brevemente, purché non si abbandoni la regola- rità e poi il tutto.

Uno degli ostacoli che s’incontra nella perseveranza nella meditazio- ne è il sopportarla, il non amarla, il non viverla, il non parlare con Dio, vederla come un peso e non come una bella “chiacchierata” che si fa con il nostro miglior amico, l’unico che non tradisce mai, al quale si può dire tutto, il quale ci ascolta e ci risponde, se siamo abbastanza raccolti per sentirlo, e soprattutto l’unico che può risolvere ogni nostro problema, poiché è Onnisciente, Onnipotente ed Amore infinito.

S. ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI in una sua celeberrima opera (Modo di conversare alla familiare con Dio), scritta a Napoli nel 1753 afferma: «è un inganno pensare che trattare con Dio con gran confidenza e fami- liarità sia mancare di rispetto alla sua Maestà infinita»14. Il Santo ci insegna, nel corso del suo libro, a parlare cuore a cuore con Dio, come un amico parla ad un amico. In questo articoletto cerco di far inten- dere che meditare o contemplare (orazione mentale accompagnata da intenso amore soprannaturale verso Dio) sia cosa facile per ogni cristia- no, basta metterci un po’ di buona volontà e con la Grazia di Dio, che non è negata a nessuno, vi si riesce facilmente, tutti i giorni sino alla fi- ne di nostra vita per entrare poi in Cielo. Lo stesso Santo partenopeo diceva: “Chi prega si salva, chi non prega si danna. Tutti coloro che stanno all’inferno, non vi sarebbero se avessero pregato” (Del gran mez- zo della preghiera).

Parlare alla familiare con Dio è, perciò, oltre la buona volontà, l’impegno costante anche se breve nella pratica della meditazione, la via maestra per contemplare ogni giorno e farlo con frutto, sia nell’aridità che nella consolazione.

Un altro inciampo è quello di lascia- re la pratica della meditazione quando non si prova più nessuna consolazione spirituale. Il metodo o

“la piccola via dell’infanzia della preghiera” insegnataci da S. ALFON- SO aiuta notevolmente le anime, an-

14 Ibidem, Chieti, Paoline, II ed., 1968, p. 25.

che le più semplici e piccole ad ele- varsi a Dio, mediante il famoso

“ascensore” di cui parlava S. TERE- SINA DEL BAMBIN GESÙ nella sua

“piccola via dell’infanzia spirituale”.

Cerchiamo, allora, con S. Alfonso di «trattare con Dio coll’amore il più tenero e confidente che ci sia possi- bile. […]. Egli gode che noi trattiamo con Lui con quella confidenza, libertà e tenerezza, con cui trattano i fan- ciulli colle loro madri»15. Chi non è capace di parlare con sua madre?

Chi si annoia? Chi non ne sente la necessità ed uno sfogo? La sola pa- rola “Mamma”16 ci riempie di amore e commozione, ebbene così deve es- sere con Gesù. “Jesu dulcis memo- ria, […] sed super mel et omnia eius dulcis presentia” cantava S. BER- NARDO DI CHIARAVALLE.

Un’altra grande differenza tra preghiera cristiana e “concentrazio- ne” orientale è che i metodi orientali sono tecniche puramente umane e naturali di natura psicologica atte a far dimenticare all’uomo la sua in- dividualità e i suoi problemi, por- tandolo allo stato d’indifferenza o felicità nella propria identificazione col Tutto “dio-mondo”. L’esoterismo è la base e il fondamento della con- centrazione orientale: esso è una conoscenza naturale (gnosis) che

“salva orizzontalmente”, libera o perfeziona l’uomo facendolo giunge- re alla coscienza della propria iden- tità col «mondo-“divinità”». La Reli- gione cristiana, invece, è la Rivela- zione divina alla quale si aderisce per il dono soprannaturale e gratui- to della Grazia e della Fede e si vive tramite la preghiera o orazione mentale, con l’ausilio della Grazia divina o soprannaturale. Tra le due vi è una differenza qualitativa infini- ta, la stessa che intercorre tra la natura e la sopra-natura.

Lo yoga è una delle forme più conosciute di “concentrazione”. Es- sa deriva dalla filosofia orientale in- duista, mentre lo zen da quella buddista17. Tutte e due sono imma- nentistiche e panteistiche. Sono una sorta di “rito religioso”. Tutta- via è importante sapere che le posi- zioni assunte dal corpo dello yogin (colui che pratica lo yoga) non sono forme ginniche di rilassamento mu- scolare, ma sono dottrine speculati-

15 Ib., p. 26.

16 PADRE PIO DA PIETRELCINA si faceva cantare dal famoso tenore BENIAMINO

GIGLI, suo figlio spirituale, la famosa romanza “Mamma, per te la mia canzo- ne vola” ed ascoltandola si commoveva sino alle lagrime.

17 Lo zen è un derivato dello yoga clas- sico, come il buddismo dall’induismo.

vo-pratiche che servono ad aiutare l’iniziato a giungere a dimenticare di avere un corpo, di essere un indivi- duo distinto da tutti gli altri. Occor- re muoversi e respirare il meno pos- sibile, intervallando il più a lungo possibile l’inspirazione e l’espirazione, sempre per permettere alla coscienza dello yogin di liberarsi dall’impaccio del corpo, che è essenzialmente malvagio, come tutto ciò che è cor- poreo o materiale (qui vede chiara- mente l’influsso reciproco tra caba- la, manicheismo, gnosticismo, cata- rismo e filosofie orientali, che ha in- fluenzato non poco anche la filoso- fia europea antica in Platone e mo- derna soprattutto in Cartesio e Schopenhauer). Quindi lo yogin de- ve astrarre i suoi sensi da ogni og- getto esterno e concentrarli solo su se stesso o il suo pensiero. Qui l’iniziato arriva a conoscere diretta- mente ossia a intuire senza media- zione dei sensi e del ragionamento, come se fosse un angelo, l’essenza di tutte le cose (vedi l’ontologismo di Malebranche, Gioberti e Rosmini)18. Infine si arriva all’identificazione del soggetto con l’oggetto (v. l’idealismo classico tedesco) per annullare la coscienza dell’oggetto extramentale e rendere il soggetto un oggetto di concentrazione. Il soggetto che coin- cide coll’oggetto sospende in tal modo ogni desiderio di cose esterne ed è liberato o illuminato. L’individuo umano è dissolto come una goccia che cade in un grande oceano (v. Ni- chilismo filosofico post-moderno di Nietzsche, Freud, Scuola di Franco- forte e Strutturalismo francese).

Tutti i metodi di “concentrazione”

delle filosofie misteriche orientali, sin dall’inizio, tendono a portare l’iniziato ad annullare la coscienza della sua identità di individuo uma- no, distinto dagli altri, dal mondo e da Dio. I metodi o le tecniche sono una parte integrante della teoria o filosofia immanentistica e panteistica orientale che vuole distruggere nell’

uomo la coscienza razionale del proprio io, della propria personalità ed individualità sino al suo assor- bimento nel Tutto impersonale o nel Vuoto indeterminato.

Conclusione

1°) La vera mistica dice passività o non-resistenza solo relativamente alla mozione sovrabbondante dello Spirito Santo; non quanto alla coo- perazione umana con la Grazia di- vina all’opera della propria salvezza eterna.

18 Cfr. M. ELIADE, Patañjali et le yoga, Parigi, Seuil, 1982.

(8)

2°) Il falso misticismo, invece, di- ce passività totale (ossia “non far nulla”) anche nel non-vivere le Vir- tù, nel non-resistere al male morale.

3°) La conseguenza del falso mi- sticismo, che è corruzione dell’

unione trasformante con Dio (“cor- ruptio optimi pessima”), comporta la distruzione della retta ragione, della Fede soprannaturale, della Morale oggettiva e dell’obbedienza alla Ge- rarchia ecclesiastica, come Cristo l’ha voluta. In breve comporta la fi- ne della vera Religione (“si fieri po- test”) e dell’uomo animale razionale e libero.

4°) La falsa mistica ha inquinato tutte le epoche della storia della Chiesa: l’antichità col Montanismo, il medioevo coi Beguardi, la prima parte della modernità con Lutero e il Quietismo, la seconda parte della modernità col modernismo ameri- canista e la post-modernità con il neomodernismo postconciliare dei movimenti o “cammini”, i quali ven- gono oggi approvati dai vertici eccle- siali, mentre sino agli anni Cinquan- ta del XX secolo ogni deviazione era condannata ed arginata. Questo è il problema e il dramma dell’ora pre- sente, che solamente l’onnipotenza e la giustizia di Dio potrà risolvere, avendo sinora l’uomo moderno e contemporaneo resistito alla sua misericordia.

5°) L’influsso del giudaismo ca- balistico si è fatto sentire pesante- mente durante il Concilio Vaticano II (v. Nostra aetate, 1965) e nel post- concilio tramite l’attrattiva provata da Karol Woytjla (+2005) e Joseph Ratzinger per Martin Buber (+1965) ed Emmanuel Lévinas (+1995), i quali hanno reso la cabala esoterica elitaria ebraica un fenomeno di massa servendosi del movimento chassidico, come Freud ha reso il talmudismo un fenomeno di massa tramite la psicanalisi.

6°) La “religiosità” induista e buddista dell’estremo oriente più che una Religione positiva (che uni-

sce l’uomo a Dio, religio da religare) è una filosofia esoterica e gnostica, immanentista e perlomeno tenden- zialmente panteista. Per essa non esiste un Dio distinto dal mondo e trascendente e quindi non sussiste una Religione, ma una vaga divinità impersonale ed indeterminata, che fa un tutt’uno col mondo e con l’uomo e perciò è una conoscenza misterica, segreta, elitaria, gnostica ed esoterica, che allontana Dio dall’uomo.

L’uomo non è soltanto una bestia da lavoro, è anche uno spirito creato a immagine di Dio! Non ha soltanto bisogni materiali e desideri grossola- ni; egli ha i bisogni dell’anima e le esigenze del cuore. Non vive soltanto di pane, vive di fede, di adorazione e di amore.

S. Curato d’Ars 7°) I “metodi di concentrazione”

estremo-orientali non hanno nulla a che vedere con la “preghiera” o ora- zione mentale (meditazione e con- templazione) cristiana. Infatti, men- tre la preghiera è una conoscenza amorosa di Dio da parte dell’uomo, che porta alla unione o a vivere as- sieme colloquiando vicendevolmente

“come un amico parla con l’amico”, pur restando distinti (Dio è infini- tamente superiore rispetto ad ogni creatura, anche angelica); la “con- centrazione” orientale (yoga o zen) parte dal falso presupposto filosofi- co che l’uomo non è un individuo distinto dagli altri, dal mondo e da Dio; ma uomo, divinità e mondo formano un “Tutto” o un “Vuoto in- determinato”. Tale falsa filosofia si serve dello yoga o zen per convince- re l’illuminato che egli è una parte del “Tutto” o “una goccia d’acqua che si perde nell’Oceano della divi- nità”.

8°) Le conseguenze morali della fi- losofia panteistica estremo-orientale

sono disastrose e conducono al ni- chilismo filosofico, che soprattutto dal parossismo del Sessantotto sta distruggendo l’uomo contempora- neo nella ragione, nella morale e persino nel suo stesso essere. Infat- ti, se l’uomo è “una goccia che si perde nell’Oceano” egli è una parti- cella di un ‘Tutto’, che poi è un ‘Vuo- to’ indeterminato e potenziale, ossia un ‘non-essere’ in perpetuo divenire.

Perciò l’uomo, il mondo e la divinità non sono o non esistono, ma diven- gono continuamente senza mai giungere all’atto.

9°) BISOGNA SCEGLIERE: o la retta filosofia, la vera Religione e la pre- ghiera rivolta a Dio creatore, oppure l’assurdo filosofico dell’ immanenti- smo panteistico, la falsa religiosità panteistica e la concentrazione illu- sionistica, che rende il soggetto og- getto, come il “mago Silvan”, che estrae il coniglio dal cilindro e rende gli spettatori un rebus acronimo del

“co-ni-glio”. Tertium non datur. Pa- rafrasando Guénon: “Perditio ex oriente!”

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